XIV

da prevosto a leone

28 aprile, 2025

Filidei alla Scala: debutto con applausi e contestazioni

Ieri sera il Piermarini ha ospitato la prima assoluta de Il nome della rosa, opera che il Teatro ha commissionato a Francesco Filidei, che ha predisposto – con Stefano Busellato (e altri) - anche il libretto, derivandolo dal romanzo di Umberto Eco.

Parto dalla fine. Applausi convinti per i cori di Malazzi e Casoni, poi per i singoli cantanti. Sembra un trionfo, ma quando tutto il cast si affaccia in parata al proscenio ecco piovere dal secondo loggione una salva di buh, che poi si estende anche all’uscita del team registico e dello stesso Filidei. Insomma, un debutto piuttosto contrastato.

Parliamoci chiaro: la musica di Filidei non è propriamente un dolce rosolio, peccando forse di velleitarismo e di eccessiva cerebralità: la struttura cosiddetta a frattali, con le 24 scene che esplorano in andata e ritorno l’intera scala cromatica è di difficile comprensione, poiché gli scarti di tonalità, che sarebbero già difficilmente avvertibili se le linee melodiche e armoniche fossero di natura diatonica, diventano un grammelot se sono a volte improntate ad atonalità, altre a serialità e quasi perennemente infarcite di dissonanze e rumorismo.

Insomma, musica troppo artefatta e quindi fredda agli occhi orecchi di un pubblico che fatica a raccapezzarcisi. Aggiungiamo che il canto è spesso pura declamazione, se non puro parlato, e così si può spiegare la reazione negativa di parte del pubblico, di cui hanno fatto le spese in blocco i componenti del cast che singolarmente hanno invece dato il massimo e personalmente mi sento di accomunare in un generale elogio, da estendersi poi alla compagine orchestrale e al Direttore Metzmacher che l’ha guidata con polso fermo e sicuro.

Quanto all’allestimento, Michieletto (con il suo team) ha risolto da gran maestro di teatro tutti i problemi che la messinscena di un simile soggetto comporta. Mi limito a citare alcune intuizioni davvero geniali che caratterizzano il suo spettacolo, complessivamente di alto livello.

Dapprima, la presentazione della scena di apertura (il portale della Chiesa) mostrato non (come si potrebbe pensare) come un tableau vivant, ma come un enorme bassorilievo che progressivamente si anima con la fuoriuscita dei personaggi ivi scolpiti, ad evocare e rappresentare mirabilmente lo sconcerto e l’ammirazione insieme dello stupefatto Adso, mentre il coro canta versi dell’Apocalisse.

Poi una specie di enorme Dama con il liocorno, nel cui grembo va a sdraiarsi (al posto dell’animaletto) il conturbato Adso. E ancora la scena finale del primo atto, davvero geniale nel coniugare le due essenze della Ragazza: quella erotica e sensuale, che esce dal collo mozzato della testa di un enorme bue - trascinato dai sei personaggi dolciniani con teste d’animali - dal quale poi l’essenza umana e miserevole della stessa ragazza estrarrà l’enorme cuore.

E che dire della drammatica presentazione della morte di Malachia, che nel testo è descritta in tre parole, mentre noi la vediamo proprio come si materializza nell’incubo del povero bibliotecario, suggestionato da Jorge con la visione degli scorpioni che lo divorano!

E poi la resa (impossibile da ottenere se si dovesse seguire pedestremente il testo) della morte di Abbone, progressivamente imprigionato da due blocchi di pietra che lentamente si stringono al suo corpo, sospinti da Jorge!

E infine la scena conclusiva, con i tronconi del velario del labirinto che crollano al suolo mentre la croce si incendia e Guglielmo e Adso si congedano, prima che la visione della donna (nelle sue due espressioni) chiuda il dramma, con i contrabbassi che esalano, dopo il DO che ciclicamente ci riporterebbe all’inizio della storia, quel DO# nel grave che prefigura una nuova (?) vita.

Ecco: in sintesi, uno spettacolo di alto livello, che a mio modesto avviso va apprezzato per la nobiltà delle intenzioni degli autori e la professionalità degli esecutori.


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