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09 marzo, 2010

La nona di Mahler secondo Esa-Pekka

Esa-Pekka Salonen di questi tempi risiede a Milano: tra concerti e opera non ha davvero un minuto libero. Ieri sera ci ha proposto, alla Scala, in un concerto della Filarmonica, la sua vision dell'ultima sinfonia (completata) di Gustav Mahler. Teatro affollato, ma non proprio al completo, orchestra disposta alla moderna (rinforzata di un corno e un clarinetto) e puntualità quasi …finlandese!

È stato giustamente osservato come nelle 6 misure introduttive ci sia in realtà tutta la sinfonia: così come uno zigote, un'unica cellula, contiene i suoi 46 cromosomi, che determineranno infallibilmente la natura del futuro individuo.









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Salonen fa emergere mirabilmente arpa e secondo corno (che cita il Mahler diciannovenne di Das klagende Lied) prima di lanciare i secondi violini nell'esposizione del primo tema (che riprende il discorso da dove lo aveva lasciato Das Lied von der Erde - Abschied e Leb wohl…) Insomma, come ogni interprete che si rispetti, sa conquistare immediatamente il pubblico, catturandone l'attenzione e l'interesse, che poi non scenderanno più, fino alla fine.

Il primo movimento è un continuo alternarsi – una curva bioritmica, si direbbe – di serenità, allegrezza e sconforto, se non addirittura disperazione. Ci si sente lo stato d'animo di un uomo che ricorda, ma anche vive tuttora, momenti sublimi, di grandezza, di felicità, di gloria (basti pensare ai richiami del finale della prima sinfonia). E poi, immancabilmente, al culmine dell'ebbrezza, arriva la depressione, lo schianto repentino, il pessimismo più cupo, persino un mortorio! Allo stesso modo gli incantevoli giorni delle sue ultime estati Toblachiane venivano immancabilmente interrotti dal duro richiamo del dovere, dall'alienante città (Vienna o NewYork, fa lo stesso). Come nel finale della sesta? Sì, ma là c'era non poca affettazione, martellate in primis, qui invece l'anima è proprio nuda! Non sono un finlandese, e quindi posso solo sospettarlo: ma, secondo me, il finlandese Salonen di questi sbalzi improvvisi di umore deve saperne molto, a livello personale; e ciò gli consente di compenetrarsi come pochi altri in questa schizofrenica partitura. Da lasciare letteralmente senza fiato - dopo le reminiscenze dell'Abschied (Die Welt schläft ein…) - la stupefacente cadenza che conclude il movimento, sul primo tema (FA#-MI) dell'oboe, che si spegne sul RE di ottavino e violoncelli in armonici.

Poi arriva il goffo e grossolano secondo movimento, con quei fagotti ad introdurre una comoda danza popolare. Subito però i clarinetti, in modo impertinente, ci rimandano all'ewig del Lied von der Erde! Dopo la seconda sezione quasi diabolica torna, nel trio, quello che può essere definito il leit-motif dell'opera: la seconda discendente mediante-sopratonica, nei corni e primi violini. Fanno capolino anche atmosfere che rimandano al secondo tempo della quarta sinfonia. Poi ancora un selvaggio e ubriacante sviluppo che si arena per sfinimento, ancora sulla scala ascendente dei fagotti – prima – e di controfagotto e ottavino poi, a chiudere in pianissimo, col pizzicato degli archi alti. Salonen ha benissimo in mano l'orchestra, ha anche la partitura sul leggìo, che guarda di traverso, di tanto in tanto. Sempre perentori gli attacchi, gesto preciso e secco, senza inutili platealità.

Il Rondò-Burleske è davvero un capolavoro: di Mahler e di Salonen. Anche qui si capisce tutto dalle prime 7 battute, davvero fulminanti, sui righi del compositore, come nella resa dell'interprete! Poi è tutto una vera e propria ubriacatura, interrotta dalla sezione solenne, che ci rimanda alla chiusa della terza sinfonia, col gruppetto (che sarà il cardine del Finale) a farla da protagonista, dapprima presentandosi con portamento nobile, ma poi trasformandosi in autentico sberleffo, nel clarinetto in LA, ma più ancora in quello piccolo in MIb. Il tutto culmina nel più stretto e poi nel presto conclusivi, dove i pur bravissimi Trepper Philharmoniker sembrano faticare a stare alle calcagna del Maestro, ma chiudono comunque in modo più che degno.

Che dire dell'Adagio conclusivo? Pura metafisica. Un trattato di esistenzialismo trasferito dall'anima direttamente sul pentagramma. Bruckner (nona) l'ispiratore, certo, ma qui c'è riassunta tutta la parabola di Mahler, in termini squisitamente musicali, sia chiaro. Alla battuta 13, dove i primi violini entrano – più rigorosamente a tempo – per esporre la seconda strofa del primo tema, Salonen è così deciso nel gesto che… perde la bacchetta, finita tra i piedi di un violinista: per un po' di battute dirige a mani nude, finchè il professore gli recupera lo strumento di comando. Tutta l'orchestra è come una corda tesa; stupenda la resa che Salonen ottiene dell'Höhepunkt dei corni, uno dei passaggi più straordinari di tutta la musica mai scritta. Danilo Stagni qui si supera e la cosa – oltre al resto della sua maiuscola prestazione – gli merita un gesto inconsueto da parte del Direttore: alla fine, Salonen sale fin sul palchetto dove sono sistemati i cornisti, e si va a complimentare personalmente con la prima parte dei Filarmonici!

Tornando a bomba, l'Adagio finisce in sospeso, degradando di un semitono dal RE maggiore del primo tempo, con una lunghissima cadenza, le cui ultime 34 misure sono affidate ai soli archi, contrabbassi esclusi. Il violoncello solo – assai dolce ma espressivo – fa due discese cromatiche, prima LA-SOL#-SOL e poi ancora SI-SIb-LA-SOL#-SOL: quest'ultima a me richiama irresistibilmente alla memoria quel Seines Elendes jammerte mich (MI-MIb-RE-DO#-DO) con cui Isolde ricorda la pena da lei provata di fronte alla miseria di Tristan morente.

Quindi, dapprima adagissimo, poi lento (sul ricordo della giornata, che è bella su quell'altura) e infine con la massima lentezza, arriva la chiusa, un autentico approdo all'omega, un'ora e venti minuti dopo l'alfa dei violoncelli. Si appoggia sulla dominante, ma solo apparentemente, poiché alle viole che vi ondeggiano intorno si aggiunge la tonica nei violoncelli e la mediante nei secondi violini: quindi una perfetta triade di REb maggiore: crepuscolare redenzione? un altro modo di mormorare ewig, ewig? chissà…






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Esa-Pekka chiede l'impossibile agli archi, primi violini in pppp (!) e gli altri in ppp spegnendosi. La Scala è in apnea, come il Duomo al sollevarsi dell'ostia… un religioso silenzio, che poi sfocia in una liberatoria ovazione, anzi in un vero e proprio trionfo per Salonen e per tutti. Un'emozione davvero indimenticabile!

E questa sera, sempre Scala e sempre Pekka!

1 commento:

mozart2006 ha detto...

Bellissima cronaca. Deve essere stata davvero un´esecuzione entusisamante da parte di un maestro che da anni raccoglie trionfi in tutto il mondo tranne che in Italia, dove son convinto che molti finora non sapevano manco che esistesse.

La riproduzione delle ultime 8 misure mi porta alla mente la nota che aveva scritto Bernstein su quella pagina della sua pertitura.

"Have the courage to remain in 8!!!"

Ciao