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05 aprile, 2025

Orchestra Sinfonica di Milano - Tjeknavorian & Babayan soli al comando

Come intermezzo fra le due serate del 23° concerto, i suoi due protagonisti sono tornati sul palco dell’Auditorium per uno straordinario da camera dove hanno spaziato da Mozart a Janàček a Brahms, per poi chiudere sul festeggiato Ravel (150 anni dalla nascita).  

Programma parzialmente modificato rispetto all’annuncio originale, con Brahms a sostituire Prokofiev, più Mozart (due sonate - K301+K305 - invece della K367) e con l’aggiunta di un intermezzo di Kreisler.

Come si po' dedurre, qui è il violino (del Tjek) a farla da protagonista, con un illustre pianista (Babayan) a supportarlo sontuosamente. Ecco la sequenza dei nove brani eseguiti:

1- Leóš Janàček: Sonata per violino e pianoforte (ultima versione, 1922); Con moto; Ballada; Allegretto; Adagio:

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2- Wolfgang Amadeus Mozart: Sonata per violino e pianoforte in Sol maggiore K 301 (1778, a Mannheim); Allegro con spirito; Allegro:

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3- Fritz Kreisler:

1. Rondino in stile Beethoven (1905): si tratta di una riduzione del Rondo per violino e piano, trasposto da SOL a MIb maggiore; le strofe del Rondo sono in MIb, SIb, DO minore, LAb maggiore:

2. Alt-Wiener Tanzweisen (<1905) è un trittico di tre danze viennesi:

a) Liebesfreud: struttura A-BB’-A; Allegro, DO maggiore / Grazioso, Allegro, FA maggiore / Allegro, DO maggiore:

b) Liebesleid: struttura A-B-A-B; Ländler, LA minore / Poco meno mosso, LA maggiore:

c) Schön Rosmarin: Struttura A-B-A; Grazioso, SOL maggiore / Meno mosso, SOL maggiore-minore, SIb maggiore, SOL maggiore / SOL maggiore:

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4- Johannes Brahms: Scherzo in Do minore per violino e pianoforte dalla sonata F.A.E. (1853). L’acronimo del brano sta per Frei aber einsam, composto in realtà a tre mani, per omaggiare il grande Joachim: I. Allegro, da Albert Dietrich; II. Intermezzo, da Robert Schumann; III. Scherzo, da Brahms; IV Finale, da Schumann:

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5- Wolfgang Amadeus Mozart: Sonata per violino e pianoforte in La maggiore K 305 (1778, Mannheim); Allegro di molto; Tema con variazioni:

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6- Maurice Ravel: Tzigane. Rapsodie de concert (1924); oltre a questa, per violino e pianoforte, esistono del brano altre due versioni: quella con accompagnamento di orchestra e quella con accompagnamento di Luthéal (un ibrido pianoforte-organo, oggi in disuso). L’atmosfera gitana si rivela già dall’esordio, esclusivamente assegnato al violino:

Poi diventa quasi schizofrenica prima della conclusione, con un funambolico susseguirsi di indicazioni di agogica e di diteggiatura:

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Dopo un esordio accidentato (colpa del tablet con gli spartiti di Babayan che non obbediva ai comandi via smartphone della ragazza addetta al volta-pagina) il programma è andato in continuo crescendo. Janàček (questo, almeno) non è facile da digerire, anche perché lo stesso Autore la tirò in lunga per un decennio, cambiando anche gli scenari della sua narrativa: è un’opera complessa e complicata, poco lineare, e c’è voluta tutta l’abilità e l’abnegazione dei due protagonisti per rendercela almeno accettabile, ecco.

Poi Mozart ha ovviamente aperto un primo squarcio di sano classicismo, con le sue leziosità giovanili. Kreisler ha anche scaldato i motori del virtuosismo. NB. la sequenza dei quattro brani è stata: Liebesleid, Rosmarin, Rondino, Liebesfreud, in modo da lasciare l’ultima parola nota prima dell’intervallo al pezzo forte, o quanto meno al più trascinante dei quattro.

Brahms ha poi degnamente tirato la volata al secondo Mozart, le cui variazioni hanno davvero incantato. I due moschettieri si son presi un minuto di pausa prima della Tzigane, che ha chiuso il programma ufficiale con grande trionfo per questa coppia davvero unica nel suo genere.

Praticamente scontato (e preparato) il bis di congedo: ancora Ravel, con il pezzo in forma di Habanera. Ma il pubblico – anche oggi oceanico - non se n’è dato per inteso, e così l’ultima parola musica l’ha avuta ancora il kreisleriano Liebesleid, romantiche pene d’amore… come quelle che ormai sembrano accumunare il pubblico e il suo nuovo Direttore Musicale!

Orchestra Sinfonica di Milano - 24-25.23 – Tjeknavorian & Babayan

Da qui a Pasqua l’Auditorium vedrà il Tjek protagonista di altri tre programmi, culminanti nel rossiniano Stabat Mater della Settimana Santa. I primi due sono dedicati ai 150 anni di Maurice Ravel: ieri e domani il 23° concerto della stagione principale e questo pomeriggio uno straordinario da camera, due programmi in cui il Direttore Musicale sarà affiancato dal 64enne compatriota armeno Sergei Babayan (stabilitosi in USA dopo la caduta dell’URSS) oggi uno dei pianisti più acclamati, e già ospite qui nel 2018 con il celebre Concerto di Ciajkovski.

L’impaginazione del concerto ha qualche rassomiglianza con quella del 9 giugno 2023 (interprete Kirill Gerstein con Wayne Marshall sul podio) per la contemporanea presenza dei due concerti pianistici (in SOL e in RE per la mano sinistra) e del conclusivo Boléro.

In un Auditorium letteralmente preso d’assalto, Babayan ha quindi aperto la serata con il Concerto per pianoforte e orchestra in Sol maggiore. Questo lavoro è praticamente contemporaneo dell’altro, ma ha una struttura assai più tradizionale, quindi più abbordabile, oltre a risentire ancor più dell’influsso americano (Ravel aveva viaggiato in USA) e così jazz e blues vi hanno una parte fondamentale: evidentissima già all’attacco del tema del clarinetto, che pare proprio Gershwin (Rapsody in blue)!

Tutto il concerto (a parte l'Adagio) mostra chiare influenze jazzistiche, con ampio uso di ritmi sincopati; nell'iniziale Allegramente sentiamo anche del blues, come qui:

Il lungo centrale Adagio assai è noto per aver impegnato Ravel fino alla consunzione fisica (parole sue). Le prime 33 battute (3/4, MI maggiore) sono affidate al solo pianista, che con la mano sinistra scandisce un ritmo quasi di walzer in 3/8 (battere su nota singola, levare su accordi di due note, e continuerà così – con rare eccezioni - per il resto del movimento) mentre la mano destra descrive la melodia:

In esso compare, fra gli altri e verso la fine, un bellissimo intervento del corno inglese, ieri suonato dalla bravissima Paola Scotti.

Il breve Presto conclusivo è una palestra di virtuosismo, e non solo per il pianista. Ad esempio i due fagotti (ieri Orsolya Juhasz e Andrea Magnani) sono chiamati, nella sezione centrale, ad autentiche acrobazie, con inebrianti volate di semicrome, e lo stesso avviene verso la fine per tutti gli strumentini.

Babayan ne dà un’interpretazione trascendentale: sapiente impiego del rubato nel movimento iniziale; tensione massima nell’Adagio, senza peraltro cadere in eccessiva sostenutezza; tecnica stupefacente nel Presto conclusivo.

Uragano di applausi per lui, per il Direttore e tutta l’orchestra, con i suoi solisti.  

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Come intermezzo fra i due Concerti (e/o come bis anticipato…) Babayan ci ha proposto Menuet sur le nom d’Haydn, che Ravel compose in omaggio al grande vecchio della Prima Suola di Vienna, da lui quasi venerato. Un breve brano il cui tema (SI-LA-RE-RE-SOL) è costituito da note collegate alle lettere del cognome del musicista secondo un bizzarro processo (valido per la sola scala diatonica con notazione tedesca) pare utilizzato anche da Bach:

- le lettere H, A e D (in blu nel seguito) sono direttamente riconducibili (notazione tedesca, dove H è SI naturale, mentre B è SIb) a SI, LA e RE;

- per decodificare le altre lettere (nel nostro caso Y e N) basta affiancare alle 26 lettere dell’alfabeto gruppi di 7 lettere (A-G) corrispondenti alla scala diatonica (LA-SOL) trovando quindi la corrispondenza fra la lettera da codificare in musica e la nota corrispondente nella notazione inglese-tedesca (e da qui a quella latina)!

Ecco quindi il risultato finale per HAYDN: H=SI / A=LA / Y>D=RE / D=RE / N>G=SOL

[Applicando questo metodo il nome RAVEL diventerebbe R>D=RE / A=LA / V>A=LA / E=MI / L>E=MI, quindi la sigla musicale sarebbe RE-LA-LA-MI-MI]

Ravel sottopone poi il tema ad alcuni classici trattamenti fiamminghi…

Insomma, un brano più… matematico che musicale! Che però Babayan ha saputo impreziosire con il suo estro. 

Una curiosità: solo per questo brevissimo brano, lui si è portato dietro un tablet con lo spartito…

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Ecco quindi il Concerto per pianoforte e orchestra in Re maggiore per la mano sinistracomposto su commissione dello sfortunato quanto ricco pianista Paul Wittgenstein, tornato anni addietro dal fronte ukraino della Grande Guerra (e dalla conseguente prigionia in Siberia) con il solo braccio sinistro…

Qui Ravel ha cercato in tutti i modi di dissimulare la presenza di una sola mano, con una scrittura che – impegnando il solista al massimo – dà l’impressione che il suono provenga da tasti percossi da entrambi gli arti! Il Concerto è in un solo movimento, anche se vi si distinguono alcune sezioni in agogica cangiante: dapprima c’è un rigido alternarsi fra strumenti e solista (introduzione in Lento degli strumenti gravi) poi il pianoforte solo con una prima cadenza, quindi ancora la sola orchestra e poi il solista in tempo Più lentoOra abbiamo il dialogo (Andante) che sfocia nell’Allegro (6/8) di piglio marziale e sapore jazzistico, un lungo passaggio con interventi improvvisi del solista e di strumenti diversi. Dopo una grande accelerazione, dove si sentono quasi degli accenti del Bolero, torna il tempo lento iniziale, orchestra e solista dialogano accanitamente, finchè si arriva alla virtuosistica cadenza conclusiva, chiusa infine da 5 battute di crome martellanti dell’intera orchestra. 

Babayan davvero si supera, aggredendo letteralmente questa ostica partitura, le sue massacranti cadenze, i rari squarci di sereno: sono meno di 20 minuti tutti divorati d’un fiato, che trascinano il pubblico ad un entusiasmo al calor rosso.

Così ci viene servito anche il bis finale (con il Tjek accomodatosi in prima fila di platea a goderselo): quasi a voler riportare la pace in sala, Babayan ci gratifica di un autentico atto d’amore, firmato Arvo Pärt!

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La seconda parte del concerto torna ad affiancare Ravel al tanto amato Haydn, con due brani che – come giustamente si fa rilevare nella presentazione sul sito web, sono accumunati da un fenomeno di natura opposta: in Ravel il Boléro parte con il solo tamburino in pp, appena accompagnato da pizzicati di viole e celli, e poi progressivamente ingrossa le file dell’orchestra fino all’esplosione generale; in Haydn la Sinfonia in FA# minore (degli addii, appunto) compie il percorso inverso: gli strumentisti se ne vanno alla spicciolata, spegnendo i lumini dei leggii, e alla fine due soli violini esalano le ultime note, in FA# maggiore, chiudendo baracca e burattini.

Qui in Auditorium la sequenza si inverte ed è Haydn a salutare per primo noi del pubblico proprio come salutò, in quel lontanissimo 1772, i ruvidi Esterhazy: con la sua Abschieds-Symphonie. Rispettata sostanzialmente anche la coreografia: niente candela lampadina da spegnere sui leggii, ma orchestrali che si dileguano lasciando costernato il povero KapellmeisterChe viene lasciato solo (a far alzare le… sedie) da Lycia Viganò e Luca Santaniello, gli ultimi a salutarlo.

Poi tutti quanti rientrano in scena per godersi il meritato trionfo.

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Del Boléro si è detto e scritto di tutto e null’altro si potrebbe aggiungere. Anche qui in Auditorium è ormai risuonato millanta volte e nessuno se ne può dire annoiato. [Credo nemmeno il tamburino Ivan Fossati, a dispetto della… ehm, ripetitività della sua parte, per la quale all’esecutore andrebbe effettivamente riconosciuta una speciale indennità, oltre alla nomina a tamburino emerito…]

Che dire? Che il calor rosso è diventato bianco!!!