affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

09 marzo, 2012

Orchestraverdi – concerto n 23



Dopo una sola settimana torna sul podio Wayne Marshall con un programma tutto americano. Che (purtroppo) è stato modificato rispetto alla locandina originale, che prevedeva la recente Swing Symphony di Wynton Marsalis, rimpiazzata da più tradizionali e familiari opere di George Gershwin

Resta per fortuna l'interessante proposta di The Age of Anxiety di Leonard Bernstein. Una composizione (del 1949, dedicata al mentore Koussevitsky, poi rivista nel 1965 con aggiunte alla parte pianistica del finale) che assomma in sé diverse caratteristiche (o nessuna di esse?) È intitolata Sinfonia e prevede un pianoforte solista, ma non è un concerto… È fornita di un preciso programma letterario, eppure il suo autore sostiene di aver voluto comporre musica pura, che quel programma ha semplicemente evocato, musica nella quale egli avrebbe introdotto quasi inconsciamente riferimenti diretti al programma medesimo. Mah… personalmente credo che qualunque ascoltatore, anche il più musicalmente preparato, fatichi assai a raccapezzarsi in quest'opera se non ne conosce – e pure dettagliatamente – il programma esterno. 
Peraltro, con un minimo di conoscenza dello stesso, l’opera si lascia apprezzare… pur non potendosi chiamare un capolavoro.

Il programma letterario è un lungo poema di pari titolo – scritto fra il 1944 e il 1947 - di Wystan Hugh Auden, poeta britannico trasferitosi in USA nel 1939, in pratica disertando proprio alla vigilia della guerra. Poema scritto in arcaica rima allitterativa, che risente degli effetti traumatici degli eventi bellici e descrive lo stato di straniamento, di sradicamento e di impotenza di tanta parte dell'umanità, vittima di meccanismi e di forze cui non si può opporre. È strutturato – come precisamente sarà la Sinfonia di Lenny – in sei parti: il prologo, in cui tre maschi (Malin, ufficiale dell'intelligence medica dell'aviazione canadese, Quant, impiegato in un ufficio di spedizioni, nauseato dal mondo ed Emble, una recluta della Marina) e una femmina (Rosetta, impiegata all'ufficio acquisti di un supermercato) – nessuno di loro originario di NewYork, quindi tutti a loro modo piuttosto sradicati - si incontrano per caso in un bar di Manhattan in piena guerra; le sette età, in cui i quattro si raccontano le proprie esperienze di vita, suddivisa appunto in sette fasi, dall'infanzia alla morte; i sette stadi, in cui i quattro immaginano (senza peraltro cavare un ragno dal buco) come ritrovare, attraverso viaggi in onirici paesaggi, una vita serena, lo stadio preistorico di felicità e la fede in Dio; il lamento per la mancanza di un grande condottiero che indichi loro la via da percorrere; la mascherata, che si svolge nell'appartamento di Rosetta, dove tutti (i maschi soprattutto) si ubriacano definitivamente, finchè i due più anziani se ne vanno a casa e il giovane Emble finisce spossato… nel letto di Rosetta; l'epilogo, in cui l'alba riporta ciascuno al proprio quotidiano tran-tran, in cerca di… una fede che pare impossibile da mettere in pratica.

Ma che secondo Bernstein è raggiungibile, nel suo finale, in cui pare di sentire nobili echi mahleriani. La Sinfonia è suddivisa in due parti, di tre sezioni ciascuna: la prima consta delle tre scene nel bar di Manhattan; la seconda contiene la sezione del lamento (mentre i quattro sono su un taxi che li porta verso l'appartamento di Rosetta) e le due sezioni conclusive. Tutta la prima parte potrebbe vagamente essere considerata il primo tempo di una sinfonia (tema e variazioni); poi c'è il movimento lento, ancora una cosa simile ad uno scherzo e quindi il finale.

Nella sua prefazione alla partitura Bernstein, dopo aver ammesso di essere rimasto letteralmente affascinato dal poema di Auden (che invece considerò la Sinfonia una cosa estranea ad esso!) spiega come la parte pianistica rappresenti autobiograficamente se stesso, totalmente immedesimatosi nel poema, che si specchia nell'orchestra (indifferente, se non proprio ostile) come nel mondo circostante. Seguiamo le sue concise note didascaliche per orizzontarci nel gran ginepraio della partitura, aiutati da una minuziosa analisi fatta da una musicofila presso l'Università di Rochester.

Part I

a. Prologue. Presenta l'incontro dei quattro personaggi nel bar della Terza Avenue, dove cercano scampo, bevendo, dai loro quotidiani problemi esistenziali. È una sezione assai breve, che consiste nella malinconica improvvisazione di due clarinetti (in echotone) seguita da una scala discendente che fa da ponte verso l'inconscio in cui si svolge poi il resto della storia.

Sono soltanto 28 battute (Lento moderato, poi Poco più andante) in cui i due clarinetti, con suono appena udibile 
(l’echotone in pratica fa assomigliare il suono a quello di uno zufolo, forse in omaggio al carattere di egloga del poema di Auden) ci introducono un'atmosfera di tristezza, e pure di inquietudine, come testimonia il tritono (RE-LAb) già nella prima battuta:

seguiti dal primo flauto che – su un sottofondo di timpani, con arpa e violoncelli che suonano accordi di quarte sovrapposte - intona una lunga scala discendente (dal RE# acuto a quello due ottave sotto) alla fine della quale il secondo flauto ricorda il primo tema:


Questi motivi torneranno poi nel seguito ed anche nel finale della sinfonia.

b. The Seven Ages (Variations I-VII). Bernstein spiega che quelle che seguono non sono classiche variazioni su un tema predeterminato, bensì ciascuna varia la (e/o risponde alla) precedente, analogamente al flusso dei discorsi dei quattro personaggi che raccontano le loro esperienze. 

È il pianoforte solo ad aprire la prima variazione (sole 15 battute) che rappresenta l'infanzia e ricorda dapprima il tema discendente e subito dopo l'incipit del tema dei clarinetti nel prologo. Poi entra l'arpa ed espone, raddoppiate all'ottava, su un tremolo delle quarte dei violoncelli con sordina divisi in tre parti, le sedici note discendenti udite dal flauto poco prima:

La seconda variazione (l'adolescenza) è più corposa e vi è protagonista il pianoforte, che suona continuamente e sviluppa un frammento del tema discendente udito in precedenza: 

Gli strumentini espongono un nuovo motivo – due quarte ascendenti seguite da una terza minore discendente - che verrà impiegato nelle successive variazioni:
Questa variazione (Più mosso, rubato, come si addice alla turbolenza adolescenziale) è composta da due sezioni (la seconda in effetti è una… variazione della prima) con frequenti esplosioni di semicrome, fino ad adagiarsi (Quasi lento) sulla…

Terza variazione (Largamente) che rappresenta la prima maturità, dove il pianoforte tace e sono violini e corno inglese ad esporre maestosamente il motivo degli strumentini nella precedente variazione:

Si noti il frammento di seconda maggiore ascendente seguito da una quinta giusta discendente, poiché darà l'appiglio alla variazione successiva. Il motivo principale è ripetuto dai corni, con flauto e oboe, prima che il violino solo, in una nuova breve sezione, ne esponga uno specchio:
L’arpa e gli archi accompagnano il tema, ripetuto due volte, più la terza variata, con un ritmo quasi marziale, a sottolineare la determinazione, caratteristica di questa età dello sviluppo umano.

Nella quarta variazione si manifesta l'accettazione della dura realtà della vita. Sul tempo sghembo di 5/8, è dominata dal pianoforte, che ne espone l'idea principale, derivata dall'inciso della variazione precedente (qui è una seconda minore seguita da una quinta discendente):

Negli archi (e terza tromba) torna il motivo esposto originariamente nella seconda variazione:
La prima tromba vi espone infine un motivo da cui germinerà la quinta variazione:
Il tempo mosso e le agitate semicrome del pianoforte accentuano il senso di smarrimento e depressione di questo stato dell'esistenza.

La quinta variazione evoca l'improvviso arrivo del successo e l'apparente raggiungimento del benessere esistenziale. Il tempo è agitato, misterioso ed il clarinetto attacca con semicrome che ripetono il motivo della tromba della precedente variazione:
I legni e poi gli archi espongono un secondo motivo:

Dopo una transizione, affidata al pianoforte con intrusioni dell'orchestra - con i corni che letteralmente urlano - i motivi vengono ripresi, sempre con un ritmo che dà l'idea di una vita che procede da un successo all'altro, fino a… spegnersi su un nuovo motivo del flauto, che caratterizzerà la successiva variazione:
La sesta variazione (poco meno mosso) rappresenta l'invecchiamento e la constatazione della fallacia del successo e l'idea che la felicità si possa trovare solo tornando all'innocenza della fanciullezza. È piuttosto breve (solo 26 battute) ed è il solo pianoforte ad esporla, inizialmente con un motivo derivato da quello appena suonato dal flauto nella variazione precedente, indi richiamando fugacemente il primo motivo del prologo, poi esponendo un nuovo motivo, sempre derivato dal primo, che verrà impiegato nella settima variazione:

La settima variazione rappresenta l'estrema vecchiaia e… la morte. L'oboe espone un motivo derivato dalla variazione precedente, quindi sempre oboe e poi clarinetti espongono il motivo iniziale del prologo:
Infine il pianoforte – con i violoncelli sempre ad accompagnare con quarte sovrapposte - la chiude esponendone il motivo discendente (cui sovrappone il primo) che parte sempre dal RE#, ma questa volta percorre ben quattro ottave discendenti, anzi di più, fino al DO# e finalmente al DO (da cui ripartirà la prossima sezione) come a dipingere il lento cadere della vita nell'abisso del nulla:
Si notino in particolare le quarte dei violoncelli in accompagnamento, poiché sarà da lì che sgorgherà il tema principale della successiva variazione. Flauti e clarinetti accompagnano mestamente la cerimonia…

c. The Seven Stages (Variations VIII-XIV). Sono altre sette variazioni che evocano gli immaginari viaggi dei protagonisti, singolarmente o a coppie, alla ricerca della perduta e irraggiungibile felicità. Al termine dei quali viaggi (per quanto infruttuosi) i quattro si sentono uniti dall'esperienza comune e cominciano ad agire come un unico organismo.

Il primo stadio (ottava variazione
si riferisce alla constatazione, fatta dai quattro protagonisti dopo aver percorso tutti i panorami, dalla preistoria ad oggi, della costante presenza del dolore nella vita dell'uomo, in tutte le epoche della nostra civiltà. Il tema principale (quarte ascendenti SOL-DO) è esposto inizialmente da corno inglese e viole, mentre il pianoforte presenta un motivo ostinato, che verrà ripreso anche dagli archi, caratterizzando l'intera variazione:
Poco più avanti il pianoforte espone un'altra idea:

Tutta la variazione è sostenuta dall'ostinato (il cui incipit pare il dies-irae) su cui si innestano i due motivi principali, ripetuti due volte: il tutto crea – fedelmente al soggetto letterario - un'atmosfera di tristezza e rassegnazione.

Nel secondo stadio (nona variazionei quattro si dividono a coppie (i due giovani, Rosetta ed Emble e i due attempati, Quant e Malin) e partono per un cammino di analisi dei valori della società. 
Sono le note dell’ostinato a costituire il nerbo della variazione, esposte inizialmente dai violini e poi variate in continuazione (l’ultima figurazione servirà poi a sostenere la variazione successiva):

Una seconda idea è presentata dal pianoforte e poi si ripete in altri strumenti durante questa variazione:

Infine vediamo riapparire nell’oboe (alterata nel ritmo) l’idea iniziale della variazione precedente:


La variazione è divisa in due sezioni (separate da una lunga pausa): la prima molto pesante (forte e fortissimo) e la seconda molto tenue e dolce, forse a rappresentare l’atteggiamento delle due coppie (gli attempati e i giovani); poi alla fine il ritmo accelera per arrivare ad una conclusione tutt’altro che serena.

Nel terzo stadio (decima variazionei quattro si ritrovano davanti all'oceano e meditano sulla piccolezza dell'uomo. Formano due nuove coppie (Rosetta-Quant e Malin-Emble) e si mettono alla ricerca della possibilità di rendere il mondo meno insicuro e terribile. Vanno in città e scoprono la tendenza che molti hanno a farsi assorbire dalla sua vita tumultuosa perché timorosi per la propria stessa libertà. 

L’idea principale deriva dall’inciso di seconda minore ascendente seguita da una quinta discendente, che avevamo già incontrato nella quarta variazione e che era tornato anche in chiusura della nona. È il pianoforte ad esporla inizialmente, su un tempo che alterna battute in 4/4 alla breve e in 3/4:


Essa viene poi ripresa a canone dai fiati, mentre il pianoforte si sbizzarrisce in veloci semicrome. In aggiunta al ritmo claudicante, la chiusura improvvisa e sospesa della variazione lascia proprio un senso di insicurezza! 

Il quarto stadio (undicesima variazione) vede i quattro in una moderna città, dalla quale si allontanano avendone toccato con mano la superficialità della cultura e l'infelicità che ne deriva. Il pianoforte espone il primo motivo, una vaga derivazione da quello con cui era iniziata la precedente variazione e subito dopo un suo controsoggetto e ancora un altro motivo, usato poi come accompagnamento:

Il trattamento fugato della variazione è l’unico labile appiglio al testo letterario (la fuga dalla città). 

Nel quinto stadio (dodicesima variazione) i quattro fanno una gara nella speranza di scoprire che l'uomo può vivere felice: vi è rappresentata una grande casa, in cui Rosetta crede di trovare la risposta alle sue aspirazioni (ma ne uscirà profondamente delusa). 

È (quasi) il solo pianoforte ad eseguirla, in due sezioni, di cui la prima ripetuta (da-capo). È ancora la figura dell’ostinato a generare la prima idea; la seconda sezione presenta un motivo caratterizzato da quarte (ascendenti e discendenti) che risentiremo poi nella successiva variazione:


Nel sesto stadio (tredicesima variazione) i quattro capitano in un camposanto e meditano sulla morte e sulle impurità che albergano nei propri cuori. Il motivo principale proviene dalla precedente variazione ed è esposto dal pianoforte, contrappuntato dall’ostinato di tromboni, tube e controfagotto:


Il pianoforte poi improvvisamente tace per il resto della variazione, dove prevale il tema – molto espanso, fino a diventare quello iniziale della variazione precedente, su 15 note – dell’ostinato:


Il quale viene esposto ripetutamente dalle diverse sezioni dell’orchestra, che forse rappresentano i sentimenti dei diversi personaggi del poema. 

Il settimo ed ultimo stadio (quattordicesima variazione) vede l'illusione dei quattro, nel giardino ermetico, che credono di sapere come raggiungere il loro obiettivo, ma vengono ricondotti alla triste realtà da cui cercavano di distaccarsi.  

Il pianoforte riespone le 15 note del motivo allargato dell’ostinato, poi gli strumentini rispondono con il motivo principale della variazione precedente:
Più avanti i clarinetti espongono un nuovo motivo che verrà ripreso dai primi violini, in contrappunto con le ultime sette note del motivo allargato dell’ostinato
 
Prima della cadenza conclusiva udiamo un ultimo martellante motivo, esposto a piena orchestra: 
 
La cui conclusione è secca e pare lasciare poche speranze… 

Part II

a. The Dirge. I Quattro – in un taxi – piangono la perdita del colossal Dad (il colossale papà). La sezione impiega armonicamente una serie di 12 note da cui evolve il tema principale. Con esso contrasta una sezione centrale, caratterizzata da romanticismo brahmsiano (sic!) 

È il pianoforte a presentare la serie di 12 note, cui segue, in arpa e fiati, un altro motivo ostinato, di sette note:


Il tema principale, che evolve dalle note 8-10 della serie, viene dapprima esposto dall’ottavino:

Poi il pianoforte ripete più volte, variata, la serie iniziale, contrappuntato dagli archi che suonano il tema principale. Ora tutta l’orchestra espone il motivo ostinato finchè gli archi (violini esclusi) chiudono la prima sezione con una parte del tema principale. 

Nella sezione interna (brahmsiana, stando a Bernstein) è protagonista il pianoforte, che espone un nuovo motivo:

 
Il quale viene successivamente variato, prima per terze, poi per ottave, e su un tempo che continuamente accelera e decelera, allargandosi alla fine, per introdurre la sezione conclusiva, aperta dal pianoforte accompagnato dall’intera orchestra con la serie iniziale (una battuta), dopodiché il pianoforte tace, mentre l’orchestra ripropone l’ostinato; indi il clarinetto e i primi violini tornano sul tema principale, seguiti dal pianoforte, che ricompare con un’ultima reminiscenza del tema con cui aveva aperto la sezione centrale, prima che il lamento termini con le dodici note verticalmente sovrapposte:

 

b. The Masque. I Quattro sono nell'appartamento di Rosetta, decisi a fare un party, ma canzonandosi a vicenda. È uno scherzo per pianoforte e percussioni a base di piano-jazz. Il party si chiude con la partenza dei due più anziani, lasciando il pianoforte-protagonista traumatizzato. 

Per 11 battute l’accordone che ha chiuso Dirge permane negli archi, mentre (a misura 3) il pianoforte, supportato da buona parte delle percussioni, presenta un motto che introduce lo spunto e il ritmo poi impiegato nel primo tema:
 
Il quale tema è esposto sempre dal pianoforte:


 Tema che viene ripetuto più volte, variato e interpolato con altre idee, come questa:
E come quest’altra:

 
Poi sempre il pianoforte espone un quarto motivo, in ritmo rag
 
L’intera sezione è costituita dalla reiterazione di questi quattro motivi, sempre nel pianoforte, con un’eccezione costituita dall’intervento congiunto di celesta, arpa, glockenspiel, xilofono, percussioni e contrabbassi (una jazz-band davvero inusuale!) ad esporre la terza idea. Poi il pianoforte riprende l’iniziativa, ma la celesta lo sfida letteralmente, con velocissime semicrome, seguita poi anche da arpa e percussioni, prima che l’iniziale motto porti alla conclusione, cui si collega senza pause il finale

c. The Epilogue. È il pianino in orchestra che continua al posto del pianoforte solista la musica della mascherata, rappresentando la separazione del protagonista medesimo dal colpevole disertore, e consentendogli di ragionare su ciò che resta dietro tutto il vuoto e l'inconsistenza in cui ha vissuto. E, secondo Bernstein, ciò che resta è la fede. La tromba ne interpreta il concetto con un motivo che Bernstein chiama something pure (qualcosa di puro). Dapprima gli archi rispondono con una malinconica reminiscenza del motivo del Prologue. E abbiamo una specie di prova di forza fra i due motivi, finchè, improvvisamente, anche gli archi cedono a quel qualcosa di puro, nel segno della fede ritrovata. 

Nell'Epilogo il protagonista (pianoforte) - nella versione del 1949 - rimaneva silenzioso, semplicemente osservando  i fatti dall'esterno e limitandosi ad un accordo... di accordo (!) nella quart'ultima battuta. Bernstein revisionò il finale nel 1965, introducendovi la parte del pianoforte, che prende il posto del violino e che ha una cadenza tutta per sè.

Il pianoforte tace alla chiusa della Masque, ma per 4 battute tutta l’orchestra continua a martellarne il ritmo. Al posto del pianoforte le risponde per 22 battute il pianino (in orchestra) che la tromba contrappunta con un motivo (dolcissimo e nobile) per quarte discendenti e ascendenti, che rappresenta la prima idea tematica:

Ora segue un Adagio dove i violini primi espongono un tema che è reminiscenza del Prologue:
Poi ricompare il pianoforte – nella versione del 1965, prima era il violino - che reitera quella reminiscenza, arricchendola ulteriormente e facendone scaturire una nuova idea:
Queste tre idee tematiche vengono presentate alternativamente, prima della Quasi cadenza in cui il pianoforte rievoca motivi del Prologue e delle Seven Ages, mentre il pianino si aggiunge alla fine con una reminiscenza del ritmo della Masque.

Ora il pianoforte tace e l’orchestra (con serenità) espone il tema something pure, in 7/4 (4+3):
Sono le quarte, discendenti e ascendenti, a caratterizzarlo. Anche il tema ostinato dell'ottava variazione torna, ma depurato della sua sinistra somiglianza col Dies-irae, e conduce alla conclusiva perorazione, cui il pianoforte si associa – ma distinguendosi, da solo - con una semiminima, prima delle tre luminose battute dell'intera orchestra, sull’accordo di DO#:


Un finale che, con tutte quelle quarte (dominante-tonica) pare richiamarsi, ad esempio, alla Terza di Mahler, che non per nulla racconta l’amore… 
___
Eccellente la prestazione al pianoforte di Emanuele Arciuli (che per sicurezza, non si sa mai… ha tenuto lo spartito nella cassa del pianoforte) ben coadiuvato da Marshall e dall’orchestra, dove la band delle percussioni ha fatto faville, insieme alla brava Carlotta Lusa, che si è letteralmente sdoppiata fra celesta e pianino, facendo per due volte la spola fra la prima (posta al proscenio, sulla destra) e il secondo, dislocato dietro la quinta, per meglio rendere l’effetto di distanza (o per mancanza di spazio sul palco, smile!

Diverse le chiamate per Arciuli, che ci regala anche un bis debussyano (Ministrels). 

Poi tocca a Wayne Marshall esibirsi nel doppio ruolo di direttore e solista, per proporci la celebre Rapsody in Blue di George Gershwin. Il quale ne scrisse nel 1924 la parte del pianoforte, accettando di farsela poi orchestrare da Ferde Grofè, in vista della prima esecuzione a Manhattan. Qui, a parte il pianista, è il clarinettista (nella fattispecie il bravissimo Fausto Ghiazza) a mettersi in mostra subito all’inizio, con il famoso glissando ascendente di 18 note, dal FA grave al SIb due ottave sopra. 

Il brano è di quelli dichiaratamente volti a mostrare come fra i diversi generi di musica i confini siano labili: in questo caso è il jazz a compromettersi con il classico (o viceversa!) con risultati francamente apprezzabili. 

Marshall ci mette parecchio di suo, introducendovi non una, ma addirittura tre cadenze, le prime due a cavallo del celebre Andantino moderato in MI maggiore, e si guadagna applausi ed ovazioni. 

Chiude il concerto l'altrettanto celebre An American in Paris, già eseguito qui (con Zhang Xian) meno di un anno fa. 

Ancora un’ottima prova di Marshall e dell’orchestra, eccellenti a far emergere tutta la frizzante verve di questo brano, ma anche i suoi lati patetici e carichi (direbbe un tedesco) di Sehnsucht. In grande evidenza Alessandro Ghidotti, nell’assolo di tromba che nostalgicamente richiama le mille luci di NewYork all’americano vagabondante per la ville-lumière. Alla fine urla e fischi… all’americana da parte di un pubblico finalmente numeroso come si merita laVerdi.   

Prossimamente avremo il ritorno di XianZhang con un corposissimo programma e un Mahler poco conosciuto.

07 marzo, 2012

Claudio e Martha di passaggio a Reggio Emilia


Ieri sera gran concerto di Claudio Abbado e Martha Argerich al Teatro Valli, gremito come un formicaio, dove hanno replicato la performance del giorno prima a Ferrara.

I due oggi sono dei vecchietti (smile!) ma pare abbiano lo stesso spirito di 30, che dico, 40 e più anni fa, quando si incontravano per le loro prime collaborazioni. Ma ancora oggi fanno le loro (quasi prime) esperienze! Il Concerto K503 di Mozart appunto da 35 anni non era stato eseguito dalla funambolica bairense che qui ne ha dato una visione… serenamente nostalgica, con i suoi polpastrelli che, più che percuotere, sembravano amorevolmente accarezzare la tastiera. Che oltretutto doveva apparirle con una fastidiosa striscia scura al centro, dovuta all'ombra della sua testa folto-crinuta proiettata da un occhio di bue disposto in maniera cervellotica, che la colpiva in piena nuca. Ma lei ovviamente non ha nemmeno bisogno di guardarla, la tastiera, per cavarne i meravigliosi suoni ispirati dal Teofilo

Il trionfo per lei è da stadio e così non può esimersi dal regalarci questo bis (ricordando di quando lei era piccola, smile!) casualmente (?) estratto dalle scene per i piccoli… 

Aveva aperto la serata l'Ouverture dell'Egmont di Beethoven. Che ha destato grande emozione… prima ancora di iniziare! Un comunicato diffuso per altoparlante aveva annunciato: il maestro Abbado, causa indisposizione, ha deciso di demandare la direzione del… Ecco, qualche centinaia di mani deve essere immediatamente calata in basso, o andata vorticosamente alla ricerca di metalli e amuleti diversi! Per fortuna (si fa per dire) san Claudio si è risparmiato solo l'antipasto beethoveniano (lasciato ad un giovine discepolo) dopodiché si è presentato abbastanza arzillo e in forma per Mozart e Schubert.

Del quale Schubert ha presentato la Quarta (Tragica, scrisse il diciannovenne Franz sulla partitura, forse perché c'è un po' di minore…) mostrando come anche un lavoro minore (smile!) possa produrre mirabilie, se eseguito con sensibilità e maestrìa. E soprattutto con un'orchestra, la MCO (48 elementi nella circostanza) che non ha alcunché da invidiare alle più blasonate compagini del pianeta. Qui ha anche sfoggiato un paio di trombe barocche, senza pistoni, che non devono essere propriamente uno scherzo da intonare alla perfezione.

Per il mitico interminabili chiamate, col pubblico ancora plaudente ad orchestra già sparita, fra baci e abbracci, dietro le quinte del Valli. 

Serate che… ringiovaniscono!


02 marzo, 2012

Orchestraverdi – concerto n 22


Ritorna in Auditorium il brillante Wayne Marshall con un programma piuttosto particolare, che sulle prime desta più curiosità che interesse, comprendendo tre opere di assai rara esecuzione, per non dire del tutto sconosciute ai più. Opere di autori nati in un periodo di 15 anni del 1800 ('65 Glazunov - '79 Ireland) e scomparsi in un periodo di 28 anni, in pieno '900 ('34 Holst - '62 Ireland). Quindi autori che hanno vissuto – in modo diverso ma anche con parecchie affinità – quel travagliato periodo che va dal tardo-romanticismo fino alla serialità più spinta, passando per espressionismi, impressionismi, atonalità e dodecafonia.

Si parte dalla perfida Albione, dove Gustav Holst componeva, proprio mentre Mussolini marciava su Roma, la sua strampalata opera in un atto The Perfect Fool. Opera comica, con riferimenti a Verdi, Wagner e Debussy, dove il perfetto idiota sarebbe il pubblico britannico (se lo merita? smile!) In luogo (anzi, prima) dell'ouverture, Holst propone un balletto in un'introduzione e tre quadri: gli spiriti della terra, dell'acqua e del fuoco (per l'aria forse gli mancò l'ispirazione…) Ed è questo balletto introduttivo – unica parte dell'opera ad essere scampata al (meritato) oblio – che ascoltiamo qui. 

Sono i tre tromboni ad introdurre il balletto con un motto che verrà poi ripreso da strumenti diversi nelle transizioni fra un elemento e il successivo e tornerà ancora poco prima della chiusura:
Dopo l'introduzione sono gli Spiriti della Terra ad entrare in azione, su un ritmo sghembo, in 7/8, e con un progressivo crescendo che porta ad una sezione (in 3/8) che serve a dare ulteriore carica alla danza: la quale riprende forsennata in 7/8 per poi sfociare ancora nel ritmo ternario che la porta lentamente ad esaurirsi, sull'Andante che fa da transizione verso l'entrata degli Spiriti dell'Acqua, con viola e violoncello a ripetere il motto. Siamo qui in Allegretto (4/4) e ci accorgiamo trattarsi di acque calme e gocciolanti, rigagnoli o laghetti montani, più che fiumi, mari e oceani, dove arpa e celesta la fanno da padrone. Il perentorio motto – nei corni – richiama ora gli Spiriti del Fuoco, un Allegro moderato in 3/4 che subito sembra sprizzar faville da ogni dove, grazie soprattutto ad ottavino e strumentini (Wagner docet…) Il movimento accelera e contemporaneamente tutti gli strumenti entrano in gioco, proprio a creare un gigantesco falò, che poi pian piano si va spegnendo finchè non ne rimane che… cenere. La viola e il malinconico corno inglese ripetono il motto, prima che il brutale accordo di RE ponga fine alle danze. 

Holst qui conferma certi stilemi già presenti nei suoi Planets (ascoltati tempo fa in Auditorium) come ad esempio il continuo cambiamento di passo e ritmo, caratteristico delle sezioni più mosse del brano, o l'orchestrazione spesso pesante ed enfatica. È musica che si lascia ascoltare, pur non eccitando più di tanto le corde sensibili dell'ascoltatore. 

Ottima prestazione dell'orchestra, soprattutto dei fiati, chiamati a virtuosismi non da poco.

È ancora britannico l'autore del Concerto per pianoforte che ci viene proposto dal 54enne canguro (deve aver gambe lunghe e buone, se lo hanno portato in quaranta continenti, smile!) che risponde al nome di Piers Lane. Si tratta di John Ireland, alla cui scuola studiò – con scarso profitto - anche Britten. Questo è il suo unico concerto, che lui in origine dedicò alla pianista (e compositrice) Helen Perkin, che ne eseguì la prima, nel 1930. Il nostro si innamorò della dedicataria che, per tutta risposta, sposò un architetto (tale George Mountford Adie) e se andò con lui in Australia. Il povero Ireland non dovette prenderla troppo bene, visto che… ritirò la dedica! 

Il concerto – di cui abbiamo la fortuna (!?) di ascoltare un'esecuzione più unica che rara - è pienamente adagiato nel diatonismo e risente di chiare influenze russo-francesi, un misto di romanticheria e di impressionismo, con qualche intervento rumoristico al termine del tempo intermedio (Lento, espressivo) e nel finale (Allegro giocoso, nel quale compare due volte una sezione lenta, prima della cadenza conclusiva). Una cosa mediamente gradevole, senza punte di eccellenza, il che spiega la sua scarsa popolarità sia fra gli interpreti che fra gli ascoltatori. 

Piers Lane, che arriva bardato con coccarda al bavero del frac, scarpe di vernice e calzini a scacchi bianco-neri (quella dei calzini demenziali è una sua specialità!) e che non si vergogna a suonare con spartito sul leggìo e assistente gira-pagine, ce la mette proprio tutta per spremerne il non abbondante succo e si merita l'applauso di un pubblico non propriamente… oceanico. Così, per distendere l'atmosfera piuttosto mogia, si esibisce in un numero tipo pianista matto, alla MacRonay…

Si chiude con Alexander Glazunov e la sua Quarta Sinfonia. Lui ha vissuto quasi contemporaneamente a tale Richard Strauss, da lui cordialmente odiato (era uso andarsene quasi regolarmente nel bel mezzo delle rappresentazioni di opere del bavarese) e, così come quest'ultimo compose i suoi poemi sinfonici prima della fine del 1800, anche Glazunov compose quasi tutte le sue otto (e… mezza) sinfonie in quel periodo. La quarta è più o meno contemporanea della seconda di Mahler, tanto per dare un riferimento. È anche la sinfonia con cui Glazunov si stacca definitivamente dal mondo autarchico dei cinque per guardare – nella scia di Ciajkovski e anticipando Rachmaninov (non certo Stravinski né Prokofiev) - verso ovest, dove si trasferirà sempre più spesso e passerà anche gli ultimi suoi anni, in barba a Stalin (smile!

Sinfonia dedicata all'austero Anton Rubinstein (quello che si mise le mani nei capelli ascoltando il concerto per pianoforte di Ciajkovski…) di cui divenne successore alla guida del Conservatorio di SanPietroburgo (dove in pratica rimase – direttamente o… per procura, dall'estero - fino alla morte).
___
La Sinfonia sembra richiamarsi vagamente alla Piccola Russia di Ciajkovski. Come quella ha il primo movimento strutturato in forma-sonata, ma con parecchie libertà. Inizialmente abbiamo un'Introduzione (50 battute di Andante, 9/8) dove, dopo due accordi di MIb minore, è il corno inglese ad esporre una melodia dal caratteristico sapore russo, che sfocia fugacemente sulla tonalità relativa di SOLb maggiore:
E sempre ondeggiando fra SOLb e MIb sono le viole ad esporre un nuovo, cantabilissimo tema:

Dopo la ripresa del tema iniziale, c'è una modulazione a DOb maggiore e infine l'introduzione si adagia sul MIb maggiore, tonalità d'impianto con cui attacca l'Allegretto Moderato in 4/4. L'oboe solo ci fa udire subito un tema sognante:
Risentiremo questo tema, arricchito di enfasi e vivacità, nel Finale. Gli risponde il clarinetto, poi è tutta l'orchestra a sviluppare il motivo, fino a sfociare – come vuole la forma-sonata - nella dominante di SIb, ma non per presentare un secondo tema, bensì (Più mosso, scherzando) per la riproposizione variata dei due temi dell'introduzione, il primo nella relativa SOL minore, il secondo in SIb, e ancora il primo in SOL. 

Adesso il tempo si fa Tranquillo, spariscono gli accidenti in chiave ed il corno solo espone, a mo' di richiamo, il primo tema dell'introduzione, il che dà inizio a quella che si potrebbe chiamare la sezione dello sviluppo, che tosto si anima (Più allegro e agitato) con l'interazione dei due temi introduttivi, seguiti poi dal tema – variato e virante al lugubre - dell'Allegretto

Si torna al Tempo I con una specie di ricapitolazione: è il tema in MIb dell'Allegretto ad occuparne la prima parte, conclusa da una cadenza in Tempo rubato (animato e passionato) che lascia spazio al ritorno dell'Andante e dei temi dell'introduzione, il secondo dei quali, in MIb, porta alla definitiva comparsa del tema dell'Allegretto, che chiude il movimento con un tranquillo accordo dell'intera orchestra. 

Lo Scherzo (canonicamente in SIb) è una danza in 6/8, Allegro vivace, che presenta il suo caratteristico tema principale, esposto dall'ottavino dopo un'introduzione che ce lo lasciava solo intravedere:
Dopo che il tema è stato reiterato, ecco un controsoggetto, in FA maggiore, esposto anche da una fanfara di corni:
Arriva poi il Trio, Poco meno mosso, Tranquillo (3/4 in REb): è il clarinetto ad esporne il languido tema, accompagnato dai flauti con accordi di terze in staccato:

Al termine abbiamo la ripresa dello Scherzo, con i due suoi motivi che lo conducono alla chiusa, su un pizzicato in SIb di tutti gli archi. Non è chiaro con quale plausibilità si dica che questo brano intenda rappresentare un quadro di Böcklin

Anche il finale sembra abbastanza mutuato dalla seconda di Ciajkovski: si inizia in tempo Andante (4/4 MIb) con un'introduzione nella quale il clarinetto e poi altri fiati anticipano, in atmosfera lugubre, il primo tema. Questa introduzione poi sfocia, dopo una serie di animando e dopo 43 battute, nell'Allegro (2/2) che caratterizza il movimento. 

Il primo tema è esposto e riproposto finalmente in MIb maggiore nella sua piena vivacità:

Poi il tema viene ampliato e sviluppato, fino a modulare alla sottodominante di LAb maggiore e da qui, abbastanza sorprendentemente, a SOL maggiore, dove compare nell'oboe – Meno mosso e tranquillo - un secondo tema, più cantabile:

Ora inizia uno sviluppo che presenta moltissime modulazioni: dal MIb al DO maggiore, poi al FA maggiore, quindi ancora a LA maggiore, RE maggiore e SI maggiore! Finalmente si torna… a casa, in MIb su cui converge (le regole!) anche il secondo tema.

Ora ecco l'ultima sorpresa: ricompare il tema dell'Allegretto iniziale - molto mosso e caricato di colori - a conferire alla sinfonia il carattere di ciclicità. Infine è il primo tema, assai sviluppato ed enfatizzato, a condurci alla solenne e pomposa conclusione.
___
Marshall affronta la sinfonia con piglio persino eccessivo (l'introduzione più che un Andante pareva un Allegretto) ma in complesso mi è parso rendere adeguatamente lo spirito della composizione. Bene l'orchestra e in particolare i fiati, tutti in gran forma.

E sarà ancora l'esuberante britannico-caraibico-maltese a tenerci svegli la prossima settimana con musica dal nuovo mondo. (Prima però ci sarà da godersi la premiata coppia Claudio&Martha).