Zelensky e l'alternativa lose-lose, fra perdere:

la dignità VS l’alleato che ti chiede di perderla 

13 dicembre, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano – 25-26.6 – Biondi - Messiah.

Siamo ormai alla Vigilia di Natale e l’Orchestra Sinfonica di Milano non poteva onorare la ricorrenza che con un’opera evocativa: quest’anno è toccato al monumentale Messiah di Georg Friedrich Händel. Qui si può consultare un mio breve sunto dell’opera.

Sul podio è l’eclettico Fabio Biondi, che alterna l’attività solistica, quella con il suo ensemble Europa Galante e quella di Direttore da tempo rinomato nel mondo per le sue interpretazioni del repertorio barocco e della musica antica in generale. Prima del Concerto ci ha offerto la sua visione del Messiah in una preziosa conversazione con Cesare Fertonani, sfatando alcune sedicenti certezze, quali il mito delle esecuzioni su strumenti d’epoca o senza vibratoe inquadrando l’Oratorio nella prospettiva storica dell’evoluzione della Musica e in quella strettamente personale dell’Autore.   

Quanto ai contenuti dell’esecuzione, negli ultimi anni il Messiah era sempre stato eseguito (salvo che nel 2011) in concerti della stagione speciale de laBarocca dell’ex-direttore Artistico e Generale Ruben Jais, che aveva sempre impiegato una sua personale impaginazione dell’Oratorio, con l’esecuzione integrale della Prima Parte e – dopo l’intervallo - di un blocco con Parte 2 e 3 accorpate e tagliate di una ventina di minuti. [Un imperdonabile refuso sul Programma di sala cita come precedenti esecuzioni del Messiah quelle del Requiem di Verdi!] Ecco, Biondi invece ha impaginato il suo Messiah – sempre in due blocchi separati da intervallo – accorpando nel primo la Prima Parte e una porzione della Seconda (fino al coro Lift up your heads) e nel secondo il resto dell’opera. Anche lui ha applicato alcuni tagli, come è del resto abbastanza usuale.

Il Coro di Massimo Fiocchi Malaspina è, come da antica tradizione, limitato a 32 elementi (8 per ciascuna voce S-A-T-B). Orchestra ovviamente smagrita (archi 8-8-4-4-3, 2oboi, 1fagotto, 2trombe, timpani e continuo con tiorba, harmonium e cembalo). Auditorium piacevolmente gremito, a dispetto della giornata di agitazione sindacale con i conseguenti inevitabili disagi.

I quattro solisti (mio personalissimo giudizio) hanno offerto prestazioni disuniformi: su tutti il basso Fabrizio Beggi, voce corposa e autorevole, esplosa nel celebre, lungo, The trumpet shall sound; molto bene anche il soprano Giulia Semenzato, che ha messo in mostra la sua voce chiara e squillante; il tenore Jorge Navarro ha invece un timbro di voce piuttosto appannato, come se cantasse con un passamontagna sulla bocca… peccato perché l’impostazione è solida; quanto a Gaia Petrone, nulla da dire sulla sua espressività, ma purtroppo la sua voce faticava a proiettarsi a dovere, spesso coperta dall’orchestra che le stava alle spalle.

Ottima la prestazione del Coro di Malaspina; l’Orchestra (guidata da Santaniello) ha mostrato di saper affrontare con profitto anche questo repertorio così lontano da quello suo abituale.

Alla fine, dopo l’immancabile bis dell’Halleluja!, un autentico tripudio ha accolto tutti i protagonisti di questa grande serata di musica. 


11 dicembre, 2025

La Ledi ha tradito… Chailly.

Ieri sera la Scala ha aperto la stagione in abbonamento (cioè quella riservata al pubblico che bada al sodo e non alle apparenze…) con la Ledi Macbet (scritto come si pronuncia, in russo così come in italiano). Come sia finita è ormai noto a tutti e non ci resta che augurare al Direttore una pronta ripresa fisica e quindi un sollecito ritorno sul podio.

Data l’incompletezza della recita, mi limito a confermare il giudizio assolutamente positivo sulla prestazione musicale di tutti, cantanti e soprattutto Coro e Orchestra, senza entrare in particolari.

Approfitto invece della malaugurata circostanza per approfondire il discorso riguardo alla regia di Barkhatov, sulla quale, nel mio breve intervento a caldo dopo visione TV, avevo espresso un giudizio sostanzialmente positivo, giudizio che mi sento (in parte almeno) di ridimensionare dopo la (sia pur parziale, ma per me sufficiente) esperienza live che, rispetto a quella televisiva, priva lo spettatore di molti dettagli (primi piani e inquadrature particolari) utili a seguire meglio il racconto così come presentatoci dal regista.

Mi riferisco in particolare all’idea-base di raccontare le vicende narrate nel soggetto originale come vissute a posteriori da un osservatore esterno, la Polizia che indaga su un caso di omicidio. Idea che il regista non può non aver maturato dal racconto di Leskov, che ispirò il libretto a Shostakovich (+Preis): tale racconto si basa a sua volta su una vicenda giudiziaria dei suoi tempi (Leskov lavorò anche nel tribunale della sua città, Orël, capoluogo della provincia in cui si trova proprio Mcensk) che ebbe per protagonista una giovane che ammazzò il suocero.

Quindi nulla da eccepire sull’idea portante del regista; peccato che sia un’idea magari facilmente realizzabile a livello cinematografico, con abili montaggi o diavolerie assortite, ma che in uno spettacolo live, dove c’è una trama testualmente e musicalmente rigida è infinitamente più ardua da gestire compiutamente, senza rischiare di far perdere allo spettatore il filo del discorso, o senza dover presupporre che tutto il pubblico conosca per filo e per segno ogni particolare della trama dell’opera.

Nel nostro caso il racconto del regista, trattandosi di un’inchiesta giudiziaria, ovviamente non può che partire da dopo che il misfatto (nella fattispecie l’uccisione di Zinovy, che è l’unico delitto su cui viene aperto un fascicolo – la morte di Boris essendo stata subito archiviata come disgrazia) è stato accertato con la scoperta del cadavere da parte dell’Ubriacone, che ne avverte la Polizia. Ma ciò avviene nel terzo atto dell’opera, a mesi di distanza dal punto di partenza della vicenda e a quasi due ore di distanza dall’apertura del sipario!

E allora, il povero Barkhatov cosa avrebbe dovuto fare? Far iniziare l’opera con la Scena 8 (scoperta del crimine) e poi a seguire la 5 (ricostruzione delle circostanze in cui il crimine è avvenuto) e così rinculando, per chiarire tutti i precedenti (scoprendo di passaggio anche il primo omicidio) il tutto a forza di flash-back? Mammamia, altro che de-strutturazione del soggetto, sarebbe stato come sconvolgere la normale sequenza delle tracce di un DVD!

In realtà, ciò che ci viene presentato (testo e musica) è ovviamente la successione dei fatti in modo temporalmente rettilineo, come previsto dalla partitura, ma per così dire inquinata dalla saltuaria presenza (indebita, nel soggetto originale) delle attività inquisitorie della Polizia. Lo spettatore dovrebbe, fin dall’alzata del sipario, dove compare l’Ufficiale di Polizia, comprendere che tutto ciò che vedrà fino al terzo atto (scoperta del cadavere di Zinovy e arresto di Katerina e Sergei) altro non è che un lunghissimo flash-back! Solo a quel momento si riannoderanno tutti i fili rimasti pendenti! E la cosa non è per nulla scontata, almeno per quella parte di pubblico non bene informato dei fatti

Allora, per chiarire meglio ciò che lo spettatore vede e i relativi interrogativi ed enigmi che possono insorgere nella sua mente, faccio ora una sinossi abbastanza dettagliata dei primi tre atti dell’opera così come appare nella messinscena di Barkhatov, per trarne qualche plausibile considerazione.

Prima però è necessario spiegare che Barkhatov si serve, come supporto per il suo racconto, di alcuni strumenti e/o accorgimenti. Innanzitutto, l’Ufficiale di Polizia (così come i suoi collaboratori) rimane sempre rigorosamente muto (canterà/parlerà solo nel terz’atto) e si limita ininterrottamente a fumare. Invece il sospettato o testimone interrogato, a volte si esprime proprio cantando come da partitura, mentre altre volte si esprime solo a gesti (quando deve fare qualche commento o spiegare o fornire sue impressioni su fatti accaduti in precedenza, tutte cose estranee al libretto) gesti che sta allo spettatore decifrare correttamente. In più, durante gli interrogatori faccia-a-faccia fra Ufficiale e testimoni-sospettati, vengono proiettate sullo schermo sovrastante il proscenio delle immagini che forniscono qualche più o meno chiaro riferimento all’oggetto di tali interrogatori. C’è da aggiungere che alcuni interrogatori vengono utilizzati per dare contenuto scenico all’esecuzione di Interludi, cosa che può avere effetti contrastanti…    

Ecco, vediamo ora di addentrarci nei dettagli. La prima scena che lo spettatore vede – a sipario chiuso - mostra al proscenio un Ufficiale di Polizia che interroga Katerina che porta in testa il velo da sposa. In più, ha le manette ai polsi, e le prendono le impronte digitali, ergo dobbiamo pensare che sia sospettata di un qualche reato. Ciò avviene mentre lei canta – rivolgendosi all’Ufficiale - l’insopportabile noia che l’affligge, non avendo alcuno con cui condividere l’esistenza, men che meno con il marito Zinovy, che la trascura e le nega i piaceri della vita matrimoniale. Sullo schermo sovrastante appaiono immagini che raffigurano i documenti di Katerina, le sue impronte e, fugacemente, proprio mentre Katerina ne fa il nome, una cassaforte-cantinetta che contiene il cadavere di Zinovy (come lo si scoprirà nel terz’atto) del quale compare una fotografia. Ma ancora non lo abbiamo visto di persona… quindi allo spettatore che sta magari guardando il testo cantato da Katerina sul suo display e non ha badato bene alla foto che compare sul palco potrebbe sfuggire questo dettaglio di importanza capitale.

Chi conosce bene la trama dell’opera e si domanda del perché qui si inizi dalla confessione di Katerina non può non concludere che la donna stia riferendosi proprio all’omicidio del marito (che si vedrà solo alla fine del second’atto) e al relativo movente. Il misfatto verrà scoperto solo nel terzo atto, quando si vedrà – ormai saremo in presa diretta, non più in flash-back - l’arresto e l’ammanettamento della donna dopo che la Polizia, avvertita dall’Ubriacone, avrà scoperto il cadavere di Zinovy in quella cassaforte-cantinetta. A quel momento – ecco un filo pendente che si riannoda - le verrà anche fatto indossare un cappottone scuro, che è proprio quello che lei indossa ora. Chi non conosce bene la storia, temo che per ora resterà piuttosto perplesso…

Subito dopo ecco che Katerina si sposta in un salone da pranzo dove incontra il suocero Boris che, come da libretto, la accusa di inadempienza ai doveri coniugali. Ma lì sono presenti e testimoni numerose altre persone, alle quali si aggiunge presto anche il marito Zinovy, che ascolta la requisitoria del padre contro la moglie (!?) Ma soprattutto in un angolo scopriamo essere presente anche la Polizia, che toglie le manette dai polsi di Katerina (che nel frattempo si è tolta anche il velo nuziale) e ascolta le sue parole che augurano a Boris - che le chiede di spargere il veleno contro i topi - di meritarsi proprio di far la loro stessa fine. Come spieghiamo la presenza della Polizia in una scena che mostra fatti di parecchi mesi antecedenti al misfatto oggetto dell’indagine? Se abbiamo capito trattarsi di un flash-back, possiamo immaginare che la scena sia parte della confessione di Katerina, che racconta, proprio mostrandoli alla Polizia, gli antefatti al suo crimine, e comincia ad introdurre anche elementi che riguardano il suo primo delitto, l’avvelenamento di Boris.  

E infatti, mentre Boris e Zinovy discutono dei guai al mulino, vediamo la Polizia portare Katerina in un ambiente attiguo dove la donna mostra all’Ufficiale, estraendola da sotto una catasta di sacchi di farina, una busta che dobbiamo immaginare contenga veleno per topi, a giudicare dalla polvere bianca che ne esce quando l’Ufficiale la apre. Ma anche questo filo resterà pendente e si riannoderà solo al secondo atto, quando vedremo Katerina nascondere quella busta in quel posto. Nel frattempo, una barella con un imprecisato carico viene portata via, seguita da Katerina e Polizia. Ora, chi conosce a menadito tutta la storia, potrà immaginare trattarsi del cadavere di Zinovy, ma… uno spettatore impreparato come la prende?

Ora (assente la Polizia) vediamo Zinovy che si prepara a partire, accompagnato dagli ipocriti saluti della servitù, cui si è aggiunto il nuovo assunto Sergei, in abbigliamento da cameriere, che serve pasticcini. Il sipario si abbassa e ricompare l’Ufficiale di Polizia che, durante il primo Interludio, raccoglie la testimonianza contro Sergei cantata dalla cuoca Aksinya, testimonianza che nel libretto ha però come destinataria Katerina (!?) Quindi interroga (ma solo a gesti, visto che siamo fuori dal libretto…) proprio Sergei, anche lui già ammanettato, evidentemente come individuo sospetto. Che qui indossa un cappotto scuro, che lui indosserà (ma dovremmo dire: ha indossato!) nel terz’atto, al momento del suo arresto durante la festa di matrimonio.  

Sergei che rivediamo subito in mezzo alla servitù nella successiva scena della baruffa in cortile, con annesse molestie ad Aksinya, stupro incluso (ma non esplicitamente mostrato). Poi arriva Katerina a fare il suo pistolotto femminista e a sfidare ad una prova di forza Sergei; di seguito ecco Boris che minaccia la nuora di raccontar tutto al marito e farla punire.

Il secondo interludio viene ancora occupato dall’Ufficiale di Polizia al proscenio che ascolta le testimonianze relative alla baruffa (solo a gesti, perché non sono parte del libretto, quindi del tutto inventate) fatte dal Prete e dall’Ubriacone che stazionano in permanenza nella casa. [Che rilevanza abbia tutto ciò con l’indagine lo sa solo il regista… a meno che non si illuda con questa trovata di aver dato valore aggiunto alla musica.]

La terza scena è veramente tutta da… ridere: non in camera, ma in un ampio salone da pranzo, dopo che Katerina ha esternato ancora la sua infelicità per non essere desiderata come donna, prima di Sergei arriva… la Polizia! Che ammanetta Katerina e le chiede – sempre solo a gesti, essendo tutto ciò parte dell’invenzione registica - insieme al parimenti ammanettato Sergei arrivato subito dopo, di mostrare la scena del loro primo incontro! Come inchiesta giudiziaria è bizzarra per davvero! I due ci provano, ma ovviamente le manette ai polsi li costringono a improbabili contorsioni da Kamasutra per mostrare agli agenti come si erano svolti i… preliminari. Può essere che questo sia l’escamotage che il regista ha trovato per mostrarci un coito in modalità castigata (ma sul display del teatro compare comunque il warning riguardante scene che urtano la sensibilità… hahaha!) Il che francamente manda un po’ in… vacca quella che dovrebbe essere la scena più eccitante dell’opera. Ma la Polizia è di manica larga e, prima di andarsene con le prove raccolte, toglie le manette ai due giusto in tempo per lasciarli sfogare in una sveltina su un tavolo, mentre si ode la voce di Boris (per inciso mai coinvolto nelle indagini, essendo… morto da tempo!) con il sipario che cala sul primo atto.  

Il secondo atto si apre con un fugace interrogatorio, sempre tutto a gesti, fra l’Ufficiale di Polizia e Sergei, ancora abbigliato con il cappotto che vedremo indossare al momento dell’arresto: il contenuto dell’incontro è ancora una volta il veleno per topi che Katerina metterà nel piatto di funghi per Boris, dopo la scena della fustigazione, veleno del quale Sergei sembra affermare di non saper nulla… lui da Boris stava ricevendo una manica di frustate. Seguono, nella quarta scena, il soliloquio di Boris (qui però esternato in presenza degli onnipresenti personaggi-caricatura, come il prete, l’Ubriacone e la guardia giurata, e della cassaforte-cantinetta già apparsa in fotografia, con cadavere di Zinovy incorporato, durante il primissimo interrogatorio di Katerina, altro filo che comincia a riannodarsi) e la cattura di Sergei che sta uscendo dal notturno appuntamento con Katerina.

Poi le ecco le frustate e la richiesta di Boris di avere i funghi per rifocillarsi. A questo punto riemerge l’Ufficiale di Polizia che raccoglie – bustina di veleno ben visibile - il proposito di Katerina di avvelenare il suocero, poi scompare e si torna da Boris che mangia i funghi e comincia a star male. Si cerca un prete, ma quello stanziale lì è sempre ubriaco; quindi il regista lo rimpiazza con lo chèf, che raccoglie la confessione di Boris e ne constata la morte. Katerina rimette la busta col veleno in mezzo ai sacchi di farina – da dove lo estrarrà per consegnarlo all’Ufficiale durante la scena iniziale… ecco un altro filo che si riannoda – poi finge il suo strazio per la morte di Boris, mentre lo chèf filosofeggia citando Gogol. Riemerge ora l’Ufficiale di Polizia per ascoltare dallo chèf la filosofica battuta sui ratti che muoiono e gli uomini che invece passano a miglior vita. [Anche questo non sembrerebbe proprio un dettaglio decisivo per l’inchiesta…]

Dopo l’Interludio con Passacaglia, che accompagna le esequie del vecchio, ecco la quinta scena, con Katerina e Sergei (finalmente!) a letto. Arriva il fantasma di Boris, che cerca pure di ingropparsi la nuora, e infine, annunciato dalla fanfaretta rossiniana, anche Zinovy, che il regista – arricchendo di suo il testo del libretto - ci mostra arrapato mentre chiede alla moglie di spogliarsi e, calati i calzoni, si avventa su di lei, ma viene poi finito da Sergei, uscito dal classico armadio, con un colpo di candelabro pattino da hockey! Prima che Sergei trascini in cantina il cadavere ricompare magicamente l’Ufficiale di Polizia, che fa ripetere ai due assassini (su un manichino…) l’atto finale dell’assassinio, per poter meglio descriverlo nel suo fascicolo di indagine, prima di dileguarsi nel sottopalco! Il successivo trasporto in cantina è sostituito dallo stipare un manichino in quella che prima era la cassaforte-cantinetta di Boris, come raffigurata nella foto apparsa all’inizio, durante il primo interrogatorio di Katerina (altro filo che si è riannodato completamente).

Qui finisce il lunghissimo flash-back iniziato con la prima scena, in casa di Boris, e si passa in modalità live. Come da libretto, l’atto terzo inizia da dove è finito il secondo, cioè… vicino alla cassaforte-cantinetta dove è nascosto il manichino cadavere di Zinovy. Mentre i due neo-sposi si preparano ad andare in Chiesa, arriva l’Ubriacone che canta la sua splendida aria, e poi scopre il cadavere, fuggendo verso il posto di Polizia, che ci viene presentato nella sua tragicomica animazione durante l’esecuzione del quarto Interludio. Qui ritroviamo finalmente nel suo ambiente naturale l’Ufficiale di Polizia che avevamo conosciuto fin dal primo alzarsi del sipario! E che nel seguito vedremo, in tempo reale, iniziare la sua indagine… ammanettando Katerina appena sposata, con tanto di velo nuziale in testa, proprio come ci era apparsa all’inizio dello spettacolo!

Ma l’indagine è anche, contemporaneamente, chiusa, perché ne abbiamo appunto seguito il lungo sviluppo per due ore abbondanti. Ciò che segue parla solo di… Siberia.

Ecco, domandiamoci: ma che valore aggiunto dà allo spettacolo questa posticcia, anche se non del tutto inventata, sovrastruttura poliziesca? Penso che uno spettatore minimamente informato dei fatti ci faccia semplicemente un’alzata di spalle, catalogandola come un’ennesima quanto innocua trovata della serie famola strana.  Ad uno spettatore che si avvicina per la prima volta a quest’opera, temo che più che altro confonda parecchio le idee.

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Bene, terminato il tormentone esegetico su Barkhatov non mi resta che attendere, come tutti gli altri spettatori di ieri sera, che il Teatro ci informi del follow-up. Ma ciò che importa è che il Maestro torni più sano che mai sul podio - le ultime notizie sono incoraggianti -  perché da lui ci aspettiamo ancora anni e anni di arte!

07 dicembre, 2025

La Ledi per TV.

Prime impressioni sulla Ledi dopo audiovisione RAI. Su musica e voci mi esprimerò dopo ascolto in loco, ergo per ora mi limito allo spettacolo firmato dall’estroverso papà dei figli della Grigorian

A pubblicizzarlo è stato Chailly, che deve aver scoperto solo ora che anche la Ledi si può attualizzare a tempi diversi da quelli del testo originale (nella fattispecie alla Russia dell’immediato dopo-Stalin) come se questa fosse una trovata geniale da lasciare tutti a bocca spalancata. Quando invece ormai si impiega a destra e a manca, a proposito e (spesso) a sproposito.

Qui mi pare che la genialata… stagionata abbia però pieno diritto di trovare applicazione, data la vicinanza dello scenario della Russia ancora fresca di terrore staliniano a quello della Russia feudal-medievale dello Zar, dove si materializzò la vicenda così puntualmente narrata da Leskov e ripresa dalla coppia Shostakovich-Preis (qui un mio bigino dell’opera).

Anzi, si potrebbe addirittura affermare che il regista abbia tenuto tirato il freno a mano, evitando un’ambientazione a noi ancor più vicina, ma del tutto plausibile e pure auspicabile, con la Russia di Putin ormai scivolata (dopo le speranze seguite alla caduta dell’URSS) indietro di quasi un secolo! E dove, dall’altra parte della barricata, persino il nostro mondo (cosiddetto) libero e democratico sta pericolosamente rinculando di un secolo abbondante.

Ecco, dato a Barkhatov ciò che gli spetta, commenterò qualche dettaglio del suo Konzept. Che ha, per i primi due atti (e relativi omicidi) la struttura di un racconto a puntate (Leskov…) fatto di passi di indagine poliziesca, dove vengono raccolte testimonianze (sono i soliloqui di Katerina, ma anche esternazioni di altri personaggi) che si alternano alle parti in presa diretta. Diretta che poi non si interrompe più a partire dal terz’atto.  

Si legge che il critico Ivan Sollertinski definì a suo tempo l’opera come un frullato di Chaplin e Dostojevski: diciamo che Barkhatov ha usato più Chaplin nei primi due atti e mezzo (con trovate a volte azzeccate, a volte francamente eccessive o eccessivamente criptiche per un pubblico non preparato a dovere) e molto Dostojevski dall’arresto dei due complici amanti fino alla fine, con olocausto in piena regola (Katerina è esperta in cucina e sa come usare i fornelli, hahaha!)

Ma nel complesso lo spettacolo non ha mai perso tensione né scorrevolezza, e va poi dato atto al regista di aver curato la parte attoriale con grande sapienza, trovando tutti gli interpreti, singoli e coro, assolutamente all’altezza del compito.

Più che meritati quindi gli applausi e le ovazioni, non offuscate dal minimo dissenso, che hanno accolto indistintamente tutta la compagnia!