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03 dicembre, 2019

La Tosca presa alla... lontana (6)


La perseveranza (ma mi verrebbe da dire: la pervicacia) con la quale il Maestro Chailly si ostina a riproporre (financo nei SantAmbrogio) versioni di opere (pucciniane, in particolare) che l’Autore aveva successivamente emendato, modificato, corretto e rivisto in modo da presentare al pubblico ciò che considerava il meglio del suo prodotto, è davvero degna di miglior causa. Non solo, rischia di provocare il classico effetto-boomerang, per evidenti ragioni.

Sarà una Tosca mai più riascoltata dal 14 gennaio 1900! 

Dico: fatti 100 gli spettatori di questa produzione, quanti saranno in grado di apprezzare la differenza fra il TeDeum definitivo (che si esegue normalmente, con accompagnamento di ottoni) e quello della prima di Roma (che è in parte a cappella)? O di accorgersi del diverso epilogo del Vissi d’arte? O di qualche battuta orchestrale, poi rimossa da Puccini, dopo l’accoltellamento di Scarpia? O dell’enfatica reiterazione del tema di E lucevan le stelle nelle ultime battute dell’opera? Escludendo musicologi super-cazzuti, praticamente nessuno! E allora, che senso ha sbandierare come un fatto storico qualcosa che riguarda un pugno di addetti-ai-lavori, mentre sfugge bellamente ai più?

E poi, comunque: anche quei pochi che hanno con l’Opera un minimo di dimestichezza, che ci vanno a fare a teatro? Per gustarne tutti i tesori, nella stesura che l’Autore ha faticosamente continuato a migliorare, o per farsi una cultura scolastica su qualche decina di battute che l’Autore per primo aveva rimosso o sostituito, poi riportate alla luce da qualche topo di biblioteca? 

Oh, sia chiaro: io non intendo con ciò irridere o sminuire il prezioso lavoro degli editori critici di partiture e libretti, tutt’altro. Le loro ricerche sono assolutamente lodevoli e hanno consentito e consentono a chi deve oggi allestire uno spettacolo di poterlo fare disponendo di tutto il materiale originato dall’Autore e poi arricchito dalla tradizione esecutiva. Ma un conto è presentare il Boris originale di Musorgski e non quello spurio di Rimski, o le Sinfonie di Schumann depurate dalle incrostazioni mahleriane; o mettere in scena opere di Rossini liberate da cachinni apocrifi... Altro è presentare al pubblico un’Opera in una forma che l’Autore in persona aveva ritenuto poi di migliorare, con successivi interventi, evidentemente fatti a ragion veduta.

E poi, a proposito di revisioni e ripensamenti, si deve sempre distinguere fra interventi che hanno un carattere strutturale da altri che invece toccano solo qualche particolare più o meno importante. Di Verdi abbiamo due Macbeth e due Boccanegra, che si presentano come oggetti separati, così come lo sono i due Boris di Musorgski. Lo stesso dicasi per versioni di un’opera realizzate per pubblici diversi (ancora Verdi, con i Vespri e il Don Carlo portati in Italia). In questi casi è perfettamente legittimo mettere in scena una delle due versioni (e non, come purtroppo si fa spesso, un minestrone delle due...) Ma il caso di Tosca è totalmente diverso: qui non siamo di fronte a radicali ripensamenti sulla struttura dell’Opera, ma a (reiterati) interventi migliorativi su un unico impianto di base.

Insomma, so di ripetermi, ma queste mi paiono operazioni pseudo-culturali, che non spostano un solo spettatore in più dai reality o dalle partite di calcio verso il teatro musicale, ed anzi - apparendo come operazioni super-elitarie, dai contenuti astrusi ed incomprensibili ai più - rischiano di disincentivare anche quei pochi che vorrebbero avvicinarglisi.

Invece, se l’obiettivo è di accontentare la curiosità (legittima e doverosa, ci mancherebbe...) degli addetti-ai-lavori, professionisti o dilettanti che siano (e mi metto anch’io fra questi ultimi) ebbene, sono oggi disponibili tutti gli strumenti idonei per raggiungerlo senza dover scomodare SantAmbrogio!

Che operazioni del genere siano state messe in atto in passato anche da altri (senza andar troppo indietro, mi viene in mente il Don Carlo di Gatti del 2008 con la scoperta del Lacrymosa...  o il Fidelio di Barenboim del 2014 con la Leonore-2 come sinfonia...) non giustifica in alcun modo Chailly per queste sue scelte che mi sento di definire narcisistiche. Sì, perchè anche lui, come molti altri suoi colleghi, ha evidentemente il vizietto di voler lasciare, dove passa, le sue pisciatine di cane... 

Si può star certi che se lo spettacolo avrà - come tutti ci auguriamo - un grande successo, ciò non sarà dipeso affatto dal carattere di primizia filologica della partitura adottata, ma dalle capacità e qualità di tutti, Direttore in primis, di presentarci al meglio questo splendido capolavoro.

(6. continua)

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