Dal 28/1 la
Scala ospiterà otto recite de Il Trionfo del Tempo e del Disinganno, l’oratorio di Händel che viene rappresentato in forma scenica, per la regìa di Jürgen Flimm, spettacolo originariamente
allestito nel 2003 a Zurigo (Pereira
imperante!) e in seguito ripreso (dal 2012, Flimm imperante!) alla Staatsoper di Berlino.
Si tratta
del primo dei tre Trionfi, quello
composto a Roma nel 1707 dal 22enne di Halle. Il soggetto
dell’Oratorio (basti dire che è farina del sacco della porpora di un
cardinale, tale Benedetto Pamphilj) è un’amabile discussione filosofica (tipo il platoniano Simposio,
ecco) fra quattro voci, che prendono le parti concettuali di Bellezza, Piacere, Tempo e,
appunto, Disinganno. Che la Bellezza
sia la protagonista assoluta lo conferma, oltre al contenuto del testo e al
numero preponderante di arie musicali
che la vedono protagonista, anche il titolo completo originale dell’Oratorio: La Bellezza raveduta nel trionfo del Tempo e del Disinganno. In effetti, dopo aver cercato di resistere alle severe argomentazioni di
Tempo e Disinganno, lasciandosi tentare dalle lusinghe del Piacere, la Bellezza
conclude l’Oratorio precisamente con un ravvedimento
(à la Maddalena): getta lo specchio nel quale usava narcisisticamente rimirarsi,
scioglie le chiome privandole di orpelli e lustrini e allontana da sè il
Piacere, rimettendosi alla misericordia del Cielo.
Händel compose
la musica dell’Oratorio qualche mese dopo il suo trasferimento a
Roma da Amburgo, dove aveva fatto i suoi primi passi da compositore. Da
un’opera scritta lassù (Almira)
recuperò il tema di una sarabanda del
primo atto e lo riciclò (impreziosito) in una delle arie più famose
dell’Oratorio (Lascia la spina); più
avanti riutilizzò lo stesso motivo nel suo Rinaldo
(Almirena: Lascia ch’io pianga):
E a proposito di
auto-imprestiti (come si vede, Rossini
non inventò proprio nulla!) il nostro riprese l’accompagnamento dei flauti
all’aria del Disinganno (Crede l’uom
ch’egli riposi) nella sua opera d’addio all’Italia, rappresentata a Venezia
nel 1709, Agrippina (aria di Ottone Vaghe fonti):
L’Oratorio è
diviso in due parti di durata (circa 75’) e contenuti (numeri musicali)
confrontabili. La prima comprende 12 arie, un duetto e il quartetto finale, più
la Sonata introduttiva ed una seconda Sonata, assai virtuosistica ed
appariscente, con Organo obbligato, collocata proprio fra il recitativo (Questa è la reggia mia) e l’aria del
Piacere, Un leggiadro giovinetto.
Guarda caso il giovinetto era proprio Händel in persona, seduto all’organo!
Sicuramente un omaggio del cardinale al caro
sassone, ed anche un vezzo auto-celebrativo del giovane compositore. Sonata
e... suonatore scompariranno, come vedremo, in versioni posteriori. La seconda
parte comprende 11 arie, un arioso, un quartetto e un duetto. La conclusione,
dopo la conversione della Bellezza, è
un mirabile Adagio in MI maggiore,
che si spegne - pianissimo - sulla
celestiale melodia dei violini. Non così si chiuderanno le due successive
versioni albioniche (1737 e 1757) dell’Oratorio.
Durante la sua
lunga residenza oltre-Manica, come ripiego per far fronte al declino londinese dell’opera
italiana, Händel decide di riproporre, a 30 anni esatti di distanza, il suo
oratorio giovanile romano, e per l’occasione ne appronta una nuova versione
ristrutturata, modificata ed arricchita (ma sempre in lingua italica). La
differenza più macroscopica, più che nel titolo (Verità rimpiazza Disinganno)
risiede nella struttura dell’opera, che viene suddivisa in tre parti data la
sua nuova, ipertrofica estensione (si passa da meno di 2 ore e mezza a tre!)
Vengono introdotti qui i cori
(assenti nella versione romana) ed apportate svariate modifiche, alcune di
portata limitata, altre veramente pesanti, come la riscrittura completa di arie e/o il trasporto di tonalità (in funzione delle diverse voci
disponibili).
Poi, a 50 anni
dalla sua composizione originale, un Händel ormai malconcio si convince a
riproporre una nuova versione dell’Oratorio, questa volta tradotta in lingua
inglese dal suo più fido librettista, Thomas
Morell. L’oratorio è soggetto a nuove modifiche, ritocchi e imprestiti da
altre opere, interventi probabilmente fatti da mani diverse (John Christopher
Smith Jr.) da quelle dell’Autore: la durata totale torna più o
meno quella della versione originale romana (2 ore e 35’).
Quanto alle
voci, sappiamo come la scelta fosse condizionata anche dalle disponibilità
occasionali. La versione originale prevede un soprano (B), un soprano
(P), un tenore (T) e un contralto (D) mentre non prevede cori. Quella del 1737 (vedi sotto le
note relative all’edizione Naxos, l’unica
oggi disponibile) prevede un soprano
(B), un soprano (P), un contralto-controtenore (T) e un contralto-controtenore (D) più i cori. Quella del 1757 prevede un soprano (B), un tenore (P), un basso (T),
un soprano (D), i cori e in più un contralto per la nuova parte di Verità (o Saggezza, Counsel) che nelle versioni precedenti
veniva semplicemente citata da altri personaggi, senza mai intervenire in prima
persona, mentre qui prende una parte del ruolo del Disinganno.
A suo tempo
(metà ‘800) Friedrich Chrysander, che
pubblicò in Germania tutte le principali opere di Händel, predispose l’edizione
delle due versioni estreme dell’Oratorio (1707, in italiano e 1757, in
inglese-tedesco) basandosi su materiali di seconda mano, quindi non certo a
prova di bomba. Non solo, ma gli mancarono totalmente reperti relativi alla versione
del 1737, che lui arbitrariamente e sommariamente pensò potesse ricostruirsi
appiccicando a quella del 1707 le parti diverse del 1757.
Solo
(relativamente) di recente è stato possibile ricostruire la versione 1737 in
modo plausibile (anche se manca tuttora quella che si chiama un’edizione critica). Tuttavia il risultato
di questo lavoro (dovuto a Joachim Carlos
Martini) mi pare assolutamente apprezzabile, pur se presenta alcune scelte
forzatamente arbitrarie, date le circostanze. Martini ha inciso questa versione
per l’etichetta Naxos, con complessi di Francoforte.
Per avere una
visione sintetica delle differenze fra le tre versioni ho predisposto una
scheda, ritrovabile qui: essa presenta nelle tre macro-colonne le tre
versioni, e nelle righe i dati salienti dei diversi numeri. In particolare il contenuto della sotto-colonna titolata ton indica la tonalità principale del
brano (di norma le modulazioni interne virano classicamente alla dominante o
alla relativa) e la colonna titolata n/m
contiene l’attributo n ad indicare
un numero non presente nella versione precedente, e m ad indicare un numero modificato rispetto ad essa. Lo sfondo
arancione sul titolo sta ad indicare una modifica sostanziale (per i recitativi
ho trascurato di indicare differenze marginali). Quindi la
colonna 2 (1737) si confronta con la 1 (1707) e la colonna 3 (1757) si
confronta con la 2 (1737). I contenuti delle versioni 1707 e 1757 sono ricavati
dalle partiture di Crhysander, mentre quello della versione 1737 è stato
desunto dalla citata edizione di Martini per la Naxos che, come detto, ha
comportato scelte magari anche opinabili (si veda qui
la scheda informativa di Martini sui criteri da lui seguiti per la ricostruzione
della partitura).
I libretti delle
tre versioni sono reperibili (non esclusivamente) ai seguenti indirizzi: Versione
1707 (Scala-2016); Versione 1737 (Martini, documento citato più sopra); Versione 1757
(Stanford).
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Il Trionfo del Tempo
e della Verità (Londra, 1737)
Sulla base dell’edizione
di Martini si possono rilevare le seguenti principali novità:
Alla Sonata del Overtura viene aggiunta una Sinfonia, il cui Allegro riprende il tema dell’Overtura
e lo arricchisce soprattutto di corposità strumentali (trombe e timpani).
L’apertura è
affidata al Contralto solo e al Coro (Solo
al goder) ed è stata composta espressamente, così come il successivo
recitativo di Bellezza (Qual veggio il
mio sembiante).
L’aria (B) Fido specchio subisce alcune variazioni
soprattutto nell’accompagnamento.
L’aria (P) Fosco genio è riscritta totalmente:
passa da MI minore a LA maggiore, da 3/4 (giga, Allegro) a 4/4 (Andante) cambiando
completamente faccia.
L’aria (D) Se la bellezza passa da DO a RE minore,
con tempo accelerato e l’aggiunta di un’introduzione diversa.
L’aria (B) Una schiera di piaceri passa da LA a FA
maggiore, con melodia totalmente rinnovata, struttura assai ampliata, ma con
meno virtuosismi.
Anche l’aria (T)
Urne voi è totalmente rinnovata: da
4/4 passa a 3/4 e assume ritmo di marcia funebre. Un Coro è aggiunto in coda,
che ripete gli ultimi due versi dell’aria.
L’aria (B) Un pensiero nemico è totalmente riscritta:
da 4/4 con grandi virtuosismi passa a 12/8 in un clima languido.
L’aria (T) Nasce l’uomo è trasportata da SOL a RE
maggiore. La seconda parte dell’aria (L’uomo
sempre se stesso distrugge) passa dal Disinganno al Coro, per chiudere
solennemente la nuova prima parte dell’oratorio.
La seconda parte
è preceduta da un nuovo Interludio
tripartito (Concerto con organo, soli-coro e Sinfonia).
La Sonata per Organo e orchestra (quella
che a Roma suonò Händel in persona) viene espunta e sostituita da due Sonatine, per violino e carillon.
La prima aria
(Piacere: Un leggiadro giovinetto) è praticamente
riscritta: cambiano il tempo (da 3/8 a 4/4) e la tonalità (da SOL a LA
maggiore) e aumentano i virtuosismi.
L’aria (B) Venga il Tempo viene completata con un
Coro (O tempo, padre del dolor) e
ritornello orchestrale.
L’aria (T) Folle dunque, tu sola presumi è
pesantemente rivista, con maggiori virtuosismi assegnati alla voce.
Anche il
quartetto Se non sei più ministro
(che chiude la prima parte della versione originale) è pesantemente
rimaneggiato, nella tonalità (DO e non RE minore) e nel tempo (2/4 al posto di
4/4) e quindi nel ritmo.
L’aria (B) Io sperai trovar nel vero è pesantemente
rivista: da Adagio in SI minore si trasforma in un Larghetto in SOL maggiore,
dal ritmo più mosso.
L’aria (B) Io vorrei due cori in seno viene
trasposta da DO a SI minore ed accorciata, mantenendo soltanto il primo
intervento di Bellezza ed espungendo quelli successivi di Disinganno e di
Bellezza.
L’aria (D) Più non cura viene trasposta da SIb a DO
maggiore.
L’aria (T) É ben folle quel nocchier viene
completamente rimaneggiata: trasposta da 4/4 in SIb maggiore a 6/8 in MIb
maggiore, e dotata di un ritmo più blando.
Il Quartetto Voglio tempo per risolvere, dovendosi
ora chiudere la seconda parte, viene completamente ristrutturato. La parte che
rimane del quartetto (la prima) assume un tono e ritmo mesto (3/4) invece di
quello agitatissimo (3/8) dell’originale, e si chiude sul verso ...ma il Consiglio è il tuo dolor. La
restante parte (Pria che sii converta in
Polve) viene rimpiazzata da un Coro, in FA maggiore.
La terza parte
si apre con una Sinfonia e subito dopo il primo recitativo presenta una grande
novità; una nuova versione dell’aria (P) Lascia
la spina, veramente irriconoscibile rispetto all’originale. Il quale è
basato sulla lenta sarabanda
dell’Almira, mentre qui abbiamo una veloce giga
(Allegro, 6/8).
Nella citata
ricostruzione di Martini viene di seguito proposta una trascrizione per due
clavicembali della sarabanda
dell’Almira, seguita dalla versione originaria di Lascia la spina.
L’aria (B) Voglio cambiar desio viene
significativamente modificata nella melodia principale.
L’aria (D) Che già fu del biondo crine viene
trasposta da SOL a LA minore, con minime modifiche alla fine delle strofe.
Completamente
rivista Il bel pianto dell’aurora:
originariamente un duetto (D-T) in LA minore, diventa un’aria per il solo
Tempo, in SI minore.
L’aria (P) Come nembo che fugge viene profondamente
modificata. Tempo (da 3/4 a 6/8) e ritmo cambiano completamente: da forsennati
si addolciscono parecchio.
L’accompagnato
(B) Pure del cielo viene assai
modificato e ridotto ai soli tre versi finali (Or se la Verità).
L’aria (B) Tu del ciel ministro che chiude
l’Oratorio nella versione originale, viene modificata assai, e non solo nel
testo del primo verso (Quel del ciel
ministro) ma anche nella melodia.
Ma una novità
eclatante della versione 1737 riguarda proprio la conclusione dell’Oratorio:
adesso non è più un progressivo spegnersi della musica a supportare, per così
dire, l’ascensione di Bellezza nell’empireo; qui viene aggiunto un finale preso
di peso dalla precedente (1733) Athalia
– ah, gli imprestiti! - e costituito da un coro esultante (Alleluja!) Come si vede, una chiusura retorica e bombastica, che
contraddice palesemente l’approccio originale... Per di più Martini, nella sua
edizione, lo fa precedere – proprio come in Athalia – anche da un Concerto per organo (mutuato a sua volta
dall’opus 292).
Dal punto di
vista delle durate, sono le due parti estreme a dare il maggior contributo:
sommariamente ciascuna di esse incrementa i tempi di circa 15’ rispetto a
quelli della versione 1707. Si passa quindi da circa 150 a circa 180 minuti (va
ribadito però che la versione 1737 è quella di Martini, che ha operato
inserimenti magari opinabili).
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The Triumph of
Time and Truth (Londra, 1757)
É ragionevole
pensare che la versione del 1757 abbia avuto come base quella del 1737, perchè
più recente e già rappresentata in Inghilterra. Lo testimoniano fra l’altro la
struttura in tre (e non due) parti e le tonalità di molte arie. Come detto, Händel
era ormai in condizioni precarie e non potè dedicare a questa versione tutta l’attenzione
che si meritava, lasciando molto del lavoro di preparazione a diversi
collaboratori. Tuttavia è innegabile che anche questa versione abbia un grande fascino
e contenga nuove pagine indimenticabili. Qualche sommario cenno sulle
principali novità introdotte:
Viene impiegata
una nuova Ouverture bipartita.
Dopo l’aria (P) Pensive sorrow il soprano canta una
nuova aria (Sorrow darkens) e subito
dopo, insieme ad un coro di voci bianche canta Come, Come, ripetuto infine dal Coro.
Il nuovo
personaggio della Verità (Counsel) prende il posto del Disinganno, a partire
dal recitativo Turn, look on me, poi
nell’aria The beauty smiling, quindi
ancora nel recitativo Our diff’rent
pow’rs.
Dopo l’aria (T) Loathsome urns abbiamo un nuovo coro (Strenghten us, o
Time) che sostituisce quello del 1737. Il successivo recitativo (Too rigid the
reproof) non è più affidato al Piacere, ma al Disinganno, che subito
dopo intona una nuova aria (Happy beauty)
completata da soprano e coro (Happy, if still they reign).
Vengono quindi
cassati il duetto Bellezza-Piacere (Il voler nel fior degl'anni) il successivo
recitativo (Della
vita mortale) e l’aria (B) Un
pensiero nemico. Il successivo recitativo (Folle, tu nieghi il tempo) cambia
testo (Youth is
not rich in Time) e voci: non più Disinganno-Piacere-Bellezza, ma
Verità-Tempo-Piacere. Il coro finale (Like the shadow) è accorciato rispetto alla
versione 1737: non si esegue la seconda strofa.
Assente qui l’interludio fra prima e seconda parte, per
cui quest’ultima attacca subito con un coro nuovo di zecca (Pleasure submits
to pain). Niente sonatine e invece un recitativo (Hark! What sounds
are these) che include in apertura una fanfara di corni, che
anticipa una nuova intera sezione (che rimpiazza l’aria del Piacere Un leggiadro giovinetto): si tratta di
un sontuoso coro (Oh, how great the glory) seguito da ben tre arie consecutive di
Piacere e Disinganno che precedono a loro volta un’altra aria della Bellezza (Come, O Time) che viene direttamente da...
Roma.
Escluso il coro
del 1737 (O
tempo, padre del dolor) dopo l’aria originale
del Disinganno (Mortals think) ecco
un nuovo recitativo del Tempo, seguito da una nuova aria (False destructive ways).
Cassati l’aria
del Tempo (Folle,
dunque tu sola presumi) e il quartetto (Se non sei più ministro) abbiamo
uno spostamento significativo: l’aria del Disinganno (Melancholy is a folly) viene inserita qui (variata) trasferendo dalla parte
terza la famosa Ricco pino.
Cassate
poi le arie di Bellezza, Piacere e Tempo, si passa alla chiusura della seconda
parte con il coro (Ere to dust is chang'd)
già introdotto nel 1737.
La terza parte
vede leggere variazioni alla Sinfonia introduttiva e l'aggiunta di un’aria del
Disinganno (Charming Beauty). L’aria
Lascia la spina resta nella versione 1737 col titolo Sharp thorns despising, mentre non si ripropone l’originale romano.
Dopo l’aria
della bellezza (Pleasure!
My former) abbiamo l’inserimento di un coro, il famosissimo Comfort them, che in realtà è un imprestito
bello e buono dalla HWV268, un Inno
composto da Händel nel 1749.
Ricco Pino, come detto, è
stato spostato con diverso testo nella parte seconda. La chiusura è – come nel
1737 - sull’Alleluja!
Quanto alla
durate, rispetto alla versione 1737 tutte e tre le parti vengono sfrondate di
alcuni (7-10) minuti, per un totale di circa 25. Si passa quindi da circa 180 a
circa 155 minuti complessivi, pochi più rispetto all’originale del 1707.
Una recente apprezzata
edizione della versione 1757 è quella degli scozzesi della Ludus
baroque.
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Questa
edizione scaligera si avvale della Direzione di Diego Fasolis,
che sta collaborando con il Teatro per creare all’interno dell’Orchestra un
ensemble orientato alla musica del ‘700, con uso anche di strumenti d’epoca. In
questa occasione si potranno constatare i primi risultati dell’operazione.