affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

02 giugno, 2023

A 122 anni suonati Rusalka emerge alla Scala

Della serie: non è mai troppo tardi, ecco in arrivo alla Scala Rusalka di Antonín Dvořák, opera nata all’inizio dello scorso secolo (la prima ebbe luogo a Praga, domenica 31 marzo, 1901).

Rusalka è una delle rappresentanti di creature femminili semi- o ultra- o para-umane: arriva da noi in coda ad una lunga dinastia che – per non retrocedere fino all’antica Grecia - pare iniziare in Europa con la medievale Melusine (quella che musicherà Mendelssohn…) alla quale si ispirarono poi, nella prima metà dell’800, la Undine di De la Motte e Den lille Havfrue (la Sirenetta) di Andersen.

Ma anche le Figlie del Reno di wagneriana memoria discendono da lì (le loro evoluzioni nel Rheingold sono musicalmente parenti di quelle di Mendelssohn). E a proposito di Reno, che dire poi della Loreley messa in musica da Catalani.

Dietro a tutte le storie di questa lunga serie ovviamente si nascondono (più o meno) simbolismi di varie fatte, e Rusalka non ne è certo sfornita. Nel libretto di Jaroslav Kvapil troviamo due mondi che sembrano inconciliabili (e qui l’odierno assetto del nostro Pianeta e i problemi e contrasti che vi nascono possono essere impiegati dal regista per dare attualizzazione al soggetto): quello della Natura incontaminata (boschi, laghi e creature che li abitano) e quello della società umana, i cui rappresentanti portano valori quasi esclusivamente negativi. Più il personaggio di Ježibaba, la strega, un rifiuto della società da cui vive separata e temuta. Al di sopra, lontana ma sempre presente, la luna, che esercita sotto varie forme la sua perenne attrazione.

Dvořák impiega i collaudati strumenti del tardo-romanticismo per evidenziare – alle nostre orecchie – i due mondi che si contrappongono: melodie sognanti ed elegiache per la Natura, musica secolare e melodrammatica quella del mondo degli umani. 

I personaggi principali sono cinque: oltre alla protagonista Rusalka (indecifrabile creatura acquatica) abbiamo Vodník, che come lascia intuire la radice del nome (Voda=Acqua) è il Signore delle acque, nonché genitore (qualunque cosa significhi, nella fattispecie) di Rusalka e custode della purezza di ciò che vive nelle liquide profondità (Traulich und treu ist's nur in der Tiefe, cantano le wagneriane abitatrici del Reno); poi il Principe, classico esempio di figlio-di-papà, viziato, incostante e inconsistente, che trascinerà Rusalka alla perdizione, perdendo se stesso; quindi la Principessa straniera, che impersona la superbia e la presunzione di una che pensa che tutto le sia dovuto; e infine la strega Ježibaba, onnipotente nell’esaudire i desideri più improbabili, quanto nel porre ai beneficiari micidiali e quasi impossibili condizioni da rispettare, pena la totale perdizione.

Attorno a loro si muovono poi ninfe abitatrici del bosco, le sorelle di Rusalka e caratteri umani più o meno prosaici, se non insignificanti (invitati alla festa, cacciatore, guardia forestale e sguattero). 

Prima di passare ad una sommaria esegesi, ecco i riferimenti ad esecuzioni integrali rintracciabili in web:

1961: Chalabala-Šubrtová, Teatro Nazionale Praga (solo audio)

1986: Elder-Hannan, English National Opera

1996: Belohavek-Jenisova, Teatro Nazionale Praga 

2002: Conlon-Fleming, Opéra National de Paris

2008: WelserMöst-Nylund, Cleveland

2011: Anguélov-Strid, Teatro de Bellas Artes, Mexico

2017: Elder-Opolais, MET (solo audio)

2019: Ticciati-Matthews, Glyndebourne
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Il breve Preludio inizia in DO minore, con una veloce figurazione dei celli, sostenuti dai timpani, che introduce un languido motivo di violini e legni (motivo che, portato in modo maggiore, riudiremo più di una volta nel seguito, soprattutto associato a Rusalka):
Anche qui la tonalità vira presto al MIb maggiore che evoca tradizionalmente la Natura, con i corni che classicamente rappresentano le voci del bosco. Verso la conclusione fa la sua comparsa una figura di 4 note cromaticamente ascendenti, nei legni, che capiremo evocare l’acqua e il suo Signore:

Il primo dei tre atti dell’opera (di struttura tripartita, pur senza soluzione di continuità) si apre con una scenetta che ricorda l’inizio del Rheingold, ma totalmente depurata di ogni carattere drammatico: mentre la luna riflette la sua luce sulla superficie del lago, ecco le (tre!) ninfe del bosco esibirsi in canti e balli (Zvědavě se hloubku dívá, LA maggiore):

Incuriosito, ecco Vodník emergere con il busto dall’acqua e cercare, con modi bonari e goffe movenze, di acchiappare ora l’una ora l’altra delle ninfe che gli sfuggono divertite, dopo averlo innocentemente adescato.

Un lungo arpeggio ci annuncia la presenza di Rusalka, che è fuori dall’acqua (e questo è già indice della sua attitudine ribelle) e confessa al padre (in orchestra si ode il languido tema di apertura del Preludio) il suo desiderio di abbandonare il suo habitat naturale per assumere fattezze umane e soprattutto avere un’anima, che gli umani conservano anche dopo la morte, nell’aldilà. Vodník ne è colpito, avverte la figlia che avere un’anima è un peccato (filosofia di Anassimandro…) 

Lei ora fa la sua confessione (Sem často přichází, in FA maggiore):

Racconta di provare amore per un essere umano (il Principe che lei vede – e… avvolge - ogni giorno, quando lui si bagna nel lago) al che il padre si dispera per l’imminente perdita di una figlia, ma allo stesso tempo non si oppone alla sua volontà, anzi è lui stesso a suggerire a Rusalka di rivolgersi alla strega perché la aiuti ad esaudire il suo desiderio.

Měsíčku ne nebi hlubokém, l’aria (o romanza, o ballata, o canzone, come la si voglia definire, in SOLb maggiore, 3/8) più famosa dell’opera è la preghiera che Rusalka rivolge al chiaro di luna, implorando di poter essere vista e amata dal Principe:

Al termine delle due strofe fa capolino la figurazione cromatica udita nel Preludio, a ricordarci che è l’acqua che alla fine si riprenderà la sfortunata ondina.

Che adesso, mentre il padre ancora si dispera, chiama la strega, che appare sulla soglia della sua stamberga. In questa seconda parte dell’atto facciamo la conoscenza di Ježibaba, che rappresenta più o meno l’anello di congiunzione fra il naturale e il soprannaturale: lei è umana ma conosce segreti ignoti agli umani e sfrutta queste conoscenze per accontentare (e ricattare!) chiunque le si rivolga per ottenere da lei ciò che non può procurarsi con le proprie capacità.

Rusalka, preceduta dal motivo di apertura del preludio, le spiega la sua condizione, il suo insopprimibile desiderio e la fiducia che lei nutre nei suoi poteri magici (Staletá moudrost tvá všechno ví, FA# minore e relativa LA maggiore):

Ma anche per Rusalka – che pure umana non è, ma chiede di diventarlo - non fa eccezioni o favoritismi: se proprio ci tiene, potrà diventare umana e soddisfare così quei desideri (anima e/o eros?) che le sono negati dalla sua condizione. Ma, attenzione, in cambio dovrà accettare clausole contrattuali assai pesanti: oltre a cedere alla strega il suo abito di ondina (un sistema che Ježibaba evidentemente impiega per arricchire il suo patrimonio di conoscenze e prerogative) Rusalka dovrà rassegnarsi a perdere la sua voce (curiosa assurdità: un essere acquatico che non dovrebbe proprio averla per natura!) ma soprattutto ad essere punita con il ritorno alle liquide profondità nel caso in cui la sua storia d’amore finisca male; e finirebbe male anche per il suo innamorato, destinato a morte certa! 

Rusalka si dice pronta a tutto, così la strega prepara la sua infernale pozione (Čury mury fuk, SI minore) elencandone i magici ingredienti:

Poi ingiunge all'ondina di bersi d’un sol fiato tutta la brodaglia, mentre dalle profondità del lago salgono i lamenti di Vodnik per la perdita della figlia…

Eccoci quindi alla terza e conclusiva sezione dell’Atto I: è ormai mattino ed arrivano i cacciatori (uno canta anche pochi versi, in due riprese) che precedono il loro Principe. Il quale, già in preda a suggestioni fiabesche, li congeda per rimanere da solo ad aspettare… Rusalka, che guarda caso in quel momento esce – ormai umanizzata, ma pure muta – dalla dimora della strega. L’innamoramento è ovviamente a prima vista, ma ad una sola voce (Vidino divná, přesladká, in RE maggiore) preceduta dal dolce motivo che aveva aperto il Preludio: 

È una classica aria da tenore lirico ma, come per l’aria alla luna di Rusalka, anche qui, fra le due strofe, si fa risentire il motivo acquatico, freddo presentimento per ciò che accadrà nel seguito. Mentre le sorelle si chiedono addolorate dove se ne andrà e il padre risponde che vagherà per monti, prati e valli, la muta Rusalka è accompagnata verso il castello dal Principe, che chiude l’atto con un’ultima aria (Vím že jsi kouzlo, in LAb maggiore) che riprende anche un passaggio del Preludio:

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L’Atto secondo comprende quattro sezioni, separate da un ballo. Siamo nei pressi del castello del Principe e la guardia forestale si intrattiene con un giovane sguattero che lo ragguaglia di ciò che sta per accadere quella sera: il Principe dà una festa per annunciare il suo matrimonio con una creatura misteriosa, di cui si è innamorato. Questo gradevole siparietto – dove fa capolino una citazione, forse non involontaria dato il contesto, del Finale della Renana - dà modo a baritono e soprano-en-travesti di godere di uno dei due momenti di gloria a loro riservati.

La seconda scena ci porta dentro al castello, dove troviamo il Principe che cerca di riscaldare la fredda e muta Rusalka. Mirabile l’introduzione orchestrale alla sua aria in LAb maggiore (Již týden dliš mi poboku):

E questa lunga aria la riprende e la amplia:

Il Principe manifesta con passione e trasporto il suo stato d’animo combattuto fra il desiderio di Rusalka e le perplessità sollevate dal comportamento della giovane, sempre muta e apparentemente fredda. Si lamenta di non poter penetrare i suoi segreti e si domanda se il matrimonio porterà loro la completa felicità…  

Arriva la Principessa straniera, furiosa alla vista del Principe con Rusalka: dapprima sovrappone le sue imprecazioni all’ultima implorazione del Principe all'ondina, poi si intromette sfacciatamente fra i due, accusando il Principe di inosservanza dei suoi doveri. E il Principe mostra tutta l’inconsistenza e l’incostanza dei suoi sentimenti con un’esternazione in LA minore (Leč oči její říci zapomněly):

…con la quale si scusa con la trionfante Principessa per poi, dopo aver ingiunto a Rusalka di ritirarsi, cominciare addirittura a corteggiarla!   

Un delizioso interludio orchestrale, che riprende il motivo di apertura del Preludio, sottolinea la tristezza di Rusalka, ormai rassegnata a perdere il Principe, che vede allontanarsi al braccio della nuova arrivata. La luna torna ad affacciarsi, mentre si odono la prime note della festa danzante che sta per cominciare.

Dato l’ambiente, la festa non può aprirsi che con una polacca in MIb maggiore (in effetti richiama vagamente quella ciajkovskiana dell’Onegin):

La musica della danza ha una struttura a Rondo: Polacca – Prima danza – Polacca – Seconda danza – Polacca – Coda, con le due danze che tendenzialmente modulano alla sottodominante LAb maggiore.

Ma improvvisamente (preceduto dal motivo cromatico dell’acqua) appare Vodnik, arrivando dal lago, che ancora non si dà pace per la sorte della figlia, di cui intuisce il dramma. E lo fa con un’accorata aria bipartita (Celý svět nedá ti, nedá) che principia in MI minore per poi sfociare in una stupefacente coda in REb maggiore:

Vodnik chiude la sua aria con un nuovo, disperato rimpianto per l’errore commesso dalla figlia, mentre il coro degli invitati canta (Květiny bílé po cestě) i suoi voti augurali per gli sposi (Lohengrin…) È una graziosa melodia in SI maggiore, al termine della quale ancora Vodnik sovrappone la sua voce - ma con lunghezze di note più ampie - a quelle del coro che riprende la melodia nuziale: è il suo accorato vaticinio (Na vodách bílý leknín sní) per la sorte che attende la figlia:

 

Un drammatico sfogo dell’orchestra introduce l’incontro del padre con la figlia che – riacquistata miracolosamente la voce - gli confessa tutta la sua delusione e l’amarezza per l’avventura umana che - purtroppo per lei, e a causa della sua natura non-umana - sta prendendo una brutta piega. Il motivo introduttivo del Preludio anticipa l'aria Ó marno, marno, marno il suo amaro sfogo, espresso con un agitato passaggio in SOL minore:

Poi, mentre si odono le salite cromatiche che ricordano l’acqua, con una straziante invocazione, implora il padre di aiutarla ad uscire da quella insopportabile situazione.

Tornano il Principe e la Principessa per la scena madre che chiude l’atto: in un melodrammatico duetto fatto di botte-e-risposte lei constata il cambiamento di atteggiamento del Principe nei suoi confronti, lui le esterna tutto il suo amore, nemmeno sa come spiegare, se non definendolo un capriccio, il suo improvviso cambio di atteggiamento nei confronti di Rusalka. A questo punto lei lo mette perfidamente alla prova con un passaggio in LA minore (Až požár můj vás popálí) che poi sfocia in un romantico e ammaliante LA maggiore (Až obejmou vás lokty slíčné):

Lui ormai ha ceduto e le dichiara di voler dimenticare Rusalka per lei, così cantano a due voci (per la prima volta) la loro passione, stringendosi in un abbraccio appassionato. Ma Rusalka irrompe sulla scena, frapponendosi tra i due; ed anche Vodnik interviene, manifestando il suo disprezzo per il Principe fedifrago, che supplica la Principessa di aiutarlo ad uscire da questo lacerante dilemma.

Per tutta risposta, la Principessa lo pianta in asso, mandandolo proprio all’inferno, giù negli abissi, insieme alla creatura dalla quale si era fatto ammaliare (V hlubinu pekla bezejmennou):

12 battute orchestrali chiudono precipitosamente l’atto, con un finale FA# all’unisono.
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L’Introduzione all’Atto terzo ci riporta alla scena con la quale l’opera si era aperta: le rive del lago, la notte incombente, l'immancabile presenza della luna. Ma accanto alle dolci sonorità della Natura compaiono passaggi assai concitati: è Rusalka, palesemente sfiorita, che non si dà pace per essersi cacciata in quest’avventura che l’ha gettata in un vicolo cieco: non può più vivere tra gli umani né tornare alla sua vita pre-umana. Lo canta con una lunga e appassionata aria In FA maggiore ma con diverse modulazioni (Mladosti své pozbavenache accosta a sua volta passaggi languidi ad altri che sottolineano il suo strazio e il desiderio di morte:

È la strega Ježibaba che, dopo averla irrisa per il fallimento della sua velleitaria iniziativa, ne raccoglie il pentimento e le promette di risolvere i suoi problemi a patto che lei uccida – le porge un coltello – quell’uomo che l’ha tradita (Lidskou krví musíš smýti, in SI minore):

È la stessa natura umana che reclama sangue! proclama la strega.

Rusalka rifiuta inorridita quell’oscena proposta, così, mentre la strega rincara la dose su di lei, liquidandola come una totale nullità e se ne torna a casa sua, lei, accompagnandosi con la languida melodia che aveva aperto il Preludio, canta la sua rassegnazione (Vyrvána životu) invocando infine su di sé anche la maledizione:

Maledizione che puntualmente le arriva dalle sorelle che intonano, dapprima a cappella, un coro (Odešla jsi do světa) apparentemente sereno:

Ma le parole delle ondine suonano come inappellabile condanna: Rusalka non potrà più trovar posto fra loro, dopo il peccato commesso con il desiderio di umanizzarsi.

Un secondo siparietto – dopo quello dell’inizio del second’atto – vede ora tornare in scena la guardia forestale e lo sguattero, piuttosto recalcitrante a sbrigare l’incarico avuto dalla badante del principe: chiedere alla strega consigli su come guarire la malattia psicologica del protetto, vittima delle arti magiche di Rusalka.

Ma mentre il ragazzo porta tutto tremante la sua ambasciata alla strega, Vodnik emerge dalle acque per difendere la figlia, vittima del tradimento del Principe, e mette in fuga lui e la guardia, mentre la strega se ne va sghignazzando selvaggiamente.

Tornano ora le tre ninfe del bosco, ciascuna vantando immodestamente le proprie prerogative di bellezza e, come all’inizio dell’opera, cominciando ad adulare Vodnik. Ma lui le ragguaglia sulla tragica vicenda di Rusalka, al che le tre fuggono spaventate e addolorate.

Siamo finalmente all’epilogo: il Principe arriva sul posto, alla ricerca spasmodica di Rusalka (Ode dne ke dni touhou štván, in FA minore, agitato):

Poi ancora, mentre l’orchestra ricrea un’atmosfera idilliaca, appassionatamente la invoca, facendo appello alle voci della foresta, fino a stramazzare esausto. E proprio allora, preceduta da dolci arpeggi e poi accompagnata dall’incantevole motivo che aveva aperto il Preludio, Rusalka gli appare dinanzi.  

Il principe la guarda stupito e interdetto, le chiede se sia viva o morta; lei gli risponde che è divenuta uno spirito maledetto, che ormai potrà solo recargli la morte (Živa ni mrtva, žena ni víla):

Lui continua a chiederle perdono per il suo comportamento e ad implorarla di tornare con lui. Con la tonalità che modula ad un dolcissimo quanto rassegnato MI maggiore, lei rimpiange i brevi momenti del loro primo incontro, ma gli conferma che ciò comporterebbe per lui la perdita della vita (Proč volal jsi mne v náruč svou):

Il canto di Rusalka si chiude sul DO# minore, enarmonicamente trasportato in REb maggiore, nella quale tonalità il Principe decide comunque di abbandonarsi al suo bacio (Líbej mne, líbej, mír mi přej):

Ancora un ultimo scambio di battute fra i due, sempre in REb maggiore: lei che rinnova l’annuncio della tragica fine per lui, che invece la invoca, pur di morire avvolto dal suo abbraccio e dai suoi baci (Všechno chci ti, všechno chci ti dát):

Una nuova enarmonia ci porta a DO# minore: è Vodnik che, dal profondo, su un motivo di marcia funebre dell’orchestra, manifesta il suo rammarico e la sua disperazione per l’irreparabilità di ciò che è accaduto.

Rusalka, prima di immergersi per l’eternità, e mentre si torna a REb, chiede misericordia a Dio per il Principe (Za tvou lásku, za tu krásu tvou):

Seguono dieci battute di Grandioso, appassionato, e infine tre sull’accordo perfetto di REb maggiore (un simbolo anche questo!) chiudono l‘opera in Adagio, pianissimo. 
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Bene, martedi 6 giugno staremo a vedere e sentire. Qualche settimana fa è comparsa sul NYT un’interessante anticipazione di questa produzione, con commenti e interviste alla Dante e al Maestro Hanus. In particolare la regista ha anticipato il suo Konzept (come dicono i crucchi) incentrato sulle tematiche di grande attualità: flussi migratori, problemi di integrazione (o di sostituzione etnica???) e fenomeni di intolleranza.

Vanessa Sannino ha da parte sua anticipato bozzetti dei costumi dei principali personaggi:

Sul fronte musicale, Hanus e Bezsmertna hanno già sufficiente esperienza di quest’opera, ergo ci dovremmo aspettare uno spettacolo di buon livello.

26 maggio, 2023

laVerdi 22-23. 31

Ritorna in Auditorium la Direttrice Principale Ospite Alondra de la Parra per il penultimo concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano, caratterizzato dalla classica impaginazione tripartita.

La serata si è aperta con una nuovissima composizione: il brano vincitore del Concorso per giovani compositrici "Franchina Cervetti (moglie di Gianni, Presidente emerito della Fondazione, scomparsa due anni orsono). Brano che si intitola Through the Time ed è opera della fiorentina Myriam Bizzarri, 29 ancora da compiere.

Così lei stessa ci descrive la sua opera:

La costruzione del brano segue la struttura classica della forma-sonata: due temi ognuno con il proprio sviluppo. Per i due temi ho voluto portare avanti stili e sonorità differenti, che prendono spunto e ispirazione dalle tecniche compositive della prima metà del XX secolo. In questa prospettiva e volontà, il secondo tema si sviluppa su una serie dodecafonica.

Anche dal punto di vista dell’orchestrazione ho voluto colorare in maniera differente le varie regioni del brano, per dare un proprio carattere ai vari disegni e temi che si susseguono e ripetono modulando e trasformandosi nel corso del brano.

Through the Time quindi si rifà sia allo scorrere del tempo, essendo il brano un susseguirsi di idee musicali, a tratti veloce e quasi nervoso e a tratti più disteso e lirico, e al tempo stesso un “viaggio nel tempo” alla scoperta di tecniche e suoni del passato.

Beh, devo dire che la simpatica Myriam, lunga coda di capelli corvini, si è proprio meritata il Premio assegnatole da Jais, Colasanti e Melchiorre (la commissione giudicatrice): la sua è un’opera che si rifà a modelli di inizio secolo scorso, ma in modo intelligente ed originale. Resta in particolare ben impresso nella mente dell’ascoltatore il tema che occupa gran parte del brano con varie mutazioni di altezza e di ritmo, un tema ben scolpito, di 5 note, tre discendenti, un’impennata e ancora un appoggio discendente. Gli applausi convinti del pubblico certo sproneranno la giovane compositrice a continuare su questa strada appena imboccata, ma già ricca di promesse.    
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Ecco poi le Variazioni su un tema rococò di Ciajkovski, nella classica, più conosciuta ed eseguita versione predisposta dal dedicatario Wilhelm Fitzenhagen (qui alcune mie note sulla composizione e sulle differenze strutturali fra questa e la versione originale di Ciajkovski). Ad interpretarle la 36enne Marie-Elisabeth Hecker, che viene dalla città che diede i natali a Schumann ed è moglie del pianista Martin Helmchen che già fu ospite qui nel lontano 2010.

Grande tecnica e altrettanta sensibilità interpretativa, quelle sfoggiate dalla Hecker. Mi sento di muovere un appunto all’accompagnamento orchestrale: in alcuni passaggi, il violoncello è accompagnato dagli strumentini, in particolare oboe e flauto, e purtroppo il suono penetrante di questi legni ha coperto quello più morbido della solista.

Alla quale non sono comunque mancati gli applausi calorosi dell’Auditorium… non ricambiati da bis.
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Ha chiuso in bellezza la serata la Sinfonia n. 8 in Sol maggiore di Antonin Dvořàk (i cui contenuti ho commentato in occasione dell’ultima apparizione in Auditorium, pochi anni orsono). Qui la De La Parra ha dato prova della sua maturità, dal gesto sempre essenziale e preciso, alla tenuta di tempi e dinamiche. Particolare menzione per il pacchetto dei celli (guidato da Grigolato) per la nobiltà dell’esposizione del tema del Finale.

Ma tutti si son fatti onore e il non strabordante pubblico dell’Auditorium li ha ripagati con calore e affetto.

19 maggio, 2023

Chailly e l’enorme Ottava di Mahler

Questa sera la Scala ha ospitato la seconda delle tre serate dedicate alla cosiddetta Sinfonia dei Mille di Gustav Mahler: sul podio della Filarmonica il Direttore musicale, oggi autentica autorità in merito a questo tipo di repertorio (non è un caso che l’ultima comparsa dell’Ottava a Milano, nell’ottobre di quasi 10 anni fa con laVerdi, ebbe proprio lui da protagonista).

Nell’occasione di questi concerti è stata anche inaugurata una nuova scatola sonora (pannelli che racchiudono lati e fondo del palco) che ha consentito di spostare ancor più verso il fondo-scena il coro, garantendo quindi il minimo sindacale di spazio per l’enorme compagine strumentale-corale reclamata da questa sesquipedale partitura. In effetti il colpo d’occhio dei cori su una specie di gradinata da stadio era impressionante, e a proposito di cori, a quelli della Scala (principale, diretto da Malazzi, e Voci bianche di Casoni) si è aggiunto quello della Fenice, diretto da Alfonso Caiani.

E i cori sono stati i grandi protagonisti della serata, che invece mi è parsa di livello non eccelso nei solisti, escluso il grande Volle: Merbeth e Pastirchak (arrivate come Volle quasi all’ultimo momento) appena sufficienti, Vogt le note le canta tutte benissimo, ma la voce è adatta a Marianus come a Siegfried (!?!) 

Orchestra sui suoi standard (qualche svirgolata di trombette & C è perdonabile, in tanto mare).

Successo calorosissimo per tutti, e sacrosanto, chè il solo affrontare e domare questo mostro merita incondizionato elogio.

laVerdi 22-23. 30

È Tito Ceccherini a fare ritorno sul podio dell’Auditorium per il terzultimo concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano, co-prodotto con Milano Musica 2023.

E proprio in omaggio ai principi fondativi della rassegna creata in origine da Luciana Pestalozza (sorella di Claudio Abbado) il primo brano in programma è la prima esecuzione della nuova edizione critica di una partitura di Bruno Maderna: Ausstrahlung per voce femminile, flauto e oboe obbligati, grande orchestra e nastro magnetico, su testi sacri e poetici persiani e indiani. I protagonisti sono Monica Bacelli, in veste di recitante poliglotta, oltre che di cantante, e poi Luca Stocco agli oboi (anche musette, corno inglese e oboe d’amore) e Nicolò Manachino ai flauti (anche contralto e basso). Completa il cast l’addetto ai nastri magnetici e alla regìa del suono, Massimo Colombo.

Originariamente composto nel 1971 ed eseguito per la prima volta a Persepoli (per il 2500° anniversario della morte di Ciro il Grande) il lavoro (qui l’unica registrazione oggi disponibile in rete) rimase in uno stato di relativa incompiutezza, poiché la morte prematura impedì all’Autore di apportarvi le ultime finiture: da qui l’importanza della nuova edizione critica, curata per Casa Ricordi da due studiosi: Angela Ida De Benedictis (Responsabile scientifico della Fondazione Sacher, dove sono custoditi tutti i manoscritti di Maderna) e Marco Mazzolini (General Manager di Casa Ricordi) intervenuti prima del concerto di ieri – insieme al Direttore Ceccherini - per presentare questa loro edizione.

Al proposito, un interessante articolo della curatrice De Benedictis ci aiuta a comprendere le particolari caratteristiche di quest’opera, che rappresenta una vera e propria summa di tutti i procedimenti compositivi che erano maturati dagli anni di Darmstadt in poi: ci troviamo porzioni in notazione classica e determinata, altre lasciate all’aleatorietà, altre costituite da minuscoli frammenti che gli interpreti (Direttore e solisti) possono organizzare secondo la loro sensibilità… La presenza dei nastri magnetici (4 Tapes) preregistrati, depositati presso l’Editore che li rende disponibili per le esecuzioni, evidentemente condiziona un poco le esecuzioni medesime, quanto meno dal punto di vista dei tempi, dato che quando i nastri sono in azione (un totale di 14’23” esatti su circa 32’ totali di esecuzione) sono gli interpreti a dover sincronizzarsi con i nastri, essendo piuttosto difficile (salvo stop-start del regista del suono) che siano i nastri a seguire l’esecuzione dal vivo…

Il brano si articola in sette componenti, che incarnano altrettante irradiazioni (Ausstrahlungen) di suoni degli strumenti (solisti e orchestra); in soli due casi (2 e 5) è presente anche la voce solista. Non esiste peraltro una loro sequenza predeterminata, essi possono scomporsi, intersecarsi ed essere disposti secondo un libero approccio esecutivo. Lo stesso Autore ha proposto alcuni Piani esecutivi (che propongono la sequenza di interventi di orchestra, solisti, voce e nastro registrato) uno dei quali fu impiegato per la prima di Persepoli.

In Appendice ho posto una succinta guida all’ascolto dell’opera seguendo la citata registrazione (i testi sono riportati dal citato articolo della curatrice) che riprende nella sostanza la struttura della prima esecuzione di Persepoli diretta dall’Autore.

La proposta di Ceccherini non si discosta macroscopicamente dall’impostazione originaria (il piano esecutivo) di Maderna. Difficile dire invece, di primo acchito, quali e quante libertà, fra quelle comunque previste dall’Autore, Il Direttore e gli interpreti si siano prese. Personalmente ho notato un certo squilibrio nelle dinamiche fra i due solisti, l’orchestra e la voce della Bacelli, che arrivava benissimo nelle parti cantate (e ci mancherebbe) mentre in quelle declamate e soprattutto recitate era spesso travolta dai suoni, pur essendo dotata di amplificazione. Ma credo che la cosa sia perdonabile in una circostanza come questa.

In ogni caso il pubblico, diciamo… selezionato, ha tributato lunghi applausi a tutti.  
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Così come accaduto nello scorso concerto, anche in questo, dopo un'opera moderna, è Richard Strauss a chiudere con il Tondichtung più cerebrale (essendoci di mezzo un tale Nietzschedi tutta la sua produzione: Also sprach Zarathustra.

Sulle mille implicazioni filosofiche che si annidano nella partitura mi sono dilungato tempo addietro e quindi rimando i perditempo a questo scritto. Certo è che solo una conoscenza dettagliata dei temi musicali e delle loro intricatissime relazioni e ricorrenze può farci apprezzare fino in fondo quest’opera davvero geniale.

Viceversa, un ascolto puramente passivo rischia di farcela apparire come bizzarra, frammentaria, cacofonica, con alcuni passaggi entusiasmanti e altri persino noiosi… Ma diamo atto a Ceccherini (un approccio che definirei a tratti quasi espressionista) e ai ragazzi di aver dato il massimo, come il pubblico ha riconosciuto alla fine, con lunghi apprezzamenti per il Direttore e per tutte le prime parti e intere sezioni dell’orchestra.

Insomma, una serata da ricordare. E questa sera… il secondo sbarco dei Mille mahleriani alla Scala!
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Appendice. Ausstrahlung.

L’apertura è affidata al flauto che espone la sua melodia, finchè (21”) la voce solista declama un testo tradotto in inglese da Kavyadarsa del poeta indiano Dandin:

All these three worlds
would have been a dense darkness,
if the light,
called world,
had not shone
from the beginning of the world.

Cominciano ad udirsi sommesse voci in persiano, registrate su nastro (Tape-1). Poi l’orchestra e flauto e oboe musette in primo piano chiudono questa introduzione.

A 3’53” ecco un’esplosione dopo la quale è la voce solista che – intercalata e accompagnata dall’orchestra - recita un lungo testo (tradotto in francese) da Bhagavad Gita di Dandin, tutto imperniato sul tema della guerra e dell’immortalità dell’anima:

Sur le champ les hommes se sont assemblés,
brûlant de combattre.
Debout sur leur grand char de guerre,
attelé à des coursiers blancs,
les puissants archers sont des héros,
prêts à donner leur vie,
tous maîtres dans l’art du combat.
(orchestra)
Aussitôt résonnèrent les conques et les tambours,
les cors et les trompettes
et ce fut un tumulte immense,
qui retentit comme [le] rugissement du lion.
(orchestra)
Profondément ému par la pitié
et plein du douleur, Arjuna dit:
«En voyant dans les rangs mes parents
brûlant de combattre,
mes jambes fléchissent,
et ma bouche se dessèche;
je n’ai pas la force de me tenir debout,
et ma raison se trouble.
Je ne voudrais pas le tuer, même si cela
devait me rendre souverain des trois mondes.
(orchestra)
Les précepteurs, les pères, les fils
et les grand-pères, les oncles, les beaux-pères,
les gendres et tous les parents…..
Si, les armes à la main,
ils allaient me tuer dans la bataille,
moi, je ne veux pas résister».
Ayant ainsi parlé sur le champ de la bataille, Arjuna,
le coeur percé de douleur,
retomba sur le siège de son char
et jeta loin de soi l’arc et la flèche.
(orchestra)
Alors le Seigneur dit:
«D’ou te vient, Arjuna, en cette heure de danger
ce honteux découragement
indigne d’un Aryen?
Celui qui croit qu’il peut tuer et
celui qui croit qu’il peut être tué,
tout les deux sont ignorants.
Il ne peut ni tuer, ni être tué.
Il ne naît, ni ne meurt.
(orchestra)
Ayant été, il ne peut plus cesser d’être.
Non-né, permanent, éternel, ancien,
il n’est pas détruit
quand le corps est tué.
Les armes ne peuvent le percer,
ni le feu le brûler,
ni les eaux le mouiller,
ni le vent le sécher!
(orchestra)
Celui qui habite le corps
est toujours invulnérable.
Tu ne dois donc t’affliger pour aucune [des] créatures.
Tu ne dois pas trembler, Arjuna:
en vérité, pour un Aryen il n’y a rien
de plus désirable qu’un juste combat».

A 9’00” ecco un nuovo passaggio declamato e cantato in inglese, traduzione di due strofe dell’indiano Atharva Veda:

Power art thou, give me power!
Might art thou, give me might!
Strenght art thou, give me strenght!
Life art thou, give me life!
Eyes art thou, give me eyes!
Ears art thou, give me hearing!
Shield art thou, shield me well!
 
May I have voice in my mouth,
breath in my nostrils.
Sight in my eyes, Hearing in my ears,
hair always shining young
and much strength in my arms!

A 10’31” viene recitato un passaggio del persiano Umar Khayyām, tradotto in italiano:

O cuore, fingi d’avere tutte le cose del mondo,
fingi che tutto ti sia giardino delizioso di verde.
E tu, anima mia, su quell’erba verde
fingi d’esser rugiada gocciata là nella notte
e al sorgere dell’alba, svanita…

A 11’07” torna la lingua inglese, con la declamazione di un nuovo passaggio dell’Atharva Veda:

May I have power in my thighs,
swiftness in my legs,
may all my limbs be uninjured
and my soul unimpaired!

A 11’42” uno schianto orchestrale introduce una nuova, agitata strofa dal Rig Veda:

Let’s walk together, speak together;
may the purpose be common,
common the assembly, common the mind;
So be our thoughts united.
May our decision be unanimous.

A 12’11” è lo xilofono ad introdurre una sequenza di versi (tradotti in inglese e italiano e recitati, declamati, cantati) di KhayyāmMuslih Sa’di, dell’Atharva Veda e di Nezâmî Aruzî. Voci maschili e femminili arrivano dal nastro (Tape-2):

May we see a hundred years!

 
Sulla mia tomba ad ogni primavera
il vento del nord farà piovere fiori…
 
Son tutti verdi i rami!
 
May we know a hundred years!
 
I peri e gli albicocchi
avevan ricoperto la tomba di fiori…
 
May we assert our existence a hundred years!
 
È fiorito il giardino…
 
Yea, even more than a hundred years!

A 13’50” ancora un declamato (in inglese) da Kavyadarsa, con interventi di voci maschili (prima strofa) e femminili (seconda) registrate (Tape-2):

Glances to the side,
lovely by nature,
announce intense love,
when thrown by loving maidens,
as messengers to
attract lovers.

The mango-tree’s bud
fills my heart with strong
desire for my lover,
as does the cry of the cuckoos
drunken with love.

A 14’29” ancora versi del persiano Abd Rudaghi, cantati in italiano:

Il monte, un altro monte d’argento,
d’oro è il prato
l’acqua ora è lucente
e tenebrosa s’è fatta l’aria.
Tace la colomba,
vuoto è il verziere.
Muto è l’usignolo:
spoglio è il giardino.
Un vento freddo
come sospiro d’amanti all’alba.

A 18’50” si odono voci registrate (in persiano, Tape-3) e poi la voce solista declama (in inglese, da Kavyadarsa):

They say that the spring
must not cause the lovely
moment of your eyes
and the illusion that they
might be two bess…

A 19’29” si ode (sempre Tape-3) la voce registrata (è quella della moglie di Maderna, Cristina) recitare, da sinistra, due versi dall’Avesta:

Wie geschiet uns
so wunderbar

mentre da destra una voce di bambino (il figlio Andrea) risponde (19’52”):

…so wunderbar
…so wunderbar
(orchestra e voci registrate)
…so wunderbar

Mentre l’orchestra prosegue per quello che diverrà un lungo intermezzo, i richiami del bambino si perdono in lontananza, poi tornano in primo piano; lo stesso accade alle altre voci registrate.

L’intermezzo orchestrale si chiude a 26’54”, quando si torna ad udire la voce registrata di Cristina (Tape-4) che da destra recita – con interventi da sinistra di Andrea con il suo …so wunderbar - i seguenti versi dell’Avesta:

Ich frage Dich mein Gott
gib Du mir Antwort und Verstehen:
Wie kommt es, daß aller Wahrheit eigen
diese zeugende Kraft,
daß die Sonne dort steht
und die Sterne der Nacht,
entsprungenes Licht,
doch gehalten und wandelnd
in stiller Bahn?
Und der Mond in der Kammer
der Schlummernden  ruhe?
Eine Hand legt sich [um uns].
Nun weicht sie  zurück
und sein Licht quillt uns zu.
Wie geschieht uns so wunderbar.
Ich frage Dich mein Gott,
wie ruht uns die Erde
so staunend sicher?
Und darüber die Wolken
gehoben, gehalten,
unsichtbar getragen
und schwebend – worin?
Und es perlen und blinken die Wasser
und Blumen erblühen.
Die Rosse des Windes
durchbrausen die Bahn
und der Wagen der Wolken
rollt in den Lüften
und wir dürfen das sehen:
Unser Geist hat die Augen.
Wie geschiet uns
so wunderbar…

Da 30’41” la voce del mezzosoprano vocalizza all’unisono con oboe e flauto fino a perdersi.

13 maggio, 2023

laVerdi 22-23. 29

La simpatica ukraina Oksana Lyniv (45 anni ma pare un’allegra ragazzina… e quest’estate sarà per la terza volta a Bayreuth per dirigervi l’Holländer) fa il suo esordio sul podio dell’Auditorium (ieri sera proprio per pochi intimi, ma assai ben disposti) per dirigere il concerto n°29 della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano.

Tema conduttore del concerto sono gli eroi, mitologici o… contemporanei, visti sotto due diverse e per certi versi opposte angolazioni. Di Silvia Colasanti (che con questa stagione chiude la sua residenza presso laVerdi, per cedere il posto a Nicola Campogrande) vengono presentati Fedra e Arianna, due dei tre componenti (insieme a Didone) di Epistulae Heroidum, Monodrammi per voce recitante, coro femminile e orchestra, che furono composti originariamente per Spoleto e colà eseguiti nel 2020, proprio nell’intervallo fra la prima e la seconda ondata del Covid.

Nei testi di Ovidio sono quasi sempre (18 su 21 lettere) delle donne a tenere banco, attraverso lunghe missive indirizzate ai loro amati eroi. I due casi proposti nel Concerto sono di natura assai diversa, benchè abbiano come protagoniste due donne (e i relativi uomini) legate da vincoli di parentela: Fedra e Arianna sono sorelle, figlie di Minosse e sorellastre del Minotauro; Teseo, abbandonata Arianna, è padre di Ippolito e poi sposa Fedra che si invaghisce del figliastro.   

Il primo monodramma evoca quindi l’appassionato appello di una donna (Fedra) al figliastro (Ippolito) che non ne vuol proprio sapere di mettersi con la matrigna (e con nessun’altra donna, se è per questo). Il secondo invece è la classica vicenda che ha per protagonista un maschio (Teseo) che adotta verso la femmina (Arianna) l’approccio usa-e-getta… e così è lei a rinfacciare al fedifrago le sue colpe, ma nel contempo a supplicarlo di tornare da lei, almeno in tempo per seppellire le sue ossa.

La voce recitante è quella della brava Maddalena Crippa, contrappuntata – in Arianna - da quelle dell’Ensemble vocale femminile Virgo Vox (6-6-6).

Fedra si apre con uno schianto orchestrale che introduce la confessione della donna del suo innamoramento per il figliastro. Cosa che lei fa con grande fierezza, senza il minimo pudore ed anzi rivendicando i diritti dell’amore, che supera ogni confine (beh… al confronto LGBT è roba da educande…) La musica ne supporta le crude e quasi imperative argomentazioni con folate di un mare in tempesta, per poi sciogliersi in accorate implorazioni della donna, che supplica in lacrime l’amato di non negarle comprensione e amore.   

Arianna esplode in un’autentica requisitoria contro Teseo, fuggito da lei nottetempo come un ladro; il coro interviene di tanto in tanto con citazioni dell’originale latino di Ovidio. La donna racconta quei terribili momenti della scoperta della fuga dell’amato, i suoi disperati tentativi di richiamarlo e infine la rassegnazione che si è impadronita di lei. La musica che la accompagna è prevalentemente dura, con folate che evocano di volta in volta rabbia, odio, delusione, rimpianto. Gli interventi del coro hanno invece il carattere di profonda pietas, e sono queste voci che chiudono mestamente l’opera.

Accolta con grande partecipazione dal pubblico, che ha riservato lunghi applausi a tutti, ma in particolare a Maddalena Crippa, efficacissima nell’interpretare le tante e diverse pulsioni dell’anima delle due protagoniste.
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Il secondo soggetto sul tema dell’eroismo è in realtà una specie di pretenziosa auto-biografia di un tale che, a 34 anni (1898) già si millantava eroe al punto da evocare in musica sue strabilianti imprese artistiche e relative epiche battaglie contro gli stupidi critici e denigratori: il Richard Strauss di Ein Heldenleben. (Qui una mia modesta esegesi dell’opera.)

Certo, Strauss aveva una specie di dono di natura che gli consentiva di catturare l’interesse del pubblico anche propinandogli merce non propriamente di eccelsa qualità: magari con più fumo che arrosto… ma un fumo assai profumato e a volte addirittura inebriante. 

E anche l’esecuzione di ieri lo ha confermato: la Lyniv ha diretto con piglio da… amazzone e un perfezionista forse le potrebbe addebitare qualche eccesso nelle dinamiche e un non perfetto equilibrio fra le sezioni nei passaggi più enfatici… tuttavia alla fine i rari-nantes-in-Auditorium si son fatti in quattro per accogliere l’esecuzione con ripetute chiamate, rumorose ovazioni e applausi ritmati all’indirizzo della Lyniv. Domani pomeriggio si replica. 

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Questa settimana la Presidente Ambra Redaelli e il DG Ruben Jais hanno annunciato (presenti i massimi rappresentanti istituzionali, Attilio Fontana e Giuseppe Sala) la stagione 23-24 dell’Orchestra Sinfonica e Coro di Milano. Stagione particolare, ricorrendovi il 30° anniversario dalla Fondazione dell’Orchestra e il 25° da quella del Coro.

Accanto alla stagione principale (26 concerti) e alle ormai consolidate proposte collaterali, spicca il Festival Mahler, 14 concerti che percorreranno gran parte della produzione del compositore boemo. Una importante particolarità dell’iniziativa, che si estenderà dal 22 ottobre al 13 novembre 2023, consiste nella presenza di alcune delle più qualificate compagini sinfoniche italiane, precisamente: Filarmonica della Scala (Chailly, 26/10, Sinfonia 1); Accademia di Santa Cecilia (27/10, Honeck, Des Knaben Wunderhorn); Orchestra Spira Mirabilis (28/10, Schumann S3 Renana orch. Mahler); I Pomeriggi Musicali (Feddeck, 31/10, Schumann S1 e S2 orch. Mahler); ORT + Orchestra Giovanile Italiana (Stenz, 3/11, Kindertotenlieder + Sinfonia 4); OSN-RAI (Trevino, 4/11, Sinfonia 5); Orchestra Arena Verona (Angius, 5/11, Sinfonia 6); Orchestra Haydn BZ-TN (Dantone, 7/11, Sinfonia 7); Filarmonica Toscanini (Wellber, 11/11, Rückert Lieder+ Adagio Sinfonia 10); Orchestra Sinfonica Giovanile di Milano (Jais, 12/11, Bach orch. Mahler). 

Le Sinfonie 2-3-8-9 saranno eseguite dall’Orchestra Verdi diretta da Boreyko (2) e Flor (3-8-9). In particolare, l’apice del Festival si toccherà l’8/11, quando la colossale Sinfonia 8, dopo le tre esecuzioni della prossima settimana alla Scala con la Filarmonica diretta da Chailly, tornerà ancora (un record!) a risuonare a Milano, questa volta nella magica cornice del Duomo.