Come
introduzione alle prossime visioni dirette, ho seguito la tre prime del cartellone principale diffuse
nei giorni scorsi da Radio3, presente sui luoghi pesaresi con la voce di Giovanni Vitali, ormai diventata una
piacevole tradizione (a proposito: forza Maggio!)
Ecco quindi
qualche impressione, ovviamente condizionata, nel bene e nel male, dalla…
tecnologia, che può far apparire Berlusconi come un Cavour e Stalin come un
SanFrancesco…
___
L’Italiana che ha aperto
– sabato 11 agosto, a 200 anni e 3 mesi dalla prima a Venezia! - la rassegna di quest’anno è una delle opere
veterane del festival, essendo alla quinta comparsa, dal lontano 1981, epoca in
cui, tanto per dirne una, era ancora in attività tale Sesto Bruscantini, una specie di archètipo del baritono rossiniano.
Anna
Goryachova
(già un apprezzabile – o un’apprezzabile? hahaha - Edoardo nella Matilde del 2012) ha dato buona prova di
sé, confermando pregi e difetti della sua constituency:
convincente nell’ottava alta, assai meno in quella inferiore. Yijie Shi ha mostrato la sua vocina piccola
e graziosa, creando un Lindoro interessante.
Un Mustafà
dignitoso mi è parso Alex Esposito,
che ha evitato facili gigionaggini, in favore di una concreta prosaicità.
Mariangela Sicilia e Mario Cassi hanno fatto del loro meglio
per proporci le figure dei due sfigati
della vicenda: lei e lui che nemmeno vengono cagati dai rispettivi partner!
La nota non
propriamente entusiasmante di questa produzione è di proprietà, nuda, unica ed
indivisibile del Kapellmeister: tale Encinar sembra essere stato catapultato
a Pesaro a sua totale insaputa. Lui che Rossini lo conosce solo di… fama (smile!) ha diretto, mi è parso, come
avrei diretto io: chiedendo all’orchestra di suonare come sa e… tirando
continuamente il freno a mano (insomma, per fare un paragone enologico, ho
sentito un’Italiana invece che frizzante, ferma).
___
Domenica poi
il tanto atteso Tell.
Quest’anno l’ultimo lascito operistico
del buon Gioachino è tornato al ROF dopo 18 anni dall’esordio. Qui sul tubo si
può seguire l’edizione del
1995
con Gelmetti e i musicisti di
Stoccarda, Praga e Cracovia (regìa di Pizzi).
Merito
principale, se non esclusivo, di quell’edizione è di aver presentato l’opera
così come licenziata in edizione critica dalla Fondazione Rossini. Nella fattispecie, il Tell edito da M.Elizabeth C.
Bartlet, pubblicato nel 1992 e
comprendente (tanto per citare due esempi macroscopici che lo differenziano
dalle poche edizioni e dalle rare rappresentazioni) il Pas de deux del primo atto (fra il Pas de six e il Pas d’archers,
da 1h2’55” a 1h10’53” nel filmato citato) e l’aria di Jemmy (Ah que ton âme se rassure) del terz’atto, subito prima della scena-madre del tiro-alla-mela
(da 3h06’38” a 3h13’00”, sempre nel filmato citato).
Uno dei meriti del ROF è sempre stato
quello di offrire le opere in forma integrale: per il Tell la cosa è invero
rimarchevole, dato che questo capolavoro va rispettato come si fa, per dire,
con i drammi di Wagner, di fronte ai quali non sfigura di certo, anzi… E quando
la musica è a questi livelli, la durata dello spettacolo non può di sicuro
essere un problema, anzi si vorrebbe non finisse mai.
Ebbene, in questa edizione (che
c’entri lo zampino di Vick?) il Pas de deux è stato invece cassato (forse per consolare… Ghedini? stra-smile!) È stata invece proposta l’aria di Jemmy, mentre altri
piccoli tagliuzzi sono stati comunque perpetrati alla partitura, così, tanto
per risparmiare forse 2-3 minuti del tempo prezioso di tutti noi. Fra questi
anche l’invocazione degli austriaci e dello stesso Gestler a Tell perché li
salvi dal naufragio, nella scena settima dell’atto finale.
Insomma, l’aspetto, come dire,
filologico dell’operazione sa assai di… illogicità.
Sulla natura del Tell si è scritto e
si discute molto, e si sono formate scuole di pensiero: c’è chi la cataloga come opera romantica, chi invece la definisce
come l’estrema evoluzione del Rossini classico
e settecentesco. Una cosa è certa: chiunque ascoltasse l’Italiana (non dico
l’Occasione) e poi il Tell, senza saper nulla degli autori, giurerebbe
trattarsi di due compositori diversi, anzi appartenenti a due diversi secoli!
In fondo il Tell è tutto pervaso da
uno spirito eroico, che se non è
romanticismo tout-court è certamente
ben lontano dagli schemi del teatro italiano a cavallo dei secoli XVIII e XIX.
E la musica, compresa la strumentazione, ne è la più concreta testimonianza.
Ad esempio: i corni dei cacciatori che
si odono a più riprese non possono non richiamare – anche nella tonalità - il Trio dello Scherzo dell’Eroica:
E una sezione del coro finale del
terz’atto (che grida la sua ribellione contro il tiranno) richiama
scopertamente, fin nella tonalità (FA maggiore) l’enfatica perorazione dell’Egmont beethoveniano:
Credo
proprio che la cosa non sia affatto casuale: Egmont, in fin dei conti, incarna
(qualche secolo dopo) le stesse aspirazioni alla libertà che sono al fondo
della vicenda di Tell. E Goethe, che
ne scrisse la tragedia, è proprio la mente che fa da cerniera, da snodo, fra
classicismo e romanticismo. Precisamente come Beethoven in campo musicale…
Insomma, un Rossini che certo non fu
colpito dal fulmine romantico sulla strada di… Parigi, ma che seppe cogliere e
interpretare da par suo tutti i fermenti che si agitavano attorno a lui. Per
dire, Der Freischütz è di 8 anni
anteriore, e imperversava a Parigi proprio negli anni in cui Rossini pensava e
poi componeva il Tell… e si sente! E nella musica di alcune danze del Tell pare
di ritrovare atmosfere schubertiane della Rosamunde.
E a sua volta il Tell non mancò di
lasciare segni sui posteri: Wagner, nel suo famoso incontro col maestro a
Parigi, non fece che lodare le bellezze e le innovazioni dell’opera. Di cui
troviamo tracce in opere di compositori francesi, come Bizet. E di cui
scopriamo reminiscenze persino impercettibili a 70 anni di distanza: ecco come
un inciso dell’Introduzione del Primo
Atto verrà ripreso alla lettera (a parte la tonalità) da Mahler, nell’Andante moderato
della Seconda Sinfonia:
Orbene, come ce lo ha propinato il Mariotti-jr? Al di là delle intenzioni
(confidate al tollerante Vitali) mi pare ci abbia messo tutta la carica
innovativa del pesarese-trapiantato-a-Parigi. Certe attenzioni ai dettagli,
come l’affidare a pochi strumenti gli incipit delle danze, ne sono la
testimonianza.
Così come la consumata (ormai possiamo
dargliene atto) capacità di tenere insieme interpreti singoli e masse corali. E
proprio il coro di Andrea Faidutti ha
risposto da par suo, interpretando al meglio il ruolo di co-protagonista del
dramma, e in tutte le sue declinazioni: fanciulle, svizzeri, austriaci, buoni e
cattivi. L’Orchestra lo ha assecondato abbastanza bene (vedi il quintetto dei celli)
con qualche (inevitabile?) imprecisione negli ottoni.
Fra gli interpreti, ovvia la curiosità
e l’attesa per l’Arnold di JDF.
Nourrit o Duprèz? O una sintesi dei due? (che come tutte le sintesi finisce per
perdere qualcosa dei componenti). Mah, una prestazione degna anche se non da… sballo.
Speriamo che il DO (spurio) dell’All’armi
finale non abbia convinto il tenore a vestire in futuro i panni di… Manrico (smile!) Insomma, lui le note le ha
cantate tutte, ma basta questo?
Tell era Nicola Alaimo, apparso all’altezza del compito, con qualche
problema di… autorevolezza (leggi, un timbro un filino più pesante).
Una bella sorpresa la Mathilde di Marina Rebeka, mentre Veronica Simeoni si è ben distinta nei
panni della moglie di Tell. Amanda
Forsythe non più che discreta come il piccolo Jemmy e Simon Orfila un Walter passabile.
Celso
Albelo
era il pescatore, che deve cantare due DO acuti: il primo gli è uscito… a metà,
l’altro appena-appena meglio: per fare Arnold dovrà mangiar polenta (smile!)
Gli altri quattro interpreti si son
guadagnati onestamente la pagnotta.
___
Lunedi è stata
la volta della ripresa de L’Occasione, che si vide per la prima
volta nel 1987 con Accardo.
Esordio sul podio, nel cartellone principale, per la cinesina Yi-Chen Lin, che prova a seguire, in
campo operistico, le orme della più famosa Zhang Xian: mi è parso che ci abbia
messo la giusta verve.
Bene i due buffi, soprattutto Roberto De Candia (ma anche Paolo
Bordogna non ha sfigurato).
Pessimo,
ahilui, Enea Scala, che sopra il FA
acuto si impicca e si ingola che è un (dis)piacere. Sui SIb poi pareva un
cappone cui vien tirato il collo.
Note positive
invece dalla Elena Tsallagova,
gradevolissima vocina che sale come nulla fosse e senza urlacchiare fino al MIb.
Giorgio Misseri e la Viktoria Yarovaya su standard appena appena accettabili.
In complesso
una serata gradevole, più da Accademia (con tutto il rispetto) che da
cartellone principale.
___
A proposito di
Accademia, il suo papà (da 25 anni) Alberto
Zedda ha confessato a Vitali i titoli del ROF XXXV: nuovo allestimento di Armida (Ronconi); prima assoluta dell’Aureliano (con Martone, cui doveva andare
il Tell di quest’anno…) e Inganno felice
(così torna Vick anche nel 2014).
___
Nei prossimi
giorni le mie esperienze dirette.