Gaetano D’Espinosa, uno
dei tre Direttori Principali Ospiti, propone per il suo ritorno sul podio de laVerdi un abbinamento assai
interessante: Beethoven
e Bartók.
Del genio di Bonn va in scena il Primo
dei cinque Concerti per pianoforte (di cui sentiremo
l’integrale in questo fine-stagione) interpretato dal 35enne reggino Giuseppe Albanese.
Come anche il secondo (in realtà sappiamo che i primi due concerti furono
numerati… a ritroso) questo fu poco considerato dall’Autore medesimo, che
invece era convinto di far breccia con il suo Terzo: effettivamente fra quest’ultimo e i primi due, pur essendo
tutti abbastanza vicini come data di composizione, c’è quasi un abisso, proprio
il passaggio dal ‘700 all’800.
Però che ‘700! Quello dei migliori Haydn e Mozart, di cui Beethoven aveva
letteralmente divorato la tecnica formale, sulla quale innestava la sua già spiccata
ispirazione. In particolare da Mozart troviamo nell’iniziale Allegro con brio un uso ardito della
forma-sonata, con l’esposizione orchestrale che presenta il maschio tema
principale in DO maggiore che ingloba il secondo in MIb maggiore, poi modulante
a FA e SOL minore, quindi a FA maggiore e MIb, prima di tornare al DO; mentre quella
successiva del solista vede il primo tema assai addolcito e divenuto quasi spiritoso
ed il secondo, canonicamente, esposto in SOL maggiore. Come non sentire poi nel
Largo riflessi e atmosfere del K467…
Albanese ci regala un’interpretazione paradigmatica della natura di questo
concerto: leziosità proprio settecentesche alternate a squarci eroico-romantici,
tipo il FA in ottava che precede la scala discendente in chiusura dello sviluppo, dove la meccanica del pianoforte
deve aver corso qualche serio rischio (smile!)
Beethoven scrisse, una buona decina d’anni dopo il concerto, ben tre (mah
dai, facciamo due e mezza…) cadenze
per il primo movimento: di queste la terza è senza ombra di dubbio la più
impegnativa, anche per la sua lunghezza invero spropositata. Ecco, Albanese non
ha voluto essere da meno dei grandi interpreti di ieri e oggi e ha scelto di
proporci proprio questa, con un piglio a dir poco travolgente!
Accoglienza calorosissima (il pubblico non era proprio da pienone, ma secondo
me era comunque oceanico, stante il… ponte) e non poteva quindi mancare un bis che, tanto per ribadire il concetto,
ci ha mostrato un Albanese scatenato nel Moto
perpetuo dalla Prima sonata di C.M.
von Weber!
Ma Albanese ha sfoggiato anche qualcosa di davvero glamour:
Ohibò! (anche i pedali hanno diritto ad un trattamento
particolare…)
A completamento del programma ecco il Concerto per Orchestra del compositore ungherese. Il quale ebbe
vita assai grama negli USA e scomparve proprio alla fine della guerra (di cui resta
un tragicomico ricordo nell’Intermezzo-interrotto,
col richiamo alla Leningrado di Shostakovich). Un suo compatriota, che invece
dopo i guai della guerra se l’è spassata mica male, diventando addirittura sir, qui rende omaggio al grande Béla proprio
interpretandone questa
che fu una delle sue ultime composizioni, di cui contribuì anche a mettere a
punto l’edizione critica.
Come dice il titolo, qui l’orchestra è trattata non come un reggimento di
soldatini, bensì come un cenacolo di solisti, e tutti hanno la loro brava parte
di evidenza, dalle arpe ai timpani (per citare solo due strumenti spesso
impiegati a far da riempitivo). laVerdi ha ormai questo pezzo nel suo
repertorio, proprio a dimostrazione di come l’orchestra sia formata da notevoli
individualità, che poi suonano meravigliosamente insieme. E così – merito anche del Direttore, ovviamente
- è stato anche ieri sera.
2 commenti:
Mi fa davvero piacere, caro Daland, che anche tu abbia apprezzato Albanese. Un paio di settimane fa a Trieste fu magnifico.
Ciao.
@Amfortas
Forse fin troppo... monstre.
La tecnica è eccezionale, certo con l'esperienza crescerà ancora anche in sensibilità interpretativa.
Ciao!
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