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02 dicembre, 2011

Orchestraverdi – concerto n 11


 
Zhang Xian – fresca-fresca di un importante riconoscimento - dirige un concerto tutto russo, che parte dal novecento di Stravinski per retrocedere nel secolo precedente di Ciajkovski.

Si comincia con L'Uccello di fuoco, composto nel 1909-10 e dai cui 23 numeri (più l'Introduzione) l'Autore estrasse poi tre Suite (1911, 1919, 1945). Su youtube si può trovare un'esecuzione integrale (da DVD) con bellissime immagini e con una stranezza: il finale innalzato di un semitono, quindi suonato in DO, anziché in SI (?) Meglio – musicalmente – questa prestazione di Saraste con la WDR e ancor meglio quest'altra di Boulez, (da 42:00) sempre nella medesima sala, ma con la Chicago.

Le tre diverse Suite furono di fatto ottenute per semplice giustapposizione di alcuni numeri del balletto, con piccoli ritocchi per le transizioni, e si differenziano fra loro quasi esclusivamente per i numeri che le compongono. Le prime due – 1911 e 1919, pur diverse nella struttura – hanno su per giù la medesima durata, attorno ai 20-22 minuti, mentre l'ultima, del 1945 , è più corposa (augmented version venne pubblicizzata sui vinili) e dura poco meno di mezz'ora, rispetto ai 45 minuti circa dell'intero balletto. Interessante questa registrazione nipponica dell'ultima Suite, diretta nel 1959 dall'Autore (di cui si diceva fosse un pessimo direttore d'orchestra, soprattutto quando eseguiva le sue proprie partiture!)

Qui in Auditorium riascoltiamo la più famosa delle 3 suites, quella del 1919, già udita circa 18 mesi orsono con Wayne Marshall sul podio (e recentissimamente con Dudamel e i suoi ragazzi alla Scala). Zhang Xian e laVerdi ce ne danno un'interpretazione vibrante e severa allo stesso tempo, sia nei quadri aspri e cromatici (vedi la Danza infernale) che in quelli cantabili e diatonici (come il Khorovod e il grandioso finale).

Arriva poi il primo dei due titoli di Ciajkovski in programma: le Variazioni su un tema rococo per violoncello e orchestra, in LA maggiore:
Una composizione che ebbe una vita abbastanza movimentata, poiché il dedicatario Wilhelm Fitzenhagen (docente di violoncello al conservatorio di Mosca, dove pure operava Ciajkovski) oltre ad occuparsi – scrivendole direttamente sul manoscritto del collega – di ampie parti del testo del solista, si prese la libertà (su cui l'Autore vigilò assai poco e male…) di ristrutturare il pezzo a suo uso e consumo, soprattutto riguardo all'ordine di esecuzione delle diverse variazioni, inclusi vari spostamenti di battute (fra cui la cadenza principale) da una variazione ad un'altra, per mantenere la continuità delle transizioni. Inoltre decise di apportare aggiunte e tagli alla partitura originale: così introdusse un paio di ritornelli nell'esposizione del tema (Ciajkovski impiegò la tecnica del ritornello con grandissima parsimonia in tutte le sue composizioni) e poi – per ripristinare all'incirca il numero di battute totale – cassò senza pietà l'ultima (8va) delle variazioni originali, che a quel punto non si incastrava più adeguatamente col resto della sua bizzarra costruzione. E meno male che non gli venne in mente anche di cambiare le tonalità!

Questo specchietto riassume le principali differenze fra le due versioni:

Come capitò anche ad altre opere - divenute famose grazie a versioni manipolate da estranei (Carmen e Boris sono esempi eclatanti) - anche questo piccolo cammeo è conosciuto quasi esclusivamente nella versione di Fitzenhagen, e solo da relativamente poco tempo si comincia a rieseguire quella originale, faticosamente ricostruita frugando in polverosi archivi. Ecco appunto un'esecuzione della versione originale (parte1; parte2, Steven Isserlis); e la più nota ed eseguita versione di Fitzenhagen (Yo-Yo Ma).

Quale delle due sia da preferire è arduo dirlo: di certo quella originale è strutturata meglio, secondo una logica prettamente accademica (come si addice ad un serio compositore, attento alla forma e agli equilibri estetici). Per convincersene basterà notare la perfetta simmetria dell'intera struttura: fra i due estremi (Introduzione+Tema e Coda) abbiamo due blocchi di 4 variazioni, sempre alternate nel tempo (tranquillo e vivace); la collocazione delle variazioni in tonalità diversa dal LA maggiore di impianto è pure costante (la terza variazione di ciascuno dei due blocchi, introdotta dalla modulazione nel finale della precedente); e costante è anche la posizione delle cadenze (seconda e sesta variazione). Insomma, qui nulla è lasciato al caso e all'improvvisazione.

Invece la versione di Fitzenhagen pare quasi costruita giustapponendo le variazioni in modo random… In realtà risente abbondantemente dell'approccio del virtuoso di strumento, alla ricerca del facile effetto, più che del rigore architettonico dell'opera.

Fatto sta che entrambe le versioni hanno – l'una per diritto di nascita e nobiltà di costituzione, l'altra per i meriti acquisiti sul campo – tutte le carte in regola per figurare degnamente in un programma concertistico.

Qui in Auditorium ascoltiamo la tradizionale versione Fitzenhagen, suonata da un autentico fenomeno: il 23enne armeno Narek Hakhnazaryan, recente vincitore del Premio Ciajkovski, dove lo si può vedere (previa semplice registrazione al sito) impegnato nella finale del 28 giugno ed accolto trionfalmente dai moscoviti. E trionfalmente è stato salutato anche ieri sera dal pubblico milanese, al quale ha concesso un bis da brivido, tutto pizzicato

Infine Sogni d'inverno, che non è una ninna-nanna natalizia, ma la Prima Sinfonia di Ciajkovski.

Se le Variazioni rococo ebbero una storia complicata, ma tutto sommato incruenta, il primo approccio al mondo sinfonico, qualche anno addietro, era stato per Ciajkovski addirittura spaventevole: respinto con gravi perdite dai suoi maestri del Conservatorio di SanPietroburgo (il severissimo direttore Anton Rubinstein, che più tardi gli stroncherà anche il Concerto Op.23, e Nikolai Zaremba) il nostro perse persino il sonno e la salute per inseguire questo sogno e finì sull'orlo della pazzia… Ma non basta, perché una volta completata l'opera, si vide costretto (dai soliti… maestri) a revisionarla radicalmente e così anche di essa esiste una versione originale (eseguita in tempi moderni solo una volta da Ilan Volkov con la BBC Symphony nel 2007) e una seconda versione (dedicata al fratellino di Anton Rubinstein, Nikolai, direttore del Conservatorio di Mosca, e assai meglio disposto verso di lui) che è entrata stabilmente in repertorio. Detto fra noi, le parti della prima versione (che si può ascoltare qui, eseguita su un sintetizzatore) poi sostituite o cassate, non erano propriamente musica entusiasmante, e i maestri qualche buona ragione per criticarle ce l'avevano, eccome!
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L'Allegro tranquillo che apre la sinfonia testimonia delle difficoltà di Ciajkovski a strutturare le sue idee musicali all'interno delle forme codificate: i due temi principali (il secondo frutto della drastica revisione dell'opera) non sarebbero neanche tanto male, peccato che l'Autore non sappia poi cosa farsene in termini squisitamente sinfonici:
Nessuno sviluppo degno di questo nome, sostituito da improbabili ripetizioni in tonalità diverse, o da intermezzi enfatici e privi di logica, che fanno del brano più una confusa fantasia che un primo tempo di sinfonia. È un modello che trova forse le sue lontane e vaghe radici in Schumann (che esteticamente sta però parecchi gradini sopra) più che in Mendelssohn, e che ispirerà anche il futuro Mahler, prevedendo l'introduzione di tratti di spiccata teatralità all'interno della severa forma sinfonica. Se non siamo proprio alla musica-a-programma, poco ci manca, e i sottotitoli dei primi due movimenti (questo è Sogni di un viaggio invernale) lo testimoniano apertamente.

E il secondo movimento, appunto, un Adagio cantabile, ma non tanto (si deve pensare che il non tanto si riferisca all'Adagio e non al cantabile, smile!) conferma l'idea di musica composta con l'occhio rivolto all'effetto e non alla sostanza. Qui abbiamo in pratica un solo tema (a parte la semplice introduzione, che torna in chiusa) che Ciajkovski ci propina in tutte le salse - e per più di 10 minuti! - con una pervicacia davvero degna di miglior causa. E meno male che, rispetto alla versione originale, il compositore tagliò diverse battute… Nel tema, di chiara matrice russa, in DO minore, si possono individuare tre cellule:
In particolare dalla seconda cellula, Ciajkovski ricava un ulteriore sviluppo (sempre chiuso dalla terza) presentandocelo quasi fosse un secondo tema. Il primo viene esposto finalmente dai due corni con un'enfasi esagerata, francamente stucchevole. Qui siamo, come recita il sottotitolo, in una Terra di desolazione, e in effetti si deve dire che anche la musica è abbastanza desolante… Insomma, siamo al velleitarismo puro di un giovane forse caricato(si) di eccessive responsabilità…

Molto meglio lo Scherzo (Allegro scherzando giocoso), che presenta un tema di tipo ostinato (prelevato di peso dal terzo tempo di una Sonata per pianoforte composta un anno addietro, ma pubblicata postuma) con una prima sezione in DO minore, seguita da una seconda in MIb e LAb maggiore (entrambe ripetute). Dopo un cupo intermezzo dove gli archi bassi suonano tre incisi preceduti da altrettante lunghe pause, ecco emergere improvvisamente, a mo' di Trio, una bella melodia in MIb, un languido walzer esposto dai primi violini:
Il motivo si sviluppa parecchio, poi viene ripetuto, con il supporto di un bellissimo intervento dei corni:
Torna quindi il tema dello scherzo, ma prima della conclusione abbiamo ancora una ricomparsa, in DO minore, a mo' di cadenza, della melodia del trio, accompagnata dal timpano che ancora ritma il tema dello scherzo; il quale si incarica poi di chiudere questo, che per me è il movimento più riuscito della sinfonia.

Il Finale è in buona parte costruito sul tema di una canzone popolare russa, Ya poshu li, mlada-mladenska, di cui esistono svariate versioni, ma sempre in modo maggiore, come questa:
Ciajkovski dapprima porta il motivo in modo minore – dandogli una più netta caratterizzazione russa – e lo impiega nell'introduzione (Andante lugubre) in SOL minore:
 

Una progressione in Allegro moderato, dove il motivo compare fugacemente in SOL maggiore, porta ora al  tema principale, in Allegro maestoso, vagamente sincopato:

All'esposizione del tema segue, ora in SI minore, prima nei fagotti e poi a piena orchestra, il motivo dell'introduzione, che ancora porta alla reiterazione, variata e ricca di modulazioni, del tema principale, poi ripreso nel canonico SOL maggiore. Altre varianti, in contrappunto, di tale tema portano ad una stasi, dove ritorna l'Andante lugubre con la sua cellula tematica introduttiva.

Da qui inizia un lentissimo ma costante crescendo, che sembrerebbe portare – per analogia a quanto accaduto in precedenza – alla riproposizione del tema principale. Invece ecco le trombe, sostenute dal resto dell'orchestra, esporre il tema popolare in un enfatico, retorico e pesantissimo SOL maggiore, fino allo schianto conclusivo.

Resta ancora da dire che la pratica degli imprestiti, di cui era andato famoso Rossini, fu ampiamente impiegata anche da Ciajkovski. Dunque: l'incipit e il finale del 4° movimento – derivati, come detto, da una canzone popolare - diventano pari-pari l'inizio e la fine della Cantata composta per commemorare i 200 anni dalla nascita di Pietro il Grande, durante l'Esposizione Politecnica di tutte le Russie del 1872 (quando iniziò la costruzione del Museo Politecnico). E uno dei motivi principali di questa cantata diventerà successivamente il Trio del 4° movimento della Sinfonia Polacca
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Zhang Xian sembra aver capito che la sinfonia non ha grandi risorse, e allora cerca almeno di sveltirla, per renderla più digeribile. Apprezzabile il piglio deciso con cui attacca l'iniziale Allegro tranquillo (dove toglie, soprattutto al secondo tema, non poca… tranquillità) ma forse eccessivo quello che impone allo Scherzo, il che toglie un po' di efficacia al Trio. Grandioso – nella sua mediocrità, verrebbe da dire – il Finale, dove il fracasso supplisce alla scarsa inventiva del compositore. Naturalmente apprezzabili per l'abnegazione tutti i professori, con in testa Luca Stocco all'oboe e Sandro Ceccarelli al corno, splendidi interpreti delle parti solistiche nel secondo movimento.

Il prossimo appuntamento, fra un paio di settimane, celebrerà una singolare ricorrenza.
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