affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

27 ottobre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#3

Dopo la Filarmonica della Scala, ecco un’altra prestigiosa Orchestra presentarsi in Auditorium per il terzo appuntamento del Festival Mahler: la Santa Cecilia, guidata da Manfred Honeck, che ha presentato a Milano lo stesso programma previsto per Roma il 25-26-28 ottobre.

Programma che affiancava il Beethoven dell’Eroica al Mahler di alcuni Lieder dalla raccolta Des Knaben Wunderhorn, interpretati da Christoph Pohl, che ha rimpiazzato l’indisposto Matthias Goerne.

Des Knaben Wunderhorn è una sterminata collezione di vecchie poesie e filastrocche popolari tedesche – risalenti prevalentemente alla guerra dei 30 anni (1618-1648, culminata con la Pace di Westfalia) - pubblicata nei primi anni dell’800 (1805-1808) da Achim von Arnim e Clemens Brentano. Si articola in tre volumi che contengono complessivamente quasi 700 poesie, inclusi 134 Kinderlieder. Dentro ci troviamo un po’ di tutto: fatalismo, disperazione, antimilitarismo, ingenuità, fanciullaggini, ma anche sana saggezza, sarcastica critica del potere e delle stupide convenzioni sociali.    

Verso la fine dell’800 Mahler musicò 9 canti per voce e pianoforte, e successivamente altri 15 (in tre tranche di 5, 8 e 2) per voce e orchestra, tre dei quali sono poi divenuti altrettanti movimenti di sinfonia (seconda, terza e quarta). Di questi 15 Lieder la Universal Edition di Vienna ne ha pubblicati 12 in due volumi (6+6), escludendo quindi i tre elevati da Mahler al rango di movimenti di Sinfonia (Urlicht, Seconda Sinfonia, 4° movimento; Es sungen drei Engel, Terza Sinfonia, 5° movimento; e Das himmlische Leben, Quarta Sinfonia, 4° movimento).

Qui abbiamo ascoltato sette di questi 15 Lieder (cinque dei quali ci erano stati proposti proprio un anno fa, dalla coppia Bostridge-Mariotti) e precisamente:

Rheinlegendchen. 2° del Volume II U.E. (genere: favola). É una delicata melodia campestre (una ballata, come era definita) su un testo che racconta un’improbabile storia di un anellino, buttato nel fiume da un mietitore, e che arriva sulla tavola del re, dentro al pesce che lo ha ingoiato. Così una bella ragazza di corte lo riporta al contadinello.  

Wo die schönen Trompeten blasen. 4° del Volume II U.E. (genere: antimilitarismo). Un giovane innamorato bussa alla porta della sua amata, che lo fa entrare, ma poi piange udendo cantare l’usignolo. Lui la rassicura: sarai mia, ma prima devo proprio andare in guerra, sui verdi prati, dove squillano le belle trombe. È là la mia casa.

 

Das irdische Leben. 5° del Volume I U.E. (genere: fatali ritardi). Il bimbetto si lamenta ripetutamente: ha fame. La mammina cerca di calmarlo, assicurandogli ora che il grano è già stato mietuto, ora macinato, quindi impastato e infine infornato. Ma quando il pane esce dal forno, il bambinello è già nella bara…   

 

Urlicht. Dalla Seconda Sinfonia. (genere: fede religiosa). Lo abbiamo ascoltato proprio nel primo concerto del Festival. L’umanità vive in miseria e dolore. Ma l’Uomo viene da Dio e Dio gli fornirà un lumicino per ritrovare la strada verso la vita beata del Paradiso.


Des Antonius von Padua Fischpredigt. 1° del Volume II U.E. (genere: dissacrazione). Sant’Antonio predica ai pesci, che seguono il sermone con il massimo interesse (proprio a bocca aperta, si potrebbe dire); la predica è piaciuta assai e ognuno se ne torna contento alle proprie… poco edificanti occupazioni. (Peraltro, non è ciò che accade al 98% dei frequentatori delle nostre chiese?) Anche questa musica l’abbiamo ascoltata da poco: è stata impiegata da Mahler, senza voce e con notevoli ampliamenti, come Scherzo della Seconda Sinfonia.


Revelge. 6° del Volume I U.E. (genere: antimilitarismo). Un tamburino morto resuscita per guidare i compagni, morti come lui, alla vittoria… per poi tornare a fare il morto, sotto le finestre dell’amata. Pare che Mahler abbia confessato di aver avuto l’ispirazione per la musica di questo Lied - un breve inciso del quale compare nel Finale della Quinta sinfonia - durante una lunga seduta sul… WC! Ma qui Fantozzi non avrebbe proprio nulla da eccepire!


Der Tamboursg’sell. 6° del Volume II U.E. (genere: antimilitarismo). Un altro, povero tamburino, un disertore in questo caso, viene condotto al patibolo, e saluta tutti i commilitoni con un atroce sberleffo: me ne vado in ferie, lontano da voi. Buona notte!

 

Pohl – gran bella voce, chiara e con ottima proiezione - non ha fatto rimpiangere l’indisposto Goerne e ce li ha porti con grande sensibilità e pathos, ben coadiuvato dai ceciliani in gran forma, il che gli ha garantito calorosissimi applausi e diverse chiamate.

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E la gran forma dei ceciliani (insieme all’indiscusso prestigio di cui godono) è poi risaltata nell’esecuzione invero impeccabile dell’Eroica che, dal romanticismo disincantato, rassegnato e pessimista del Wunderhorn, ci ha portato in quello volitivo, razionale e incrollabilmente positivo di Beethoven.

 

Honeck (per i miei gusti) ha forse ecceduto di sostenutezza nell’iniziale Allegro con brio (compensandola con l’omissione del da-capo dell’esposizione…) ma per il resto la sua è stata una direzione da elogiare: in particolare nella Marcia funebre e nel finale Allegro molto, dove hanno brillato in particolare gli ottoni (con Allegrini e i suoi corni già in bella evidenza nel Trio dello Scherzo).

 

Successo travolgente, con innumerevoli chiamate, ovazioni e interminabili applausi ritmati: insomma, altra serata da incorniciare! 

26 ottobre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#2


Attesissimo e graditissimo ritorno sul podio di colui che per un intero lustro (2000-2005) guidò l’Orchestra milanese: Riccardo Chailly, che però si è portato dietro la Filarmonica scaligera per eseguire la Prima Sinfonia, in un programma già presentato a Ferrara proprio domenica scorsa e che sarà replicato domenica prossima a Rimini (come si vede, la Romagna si fa un baffo delle alluvioni e dei criminali ritardi del Governo!)

L’antipasto della serata è un’opera che forse non è nemmeno (tutta farina del sacco) di Mahler: un Preludio Sinfonico di contestata attribuzione, e del quale molti esperti tendono ad assegnare la paternità ad un compositore che il Mahler 16enne per la verità idolatrava. Parliamo di Anton Bruckner, del quale Mahler era tifoso al punto da trascriverne per pianoforte la sterminata Terza Sinfonia proprio mentre la stessa faceva una fine invereconda alla prima esecuzione.

Il brano in questione è stato suonato nell’arrangiamento/ricostruzione di Albrecht Gūrsching. Sono poco più di sei minuti di musica accattivante, piuttosto arcigna (DO minore!) ma tutto sommato godibile che forse, chissà, ci racconta qualcosa sui primi vagiti di Mahler. 

Ma il piatto forte era Il Titano, pretenzioso sottotitolo che Mahler affibbiò a quello che lui stesso definì poema sinfonico, ispirato appunto al romanzo di Jean Paul. Che alla prima di Budapest fece la stessa fine – un autentico disastro, con tumulti di folla inferocita - della Terza di Bruckner a Vienna! Ma il nostro, nonché ritirarsi in buon ordine e chiedere scusa, rilanciò alla grande, cassando un ingiudicabile movimento con trombetta obbligata (Blumine) ed elevando il suo pretenzioso poema sinfonico nientemeno che al rango di Sinfonia in quattro movimenti!

Beh, oggi possiamo tranquillamente sostenere che i progenitori del buzzurro Orban di musica non capissero proprio nulla… o per caso non siamo noi di bocca troppo buona, ormai assuefatta a tutto?

Sia come sia, l’esecuzione è stata, ma proprio a dir nulla, stre-pi-to-sa! Ovviamente a partire dall’interpretazione di Chailly, che ha letteralmente cesellato, ma proprio una-per-una, le 1707 (+ ritornelli) battute della partitura, cavandone ogni recondito segreto.

Va da sé che poi sono gli strumentisti a suonare, e ieri (credo complice l’acustica della sala, meno dispersiva di quella dell’enorme bomboniera del Piermarini) davvero hanno fatto giungere alle nostre orecchie suoni di purezza e trasparenza assoluta (archi), Naturlaute come immagino li intendesse Mahler (legni) e abbaglianti luminosità (ottoni), il tutto supportato alla grande (ove richiesto) da arpa e percussioni.

Insomma, anche chi ascoltava quest’opera per la 176ma volta alla fine ha dato in escandescenze, tributando a tutti interminabili ovazioni da stadio.

Orchestra Sinfonica di Milano – Mahler-Festival#1

Ieri sera in Auditorium ha preso il via il tanto atteso Mahler Festival. Un’impresa non da poco, un record per l’Italia: tutta la produzione di Mahler interpretata, oltre che dall’Orchestra di casa, anche dalle principali Orchestre italiane.

Ogni concerto è preceduto da un’introduzione di Gaston Fournier-Facio, che ieri ha anche presentato il nuovo libro (di cui è curatore) uscito proprio per festeggiare questo avvenimento unico in Italia: opera cui hanno collaborato con speciali contributi i principali musicologi italiani (16 studiosi - viventi e non - che hanno al loro attivo almeno un volume dedicato a Mahler, più Riccardo Chailly che oggi è un’autorità in campo interpretativo, oltre ad aver tenuto la guida de laVerdi per un lustro).    

Prima del concerto la Presidente Ambra Redaelli ha sottolineato l’importanza dell’iniziativa (fortemente voluta e realizzata dal Direttore Generale e Artistico Ruben Jais per festeggiare i 30 anni dell’Orchestra e i 25 del Coro Sinfonico) e ha presentato Marina Fistoulari Mahler, nipote del compositore, che ha voluto simbolicamente dedicare il concerto a tutti i bambini vittime di guerre e violenza.

L’onore dell’apertura è spettato al Direttore Residente Andrey Boreyko - coadiuvato da Massimo Fiocchi Malaspina (Direttore del Coro) e dalle due voci di Valentina Farcas (soprano) e Bettina Ranch (mezzosoprano) - che è tornato sul podio per dirigere la Seconda Sinfonia, opera emblematica nella produzione mahleriana come nella vita dell’Orchestra, se è vero che lo stesso compositore usava dirigerla in tutte le occasioni… promozionali e che laVerdi eseguì (con Chailly) nel 1999 ad inaugurare l’Auditorium appena ristrutturato, e poi nel 2022 (con Flor) per festeggiare il ritorno in vita del Teatro Lirico milanese. 

Esecuzione di alto livello sotto tutti gli aspetti: la direzione di Boreyko ha appropriatamente sottolineato i caratteri magniloquenti dei due movimenti estremi (Morte-Resurrezione) e quelli più lirici e religiosi dei tre movimenti interni.

Serata davvero emozionante, chiusa dal gran trionfo che il foltissimo pubblico ha tributato a tutti i protagonisti. 

19 ottobre, 2023

Il Grimes di Carsen-Young trionfa – per pochi intimi - alla Scala

La serata di ieri ha visto l’esordio in una Scala purtroppo spopolata (e andando ulteriormente spopolandosi nei due intervalli) del Peter Grimes di Britten in una nuova produzione affidata al celebrato Robert Carsen e alla direzione musicale della navigata australiana Simone Young.

A mo’ di introduzione a questo commento e per una mia personale interpretazione del soggetto dell’opera rimando a queste mie note scritte ormai parecchi anni fa.

Parto dalla prestazione musicale, che definirei di alto livello sotto tutti gli aspetti. La Young ha saputo cavar fuori da questa difficile ma affascinante partitura tutto il meglio, con una direzione vibrante, senza un attimo di caduta di tensione. Direzione coadiuvata da un’orchestra in gran forma, che ha messo in rilievo tutta la brutalità del rapporto fra la folla (strepitoso qui il Coro di Malazzi) e il diverso (un efficace Brandon Jovanovich, che mi ha ricordato più Vickers che Pears…) Ma anche la varietà di atmosfere create dai sei Interludi, dove protagonista è la Natura, caratterizzati ora da grande lirismo (la calma del mare) o dalle esplosioni dei fenomeni più estremi (burrasche e tempeste).

E poi concertazione fra buca e palcoscenico che non ha avuto sbavature, cogliendo ogni sfumatura delle personalità dei singoli e della cieca propensione all’odio della folla del Borgo. Nicole Car è stata la trionfatrice della serata, una Ellen quasi perfetta nei suoi slanci di comprensione (e di amore?) per il bistrattato e complessato Peter e nei suoi rimproveri al popolo per i suoi pregiudizi e per la sua assurda sete di giustizia (o di vendetta). Memorabili i suoi accorati appelli alla ragionevolezza (Peter); le sue amorevoli cure per il piccolo apprendista; la sua delusione e frustrazione per il precipitare delle cose verso il baratro. Il tutto supportato da una voce calda e penetrante, e da una grande espressività nel portamento.

Brandon Jovanovich è stato un Peter di grande spessore, voce da Heldentenor (magari a Britten non sarebbe piaciuta al 100% – stessa sorte capitò a Vickers) e perfetta immedesimazione nel ruolo di questo corpo estraneo in una società ostile. Carsen ne ha accentuato i tratti più crudi persino dell’espressione del viso, illuminandolo dal basso nelle sue esternazioni più drammatiche.        

Il Balstrode di Ólafur Sigurdarson mi ha un pochino deluso (e qui magari anche Carsen ci ha messo lo zampino): per me eccessivamente cinico e persino venale. E così forse il baritono islandese (ma è una battuta per giustificarlo…) ha voluto esagerare anche in qualche sguaiatezza di troppo nel canto.

Assai centrate ed efficaci le figure delle tre donne che animano il Cinghiale: la navigata Auntie di Margaret Plummer e le due (apparentemente?) svampite nipotine (Katrina Galka e Tineke Van Ingelgem).

Peter Fose è un solido Swallow, giudice dall’atteggiamento autoritario nell’iniziale interrogatorio di Peter, ma anche disposto a difenderlo in occasione del sopralluogo alla baracca del pescatore. Leigh Melrose se la cava assai bene come il furbacchione Keene, che fa favori a tutti (dalla Sedley a Peter) pur di cavarci qualche penny… Come lui anche l’Hobson di William Thomas, l’estremista Boles di Michael Colvin e il Reverendo Adams di Benjamin Hulett.

Onesta prestazione, infine, quella di Natascha Petrinsky, la ricca pettegola, prevenuta e ficcanaso Nabob Sedley. I due rappresentanti del Coro, Eleonora De Prez e Ramin Ghazawi da parte loro hanno diligentemente compitato le lillipuziane parti della Fisherwoman e del Fellow Lawyer (due versi a testa in tutto nel second’atto). Così come vanno segnalati gli altri nove coristi impegnati in piccole parti che emergono dalla folla indistinta.  
Insomma, un cast bene assortito e benissimo supportato dalla buca e dal Coro.
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Carsen ha messo in opera una delle sue migliori regìe: innanzitutto per l’assoluta fedeltà alla lettera (oltre che allo spirito) del testo, sia nella rappresentazione dell’atmosfera generale del soggetto, che nella resa di ogni singolo dettaglio dello stesso. Il suo drammaturgo Ian Burton a sua volta non ha proprio inventato nulla di strano

La scena di Gideon Davey (responsabile anche dei costumi, un poco attualizzati, ma non troppo…) è assai scarna, con una macrostruttura praticamente fissa, che viene poi arricchita di volta in volta da poche suppellettili. Una passerella sopraelevata ne circonda tre dei quattro lati, per accogliere gruppi o singoli personaggi.

Come sempre efficacissime le luci (di Carsen che ne è maestro, coadiuvato qui da Peter vanPraet): addirittura sfacciata la fiaccolata finale con torce abbaglianti puntate verso la sala! Will Duke ha predisposto alcuni video, prevalentemente centrati sul volto straniato di Peter, o su qualche passaggio di nuvole o vaghi riferimenti marini.

Una particolare curiosità riguarda il trattamento dei sei Interludi che costellano l’opera (due per atto). Britten li vorrebbe suonati a sipario chiuso (ci sono dei cambi-scena…) ma Carsen ci mette del suo per animarli. Così Il primo (Alba) che, senza soluzione di continuità con il Prologo, deve introdurre la vita di un nuovo giorno al Borgo, è genialmente supportato da una folla di pescatori e donne che occupano la passerella sospesa, tutti indaffarati a rammendare o sistemare reti da pesca. Il secondo (Tempesta) a metà del primo atto, viene invece animato da coreografie (di Rebecca Howell) che evocano il terrore per la burrasca imminente e poi ci mostrano il cambio-scena fra l’esterno e l’interno del Cinghiale. Il terzo Interludio (Domenica mattina) compare all’inizio dell’atto secondo, dopo l‘intervallo, che già ha consentito di predisporre il cambio di scena (siamo di nuovo all’aperto). Ecco, qui forse Carsen ha voluto strafare (cambierà idea all’inizio dell’atto terzo…) e ci mostra un’appendice del cambio scena, con spostamento di panchine ed altre attività assai prosaiche. Il quarto Interludio (Passacaglia) copre il passaggio dall’esterno all’interno della dimora di Peter. Qui Carsen ci mostra questa trasformazione facendo intervenire pescatori che trainano funi e spostano in avanti la parete di fondo, per creare l’angusto spazio del rifugio nel quale arriveranno Peter e il suo nuovo garzone. All’inizio del terz’atto (il cambio-scena è avvenuto nell’intervallo) l’Interludio (Chiaro di luna) viene invece eseguito (e direi proprio correttamente) a sipario chiuso. L’ultimo Interludio (la nebbia) è assai breve e segue l’assurda caccia che la folla (aizzata dalla Sedley) ha cominciato a dare a Peter, che si vede comparire (accompagnato poi da voci lontane e dal sordo suono della sirena) per dare sfogo a tutta la sua disperazione.  

La scena finale, anziché nella piazza del Borgo, ci riporta al Prologo, e vi vediamo Peter che giura sulla Bibbia, proprio come all’inizio. Qui certo siamo lontani dal libretto originale, ma (forse) Carsen ci vuol dire che, morto un Grimes, se ne fa un altro… (?)
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Successo pieno e applausi per tutti, incondizionatamente. Peggio per chi non c’era… ma ci sono ancora cinque possibilità di riscatto.
 

14 ottobre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.3

Il terzo appuntamento della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano ha un sapore tutto… astronomico! Sul podio un altro Direttore Ospite, l’iberico Jaume Santonja, alla sua quinta apparizione in Auditorium, dove esordì quasi quattro anni orsono.

Il primo dei due brani in programma (apparentati da legami estetici e… spaziali) ci porta in realtà al cinema: trattasi infatti della Suite dalle musiche da film della saga Star Wars, di John Williams.

Lo sterminato panorama musicale che ha accompagnato i diversi episodi della serie spazia da quel 1977 che la vide nascere, per proseguire poi con le successive uscite del 1999, 2002, 2003(TV), 2005, 2008(TV), 2014(TV), 2015, 2016, 2017, 2018(TV), 2019 e 2022(TV). Un ampio collage di musiche della saga (arricchito da… illustri contributi) si può ascoltare in questa performance di John Axelrod al Concertebouw nel 2017. Per chi volesse approfondire l’intricata tessitura di questa gigantesca tela suggerisco un dettagliato studio scaricabile da web.

Nel 1977 l’Autore pubblicò una prima versione della Suite in 3 movimenti, poi arricchita nel 1997 di altri due, che è entrata nel repertorio di molte orchestre ed è così strutturata:

1. Main Title
2. Princess Leia's Theme
3. The Imperial March (ediz. 1997)
4. Yoda’s Theme (ediz. 1997)
5. The Throne Room & End Title

Eccone una recente, eccellente esecuzione al Teatro Massimo di Palermo.

Si sa che Williams si sarebbe ispirato per le musiche di Star Wars anche a Holst e al suo The Planets (vedi sotto), in particolare alla sezione di Mars; e poi anche a Korngold, antesignano della musica da film a Hollywood. A me invece, ascoltando il Main Title, è sempre saltata alla mente un’analogia (non dico un plagio e nemmeno una citazione, ma certo una reminiscenza) nientemeno che di Bruckner (primo tema della Quarta sinfonia)!

La seconda sezione del tema principale (che ritorna un paio di volte) è di ispirazione più lirica:

Per il resto questo primo numero della Suite presenta altri motivi di diverso carattere prevalentemente guerresco.

Il Princess Leia's Theme è tutto incentrato sul meraviglioso motivo esposto inizialmente dal corno solo:

… e poi splendidamente sviluppato da altri strumenti in assolo e dal crescendo del pieno orchestrale, prima di sfumare sul MI sovracuto del primo violino, sul tappeto degli archi e l’arpeggio… dell’arpa.

The Imperial March è interamente pervasa dal pesantissimo, enfatico, minaccioso e martellante motivo principale, più volte reiterato:

Ascoltandola è impossibile non ritrovarci chiare atmosfere mutuate da Mars, il primo numero della Suite di Holst.

Yoda’s Theme presenta un motivo principale (a) assai languido e nobile, esposto inizialmente dai corni e più volte ripreso da altri strumenti e dall’orchestra. L’atmosfera crepuscolare è interrotta una volta dall’irruzione di un motivo (b) più gaio e brillante:

The Throne Room & End Title chiude in bellezza e grandiosità la Suite (come i titoli di coda…).

La fanfara iniziale introduce il marziale motivo principale (a) presentato dalle trombe e reiterato dall’orchestra; segue poi un contrastante e cantabile motivo (b) negli archi, successivamente arricchito da un controsoggetto (b’) nei corni, che porta all’enfatica reiterazione del motivo (b). Il motivo (a) viene ora riproposto con espressione lamentosa dall’oboe, poi raggiunto da corno inglese e flauto, quindi dagli archi. Qui compare una reminiscenza (!) della wagneriana Giustificazione di Brünnhilde… Ancora il motivo (b) e il (b’) tornano in primo piano, dopodichè il Main Title prende il centro della scena. Si va verso la conclusone, con (b’) che rifa’ capolino, e poi ecco la chiusura solenne e bombastica.
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Trascinante l’esecuzione, con le abbaglianti sonorità degli ottoni in particolare evidenza, che il pubblico (pochi ma buoni e soprattutto giovani !) ha apprezzato assai, applaudendo alla fine di ognuna delle cinque parti della Suite. 
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Il secondo brano in programma è appunto The Planets, anche questa una corposa Suite che Gustav Holst compose durante gli anni della Grande Guerra (qui un mio stringato inquadramento dell’opera). In Auditorium la si era sentita più di 12 anni fa con Wayne Marshall.

Ascoltandola subito dopo Star Wars si scoprono molto chiaramente le radici della musica di John Williams!

Un ruolo limitato ma significativo hanno I Giovani di Milano, il coro (ieri la parte femminile) diretto da Maria Teresa Tramontin, che compare (ma fuori scena…) nel conclusivo e mistico Neptune. Ieri le ragazzine con la Maestra erano sistemate nel foyer dell’Auditorium, con una pianola elettronica a supportarle. Alla fine hanno fatto il loro trionfale ingresso in sala, accolte da un grande applauso, poi esteso per parecchi minuti a tutti i protagonisti di questa eccellente esecuzione.
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07 ottobre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.2

Per questo fine settimana l’Orchestra Sinfonica di Milano ci propone un altro appuntamento assolutamente tradizionale,  che vede la Direttrice Principale Ospite Alondra de la Parra sul podio e la rediviva Lilya Zilberstein alla tastiera cimentarsi in Rachmaninov e Brahms. Ieri sera Auditorium non troppo affollato, ma in compenso allietato dalla presenza di frotte di giovani, il che fa sempre piacere (oltre ad abbassare drasticamente il tasso di vetustà del pubblico, me compreso…)

Significativamente il Concerto è stato dedicato alle donne vessate dal regime di Teheran e al Nobel Marges Mohammadi.

Del compositore russo trapiantato all’Ovest viene eseguita la Rapsodia su un tema di Paganini del 1934, con la quale la simpatica Lilya è al terzo appuntamento con laVerdi, avendola già eseguita qui addirittura nel 1999 e poi più di 10 anni fa con Bignamini (fra le altre tante sue interpretazioni del brano ecco quella del 2011 a Torino con la RAI; e qui una mia succinta introduzione al brano).

E anche ieri lei ha confermato la sua affinità elettiva con questa musica, valorizzandone tutte le diverse sfaccettature (non per niente si intitola Rapsodia) nascoste nelle pieghe delle 24 variazioni sul tema. 

Come sua consuetudine, nemmeno gli applausi ritmati l’hanno purtroppo convinta ad offrire un bis   
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Facendo un salto all’indietro di 58 anni, dal tardissimo-romanticismo al classicismo romantico, la seconda parte della serata è occupata dalla… Decima di Beethoven, come l’esagerato Hans von Bülow definì la Prima Sinfonia di Brahms.

Devo dire che l’esecuzione è stata di buon livello, tutti hanno suonato al meglio, ma forse è mancato quel quid che eleva una prestazione più che dignitosa al livello di eccellenza. Con una battuta forse eccessivamente maliziosa potrei dire che il lato migliore della direzione della De La Parra sia stata la scelta, assolutamente appropriata e condivisibile, di non eseguire il da-capo dell’esposizione dell’Allegro iniziale…

Ma il pubblico non ha fatto mancare applausi per tutti: e anch’io, per non essere frainteso, concluderò dicendo che sono comunque uscito dall’Auditorium felice e contento!

01 ottobre, 2023

Le Nozze scaligere: ancora e sempre Strehler


O.T. Ieri sera è iniziata la distribuzione agli abbonati di un ricco volume che ricorda il quarantennale sodalizio del Maestro Chailly con la Scala. Oltre ad una selezione di fotografie di archivio vi compaiono interventi di alcuni musicologi che hanno collaborato o attualmente collaborano con il Teatro (Franco Pulcini, Elisabetta Fava, Elvio Giudici, Giorgio Pestelli, Raffaele Mellace, Angelo Foletto e Andrea Vitalini) preceduti da una prefazione del Sovrintendente Dominique Meyer. Chiude il volume la serie delle 50 locandine di Opere e Concerti diretti fin qui dal Maestro. Un’iniziativa di quelle che solitamente si mettono in atto a distanza di tempo, mentre qui riguarda un personaggio tuttora alla guida musicale del Teatro. Con tutto il rispetto e l‘ammirazione per Chailly, ci trovo francamente un retrogusto di culto della personalità

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È ormai dal lontano 1981 che le Nozze mozartiane si rappresentano in Scala con l’allestimento di Giorgio Strehler, ripreso, come negli ultimi anni (anzi lustri) da Marina Bianchi; unica eccezione, la fugace parentesi del 2016, Wake-WalkerE devo dire che questo è proprio uno di quegli allestimenti che non invecchiano mai ed è giusto quindi che vengano esibiti come si fa con qualunque grande opera d’arte nei musei! E anche in rete si può sempre godere di questo spettacolo (qui1 e qui2).

Questa ripresa impiega un cast abbondantemente confermato rispetto a quello della precedente (2021, Direttore Daniel Harding) nei ruoli di:

Figaro: Luca Micheletti
Cherubino: Svetlina Stoyanova
DonBartolo: Andrea Concetti
DonBasilio: Matteo Falcier
DonCurzio: Paolo Antonio Nevi
Contadinelle: Silvia Spruzzola e Romina Tomasoni.

I nuovi ingressi sono:

Conte: Ildebrando D’Arcangelo, che fu Figaro nel 2002 e 2006 (poi diede forfait nel 2012)
Contessa: Olga Bezsmertna
Susanna: Benedetta Torre
Marcellina: Rachel Frenkel
Barbarina: Mariya Taniguchi
Antonio: Filippo Ravizza 

La Direzione è affidata al 46enne Andrès Orozco-Estrada (uno che ha opportunamente lasciato la città natale, la famigerata Medellin, per trasferirsi nella un po’ meno pericolosa, almeno per ora, Europa) che torna al Piermarini dopo aver diretto un concerto della Filarmonica quasi 7 anni fa. E proprio il Direttore colombiano è stato l’artefice del successo della recita: con il suo gesto secco e nervoso (a volte persino indiavolato) ha tenuto sempre in pugno la situazione, fin dall’Ouverture, senza cali di tensione né inopportune sbracature. E l’Orchestra lo ha perfettamente assecondato, così come il Coro di Giorgio Martano, che pure ha un impegno non proprio sovrumano.

Bene anche tutto il cast, nei singoli componenti e negli insiemi e concertati. A testimonianza di ciò, le arie sono state tutte invariabilmente accolte da applausi a scena aperta, così come il 4 finali d’atto.

Luca Micheletti è stato un Figaro di grande spessore: la sua voce di basso-baritono ha perfettamente vestito la personalità del servitore fedele ma anche dell’innamorato geloso e sospettoso. Da parte sua Ildebrando D’Arcangelo (passato come detto dal ruolo del titolo a quello del Conte) ha messo la sua lunga esperienza e la sua voce sempre integra e profonda al servizio dello spettacolo.

Ben assortita anche la coppia di protagoniste femminili: Benedetta Torre ha prestato la sua bella voce leggera al personaggio della casta Susanna, mentre Olga Bezsmertna è stata una convincente Contessa, unica, patetica vittima, in fondo, di questa folle journée, confermando l’ottima impressione già data nella recente Rusalka.

Assai efficace Svetlina Stoyanova, un Cherubino che (mi) ha ricordato la grande Teresa Berganza, con Abbado nei lontani anni ’70.

Tutti gli altri indistintamente all’altezza dei rispettivi compiti, dai tre Don (Andrea Concetti e poi Matteo Falcier e Paolo Antonio Nevi) alla Marcellina di Rachel Frenkel, all’Antonio di Filippo Ravizza, alla Barbarina di Mariya Taniguchi (che si è distinta nella sua breve cavatina che apre il 4° atto) e infine alle due contadinelle Silvia Spruzzola e Romina Tomasoni.

Per tutti alla fine applausi convinti, che hanno incorniciato una bella serata di musica.

29 settembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Stagione 23-24.1

Dopo il brillante esordio alla Scala, l’Orchestra Sinfonica di Milano è tornata in Auditorium per il 1° Concerto in abbonamento della stagione 23-24. Concerto dai contenuti ultra-tradizionali, interamente dedicato alla Russia, dell’800 e del ‘900. Sul podio torna, dopo il suo debutto di un anno fa, il giovin albionico Joel Sandelson, che ancora deve fare 30 primavere ed è già lanciato nel gran mondo della direzione.

Ma è un ancor più giovane violinista, il 22enne Giuseppe Gibboni (buon sangue non mente…) ad aprire la serata, interpretando il Concerto Op.35 di Ciajkovski. Qui ecco Giuseppe nella primavera del 2021 in una delle ormai tante sue interpretazioni dei questo brano, che pochi mesi dopo suonerà a Genova nella prima giornata del Premio Paganini, da lui poi trionfalmente vinto.

In questo mio vecchio commento potete leggere invece ciò che di questa composizione pensava il purista Eduard Hanslick, che qualche decennio dopo venne preso proprio sul serio dallo… spirito santo del business!

Beh, con buona pace dello schizzinoso critico boemo-viennese, devo dire che dal violino di Gibboni sono usciti solo profluvi di suoni profumatissimi e inebrianti! Ad una tecnica stupefacente il giovane campano unisce una grande sensibilità interpretativa, evidentemente frutto di studio e di scavo della partitura: con impiego sempre appropriato di rubato e di sottili variazioni agogiche e dinamiche (purtroppo queste ultime a volte sopraffatte da eccessi di volume dell’orchestra… ma Sandelson ha ancora due occasioni per rimediare). Insomma, una prestazione veramente da incorniciare. 

Così il trionfo è assicurato, e ripagato con due encore: dapprima il trascendentale Quinto Capriccio dell’Op.1 di Paganini; poi l’Adagio dalla Prima Sonata per violino in SOL minore, BWV1001 di Bach.
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La seconda parte della serata è dedicata alla Quinta di Shostakovich. Qui alcune mie considerazioni sulle circostanze che ne caratterizzarono la composizione e sugli equivoci che essa ha da sempre generato. 

Ad ogni ascolto mi convinco sempre di più che va gustata proprio come pura musica, dimenticando le circostanze extra-musicali che ne caratterizzarono la nascita e pure la fruizione da parte del pubblico. E anche ieri, grazie alla forma strepitosa dell’Orchestra e alla direzione equilibrata di Sandelson (che merita davvero la popolarità che sta conquistando in tutta Europa, dopo la rivelazione in patria) la Sinfonia ci è apparsa in tutta la sua immanenza formale (copyright Adorno sulla Sesta mahleriana) che ne fa, proprio insieme alla Quarta di cui doveva essere… il contraltare, il punto più alto della parabola sinfonica del compositore russo.

Inutile dire del successo pieno dell’esecuzione, con ripetute chiamate, applausi ritmati e ovazioni per tutte le sezioni dell’Orchestra. Si replica oggi e domenica.

14 settembre, 2023

Il Barbiere di Muscato-Pidò con la Scala accademica

O.T. Lissner reintegrato al SanCarlo: ogni tanto l’arroganza-ipocrisia non paga. 

Ieri sera alla Scala penultima delle sei recite del rossiniano Barbiere, la fortunata ed apprezzata produzione del 2021 (epoca di riapertura post-Covid) allestita da Leo Muscato e diretta da Riccardo Chailly, ora trasformata in palestra per gli accademici (o ex-) scaligeri presi per mano dal navigato Evelino Pidò.

Allestimento piacevole e intelligente, del genere teatro-nel-teatro, dove i ruoli-chiave del libretto diventano: Lindoro autore-direttore; Rosina la star dello spettacolo; DonBartolo l’impresario teatrale; Don Basilio maestro di musica e Figaro il suggeritore e jolly di scena. Poi anche i personaggi minori (Berta e Fiorello) hanno le loro brave mansioni più o meno nobili.

L’idea portante di Muscato nasce dalla constatazione che tutti i personaggi sono poco o tanto legati al mondo della musica, il che spiega e giustifica l’ambientazione scelta dal regista e perfettamente supportata dalla scenografa Federica Parolini, coadiuvata da Silvia Aymonino per i costumi e da Alessandro Verazzi alle luci (francamente banalotta invece la scelta di infilare nell’avanspettacolo un bizzarro balletto di maschietti en-travesti, coreografato da Nicole Hehrberger).   

[In realtà sappiamo che il libretto dello Sterbini – ispirato a Beaumarchais – potrebbe benissimo essere interpretato come un chiaro riferimento ai macro-fenomeni storico-sociologico-politici che stavano prendendo forma da qualche decennio ai tempi della composizione della commedia rossiniana. Dove i cinque protagonisti principali e i rispettivi comportamenti potrebbero splendidamente rappresentare nientemeno che le classi della società del tempo e i loro rapporti conflittuali o cooperativi. Così DonBartolo impersonerebbe la nobiltà retriva e parassitaria, tutta intenta a perpetuare i propri privilegi e a considerare la donna come essere inferiore e schiava del potere maschilista; in questo supportata da un clero (DonBasilio) ipocritamente asservito al potere; mentre Almaviva sarebbe l’alfiere di una nobiltà dalle vedute aperte, progressista e ben disposta – per garantirsi un futuro - ad allearsi con l’emergente e rampante borghesia produttiva, splendidamente vestita dei panni di Figaro, l’instancabile factotum. Quanto alla protagonista femminile, Rosina rappresenterebbe la figura della femminista ante-litteram, che testardamente fronteggia la protervia maschilista dei potenti, rifiutandone la facile ma gretta prospettiva esistenziale per privilegiare la disinteressata genuinità dei sentimenti.]

Anche ieri lo spettacolo è stato accolto con grande calore, in un Piermarini abbastanza popolato, ma non certo al tutto-esaurito come proclamava il sito internet, da un pubblico che ha accomunato tutti i protagonisti in un chiaro apprezzamento. Un trionfo meritato, che testimonia dell’efficacia della politica del Teatro volta a promuovere la sua fucina di artisti: l’Orchestra innanzitutto, che ha risposto in modo convincente alle sollecitazioni di Pidò; poi il coro (maschile) di Salvo Sgrò e infine le voci degli accademici (Huanhung Livio Li, Giuseppe De Luca e Greta Doveri).

Personalmente mi associo agli elogi, il che non significa dare a tutti lo stesso voto (il famoso 18-politico di buona memoria) ma mi limito a citare per tutti la mascotte Greta Doveri, che mi ha impressionato – in particolare nella sua arietta Il vecchiotto cerca moglie - per la bella voce dal timbro morbido e vellutato che penso la porterà lontano.

In definitiva, una simpatica e godibilissima serata… chi può ha ancora una chance di godersela il 18!  

11 settembre, 2023

Orchestra Sinfonica di Milano – Trionfale apertura di stagione 23-24 alla Scala

Come ormai da lunga tradizione, l’Orchestra Sinfonica di Milano è stata ospite alla Scala – non proprio al completo… - per l’inaugurazione della nuova stagione 23-24, che ricorre nel 30° anniversario dalla nascita de laVerdi, come ancora i suoi simpatizzanti continuano a chiamarla. La Presidente della Fondazione, Ambra Redaelli, e il Direttore generale-musicale Ruben Jais hanno significativamente deciso di dedicare il concerto alla memoria del giovane cornista Giovanbattista Cutolo, barbaramente ammazzato pochi giorni orsono a Napoli.

È stato il Direttore in Residenza - Andrey Boreyko - a salire sul podio per il secondo anno consecutivo, presentando un programma assai impegnativo, che affiancava uno degli ultimi lavori di Gustav Mahler alla più rivoluzionaria delle Sinfonie beethoveniane.

Programma aperto con una (mezza) novità: Das Lied von der Erde interpretato da due voci maschili, contrariamente alla tradizione (e in parte anche alle preferenze dell’Autore) che alterna al tenore (canti 1-3-5) il contralto (2-4-6) e non il baritono. Ma devo dire che la coppia formata da Tuomas Katajala e Georg Nigl ha brillantemente superato la prova. Katajala lo avevamo apprezzato in Auditorium lo scorso dicembre in Parsifal e recentemente come protagonista di Oedipus Rex di Stravinski; Nigl lo ricordo alla Scala quando era giovanissimo e interpretò con successo Wozzeck nel 2008 con Gatti e Orfeo nel 2009 con Alessandrini.

Pienamente meritati quindi i lunghi applausi e le diverse chiamate, così come da elogiare è l’Orchestra che Boreyko ha guidato con grande sensibilità e minuzioso scavo nei dettagli di questa partitura tanto complessa quanto affascinante.

Poi chiusura alla grandissima con la Quinta per antonomasia, accolta con un uragano di ovazioni e applausi ritmati. Insomma, un eccellente e promettente inizio di stagione!