Il Regio di Parma mette in scena in questi giorni
una delle opere (tutte minori, se non
si chiamano… Carmen) di Georges Bizet: si tratta di Les pêcheurs de perles, in una produzione di qualche anno fa del Verdi di Trieste.
Sulla
vacuità e bizzarria del libretto di Cormon&Carré
si è scritto di tutto; non solo: si è anche fatto
di tutto, arrivando allegramente a modificarlo con la solita scusa di migliorarlo, bistrattandone di
conseguenza anche la musica.
Come succederà
alla Carmen (di cui però Bizet farà
appena appena in tempo a seguire pochissime rappresentazioni, senza poterci più
metter mano come avrebbe sicuramente voluto) anche i Pescatori furono oggetto di appropriazione
indebita, per così dire, alla morte dell’Autore, avvenuta 12 anni dopo le
prime recite.
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Nello
scenario pseudo-esotico di Ceylon si
muovono, oltre a masse popolari (pescatori, fachiri, sacerdoti e maliarde, impersonate dai cori) quattro
soli personaggi, di cui tre maschi (rappresentanti le tre tessiture vocali) e
una femmina (soprano). Costei (Léïla) è una
curiosa figura multiforme e multi-professione: si fa passare per dea (!) e per protettrice dei pescatori di perle, donna di grande saggezza e
ancor maggior severità di costumi… poi però scopriamo presto che se l’è già
spassata assai con Nadir (il tenore)
che a sua volta capita per caso in quei posti e vi incontra un vecchio amico, anzi…
ehm… qualcosa di più, tale Zurga
(baritono) che si scopre a sua volta essere invaghito della protagonista.
Completa questo quadro un filino improbabile (e non è tutto, come vedremo!) il
sacerdote Nourabad (basso) che fra
tutti quanti sembra l’unica persona ad avere la testa sulle spalle.
Nell’Atto I Zurga viene nominato capo dei sub che si apprestano a vendemmiare perle e proprio in quel momento
ecco arrivare Nadir, reduce da peregrinazioni in luoghi remoti. Scopriamo che
fra lui e Zurga c’era un’amicizia… particolare, che però fu incrinata in
passato dall’apparizione di una donna misteriosa (una specie di dea, indovinate
chi?) che catturò la libido di entrambi, lasciandoli senza libido… reciproca (smile!) Ma i due si riconciliano presto,
proprio mentre sopraggiunge su una piroga… indovinate chi? (sempre lei, qui
come esorcista contro embolie e annegamenti). La donna – ognor velata - giura
castità e ogni altro ingrediente che renda efficace la sua protezione, però ha già
sgamato Nadir (e lui lei, poco dopo!) e possiamo facilmente immaginare ciò che
sta per accadere.
L’Atto
II si apre con una (apparentemente, per ora) insignificante confessione di Léïla
a Nourabad: da ragazzina lei aveva aiutato uno sconosciuto fuggiasco
(evidentemente con qualche colpa sulla coscienza…) a sfuggire alla cattura, e
lui le aveva regalato una collana metallica in segno di riconoscenza. Poi
l’atto è incentrato – c’era da esserne sicuri – sulla love-scene fra Nadir e Léïla; scena manco a dirlo interrotta dal
sacerdote Nourabad che scopre i due amanti in flagrante. A furor di popolo i
due dovrebbero essere puniti, ma arriva il mite Zurga che invece propone
caritatevolmente di mandarli liberi. Senonchè Nourabad scopre il volto della
donna, il che manda Zurga in pasto alla più feroce gelosia: perché adesso
perfino lui ha razionalizzato tutta la tresca di cui è protagonista l’amico e
ordina la punizione estrema per i due fedifraghi.
Nell’Atto III assistiamo all’immancabile colpo-di-teatro. Zurga, che
dapprima pareva pentito della sua severità nei confronti dei due amanti e poi
era tornato a farsi accecare più che mai dalla gelosia e dall’odio verso Léïla,
intravede addosso a lei una catenina metallica che gli par di conoscere (toh,
che sorpresa!) e così scopre di avere un debito con lei e ri-ri-ricambia idea,
decidendo di salvarla insieme al suo (di lei, ma anche di lui, smile!) Nadir. Ma come fare, visto che sono
già pronti la pira e il relativo orrendo foco per ospitare i due
criminali? E allora il fuoco lo appicca lui stesso alle capanne del villaggio,
col che tutti quanti corrono a spegnere l’incendio, mentre lui fa scappare i
due amanti, recidendo a colpi d’ascia i legacci che li trattengono. Ben presto
tornano tutti, le donne con i bambini in braccio, scampati all’incendio, seguite
da Nourabad e dagli indiani. Léïla e Nadir sono già lontani, mentre il povero
Zurga se ne sta lì inebetito a contemplare il vuoto.
Beh, ditemi voi se questa non è roba
da chiodi… (trasparente come una
bottiglia d’inchiostro, commentò un critico dei tempi!)
Quindi, bisognava assolutamente porre
rimedio a questo ciarpame. Uno dei volontari – ma non
l’unico - fu tale Benjamin Godard, un musicista
abbastanza noto ai tempi, che si occupò di un paio di restauri che – come
spesso accade – invece di risolvere dei problemi ne creano altri ancor più
gravi. Dunque, vediamo.
Nell’Atto I sappiamo come Zurga e Nadir
si rivedano dopo tanto tempo, e dopo la sbandata avuta da entrambi per Léïla (ma Nadir poi non
aveva perso tempo a tornare in pista!) che aveva raffreddato (smile!) il loro rapporto. Adesso pare
tutto dimenticato e i due – che si raccontano anche come hanno vissuto il
distacco - si riconfermano (Amitié
sainte) reciproco affetto e
fedeltà (si noti che Léïla
ancora non è arrivata da quelle parti!) Che si inventa Godard? Siccome ritiene
debole questo passaggio (in effetti musicalmente non eccezionale, diciamo pure
banalotto, con quel piglio goffamente marziale, tutto per terze) allora lo stravolge letteralmente, accorciandolo e mettendo
in bocca ai due delle affermazioni tanto ridicole quanto assurde: è la dea (non
quella in carne ed ossa, che ancora deve arrivare, ma la sua astrazione!) che sta
arrivando per benedire la loro riconciliazione e la loro unione per il resto
dei loro giorni. Confrontare le due versioni per credere:
Cormon&Carré
ZURGA et NADIR
Amitié sainte, Unis nos âmes fraternelles!
Chassons sans retour Ce
fatal amour,
Et la main dans la main, En
compagnons fidèles,
Jusques à la mort Ayons
même sort!
Oui, la main dans la main,
En compagnons fidèles, Oui,
soyons amis,
Ah! soyons amis jusqu’à la
mort!
ZURGA
Depuis ce jour, fidèle à ma
parole,
J’ai laissé fuir loin
d’elle
Et les
jours et les mois.
NADIR
Pour me guérir de cette
ivresse folle,
J’ai fui parmi les loups
Et les oiseaux des bois.
ZURGA et NADIR
Comme le mien que ton coeur se console!
Soyons frères, soyons amis, comme autrefois!
Amitié sainte, etc.
|
Godard
ZURGA ET NADIR
Oui, c'est elle! C'est la
déesse!
En ce jour qui vient nous unir, Et fidèle à ma promesse, Comme un frère je veux te chérir! C'est elle, c'est la déesse Qui vient en ce jour nous unir! Oui, partageons le même sort, Soyons unis jusqu'à la mort! |
Cosa si deduce? Che mentre l’originale
contemplava un ritorno all’amicizia fra i due uomini, che giuravano di aver
dimenticato per sempre la donna fatale, Godard li fa invece riconciliare
proprio nel ricordo di quella stessa donna che aveva rotto la loro relazione
d’amicizia (e che sta ora per arrivare da quelle parti!) Semplicemente
ridicolo. Ovviamente le due diverse scene devono essere supportate da musica
diversa: così Godard cassa quella originale e la sostituisce con il tema – per
quanto suggestivo, ed è praticamente il motto
dell’opera - che avevamo appena udito nell’evocazione che i due amici avevano
fatto della prima apparizione della donna!
L’altra pesante interferenza sull’originale
riguarda il terz’atto e il finale dell’opera. Nell’originale Zurga, dopo
continui sbalzi d’umore nei confronti dei due amanti, vede la famosa collana e si
decide finalmente a salvare Léïla e Nadir, che però sono ormai nelle mani dei
carnefici. E qui abbiamo il bellissimo duetto fra i due amanti (Ô lumière sainte, Ô
divine étreinte) che si preparano a morire sul rogo sognando un
palazzo che si apre ai loro occhi e porta dritto in un paradiso di felicità. Cosa
accade invece con le modifiche di Godard e soci? Il duetto dei morituri sparisce, viene spostato dopo il ritorno in scena
di Zurga che ferma l’esecuzione della sentenza e si trasforma in un terzetto di esultanza, con Zurga che
unisce alla gioia dei due liberati la sua decisione di immolarsi per amor loro!
Ovviamente il testo cantato da Léïla e Nadir deve essere poco o tanto
modificato, in presenza di tale autentico ribaltamento di scenario. E già che
ci siamo, ma sì - contraffazione per contraffazione - cambiamo anche la musica!
Infine, il
povero Zurga: mica se la può passar liscia restando lì a fissare il vuoto; no
no, lui si merita un’esemplare e drammatica punizione e così viene, a seconda
della fantasia dei contraffattori del libretto, pugnalato alle spalle, il che
però non gli impedisce di cantare con i due amanti l’originale della scena
finale del dramma (Plus de crainte, o
douce étreinte, che lui contrappunta con Ma tâche est achevée) oppure direttamente
mandato arrosto sul rogo, il che comporta la soppressione del terzetto finale,
sostituito dallo spostamento colà di parte del precedente coro degli indiani,
da cui già era stato espunto l’intervento di Nadir.
In ogni modo,
proprio volendo sforzare le meningi, qualche aspetto positivo nel libretto
originale lo si può anche trovare (Cormon&Carré non erano poi degli
sprovveduti…): il riferimento ai quattro elementi fondamentali, che ritorna
spesso e già nel coro iniziale: poi, simbolismi diversi, primo fra i quali la perla bionda nascosta agli occhi di tutti,
o l’eterno confronto-scontro fra i sentimenti di amicizia e di amore, o
ancora il fuoco che divampa nel finale, dal chiaro significato purificatore.
Insomma, un testo che non è proprio da buttare in-toto e a-priori.
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Tutto il
tormentone precedente ha il solo scopo di spiegare come e perché, prendendo a
caso un’incisione dell’opera, si scopre come sia diversa – e non di poco - da
un’altra ascoltata prima oppure dopo… E poi per rivelare a tutti cosa si
ascolti e si veda nella produzione in questi giorni in scena a Parma. Leggendo il
programma di sala si ha l’impressione che la scelta sia caduta sulla versione originale;
la cosa sembrerebbe confermata dal libretto
pubblicato in rete, che presenta in realtà anche la traduzione dello Zanardini per la prima alla Scala del 1886, ma che fa chiaramente riferimento al testo
originale francese di Cormon&Carré.
Peccato che però in scena si ascolti precisamente la versione spuria (1893) contraffatta
da Godard e soci! E in più con la contraffazione-della-contraffazione: alla fine
si vedono arrivare Nourabad e i capi indiani in cerca di Zurga gridando à mort, poi però, invece di infilzarlo, se
ne tornano là da dove son venuti, così Zurga può avanzare al proscenio per esternare
il suo ultimo adieu! Insomma, un bel… risotto alla parmigiana (smile!) con buona pace per gli sforzi meritori che Michel Poupet e altri esperti hanno profuso per recuperare plausibilmente la versione originale. Che invece 10 anni fa fu presentata alla Fenice ed è stata anche registrata su DVD.
Quanto all’allestimento,
curato da Fabio Sparvoli, lo
definirei di minimalismo da penuria:
scena praticamente vuota o quasi e costumi da trovarobe. Alle masse di coristi
si aggiungono però simpatici ballerini che dovrebbero dare il tocco di esotismo
all’ambiente. Quanto ai personaggi, non è certo colpa di Sparvoli se il
libretto gli offre poco o nulla… (e così lui si diverte a fare qualche
invenzione: oltre allo Zurga risparmiato, quella della consegna della collana
da parte di Léïla direttamente nelle mani di costui è proprio
ridicola, facendo perdere tutta la portata drammatica della scena). Insomma, un
allestimento che par fatto apposta per invocare qualunque eccesso del Regietheater.
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Comunque ciò che
ha evitato all’opera il definitivo passaggio al dimenticatoio è, manco a dirlo,
la musica di Bizet. Non essere un
capolavoro non significa automaticamente essere fuffa e i Pescatori – possibilmente quelli originali e non quelli contraffatti
- si meritano come minimo un posto di centro-classifica nel campionario
operistico.
Vi si
intravedono e vi si sentono già i germi di quella fioritura che si completerà
con Carmen, insieme a chiari
riferimenti all’opera italiana (Rossini, Bellini, Verdi, perfino qualche
anticipazione del Mascagni della Cavalleria…) mescolati con qualche spruzzatina
di wagnerismo. Come la presenza di un motivo-conduttore
(quello evocante la figura – materiale ma soprattutto ideale - di Léïla) che
ritorna più volte nel corso dell’opera, dopo essere stato inizialmente esposto,
in MIb, dal flauto solo, accompagnato dalle arpe, al momento per Nadir di
ricordare l’apparizione misteriosa della donna:
E come non
apprezzare la delicatezza della romance
in LA minore (Je
crois entendre encore) che Nadir canta nel primo atto, ricordando le
notti trascorse in passato ad ammirare la donna che lo aveva stregato e che
ancora non ha riconosciuto (lo farà tra poco) in quella arrivata sulla
piroga:
Alla fine
del primo atto è Léïla ad esibirsi nel canto
propiziatorio per i pescatori, cui il coro risponde – e qui non siamo certo
allo zenit estetico dell’opera – con
una barcarola francamente dozzinale (Ah! chante, chante
encore!) che scimmiotta quella assai celebre (ed appropriata!) del
finale del second’atto dei Vespri
verdiani, che Bizet doveva conoscere molto bene.
Molto bella invece la cavatina in FA maggiore di Léïla all’inizio del second’atto (Comme autrefois, dans la nuit sombre) preceduta e accompagnata da una dolce melodia dei corni e da cullanti terzine di flauti e clarinetti. La segue l’accorata chanson di Nadir (De mon amie, fleur endormie) cantata dietro le quinte e con il solo accompagnamento dell’arpa, una trovata sempre efficace e suggestiva (Alfredo, Manrico… fin giù, in futuro, a Turiddu) che introduce il lungo, dapprima tempestoso e infine sognante duetto d’amore fra i due amanti.
Del terzo atto sono da ricordare il confronto-scontro fra Zurga e Léïla (amputato barbaramente dai miglioratori…) che porta alla finale decisione del primo di sacrificarsi per salvare i due amanti; poi il citato Ô lumière sainte (quello di Bizet, non dei contraffattori!) e il ritorno del tema principale proprio alla conclusione del dramma.
Infine,
una citazione meritano i cori, che costellano
tutta l’opera, trattati da Bizet con grande maestria ed efficacia.
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Molto bella invece la cavatina in FA maggiore di Léïla all’inizio del second’atto (Comme autrefois, dans la nuit sombre) preceduta e accompagnata da una dolce melodia dei corni e da cullanti terzine di flauti e clarinetti. La segue l’accorata chanson di Nadir (De mon amie, fleur endormie) cantata dietro le quinte e con il solo accompagnamento dell’arpa, una trovata sempre efficace e suggestiva (Alfredo, Manrico… fin giù, in futuro, a Turiddu) che introduce il lungo, dapprima tempestoso e infine sognante duetto d’amore fra i due amanti.
Del terzo atto sono da ricordare il confronto-scontro fra Zurga e Léïla (amputato barbaramente dai miglioratori…) che porta alla finale decisione del primo di sacrificarsi per salvare i due amanti; poi il citato Ô lumière sainte (quello di Bizet, non dei contraffattori!) e il ritorno del tema principale proprio alla conclusione del dramma.
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Ecco, cosa
si è udito a Parma? Personalmente salverei l’Orchestra Regionale ER (e Fournillier,
che l’ha diretta con sobrietà e cura dei particolari) e il Coro di Martino Faggiani, giustamente osannato alla
fine.
Quanto al cast, c’è la scusa che è stato rivoluzionato
proprio alla vigilia della prima; ma la
scusa non può però assolvere dalle colpe! Di Nino Machaidze (Léïla) si conoscono
ormai pregi (pochini) e difetti, confermati anche ieri: voce dal timbro tendente
sgradevolmente al metallico, soprattutto negli acuti quasi sempre urlacchiati.
Dmitry Korchak (Nadir) non ha una brutta voce, ma fatica sugli
acuti spiegati (va meglio su quelli sussurrati) e in complesso non mi ha entusiasmato;
chissà che con parecchio olio-di-gomito non possa in futuro migliorare.
Vincenzo Taormina era Zurga: presenza notevole ed efficace, voce potente; canto… così e così,
con parecchi problemi di intonazione.
Luca Dall’Amico completava
il cast come Nourabad: una prestazione davvero anonima, sorry.
Pubblico anche qui scarsino e assottigliatosi ulteriormente dopo i due intervalli.
Ma di bocca assai buona, a giudicare dal calore dell’accoglienza finale. Ma forse
a Parma se non è Verdi… non val la pena impegnarsi (smile!)
___
A proposito
di Bizet, allego per l’occasione un saggio di Giorgio Corapi, apparso sul numero di luglio 1988 della rivista Musica&Dossier.
2 commenti:
Ciao Daland. Vidi appunto questo allestimento a Trieste, e ricordo che l'allora sovrintendente mi raccontò che intervenne per morigerare, diciamo così, i costumi dei ballerini. Aveva paura che buona parte delle giurassiche spettatrici non reggessero all'emozione.
Ciao :-)
@Amfortas,
a proposito, ho invece notato che le ballerine indossavano costumi semitrasparenti dotati di piccoli dischetti scuri in corrispondenza dei capezzoli: quando si dice la cura del dettaglio!
Ciao!
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