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02 aprile, 2014

Perle (coltivate) al Regio di Parma


Il Regio di Parma mette in scena in questi giorni una delle opere (tutte minori, se non si chiamano… Carmen) di Georges Bizet: si tratta di Les pêcheurs de perles, in una produzione di qualche anno fa del Verdi di Trieste.

Sulla vacuità e bizzarria del libretto di Cormon&Carré si è scritto di tutto; non solo: si è anche fatto di tutto, arrivando allegramente a modificarlo con la solita scusa di migliorarlo, bistrattandone di conseguenza anche la musica.

Come succederà alla Carmen (di cui però Bizet farà appena appena in tempo a seguire pochissime rappresentazioni, senza poterci più metter mano come avrebbe sicuramente voluto) anche i Pescatori furono oggetto di appropriazione indebita, per così dire, alla morte dell’Autore, avvenuta 12 anni dopo le prime recite.
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Nello scenario pseudo-esotico di Ceylon si muovono, oltre a masse popolari (pescatori, fachiri, sacerdoti e maliarde, impersonate dai cori) quattro soli personaggi, di cui tre maschi (rappresentanti le tre tessiture vocali) e una femmina (soprano). Costei (Léïla) è una curiosa figura multiforme e multi-professione: si fa passare per dea (!) e per protettrice dei pescatori di perle, donna di grande saggezza e ancor maggior severità di costumi… poi però scopriamo presto che se l’è già spassata assai con Nadir (il tenore) che a sua volta capita per caso in quei posti e vi incontra un vecchio amico, anzi… ehm… qualcosa di più, tale Zurga (baritono) che si scopre a sua volta essere invaghito della protagonista. Completa questo quadro un filino improbabile (e non è tutto, come vedremo!) il sacerdote Nourabad (basso) che fra tutti quanti sembra l’unica persona ad avere la testa sulle spalle.


Nell’Atto I Zurga viene nominato capo dei sub che si apprestano a vendemmiare perle e proprio in quel momento ecco arrivare Nadir, reduce da peregrinazioni in luoghi remoti. Scopriamo che fra lui e Zurga c’era un’amicizia… particolare, che però fu incrinata in passato dall’apparizione di una donna misteriosa (una specie di dea, indovinate chi?) che catturò la libido di entrambi, lasciandoli senza libido… reciproca (smile!) Ma i due si riconciliano presto, proprio mentre sopraggiunge su una piroga… indovinate chi? (sempre lei, qui come esorcista contro embolie e annegamenti). La donna – ognor velata - giura castità e ogni altro ingrediente che renda efficace la sua protezione, però ha già sgamato Nadir (e lui lei, poco dopo!) e possiamo facilmente immaginare ciò che sta per accadere.

L’Atto II si apre con una (apparentemente, per ora) insignificante confessione di Léïla a Nourabad: da ragazzina lei aveva aiutato uno sconosciuto fuggiasco (evidentemente con qualche colpa sulla coscienza…) a sfuggire alla cattura, e lui le aveva regalato una collana metallica in segno di riconoscenza. Poi l’atto è incentrato – c’era da esserne sicuri – sulla love-scene fra Nadir e Léïla; scena manco a dirlo interrotta dal sacerdote Nourabad che scopre i due amanti in flagrante. A furor di popolo i due dovrebbero essere puniti, ma arriva il mite Zurga che invece propone caritatevolmente di mandarli liberi. Senonchè Nourabad scopre il volto della donna, il che manda Zurga in pasto alla più feroce gelosia: perché adesso perfino lui ha razionalizzato tutta la tresca di cui è protagonista l’amico e ordina la punizione estrema per i due fedifraghi.

Nell’Atto III assistiamo all’immancabile colpo-di-teatro. Zurga, che dapprima pareva pentito della sua severità nei confronti dei due amanti e poi era tornato a farsi accecare più che mai dalla gelosia e dall’odio verso Léïla, intravede addosso a lei una catenina metallica che gli par di conoscere (toh, che sorpresa!) e così scopre di avere un debito con lei e ri-ri-ricambia idea, decidendo di salvarla insieme al suo (di lei, ma anche di lui, smile!) Nadir. Ma come fare, visto che sono già pronti la pira e il relativo orrendo foco per ospitare i due criminali? E allora il fuoco lo appicca lui stesso alle capanne del villaggio, col che tutti quanti corrono a spegnere l’incendio, mentre lui fa scappare i due amanti, recidendo a colpi d’ascia i legacci che li trattengono. Ben presto tornano tutti, le donne con i bambini in braccio, scampati all’incendio, seguite da Nourabad e dagli indiani. Léïla e Nadir sono già lontani, mentre il povero Zurga se ne sta lì inebetito a contemplare il vuoto.

Beh, ditemi voi se questa non è roba da chiodi… (trasparente come una bottiglia d’inchiostro, commentò un critico dei tempi!)

Quindi, bisognava assolutamente porre rimedio a questo ciarpame. Uno dei volontari – ma non l’unico - fu tale Benjamin Godard, un musicista abbastanza noto ai tempi, che si occupò di un paio di restauri che – come spesso accade – invece di risolvere dei problemi ne creano altri ancor più gravi. Dunque, vediamo.

Nell’Atto I sappiamo come Zurga e Nadir si rivedano dopo tanto tempo, e dopo la sbandata avuta da entrambi per Léïla (ma Nadir poi non aveva perso tempo a tornare in pista!) che aveva raffreddato (smile!) il loro rapporto. Adesso pare tutto dimenticato e i due – che si raccontano anche come hanno vissuto il distacco - si riconfermano (Amitié sainte) reciproco affetto e fedeltà (si noti che Léïla ancora non è arrivata da quelle parti!) Che si inventa Godard? Siccome ritiene debole questo passaggio (in effetti musicalmente non eccezionale, diciamo pure banalotto, con quel piglio goffamente marziale, tutto per terze) allora lo stravolge letteralmente, accorciandolo e mettendo in bocca ai due delle affermazioni tanto ridicole quanto assurde: è la dea (non quella in carne ed ossa, che ancora deve arrivare, ma la sua astrazione!) che sta arrivando per benedire la loro riconciliazione e la loro unione per il resto dei loro giorni. Confrontare le due versioni per credere:

Cormon&Carré
ZURGA et NADIR
Amitié sainte, Unis nos âmes fraternelles!
Chassons sans retour Ce fatal amour,
Et la main dans la main, En compagnons fidèles,
Jusques à la mort Ayons même sort!
Oui, la main dans la main,
En compagnons fidèles, Oui, soyons amis,
Ah! soyons amis jusqu’à la mort!
ZURGA
Depuis ce jour, fidèle à ma parole,
J’ai laissé fuir loin d’elle
Et les jours et les mois.
NADIR
Pour me guérir de cette ivresse folle,
J’ai fui parmi les loups
Et les oiseaux des bois.
ZURGA et NADIR
Comme le mien que ton coeur se console!
Soyons frères, soyons amis, comme autrefois!
Amitié sainte, etc.
Godard
ZURGA ET NADIR
Oui, c'est elle! C'est la déesse!
En ce jour qui vient nous unir,
Et fidèle à ma promesse,
Comme un frère je veux te chérir!
C'est elle, c'est la déesse
Qui vient en ce jour nous unir!
Oui, partageons le même sort,
Soyons unis jusqu'à la mort!




Cosa si deduce? Che mentre l’originale contemplava un ritorno all’amicizia fra i due uomini, che giuravano di aver dimenticato per sempre la donna fatale, Godard li fa invece riconciliare proprio nel ricordo di quella stessa donna che aveva rotto la loro relazione d’amicizia (e che sta ora per arrivare da quelle parti!) Semplicemente ridicolo. Ovviamente le due diverse scene devono essere supportate da musica diversa: così Godard cassa quella originale e la sostituisce con il tema – per quanto suggestivo, ed è praticamente il motto dell’opera - che avevamo appena udito nell’evocazione che i due amici avevano fatto della prima apparizione della donna!     

L’altra pesante interferenza sull’originale riguarda il terz’atto e il finale dell’opera. Nell’originale Zurga, dopo continui sbalzi d’umore nei confronti dei due amanti, vede la famosa collana e si decide finalmente a salvare Léïla e Nadir, che però sono ormai nelle mani dei carnefici. E qui abbiamo il bellissimo duetto fra i due amanti (Ô lumière sainte, Ô divine étreinte) che si preparano a morire sul rogo sognando un palazzo che si apre ai loro occhi e porta dritto in un paradiso di felicità. Cosa accade invece con le modifiche di Godard e soci? Il duetto dei morituri sparisce, viene spostato dopo il ritorno in scena di Zurga che ferma l’esecuzione della sentenza e si trasforma in un terzetto di esultanza, con Zurga che unisce alla gioia dei due liberati la sua decisione di immolarsi per amor loro! Ovviamente il testo cantato da Léïla e Nadir deve essere poco o tanto modificato, in presenza di tale autentico ribaltamento di scenario. E già che ci siamo, ma sì - contraffazione per contraffazione - cambiamo anche la musica!

Infine, il povero Zurga: mica se la può passar liscia restando lì a fissare il vuoto; no no, lui si merita un’esemplare e drammatica punizione e così viene, a seconda della fantasia dei contraffattori del libretto, pugnalato alle spalle, il che però non gli impedisce di cantare con i due amanti l’originale della scena finale del dramma (Plus de crainte, o douce étreinte, che lui contrappunta con Ma tâche est achevée) oppure direttamente mandato arrosto sul rogo, il che comporta la soppressione del terzetto finale, sostituito dallo spostamento colà di parte del precedente coro degli indiani, da cui già era stato espunto l’intervento di Nadir. 

In ogni modo, proprio volendo sforzare le meningi, qualche aspetto positivo nel libretto originale lo si può anche trovare (Cormon&Carré non erano poi degli sprovveduti…): il riferimento ai quattro elementi fondamentali, che ritorna spesso e già nel coro iniziale: poi, simbolismi diversi, primo fra i quali la perla bionda nascosta agli occhi di tutti, o l’eterno confronto-scontro fra i sentimenti di amicizia e di amore, o ancora il fuoco che divampa nel finale, dal chiaro significato purificatore. Insomma, un testo che non è proprio da buttare in-toto e a-priori.
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Tutto il tormentone precedente ha il solo scopo di spiegare come e perché, prendendo a caso un’incisione dell’opera, si scopre come sia diversa – e non di poco - da un’altra ascoltata prima oppure dopo… E poi per rivelare a tutti cosa si ascolti e si veda nella produzione in questi giorni in scena a Parma. Leggendo il programma di sala si ha l’impressione che la scelta sia caduta sulla versione originale; la cosa sembrerebbe confermata dal libretto pubblicato in rete, che presenta in realtà anche la traduzione dello Zanardini per la prima alla Scala del 1886, ma che fa chiaramente riferimento al testo originale francese di Cormon&Carré. Peccato che però in scena si ascolti precisamente la versione spuria (1893) contraffatta da Godard e soci! E in più con la contraffazione-della-contraffazione: alla fine si vedono arrivare Nourabad e i capi indiani in cerca di Zurga gridando à mort, poi però, invece di infilzarlo, se ne tornano là da dove son venuti, così Zurga può avanzare al proscenio per esternare il suo ultimo adieu!  

Insomma, un bel… risotto alla parmigiana (smile!) con buona pace per gli sforzi meritori che Michel Poupet e altri esperti hanno profuso per recuperare plausibilmente la versione originale. Che invece 10 anni fa fu presentata alla Fenice ed è stata anche registrata su DVD.

Quanto all’allestimento, curato da Fabio Sparvoli, lo definirei di minimalismo da penuria: scena praticamente vuota o quasi e costumi da trovarobe. Alle masse di coristi si aggiungono però simpatici ballerini che dovrebbero dare il tocco di esotismo all’ambiente. Quanto ai personaggi, non è certo colpa di Sparvoli se il libretto gli offre poco o nulla… (e così lui si diverte a fare qualche invenzione: oltre allo Zurga risparmiato, quella della consegna della collana da parte di Léïla direttamente nelle mani di costui è proprio ridicola, facendo perdere tutta la portata drammatica della scena). Insomma, un allestimento che par fatto apposta per invocare qualunque eccesso del Regietheater.
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Comunque ciò che ha evitato all’opera il definitivo passaggio al dimenticatoio è, manco a dirlo, la musica di Bizet. Non essere un capolavoro non significa automaticamente essere fuffa e i Pescatori – possibilmente quelli originali e non quelli contraffatti - si meritano come minimo un posto di centro-classifica nel campionario operistico.

Vi si intravedono e vi si sentono già i germi di quella fioritura che si completerà con Carmen, insieme a chiari riferimenti all’opera italiana (Rossini, Bellini, Verdi, perfino qualche anticipazione del Mascagni della Cavalleria…) mescolati con qualche spruzzatina di wagnerismo. Come la presenza di un motivo-conduttore (quello evocante la figura – materiale ma soprattutto ideale - di Léïla) che ritorna più volte nel corso dell’opera, dopo essere stato inizialmente esposto, in MIb, dal flauto solo, accompagnato dalle arpe, al momento per Nadir di ricordare l’apparizione misteriosa della donna:

E come non apprezzare la delicatezza della romance in LA minore (Je crois entendre encore) che Nadir canta nel primo atto, ricordando le notti trascorse in passato ad ammirare la donna che lo aveva stregato e che ancora non ha riconosciuto (lo farà tra poco) in quella arrivata sulla piroga:
Alla fine del primo atto è Léïla ad esibirsi nel canto propiziatorio per i pescatori, cui il coro risponde – e qui non siamo certo allo zenit estetico dell’opera – con una barcarola francamente dozzinale (Ah! chante, chante encore!) che scimmiotta quella assai celebre (ed appropriata!) del finale del second’atto dei Vespri verdiani, che Bizet doveva conoscere molto bene. 

Molto bella invece la cavatina in FA maggiore di Léïla all’inizio del second’atto (Comme autrefois, dans la nuit sombre) preceduta e accompagnata da una dolce melodia dei corni e da cullanti terzine di flauti e clarinetti. La segue l’accorata chanson di Nadir (De mon amie, fleur endormie) cantata dietro le quinte e con il solo accompagnamento dell’arpa, una trovata sempre efficace e suggestiva (Alfredo, Manrico… fin giù, in futuro, a Turiddu) che introduce il lungo, dapprima tempestoso e infine sognante duetto d’amore fra i due amanti.   

Del terzo atto sono da ricordare il confronto-scontro fra Zurga e Léïla (amputato barbaramente dai miglioratori…) che porta alla finale decisione del primo di sacrificarsi per salvare i due amanti; poi il citato Ô lumière sainte (quello di Bizet, non dei contraffattori!) e il ritorno del tema principale proprio alla conclusione del dramma.

Infine, una citazione meritano i cori, che costellano tutta l’opera, trattati da Bizet con grande maestria ed efficacia.
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Ecco, cosa si è udito a Parma? Personalmente salverei l’Orchestra Regionale ER (e Fournillier, che l’ha diretta con sobrietà e cura dei particolari) e il Coro di Martino Faggiani, giustamente osannato alla fine.  

Quanto al cast, c’è la scusa che è stato rivoluzionato proprio alla vigilia della prima; ma la scusa non può però assolvere dalle colpe! Di Nino Machaidze (Léïla) si conoscono ormai pregi (pochini) e difetti, confermati anche ieri: voce dal timbro tendente sgradevolmente al metallico, soprattutto negli acuti quasi sempre urlacchiati.

Dmitry Korchak (Nadir) non ha una brutta voce, ma fatica sugli acuti spiegati (va meglio su quelli sussurrati) e in complesso non mi ha entusiasmato; chissà che con parecchio olio-di-gomito non possa in futuro migliorare.

Vincenzo Taormina era Zurga: presenza notevole ed efficace, voce potente; canto… così e così, con parecchi problemi di intonazione.

Luca Dall’Amico completava il cast come Nourabad: una prestazione davvero anonima, sorry.

Pubblico anche qui scarsino e assottigliatosi ulteriormente dopo i due intervalli. Ma di bocca assai buona, a giudicare dal calore dell’accoglienza finale. Ma forse a Parma se non è Verdi… non val la pena impegnarsi (smile!)
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A proposito di Bizet, allego per l’occasione un saggio di Giorgio Corapi, apparso sul numero di luglio 1988 della rivista Musica&Dossier 

2 commenti:

Amfortas ha detto...

Ciao Daland. Vidi appunto questo allestimento a Trieste, e ricordo che l'allora sovrintendente mi raccontò che intervenne per morigerare, diciamo così, i costumi dei ballerini. Aveva paura che buona parte delle giurassiche spettatrici non reggessero all'emozione.
Ciao :-)

daland ha detto...

@Amfortas,
a proposito, ho invece notato che le ballerine indossavano costumi semitrasparenti dotati di piccoli dischetti scuri in corrispondenza dei capezzoli: quando si dice la cura del dettaglio!
Ciao!