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28 aprile, 2020

Feste del lavoro


Con i tempi che corrono c’è poco lavoro da festeggiare. Ma almeno, stando a casa, non si rischia l’intubazione, ed è già qualcosa.

Noi possiamo comunque celebrare la festa in musica, ad esempio ascoltando nientemeno che una Sinfonia intitolata alla ricorrenza. Sinfonia (mah, una fantasia, sembrerebbe...) che l’entusiasta Dmitri Shostakovich compose (ma non si sa se entusiasta per la ricorrenza o per la... ricompensa, leggasi la sostanziosa commissione ricevuta dal regime per comporla...) proprio nel bel mezzo della grande crisi del ’29.

Sinfonia, come la seconda, con coro finale (neanche fosse Beethoven!) inneggiante alla presa comunista del potere, palesemente richiamata nel testo cantato, opera di uno - tale Semën Isaakovič Kirsanov - che veniva considerato una brutta, e soprattutto innocua, copia di Majakovski, e proprio per questo assai più gradito dello scomodo originale al regime del baffone georgiano.

Ecco qua i versi che Shostakovich musicò come chiusura in gloria di questa sua non propriamente eccelsa partitura:

ПЕРВОМАЙСКАЯ

Nel primissimo Primo Maggio
Una torcia fu gettata nel passato,
una scintilla si fece falò,
e le fiamme avvolsero la foresta.

Con le orecchie delle ondeggianti conifere
la foresta ascoltò
le voci e i rumori
della nuova parata del Primo Maggio.

Il nostro Primo Maggio.
Nel luttuoso sibilare di pallottole
impugnando baionette e fucili,
il palazzo dello zar fu occupato.

Il palazzo del detronizzato zar:
quella fu l’alba di Maggio,
avanzando in marcia,
nella luce di luttuose bandiere.

Il nostro Primo Maggio:
un futuro di vele,
spiegantesi sopra un mare di grano,
e i passi rimbombanti delle squadre.

Squadre nuove, nuove classi di Maggio,
con occhi fiammeggianti rivolti al futuro.
Fabbriche ed operai marciano alla parata del Primo Maggio,  
raccoglieremo i frutti della terra, è arrivato il nostro momento.

Ascoltate, lavoratori, 
la voce delle nostre fabbriche:
nel radere al suolo la vecchia,
voi dovrete accendere la nuova realtà.

Bandiere che sorgono come il sole,
marciate, che i vostri passi rimbombino.
Ogni Primo Maggio
è una tappa verso il socialismo.

Primo Maggio è la marcia
di minatori armati.
Nelle piazze, o rivoluzione,
marcia con milioni di piedi!

Beh, quanto a retorica ed auto-incensazione non c’è male: solo che oggi assomiglia curiosamente a quella del tanti Bonomi&Bonometti (spalleggiati dai tanti Zaia&Salvini) di turno che inneggiano alla ripresa hic-et-nunc (già anzi in ritardo) del lavoro (...degli altri) per non compromettere il futuro (...il loro, soprattutto). 

Dicono: se non si riparte, si muore di fame invece che di Covid (altra ardita formulazione filosofica: la dignità mia la compro con la vita tua, cruda versione dell’adagio Il lavoro nobilita l’uomo). Orbene, a parte che mi risulta che, di fame, si morisse già ben prima dell’arrivo del Covid, un rapido conto-della-serva ci dice che - con questo tipo di lockdown, appena ritoccato con la riapertura delle scuole e depurato da cervellotiche misure sulla mobilità individuale - potremmo andare avanti per un tempo abbondantemente superiore a quello richiesto per dotarci del vaccino, senza morire di fame... Certo, ci sarebbe da soddisfare solo un trascurabile prerequisito: che il 10% dell’umanità che detiene il 90% della ricchezza ne distribuisse una parte nemmeno troppo cospicua al restante 90%, che potrebbe così salvarsi sia dalla fame che dal Covid.

Poi ci si è messa pure la CEI, blaterando di libertà di culto violata (una variante della filosofia laica di Schauble: ma non sono costoro i difensori ad oltranza della vita?) E allora quell’altra religione che chiamiamo Arte (musicale, nel nostro caso) non avrebbe forse gli stessi diritti costituzionali? A Milano, per dire: il tempio aperto e, ad una galleria di distanza, l’altro sbarrato? 
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Però, già che ci siamo, cerchiamo di decifrare questo lavoro piuttosto inafferrabile, che di sinfonia (come normalmente intesa) non ha molto. Per prima cosa, la presenza del coro conclusivo è di per se discutibile: certo, dopo Beethoven, già Mendelssohn e poi Mahler e ancora Scriabin avevano proposto questa contaminazione di generi, che però Shostakovich spingerà oltre ogni ragionevole limite, chiamando sinfonia ogni genere di patchwork gli venisse in mente di comporre... Nella Terza non solo non troviamo una chiara suddivisione in movimenti (soltanto cinque principali indicazioni agogiche, vagamente riconducibili a quelle caratteristiche della forma classica) ma soprattutto non vi trova posto alcuna coerente narrativa, intesa come esposizione e poi sviluppo, riutilizzo, variazione di temi o motivi musicali. 

Non sarà un caso che Vasily Petrenko, Direttore della Liverpool Philharmonic, con la quale ha inciso l’integrale delle sinfonie di Shostakovich, parli della Terza (e della simile, per certi versi, Seconda) come di un’opera di cui si fatica a comprendere la logica (!) Dopodichè giustifica questa carenza con la (celata) volontà del compositore di prendersi gioco della retorica del regime... Mah, lo Shostakovich della Terza era ancora un ragazzo di 23 anni, pieno di entusiasmo (anche per la rivoluzione) con una movimentata vita sentimentale ed era in piena crescita di apprezzamenti e di... carriera: il disincanto (e la paura di lasciarci le penne) arriverà solo qualche anno dopo, con il colpo basso rifilatogli a tradimento dalla coppia Stalin-Zdanov a proposito della Ledi. 

Seguiamo allora la proposta esecuzione della Sinfonia, diretta dal venerabile Rozhdestvensky
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Intanto, un’osservazione tecnica riguardo l’edizione della partitura che si può scaricare dal sito scorser: sappiamo che Shostakovich indicava sempre meticolosamente il metronomo da seguire, accanto all’indicazione agogica qualitativa (Allegretto, Moderato, e così via); e sappiamo anche che spesso sono nate discussioni e diatribe relative a tali indicazioni, fra chi le considera bizzarre se non addirittura demenziali, e chi incolpa di grossolani errori il copista, l’editore o lo stampatore. Sta di fatto che lo stesso Autore spesso e volentieri eseguì la sua musica contraddicendo clamorosamente le indicazioni metronomiche pubblicate.

La Terza inizia in Allegretto a 100 semiminime (e qui siamo effettivamente nella normalità); ma poi l’indicazione sull’Allegro che segue lascia letteralmente allibiti: 104 minime! Che sarebbe il limite superiore di un Prestissimo. (Del resto 104 semiminime sarebbe altrettanto risibile, visto che Allegro diventerebbe agogica quasi indistinguibile da Allegretto.) Tralascio altri esempi, limitandomi a citare l’indicazione del successivo Andante, tempo ovviamente più lento di un Allegretto: ebbene, qui leggiamo invece 138 semiminime, circa il doppio del normale e tipico di un Allegro... per cui dovremmo concludere che Shostakovich fosse fuori di testa, visto che aveva notato l’Allegretto di apertura a 100 semiminime

Insomma, una gran confusione, che spiega perchè i Direttori (come qui Rozhdestvensky) di solito ignorino quasi del tutto tali indicazioni tecnologiche (quantitative) affidandosi a quelle qualitative, e poi alla propria sensibilità estetica.

[Sul concetto di agogica si potrebbe aprire poi un universo, cominciando col fare distinzione fra la velocità con la quale l’interprete deve suonare un certo brano (la prescrizione dell’Autore) e quella che invece è la velocità della musica percepita dall’orecchio umano. Un banale (estremizzato) esempio: prendiamo una partitura sulla quale il compositore indichi Larghetto (metronomo 50 semiminime): ci aspetteremmo una melodia piuttosto lenta, riposante, tipo Ombra mai fu, avete presente? Ma se il compositore scrivesse in ogni battuta di quel brano 4 semicrome al posto di ciascuna semiminima e l’interprete rispettasse il metronomo, al nostro orecchio il brano farebbe l’effetto di un Prestissimo! Non diversamente, a parità di tempo di percorrenza della distanza, l’agogica di un centometrista longilineo ci apparirà più rilassata di quella di un brevilineo...]
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L’apertura è un poco à-la-Haydn: non proprio con un Adagio, ma quasi: 55 battute introduttive di Allegretto (4/4, come il resto della prima sezione della Sinfonia) dove il primo clarinetto, poi raggiunto dal secondo, espone una delicata melopea, che porta (1’55”, Più mosso) ad un assolo della tromba, poi del corno, su ritmo marziale scandito dagli archi in pizzicato e fra svolazzi dei legni. Qui il tempo accelera progressivamente per raggiungere l’Allegro (2’26”). 

I motivi di questa sezione sono principalmente di carattere nervoso (una delle caratteristiche distintive del compositore) raramente alternati ad espressioni più composte (come ciò che si ode a 3’55”). La spiccata teatralità (o cinematograficità) di questa musica comincia a manifestarsi in diversi momenti topici, come l’accordo tenuto dall’orchestra a 4’27” seguito da un drammatico colpo di timpano, prima di una ripresa più vivace (Più mosso). A 5’38”, Meno mosso, ecco un nuovo passaggio meno nervoso, che prepara (6’22”) il ritorno dell’Allegro, dove un commentatore del video individua una possibile e plausibile reminiscenza di un passaggio (N°21, Allegro) delle Drottningholmsmusiken del settecentesco svedese Johann Helmich Roman.

Si prosegue in un crescendo di convulsioni sfocianti, a partire da 7’47”, in quattro reiterati interventi della tromba, che si staccano sul fondo ribollente dell’orchestra e culminano in altrettanti tutti (esaltati da piatti e triangolo) finchè (8’32”) ecco un altro esempio di teatralità: un lungo rullo di tamburino, che si protrae per 25 battute, fa da unico sfondo agli stentorei interventi solistici dei corni e poi della tromba. Al tacere del tamburino, sono ottavino, oboe e fagotto, poi raggiunti anche dal clarinetto, a prendere la scena con spiritate figurazioni. Quindi torna a farsi viva (9’47”) la tromba, sempre spalleggiata dal tamburino, e poi da due corni; infine il clarinetto ci fa sentire i suoi impertinenti svolazzi, su un marziale tappeto di archi bassi; anche il fagotto (10’27”) lancia un ultimo richiamo: siamo ormai vicini alla conclusione dell’Allegro, protagonisti, ora in pizzicato, celli e bassi, poi il timpano, che preparano - in una specie di misteriosa suspence - il terreno per la prossima sezione. Come si vede, nulla di lontanamente riferibile agli schemi classici di un primo tempo di Sinfonia.

Il successivo Andante attacca (10’53”) con 11 battute introduttive in 4/4 caratterizzate da tre isolati lamenti dei primi violini (affiancati, sul terzo, dai secondi). Un rullo di timpano, chiuso da quattro secchi colpi, dà inizio - con tre schianti dei fiati - al corpo di questa seconda sezione (11’34”) di 100 battute in tempo 3/4. Anche qui è quasi impossibile trovare il bandolo in un susseguirsi, senza logica apparente, di motivi esposti da diverse sezioni dell’orchestra. Dapprima gli archi, dai bassi agli alti, che poi (12’21) ricordano fugacemente il motivo svedese dell’Allegro. Quindi fanno capolino corni e tromboni, poi ottavino e violini, finchè (13’36”, Meno mosso) tocca al flauto esibirsi nella sua lamentosa esternazione. Ecco ancora i violini (14’44”, Lento) con una triste melopea, che si increspa appena, prima di sfociare (15’15”) nella finale cadenza che porta mestamente alla chiusura della sezione.

La successiva sezione della Sinfonia, un Allegro, sempre in 3/4, occupa il posto del classico Scherzo. Essa principia (16’36”) con i soli archi che entrano a canone (dal basso all’alto) per introdurre (rimpiazzati dai corni) spiritate figurazioni dei legni, su un ritmo ostinato (6 crome a battuta) che è una delle caratteristiche somatiche di molta musica di Shostakovich, che evoca sferraglianti locomotive o il martellare dei magli nelle acciaierie. È forse questo l’unico vago riferimento in musica al lavoro, quindi alla sua festa.        

Il brano si sviluppa poi con interventi di tutte le sezioni dell’orchestra e con la comparsa di qualche sincope ad increspare l’insistente monotonia del ritmo. Il quale cambia bruscamente a 18’36”, in corrispondenza di una mutazione del tempo, a 4/4 alla breve. La velocità aumenta leggermente e si instaura un ritmo in piede dattilo (taaa-ta-ta-taaa) o spondeo (leggendolo ta-ta-taaaa-ta-ta): caratteristico di altri macchinari o di altre lavorazioni (compare qui anche il tintinnio dei campanelli). Il ritmo è sostenuto da corni e tromba, con gli archi a disegnare figurazioni puntate. Ecco (19’12”) un intervento dei tromboni, poi si prosegue con l’insistente dattilo finchè una poderosa irruzione dei timpani (19’53”) porta poco a poco, dopo lo stentoreo intervento dei corni (20’15”) al ritorno al ritmo ostinato e regolare, che permane fino a 20’40” (Poco meno mosso).

Adesso l’intera orchestra si lancia in una teatrale perorazione, fatta di successive ondate culminanti in altrettante prese di respiro, fino a sfociare (21’44”, Allegro molto) in una lunga, invero melodrammatica coda appoggiata su un sottofondo di triangolo, piatti (con bacchette) timpani, tamburo e grancassa (par di sentire un certo Mahler... volgaruccio). Da 22’14” (Meno mosso) eroiche e stentoree figurazioni si alternano a precipitose cadute nell’abisso, fino a quando, di tutto questo gran bailamme, resta solo il funereo tappeto di timpani, tamburo e cassa, la quale lascia udire otto lugubri rintocchi, quasi ad evocare un’esecuzione capitale comminata a bastonate.

A questo punto (24’01”) inizia la quarta sezione della Sinfonia, un Andante-Largo in 3/4 di 87 battute che prepara il coro finale del 1° Maggio. È monopolizzato da interventi degli ottoni e degli archi bassi. Dapprima la tuba (con un’interiezione del fagotto) si produce in una discesa dal DO sopra il rigo al SOL sotto il rigo (2 ottave e mezza) chiusa da uno spaventevole colpo di tam-tam; poi (24’32”, Largo) sono celli e bassi a rispondere con tre salite in glissando (LA-FA, LA-SIb, SOL-DO) subito seguiti dalle trombe, nel silenzio generale. Ancora due glissando degli archi bassi, seguiti da una progressione ascendente, suggellata da un nuovo intervento di tam-tam. Sono i tromboni adesso a venire da soli in primo piano, presto raggiunti dalle trombe. Ancora due glissando degli archi bassi, poi un nuovo recitativo dei tromboni. Ora (27’23”) tutti gli archi intervengono, dapprima in glissando, poi a contrappuntare i tromboni, finchè si giunge ad una sospensione cui segue (27’53”) un tremendo schianto generale. Ancora tromboni, tuba e poi trombe chiudono la sezione su un fortissimo SIb, accompagnato da un poderoso cymbal clash

Eccoci quindi al finale (28’33”, Moderato in 4/4). Il coro è introdotto da 5 movimentate battute degli archi sulle quali spiccano note tenute dei legni. A 28’46” attaccano quindi le voci, che espongono le 9 strofe dell’inno. La tonalità, dal DO minore si muoverà verso il trionfalistico MIb maggiore conclusivo: in questa ultima strofa troviamo almeno un paio di arditi salti di tonalità, che inevitabilmente ricordano quello del finale del mahleriano Titan. La sinfonia si chiude con sei battute sul pesante ritmo marziale dell’intera orchestra, al di sopra del quale si staccano gli stentorei squilli della tromba sola, che (anche qui emulando gli scrosci dei corni del finale della Prima di Mahler) toccano per otto volte la dominante SIb, prima dell’ultima battuta, un unisono generale di MIb.
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Che dire? Un lavoro da cui traspare tanta (forse troppa) voglia di fare; un turbinare di idee, magari singolarmente apprezzabili, dove emerge chiaramente il DNA del compositore, ma un po’... accatastate, ecco, senza capo nè coda: un Durchkomponieren senza alcun soggetto, dichiarato o sottinteso che sia. Perchè anche il titolo - 1° Maggio - si applica di certo al coro finale, ma nulla ha a che spartire con tutto il resto dell’opera, che potrebbe benissimo essere la colonna sonora di un film su 6 gennaio, 15 agosto e 2 novembre (!)

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