affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

11 luglio, 2008

Wagner l’incompreso

Ecco come un paio di musicisti russi (e mica carneadi!) giudicava Wagner:

Wagner è uomo sprovvisto di qualsiasi talento. Le sue melodie, ammesso poi di trovarne, sono di peggior gusto di quelle di Verdi o Flotow e più acide di quelle di un Mendelssohn. Tutto ciò è poi ricoperto da uno spesso strato di marciume. La sua orchestra è decorativa, ma volgare. I violini squittiscono sulle note più alte e gettano l’ascoltatore nel più estremo nervosismo. Sono uscito senza aspettare la fine del concerto, e ti assicuro che - fossi rimasto di più - io, ma anche mia moglie, avrei avuto un accesso isterico.”
(lettera di César Cui a Rimsky, 1863)

Gli ultimi accordi del Crepuscolo mi hanno dato un senso di liberazione da una prigionia. L’Anello sarà pure una grandissima opera, ma non si è mai dato alcunchè di più tedioso e menato per le lunghe di questa tiritera. L’agglomerato di armonie le più intricate ed artificiose, la mancanza di colore di tutto ciò che viene cantato sulla scena, dialoghi interminabilmente lunghi - tutto ciò affatica i nervi al massimo grado. Ergo, qual’è lo scopo della riforma wagneriana? In passato si supponeva che la musica dovesse deliziare la gente, mentre adesso da essa veniamo tormentati e portati all’esaurimento."
(lettera di Ciajkovski al fratello, 1876)

(questa la fonte)

08 luglio, 2008

Il primo Parsifal e i record di durata

Guardando queste fotografie della prima edizione di Parsifal (quella messa in scena direttamente dall’autore, con l’aiuto dello scenografo e pittore Paul von Joukowsky) viene davvero da sorridere. La sala del Graal raffigurata come una chiesa barocca (non sembrerebbe però il Duomo di Siena, che si dice fosse alla base dell’ispirazione wagneriana); il castello di Klingsor, che più che ricordare Ravello, sembra la residenza del dottor Coppelius; i costumi e le pose degli interpreti, tutto ciò la dice lunga su quanto puerili fossero quegli allestimenti - anche per l’epoca, verosimilmente - e su quanto ancor più assurdo sarebbe riproporli oggi tali e quali. Il che non giustifica peraltro le regie velleitarie, scriteriate e altrettanto assurde che da 40-50 anni ad oggi ci vengono regolarmente propinate a Bayreuth come altrove (essendo forse il MET l’unica eccezione).

Quanto dura Parsifal? O quanto dovrebbe durare? La prima del 1882 pare abbia di poco superato le 4 ore (ovviamente al netto degli intervalli... che a Bayreuth sono lunghissimi). Il record di lentezza spetterebbe al nostro Arturo Toscanini, che nel 1931 la menò per 4 ore e 48’... Il più rapido Pierre Boulez, che nel 1970 divorò il mostro in sole 3 ore e 38’. Un’altra lumaca è stato Levine (4 ore e 38’ nel 1985) mentre Kegel nel '75 andò vicino a Boulez con 3 ore e 40’. Chi sta meglio di altri sui tempi originali è Thielemann, che nel 2006 supera di poco le 4 ore. Altri direttori (Knappertsbusch, Barenboim, Karajan) stanno mediamente sulle 4 ore e un quarto...

Daniele Gatti a gennaio, a Santa Cecilia e senza scena, ha avvicinato Toscanini, presentando perciò una lettura lenta del capolavoro wagneriano: sarà interessante vedere se nella tana del lupo confermerà questo approccio, oppure deciderà di accelerare i tempi, magari in relazione alle esigenze sceniche e registiche di Stefan Herheim.

01 luglio, 2008

Il nono Parsifal

Quello che Daniele Gatti dirigerà (da quest’anno e per alcuni anni) è il nono Parsifal prodotto a Bayreuth.

La numerazione caratterizza non certo le esecuzioni (490 ad oggi), nè le interpretazioni musicali (sono ben 25 i Kapellmeister che si sono cimentati con Parsifal a Bayreuth prima di Daniele, da Hermann Levi nel 1882 ad Adam Fischer lo scorso anno) bensì le cosiddette Inszenierungen, cioè le messe-in-scena del sacro dramma. Ciò dimostra l’importanza che in particolare a Bayreuth si attribuisce alla terza componente (dopo musica e poemi) del Gesamkunstwerk wagneriano.

Il primo regista in assoluto di Bayreuth (per le inaugurazioni del Ring nel 1876 e di Parsifal nel 1882) fu Richard Wagner in persona. In pratica, fino alla seconda guerra mondiale, le linee guida degli allestimenti di Richard furono rispettate quasi alla lettera dai suoi successori alla testa del festival: Cosima, poi Siegfried e infine Winifred. In particolare, per Parsifal, l’originale wagneriano venne rigorosamente mantenuto fino al 1933 (27 stagioni) e poi abbastanza poco variato da Tietjen (due volte, dal 1934 al 1939). Si dovrà aspettare il 1951 per vedere una nuova (e rivoluzionaria) regia, quella di Wieland, il nipote di Richard (fratello dell’ottantanovenne pensionando Wolfgang, che il 31 agosto prossimo lascerà - alla buonora, e probabilmente alla figlioletta Kathi - la direzione del festival).

Questa è la lista degli otto precedenti allestimenti:

1882-1933 Richard Wagner (27 stagioni)
1934-1936 Hans Tietjen (2 stagioni)
1937-1939 Hans Tietjen (3 stagioni)
1951-1973 Wieland Wagner (23 stagioni)
1975-1981 Wolfgang Wagner (7 stagioni)
1982-1988 Götz Friedrich (6 stagioni)
1989-2001 Wolfgang Wagner (13 stagioni)
2004-2007 Christoph Schlingensief (4 stagioni)

Sui problemi - oltre che sui misfatti - legati agli allestimenti dei drammi wagneriani, e in particolare di Parsifal, si è scritto di tutto e poco c’è da aggiungere, salvo una forse banale osservazione: qualunque regia, tradizionale o moderna, o post-moderna, dovrebbe sforzarsi di restituire allo spettatore ciò che l’Autore aveva in mente di trasmettere, a tale fine avendo scritto di suo pugno i poemi, le note sui righi, e le indicazioni di scena a margine. Per usare un classico termine teutonico, riprodurre al meglio il Konzept che sta alla base del dramma. Ma il Konzept di Wagner, Wagner Richard per l’esattezza... non quello di Wagner Wolfgang, tanto per esemplificare, nè tanto meno quello di Götz Friedrich o di Christoph Schlingensief o - oggi - di Stefan Herheim. Poichè allorquando il regista si limita a prendere spunto dall’originale, per poi presentarci un Konzept suo proprio, adattandovici la musica di Wagner, è matematico che il valore dell’insieme non potrà che abbassarsi. Non per nulla i drammi wagneriani sono universalmente riconosciuti come opere d’arte assolute, che nessun intervento potrà mai “abbellire” o “migliorare”. Parliamo qui di Konzept, si badi bene, non di scene e costumi, che Richard Wagner per primo faticò a trovare adeguati alle sue stesse idee. Pensare che la rappresentazione di un tipo sia artisticamente migliore di quella dell’archétipo di cui quel tipo è solo una necessariamente parziale manifestazione, è la più grande stupidaggine che si possa fare, oltre che un’offesa all’opera d’arte, al suo autore e, in definitiva, al pubblico.

Wagner ebbe a dire che, dopo aver fatto scomparire l’orchestra (sotto il palcoscenico) avrebbe voluto far scomparire anche il palcoscenico medesimo, tanto avvertiva l’inadeguatezza di qualunque scena e costume rispetto al Konzept che anima i suoi drammi. E forse il miglior interprete della sua volontà fu proprio il nipotino Wieland, con i suoi allestimenti minimalisti dei primi anni ’50, che davano il minimo spazio agli aspetti esteriori, per consentire allo spettatore di concentrarsi totalmente ed esclusivamente sui contenuti più pregnanti - parole, musica e psicologia dei personaggi - dei drammi del nonno.

20 giugno, 2008

Beethoven l’incompreso

Sappiamo che Eduard Hanslick non fu tanto tenero con Beethoven, a proposito della IX Sinfonia. Il critico praghese trapiantato a Vienna, campione della classicità e dell’estetica musicale (si legga il suo Vom Musikalisch-Schönen, traduzione italiana Mariangela Donà, Il Bello Musicale, Giunti Martello - Firenze 1978) era però almeno coerente con alcuni onesti principi formali: per lui Beethoven aveva “sbagliato” a inquinare la forma sinfonica con l’indebita introduzione di una parte per soli e coro, caratteristica degli oratori e delle cantate.

Ecco invece come giudicò Beethoven e la sua ultima sinfonia Ludwig Spohr (*):

Confesso francamente di non aver mai trovato piacere negli ultimi lavori di questo compositore. Sì, e devo includere fra questi anche la sua tanto ammirata ultima sinfonia, il quarto movimento della quale a me pare così brutto, di così cattivo gusto e così scadente, che non riesco nemmeno a capire come quel compositore lo abbia potuto scrivere. Ci trovo un’ulteriore conferma di quanto ebbi già a notare a Vienna, che cioè quel compositore era carente di simbolismo estetico e mancava di senso del bello.

(*) riportato qui da A.C.Douglas

Interessante notare come Spohr fosse tutto tranne che un reazionario, anzi come compositore fece molto per innovare e simpatizzò apertamente con le opere di Wagner.
.

17 giugno, 2008

Aspettando Parsifal 2008 a Bayreuth: Stefan Herheim dà il calcio d’inizio

Lunedi 16 giugno ha visto il kick-off di Parsifal 2008. Dopo il benvenuto di Kathi Wagner - che evidentemente si sente già Festspielleiterin - Stefan Herheim ed Heike Scheele hanno cominciato a far prendere dimestichezza agli interpreti con regia e scene del dramma sacro.

L’ambientazione è - almeno all’inizio - proprio a Bayreuth (Wahnfried e Festspielhaus). Cioè - dice Herheim - nei luoghi e nei tempi in cui l’opera ultima di Wagner fu concepita. Il che quadra con quanto anticipato da Daniele Gatti, che aveva parlato di un orizzonte temporale che dal 1882 arriva ai tempi del Terzo Reich. (a proposito del direttore, non risulta che fosse presente a questo primo incontro, cosa che ciascuno potrà interpretare a suo modo)

Pare quindi che il Konzept di Herheim - come è sempre il caso suo e dei post-moderni campioni del teatro-di-regia - consista nel presentarci il significato dell’opera (anzi, un significato, quello che lui interpreta con la sua fervida immaginazione) e non già il significante, che è ciò che l’Autore ha scritto di suo pugno (musica, poema e indicazioni di scena). La trasposizione di tempi e persone del dramma nel tempo e nelle persone di quando il dramma fu composto non è una novità in generale, e non lo è per lo stesso Herheim: un paio di anni fa il regista norvegese ha presentato a Riga un Rheingold in cui - come dèi - apparivano Mozart, Nietzsche e Bismarck, dove Wotan e Alberich erano Wagner medesimo e Walhall ed Anello erano per l’appunto i “tesori” di Bayreuth.

Parsifal, un “racconto redenzion-maniacale” lo definisce letteralmente il regista; stando alle indicazioni di Gatti, dobbiamo quindi immaginare che il nazismo ci verrà presentato come il risultato finale di quella maniacale tendenza verso la redenzione (della razza ariana) che Wagner, secondo molti, oggettivamente determinò con la sua opera?

(continua)

10 giugno, 2008

Aspettando Parsifal 2008 a Bayreuth: Stefan Herheim

Chissà se Ioan Holender, Direttore della Staatsoper di Vienna, alludeva a Stefan Herheim, allorquando ha affermato che Bayreuth, per risollevare il suo declinante livello artistico, dovrebbe affidare le messeinscena a dei registi professionisti e non a sperimentatori che possono al più interessare qualche giornalista specializzato...

Il regista norvegese ha già fatto scandalo più volte, specialmente con un Ratto presentato anni fa a Salzburg, che ha anticipato le scempiaggini di quello di Calixto Bieito.

L’anno scorso ad Essen ha ambientato il Don Giovanni in una Chiesa, con gente che amoreggia nei confessionali, dopo la comunione (e fermiamoci pure qui con i piccanti particolari...)

Intendiamoci: il nostro è di un’intelligenza sopraffina, e soprattutto di una fantasia davvero fuori dal comune, un vero vulcano di idee, una più brillante dell’altra.
Dice infatti: “Il potere della musica e l’aura che emana da un’opera evoca in me immagini ed idee che poi io rafforzo attingendo ad un sacco di letteratura”.

In sostanza, il genio procede pressappoco su questo iter:

1. ascolto della musica, in cerca di cesure (sic) da cui trarre ispirazione, e ingestione di un bel po’ di letteratura, tanto per farsi un’idea del soggetto dell’Opera;
2. trasposizione - arbitraria e fantastica - del soggetto in chiave moderna, o futuribile, o con riferimenti all’attualità, o a filosofie e ideologie le più svariate, derivandone una personale concezione (Konzept), in sostanza un proprio messaggio da trasmettere allo spettatore (messaggio che quasi mai ha a che fare con il soggetto originale dell’Opera);
3. invenzione di sana pianta di un’ambientazione (addirittura dei dialoghi, nel caso del Ratto!) coerente con il soggetto così trasposto (non con quello originale) e possibilmente infarcita di sesso e violenza, ingredienti che oggigiorno pagano regolarmente.

Un aspetto peculiare dell’approccio di Herheim (e dei suoi amici che fanno fortuna con il Regietheater) è quello di porsi come maieuta dell’umanità. Proprio così: il regista, inscenando l’Opera (non sua, si badi bene, ma di altri e più famosi autori) deve insegnarci qualcosa. Perchè lui è il maestro e noi siamo il popolo bue cui il maestro si degna di aprire gli occhi. Riguardo al suo Ratto, con quest’opera lui ci vuole mostrare che “...la vita è un labirinto sensuale ed emotivo” (e quale mezzo migliore di un atto di fellatio può efficacemente spiegarci tale concetto?)

Ed ancora (sui confini e i limiti della libertà del regista) il nostro così pontifica:

Il confine per me sta dove non posso più vincere l’intima resistenza di un pezzo, per teatralizzarlo come forma educativa e con ciò suscitare nell’Uomo di oggi una reazione che vada al di là del puro divertimento, ma che abbia a che fare con domande etiche e filosofiche, e anche con problemi riguardanti la coscienza, il coraggio civile e la responsabilità storica. Si deve cogliere la possibilità di portare nel mondo qualcosa, non necessariamente di politico, che poi si agiti nella testa dello spettatore.”

Sono quasi le stesse parole che usa il suo antesignano yankee Peter Sellars:
“Ogni mio spettacolo nasce come riflessione su una problematica particolare, o come scoperta di certe implicazioni di cui non si discute abbastanza. L’estetica non mi interessa ci sono prima delle questioni etiche, politiche, economiche; ogni mio lavoro tocca temi che rimettono profondamente in discussione. È questo che dà senso al teatro, perché il teatro è il luogo per affrontare le discussioni che la gente rifiuta nella realtà.”

Chiaro abbastanza, no? Qui è racchiusa tutta la verità sul fenomeno che va sotto il nome di Regietheater, una serie di equivoci e di mistificazioni, che nascono fondamentalmente da tre fattori: la totale mancanza di rispetto per ciò di cui ci si occupa, l’idea che l’opera d’arte altro non sia se non uno strumento da usarsi (e manipolarsi) a “fini educativi”, il tutto condito da un esaltato egocentrismo (io, regista, sono l’unico furbo, capace di spiegare le recondite implicazioni dell’opera ad una massa di sprovveduti... voi, che per questo pagherete il biglietto).

Ora, se si pensa a Parsifal, c’è da rabbrividire solo ad immaginare tutte le possibili idiozie che se ne possono derivare, con un minimo, ma proprio minimo, di fantasia. E Stefan Herheim di fantasia ne ha fin troppa! Così pare abbia cominciato col pensare al conflitto di civiltà Islam-Occidente, che può da solo ispirare mille geniali trovate (che ne dite di Parsifal-Bush che spiana Klingsor-Osama con una lancia a testata nucleare?)

Altri invece ci informano che il 25 luglio sul palco del Festspielhaus compariranno - a spiegarci cosa sia il Gral e a cosa servano i suoi cavalieri - personaggi che negli anni ‘40 sedevano sulle scomode poltrone della degradante platea, impettiti nelle loro brune uniformi. Indirettamente ce lo conferma Daniele Gatti: «Posso anticipare che l'idea è di un viaggio attraverso il mito tedesco, dal tempo della «prima» del Parsifal nel 1882, poi la prima Guerra mondiale, Weimar, l'avvento del nazismo. Un percorso di 50 anni».

Quindi, dobbiamo aspettarci un Gurnemanz che nel terzo atto compare nelle vesti di Heinrich Himmler? E Parsifal che - in pieno Karfreitag - impersonifica il Führer (magari sulla scia delle caricature anni ’20 che raffiguravano Hitler bardato da Siegfried)? Se fosse così, il Konzept di Herheim piacerebbe molto a Gottfried Wagner, che da quando fu cacciato da Wahnfried non fa che sostenere la responsabilità oggettiva del bisnonno nei crimini del nazismo, olocausto incluso.

Insomma, aspettiamo senza ansia questa probabile ennesima parodia nach Wagner (qualcuno sostiene che sarà comunque dura far meglio di Schlingensief).

Per il resto, raccomandiamoci al Daniele... che faccia almeno il bravo lui con la musica!

(continua)

15 maggio, 2008

Un compleanno a metà



















Giorno lieto e triste allo stesso tempo.

Poichè quel 15 maggio 1948 avrebbe dovuto - e potuto - nascere anche un altro fiore.

Nessuno meglio di Daniel Barenboim esprime questo sentimento:

“Sono convinto che i destini del popolo palestinese e di quello israeliano siano legati in modo inestricabile. Siamo benedetti o condannati a vivere insieme. Io preferisco essere benedetto.”

06 maggio, 2008

Muti a Chicago

La notizia ha colto tutti di sorpresa. Poichè, dopo la cacciata da LaScala e a 66 anni suonati, Muti sembrava deciso a seguire le orme di Barenboim (appena più giovane di lui): evitare incarichi che comportino attività di tipo organizzativo-amministrativo-pubblicitario per dedicarsi esclusivamente a fare musica, seguendo solo le proprie attitudini estetiche e i propri gusti e preferenze.

Invece, ecco che il Riccardo accetta di rimpiazzare - a Chicago, per 5 anni a partire dal 2010 - proprio quel Daniel che da lì aveva mosso il primo passo verso la libertà...

”Per l’ultima volta in vita mia”, si è affrettato a precisare Muti, che nel 2015 avrà 74 anni, e nel 2010, all’inizio del mandato, ne avrà 69, il più anziano direttore a prendere quell’incarico alla CSO (Fritz Reiner, a suo tempo, ne aveva 64 e Georg Solti 57...)

”Ho trovato una situazione che ha reso più dolce il mio cuore inaridito”.

Muti precisa anche che continuerà a risiedere a Ravenna, salvo passare a Chicago 3 mesi all’anno (il contratto prevede 10 concerti a stagione in loco, più tournée in US e all’estero). “Non è la quantità, ma la qualità che conta” ha aggiunto. Del resto al Maestro non mancano i mezzi per dimorare dove più gli aggrada, a seconda degli impegni (in questi giorni è nella sua villa di Anif, il paesino dov’è sepolto Karajan, a preparare per Salzburg il paisielliano Matrimonio inaspettato, proprio come il suo con la CSO!).

Fin qui la cronaca dei fatti. Passiamo ai commenti di provenienza yankee.

La stampa dell’establishment ha preso la cosa nel modo più positivo, ai limiti del trionfalismo. Gli aggettivi, i peana e gli evviva si sprecano:

- carismatico, esperto e dotato di gran talento,
- una delle poche eminenze del podio rimaste,
- uno degli ultimi leoni del fascino del podio,
- uno dei grandi direttori orchestrali ed operistici del mondo,
- poche persone sul pianeta sono dei giganti nel mondo della direzione, e lui è fra questi,
- ha un vasto repertorio, è assai stimato dagli orchestrali per la sua integrità musicale fuori dal comune, il suo orecchio impeccabile, la sua intelligenza indagatrice e l’intensa convinzione sul podio,
- darà lustro al profilo culturale della città,
- la sua presenza darà molto non solo all’orchestra, ma alla città di Chicago,
- acquisirlo è un tremendo successo per Chicago,
- averlo qui apporterà incalcolabili benefici all’esperienza musicale di tutti,
- è stata una gran cosa poter attirare qui un leader del suo calibro,
- una scelta che è andata al di là delle nostre speranze,
- la miglior polizza di assicurazione contro futuri disastri finanziari della CSO,
- un artista dalla coscienza civile e morale,
- una figura impetuosa con fluenti riccioli corvini, ma che impone un approccio rigoroso alla partitura,
- un italiano carismatico che può cavar fuori il meglio dai musicisti,
- lui infonde insieme entusiasmo e sostanza,
- un leader che è all’altezza della statura dell’orchestra,
- ci siamo letteralmente innamorati di lui come persona,
- è davvero un privilegio poter dire: lavorerò con quest’uomo...


Passiamo ora a qualche blogger di rilievo internazionale:

A.C.Douglas, dopo aver tratto un sospiro di sollievo per la sua Philadelphia Orchestra, che a suo avviso ha scampato un bel pericolo, ricorda come Muti - nei 12 anni in cui ne fu alla testa, fra il 1980 e il 1992 - abbia in pratica distrutto il suono caratteristico (la firma) di quell’orchestra, trasformandola in una ipertrofica banda da opera italiana. E aggiunge che Muti manca totalmente dell’affinità con tutta la musica da concerto austro-tedesca del 1800 - primi del 1900, da Beethoven in poi. Il suo ciclo beethoveniano con la PO è privo di carattere, noioso da sbadigliare; i suoi Brahms, Mahler, Schubert e Schumann sono insipidi...

Bryant Manning è lapidario: dopo averlo visto alla prova il settembre scorso nella Terza di Prokofiev, giura che Muti camperà fino ai 100 anni!

Il britannico Pliable si limita ad un ricordo prosaico: a Philadelphia nel 1980 per fare delle incisioni (lavorava per la EMI), una sera cercò invano di trovare un taxi per Muti. Il quale commentò: “La Deutsche Grammophon mi avrebbe messo a disposizione una limousine”. Sul piano artistico, un commento criptico: “...delle interpretazioni di Muti mi colpisce massimamente la circonferenza, poco il cerchio...” (?)

In Italia?

Davvero simpatico il titolo di BLOGregular (Riccardo Bears) che richiama la famosa squadra di football della futura patria di Muti. (però bears può anche significare sopporta...)

Alessandro Romanelli (L’Orecchio di Dioniso) fa gli auguri a Muti, non senza ricordare (un poco campanilisticamente) che il Riccardo è passato anche da Molfetta.

La milanese d’america Opera Chic si limita all’annuncio con tono da breaking news: nei commenti si va dall’entusiasmo alla messa in guardia di Muti dall’idra CSO...

29 aprile, 2008

Bayreuth: qualcosa si muove (?)

Oggi si è riunito lo Stiftungsrat, il Consiglio di Amministrazione del Festival wagneriano.

Ha preso atto del contenuto di una lettera del direttore-a-vita Wolfgang Wagner (88 anni) che si dice pronto a lasciare entro il 31 agosto 2008 (alla chiusura del Festival di quest’anno).

Nella lettera non si fa menzione di condizioni di sorta, ma non occorre essere troppo intelligenti per capire che la condizione c’è, e perfettamente chiara: che al posto del vecchio marpione siano nominate le sue due figlie: Kathi, la prediletta (30enne, figlia della seconda moglie Gudrun, recentemente scomparsa) ed Eva, figlia di primo letto (63enne, oggi direttore musicale del festival di Aix).

Non è detto che Nike, nipote di Wolfgang (figlia del di lui fratello Wieland, morto nel 1966) se ne stia zitta e buona come nulla fosse. È anche lei una concorrente al posto, ed ha già presentato una sua vision sul futuro del Festival.

Persino Gottfried, figlio di Wolfgang e da tempo bandito da Bayreuth (si è stabilito qui in Italia) non è detto che non voglia dire la sua, magari solo per rompere un po’ le palle e togliersi qualche sassolino dalle scarpe...

Bayreuth dal lontano 1973 non è più proprietà della famiglia Wagner; vive grazie a ingenti contributi pubblici e al mecenatismo di aziende e privati. Che alla guida ci debba per forza essere un (o una) Wagner comincia a non andar giù a molta gente.

La prossima riunione del Consiglio è prevista per il 1° Settembre: prima di allora non c’è dubbio che la saga vivrà nuove puntate.

____________________

Breve storia del Festival

Il festival ha 132 anni, essendo stato inaugurato da Wagner nel 1876, con la prima edizione completa del Ring.

Dopo 6 anni di “riposo”, il Festival riprese nel 1882 con Parsifal.

Morto Wagner (Venezia, 1883) la direzione passò alla moglie Cosima Liszt, che lo diresse in prima persona dal 1886 fino al 1908 (13 stagioni) e poi per interposto Siegfried (figlio suo e di Richard) fino al 1930 (10 stagioni).

Morto Siegfried, la di lui moglie Winifred (intimissima di Hitler) prese il comando e diresse il Festival fino al 1944 (12 stagioni).

Dopo la guerra e la denazificazione la direzione fu affidata ai due fratelli Wieland e Wolfgang (1951-1966).

Scomparso a soli 49 anni Wieland, la direzione passò a Wolfgang, che dal 1967 è da solo alla testa del Festival.

Nel 1973 viene costituita la Fondazione Richard Wagner, cha acquisisce la proprietà materiale del Teatro e annesse residenze, mantenendo nel proprio statuto l’obiettivo di operare per la diffusione delle opere di Wagner.

Nel 1987 Wolfgang ottiene un contratto a vita per la direzione del Festival.

Dal 1999 inizia l’interminabile - e tuttora aperto - capitolo della successione al vecchio Wolfgang: tutte le donne della famiglia (figlie, nipoti, mogli) si candidano. Nel 2001 lo Stiftungsrat decide per Eva, figlia maggiore di Wolfgang (che nel frattempo aveva sposato la seconda moglie Gudrun e da lei avuto Kathi). Wolfgang rifiuta tassativamente di farsi da parte.

Nel 2007 la piccola Kathi fa il suo esordio a Bayreuth come regista dei Meistersinger. È chiaro a tutti che Wolfgang e Gudrun intendono portarla alla guida del Festival. A novembre 2007 Gudrun muore, lasciando Wolfgang in brache di tela. Per scongiurare guai peggiori, il vecchio decide di riprendere a bordo Eva e propone la coppia Kathi-Eva alla sua successione. Il resto è cronaca di oggi.

24 aprile, 2008

OGM: un male? Anche se c’è di mezzo Bach? O Mozart?

Il miso non è molto di casa da noi, mentre in oriente è come la maionese dalle nostre parti.

Ingegnosi giapponesini hanno coinvolto Johann Sebastian in un’operazione temeraria: ottenere un miso speciale (si vende a peso d’oro) grazie alla musica del grande genio.

Similmente han fatto altri occhio-mandorlati per la birra, fermentata in presenza di Mozart.

Si sapeva da tempo che le vacche migliorano la produttività se esposte a Beethoven (mentre Cage rende infertili anche i conigli...) ma queste recenti scoperte del sollevante promettono mirabilie: pare che i soliti cinesini stiano sperimentando il wagneriano tema del Tarnhelm per trasformare in Ferrari - da esportare come originali sui nostri mercati - tutte le vecchie Trabant che i fratelli comunisti della DDR gli avevano rifilato dopo la caduta del muro.