Dopo un paio di passi (Beffe
e Fanciulla) se non proprio falsi certo non entusiasmanti (per me, ovviamente)
la stagione della Scala ha ripreso il buon ritmo iniziale con questa gran bella
proposta del dittico
raveliano, ieri arrivato alla quinta delle otto
recite, per la regìa di Pelly e la direzione
di Minkowski: vengono infatti
appaiate nella stessa serata, come si usa di frequente, le due uniche e brevi
opere del musicista francese. Qui vengono eseguite nella sequenza di
composizione (prima L’Heure del 1907,
rappresentata nel 1911, e poi L’Enfant,
iniziata nel 1919 e rappresentata nel 1925) il che permette anche di toccare
con... orecchio l’evoluzione stilistica del compositore nel periodo centrale
(dai 30 ai 50 anni) della sua attività artistica.
Curiosamente e assai
modestamente Ravel non chiamava opere
queste sue composizioni: L’Heure è
sottotitolata Comédie musicale en un act
e L’Enfant reca la dicitura Fantaisie lyrique en deux parties.
Con L’Heure espagnole Ravel
si ripromette nientemeno che di colmare una grave lacuna in tutta la produzione
musicale francese: l’opera buffa.
Secondo lui (lo disse in un colloquio con René
Bizet alla vigilia della prima
del 1911 all’Opéra Comique) Offenbach
aveva fatto in realtà una parodia dell’opera, ma la sua musica, per quanto
gradevole, non faceva ridere. Invece
Ravel sosteneva di aver cercato accordi volutamente balordi, ridicoli, spassosi,
proprio una musica strampalata ed umoristica.
Spagna trasgressiva e
orologi: ecco in sintesi tutto il DNA di Ravel - madre iberica e padre di
ascendenza rossocrociata - emergere prepotentemente in questo bizzarro lavoro. Il
soggetto – tratto da una pièce teatrale di Franc-Nohain (nickname di Maurice-Etienne Legrand) è tipicamente da
farsa, essendo basato su un
succedersi di situazioni improbabili di sapore boccaccesco, su continui
sottintesi e malintesi e sul ribaltamento dei ruoli di tre dei cinque
personaggi (i visitatori del negozio di Torquemada e Concepcion). Ecco, già i
nomi dei due coniugi che mandano avanti il laboratorio di orologeria (ma anche
di meccanismi da automa, stile dottor
Coppelius) è tutto un programma: lui, Torquemada,
nome terribile di inquisitore e fustigatore di costumi, è in realtà un gran cornuto! Sì, perchè la moglie Concepcion (hai presente l’immacolata? ecco, ci siamo capiti...) lo
tradisce ogni santo (!) giovedi con un nuovo spasimante.
I 50 minuti scarsi volano
via in un susseguirsi di 21 scenette (2 minuti e mezzo l’una, in media!) dove i
5 personaggi vanno e vengono con la rapidità del... suono. La tabella
sottostante dà un’idea del tourbillon
cui assistiamo (il simbolo []
accanto al personaggio indica che sta chiuso nella pendola, l’italico sul nome significa che non
canta-parla):
scena
|
entrano
|
escono
|
in scena
|
1
|
Torquemada, Ramiro
|
|
Torquemada, Ramiro
|
2
|
Concepcion
|
|
Torquemada, Ramiro, Concepcion
|
3
|
|
Torquemada
|
Ramiro, Concepcion
|
4
|
Gonzalve
|
Ramiro
|
Concepcion, Gonzalve
|
5
|
Ramiro
|
|
Concepcion, Gonzalve, Ramiro
|
6
|
|
Ramiro
|
Concepcion, Gonzalve[]
|
7
|
Inigo
|
|
Inigo, Concepcion, Gonzalve[]
|
8
|
Ramiro
|
|
Inigo, Concepcion, Gonzalve[], Ramiro
|
9
|
|
Concepcion, Gonzalve[], Ramiro
|
Inigo[]
|
10
|
Ramiro
|
|
Ramiro, Inigo[]
|
11
|
Concepcion
|
|
Ramiro, Inigo[], Concepcion
|
12
|
|
Ramiro
|
Inigo[], Concepcion
|
13
|
Ramiro, Gonzalve[]
|
|
Inigo[], Concepcion, Ramiro, Gonzalve[]
|
14
|
|
Ramiro, Inigo[]
|
Concepcion, Gonzalve[]
|
15
|
|
Concepcion
|
Gonzalve[]
|
16
|
Ramiro, Concepcion
|
|
Gonzalve[], Ramiro, Concepcion
|
17
|
|
Ramiro
|
Concepcion, Gonzalve[]
|
18
|
Ramiro, Inigo[]
|
|
Concepcion, Gonzalve[],
Ramiro, Inigo[]
|
19
|
|
Concepcion, Ramiro
|
Inigo[], Gonzalve[]
|
20
|
Torquemada
|
|
Torquemada, Gonzalve, Inigo
|
21
|
Concepcion, Ramiro
|
|
quintetto
|
La trama si può riassumere
come una serie di infruttuosi tentativi di Concepcion di amoreggiare con
Gonzalve: nella scena 4 (in... scena); nella 10 (fuori scena, in camera); nella
14 (in scena) e nella 17 (in scena, con la rinuncia definitiva). Alla fine
amoreggerà con Ramiro, nella scena 19, fuori scena (in camera).
Una farsa, si diceva: i due
spasimanti di Concepcion arrivano come... fornitori
(di piacere peccaminoso) dell’insaziabile ninfomane e alla fine se ne vanno
come clienti di Torquemada, che gli
rifila le due capaci pendole dove avevano trovato rifugio. In compenso, il rude
mulattiere Ramiro entra come cliente
di Torquemada - per far riparare un orologio da taschino che lo zio torero
indossava alla corrida (apperò!) e dal quale, in funzione di scudo
anti-cornate, aveva avuta salva la vita – e se ne va come fornitore (sempre di carnali piaceri) della bella Concepcion.
In omaggio al teatro che la
doveva ospitare (l’Opéra Comique)
Ravel struttura la sua operetta quasi fosse un Singspiel: dove mancano del tutto numeri chiusi (poichè finirebbero per interrompere l’incessante
flusso dell’azione) e dove ci sono molti parlati,
sia pure sempre con accompagnamento musicale (qui il Debussy del Pelléas ha
fatto scuola, evidentemente). Ecco cosa scrive espressamente Ravel in calce
alla partitura:
Salvo il Quintetto finale,
e, in maggior parte, il ruolo di Gonzalve, che è lirico e con affettazione, dire piuttosto che cantare (finali di frasi brevi,
portamento di voce, ecc.) Si tratta, per quasi tutto il tempo, del quasi-parlando del recitativo buffo
italiano.
|
Quanto alla strumentazione, è da grande orchestra, compreso
un sarrusofono contrabbasso (specie
di controfagotto a doppia ancia) e con corposa batteria di percussioni, fra le
quali spiccano anche tre bilancieri
da pendola, che si fanno sentire da subito, nell’Introduzione, ticchettando con
tre velocità diverse: su un metronomo di 72, il primo batte 40, il secondo 100
e il terzo 232. Si odono anche delle campane di orologi che suonano le ore con
ritmi ancora diversi, il jeux de timbres
(una specie di xilofono pesante) e i carillon di alcune marionette e automi.
Uno di questi suona la tromba (simulata da un corno naturale con suoni armonici);
altri si muovono danzando, accompagnati da celesta, xilofono e arpe; il sarrusofono
(qui suonato soffiando direttamente nell’imboccatura) imita un galletto
meccanico, l’ottavino cinguetta come un uccello delle isole. Ravel trova poi
intelligentemente il momento per far cessare tutta questa polifonia di suoni e
rumori da orologeria: è quando
Ramiro, subito all’inizio della prima scena, informa Torquemada che la sua
cipolla ad ogni momento si ferma, ed ecco che anche i tre bilancieri, uno alla
volta, a partire dal più veloce, si tacciono, dopodichè taceranno per il resto
dell’opera.
Sul piano della rappresentazione dei personaggi, Ravel non
impiega programmaticamente gli ormai classici (da Wagner a Debussy) Leit-Motive: l’opera è ovviamente ricca
di spunti melodici, alcuni di carattee lirico, altri più parodistici, ma i
personaggi si riconoscono più che altro dai ritmi e dai timbri orchestrali che
li accompagnano. Così ad esempio il mulattiere Ramiro si caratterizza per un
ritmo che evoca il passo faticoso delle bestie e dalla presenza di sonagli e
frusta; ritmo che si modifica, appesantendosi, quando il poveraccio deve
prendere in spalla le pendole occupate da... passeggeri. Gonzalve, poeta piuttosto
vanesio e cui fa difetto qualunque concretezza, è quasi sempre accompagnato da
evanescenti e iridescenti arabeschi dell’arpa (la lira del poeta) mentre il suo canto-recitato, con frequenti
stucchevoli vocalizzi, poggia prevalentemente su classici ritmi
spagnoleggianti. Ad Inigo sono effettivamente attribuite alcune cellule
motiviche che ne evocano la personalità piuttosto dissociata fra l’ostentazione
di potere (lui è un ricco e influente banchiere) e la consapevolezza della sua
scarsa attrattività fisica (obesità ed età anagrafica). I due coniugi si
muovono musicalmente sui bizzarri motivi uditi nell’Introduzione, che evocano
la polifonica bottega e i suoi orologi.
___
L’allestimento di Laurent Pelly viene direttamente da Glyndebourne-2012,
ma remotamente da Parigi-2004 (qui quella produzione con Ozawa). Rispetto ad allora poche, anzi pochissime sono le
differenze a livello esteriore.
Di quell’ormai lontano
allestimento porta oggi la testimonianza alla Scala il Torquemada di Jean–Paul Fouchécourt, tenore-buffo (trial, come indicato in partitura, dal
cantante settecentesco Antoine Trial,
specialista in questi ruoli). Più che buona ancor oggi la sua prestazione.
Certo, se un’opera musicale è programmaticamente orientata al dire piuttosto che al cantare, sarà poi difficile giudicare il
canto! Comunque tutti han fatto del loro meglio: metterei al primo posto Vincent Le Texier, un solido Inigo; poi
il Ramiro di Jean-Luc Ballestra e
quindi i due mancati amanti Stèphanie
D’Oustrac e Yann Beuron.
Dato che il protagonista
musicale qui è l’orchestra, diamo atto a Marc
Minkowski di averla guidata con sensibilità nel rendere al meglio l’impressionismo della partitura.
Calorosi applausi per tutti,
da un teatro con i soliti buchi, ma non più del... solito.
___
L’Enfant et les sortilèges nasce
dalla collaborazione fra Ravel e la scrittrice-danzatrice Colette (Sidonie-Gabrielle Colette). Costei,
divorziata da Henry Gauthier-Villars nel 1906 e madre di una figlia avuta nel 1913 da Henry de Jouvenel, aspira a far rappresentare all’Opéra un balletto
per la figlia (Divertissement pur ma
fille) di cui aveva ideato la trama. Riesce quindi a convincere il
Direttore del teatro, che propone l’ingaggio di Ravel – che lei già ben conosce
- per le musiche, così lei si mette al lavoro sul testo (attorno al 1915). Ma
il compositore è partito per il fronte e non potrà prenderne visione prima del
1917, ricavandone peraltro un’impressione non proprio entusiastica: si dice per
la ragione che lui non aveva una figlia, ma probabilmente perchè era ancora
sotto lo choc per la recente perdita della madre. Ma proprio il ruolo che la
madre ha nel soggetto di Colette finisce per spingere Ravel ad accettare e
addirittura a proporre un upgrade di
genere: il balletto diventerà un’opera musicale con il titolo definitivo.
Colette ne è entusiasta e Ravel comincia a pensarci fin dal 1919, ma assai a rilento,
tanto che finirà il lavoro soltanto nel 1924. La sede della rappresentazione
nel frattempo viene trasferita dall’Opéra di Parigi a quella di Montecarlo,
dove la prima – un successo
clamoroso! - avrà luogo sabato 21 marzo 1925, con Victor de Sabata sul podio. La ripresa a Parigi nel 1926 – con
accoglienza peraltro meno calda - sarà ancora (come per L’Heure) all’Opéra comique.
Il soggetto è
sinteticamente inquadrabile come il processo di iniziazione del bambino al rispetto delle regole della società, anzi
della natura, dopo la sua iniziale,
violenta ribellione. Presa di coscienza che inizia già alla costernazione di
fronte alla tazza cinese, da lui mandata in mille pezzi; poi prosegue con
l’arrivo dei pastorelli, il cui mondo lui aveva devastato strappando la tappezzeria;
poi con l’incontro con la Principessa, di cui lui ha distrutto l’esistenza, insieme
al libro che ne ospitava la fiaba. Ma il percorso più duro arriva nel giardino,
con l’incontro con l’albero, da lui ferito con il coltello; poi con la
libellula in cerca dell’amata, da lui inchiodata contro il muro; poi ancora con
il pipistrello, di cui il bambino ha ucciso la compagna, che ora non può più
nutrire i piccoli; e con lo scoiattolo, da lui ferito nella gabbia in cui era
rinchiuso. Alla fine, quando tutti gli animali e gli alberi si accaniscono
sopra di lui per punirlo, ecco l’estremo gesto di umanità: il bambino fascia
con il suo nastro la zampetta ferita di uno scoiattolo, così meritandosi il
perdono e l’amore di tutto il creato. Maman
è l’ultima parola che esala sul calare del sipario, SI-FA#, la quarta giusta che è un po’ la sigla
dell’opera.
A proposito di
note, si diceva più sopra di un’evoluzione dello stile di Ravel rispetto a
L’Heure, e L’Enfant ne è la chiara testimonianza. Si tratta principalmente del
ritorno (non certo regressivo!) alla melodia
e al dominio del canto (un’operetta all’americana la definì lui stesso).
Per carità, non siamo certo alla riedizione dei numeri chiusi del ‘700-‘800, ma poco ci manca... Ravel impiega in
quest’opera una ben rifornita cassetta
degli attrezzi: si va dagli arcaismi del madrigale e del rigodon
fino al moderno rag-time, passando
per minuetto, valzer, marcia e polka, ma senza escludere persino un
paio di arie, un lascivo duetto (di gatti in amore!) e le più virtuosistiche colorature-à-la-Rossini.
Il frontespizio
del libretto reca la dicitura in due
parti, che poi sarebbero: l’interno della casa e il giardino. Ma salvo la corona puntata che chiude la scenetta
dei gatti, in effetti fra le due parti non c’è musicalmente soluzione di
continuità, ed anche il cambio di scena, contemplato in partitura, consiste semplicemente
nel far rimuovere le tre pareti della stanza in modo da trasformare il
palcoscenico nel giardino antistante la casa. Il lavoro è internamente
suddiviso in scene (anche se il termine tecnico non compare mai) secondo una
struttura rappresentata qui sotto, che ne riporta i numeri di riferimento della
partitura e le caratteristiche musicali salienti:
scena/personaggi
|
N°
|
tempo
|
genere/ritmo
|
|
|
|
|
bambino
|
2
|
tranquillo
|
|
mamma
|
3(+4)
|
più animato –
allegro
|
|
bambino
|
7
|
presto -
agitato
|
|
poltrona-divanetto
|
17(-4)
|
lento maestoso
|
minuetto
|
orologio
|
21
|
allegro vivo
|
ostinato
|
teiera-tazza
|
28
|
allegro non
troppo
|
rag-time
|
fuoco
|
39
|
allegro -
moderato
|
aria di
bravura-coloratura
|
pastori-pastorelle
|
50
|
moderato – più
lento
|
ostinato –
pastorale - balletto
|
bambino-principessa
|
62
|
moderato –
lento – animato - andante
|
recitativo (P)
– aria (B)
|
vecchietto-cifre
|
75
|
presto -
prestissimo
|
polka - canone
|
bambino-gatta-gatto
|
95
|
adagio –
andante
|
duetto d’amore
|
|
|
|
|
giardino
|
100
|
andante
|
|
raganelle
|
101
|
andante
|
|
albero-alberi
|
103
|
andante
|
|
libellula
|
105
|
valse lente
|
valzer
|
libellula-sfingi
|
107
|
valse
americaine
|
valzer
|
libellula-usignolo-raganelle
|
109
|
valse
americaine
|
valzer
|
pipistrello
|
113
|
abbastanza
vivo
|
valzer
|
raganelle (danza)
|
117
|
abbastanza
vivo
|
valzer -
balletto
|
scoiattolo-raganella
|
129
|
moderato –
lento
|
valzer
|
bambino-scoiattolo
|
131
|
andante
|
|
scoiattolo-bambino
|
132
|
valse lente
|
valzer
|
animali-alberi
|
136(-3)
|
vivo
|
marcia
|
animali
|
140
|
lento
|
|
animali
|
142
|
meno lento –
acceler.
|
rigodon
|
animali
|
150
|
andante
|
madrigale
|
L’orchestra è
sempre quella ottocentesca, ma con corposa presenza di percussioni, fra le
quali curiosamente compare – nella scena teiera-tazza - una grattugia per il formaggio (!) da suonare
grattare con lo stilo del triangolo.
L’opera
contempla una miriade di personaggi principali: sono ben 21, più 10 cantati dai
cori. 16 dei 21 principali sono interpretati da 7 cantanti, che assumono 2 o 3
ruoli diversi, come si evince dalla tabella sottostante, che mostra anche le
poche e piccole deviazioni praticate in questa edizione alla Scala:
Ravel
|
Scala
|
Fuoco
Principessa
Usignolo
|
tassativamente
(soprano leggero)
|
=
=
=
|
Aritmetica (il
Vecchietto)
Raganella
|
tassativamente
(tenore)
|
=
=
+ Teiera
|
Mamma
Tazza cinese
Libellula
|
opzionalmente
(contralto)
|
=
=
=
|
Poltrona
Bergère
Gufo
|
opzionalmente
(soprano)
|
=
Pipistrello
|
Gatta
Scoiattolo
|
opzionalmente
(soprano)
|
=
=
|
Orologio a
colonna
Gatto
|
opzionalmente
(baritono)
|
=
=
|
Divanetto
Albero
|
opzionalmente
(basso)
|
=
=
|
Bambino
|
mezzo-soprano
|
=
|
Pipistrello
|
soprano
|
Gufo
|
Pastorella
|
soprano
|
=
|
Pastore
|
contralto
|
=
|
Teiera
|
tenore
|
con Vecchio e
Raganella
|
___
L’allestimento
di Pelly, sempre ripreso da Glyndebourne, è assai accattivante, nel rispetto
quasi assoluto del libretto e delle didascalie: scene con suppellettili sempre
ingigantite, come cioè viste da un bambino di 6-7 anni, e costumi e luci assai
efficaci a scolpire i diversi personaggi e soggetti antropomorfi che si agitano
in scena. Assai poetico il finale con animali (e anche alberi, con uno strappo
al libretto) che riabilitano il bambino ribelle sotto gli occhi della mamma.
Minkowski ha tolto le briglie
all’orchestra, mettendo in risalto la lussureggiante strumentazione raveliana e
le mille diverse sfumature che caratterizzano i sortilegi di cui il bimbo protagonista è circondato.
I cori hanno una
parte di primo piano e a Mario Casoni
va il merito di averli preparati a dovere: una menzione particolare va ai
piccoli dell’Accademia, che si sono
affiancati ai grandi del complesso principale, bravissimi in special modo nell’impersonare
le cifre nella scenetta dell’aritmetica.
Tutte da
elogiare le voci soliste, a partire da quella della protagonista Marianne Crebassa, interprete ideale del
piccolo ribelle. Poi a quella di Armelle Khourdoïan, splendida Principessa, ma anche vivacissimo e virtuosistico
Fuoco.
Jean–Paul Fouchécourt ha rivestito delle sue doti
di tenore buffo la spiritata apparizione dell’aritmetico Vecchietto, dopo quella della minacciosa quanto ridicola
Teiera albionica. Delphine Haidan è stata un’efficace e patetica Libellula,
oltre che una severa Mamma e una risentita Tazza.
Jean-Luc Ballestra e Stéphanie D’Oustrac hanno impersonato la
coppia di felini, davvero divertenti nei loro miagolosi approcci; lui ha anche impersonato l’Orologio e lei è
stata commovente come Scoiattolo. Altrettanto strappalacrime il Pipistrello di Anna Devin, che in precedenza si era
travestita da... poltrona Bergère, in coppia con il Divanetto di Jerôme Varnier, tornato poi come patetico Albero.
Le tre soliste dell’Accademia (Fatma Said, Chiara Tirotta
e Elissa Huber) si sono ben
disimpegnate nei rispettivi ruoli. Così come i sei solisti del Coro (due
soprani, un mezzo, un contralto, un tenore e un basso) che cantano parti
piccole ma in primo piano, come animali, nella penultima scenetta.
Al termine convinti applausi
per tutti indistintamente, a degno coronamento di una bella e divertente serata.