Con
i tempi che corrono c’è poco lavoro da festeggiare. Ma almeno, stando a casa,
non si rischia l’intubazione, ed è già qualcosa.
Sinfonia, come la seconda, con coro finale (neanche fosse Beethoven!) inneggiante alla presa comunista del
potere, palesemente richiamata nel testo cantato, opera di uno - tale Semën
Isaakovič Kirsanov - che veniva
considerato una brutta, e soprattutto innocua, copia di Majakovski,
e proprio per questo assai più gradito dello scomodo originale al regime del baffone
georgiano.
Ecco
qua i versi che Shostakovich musicò come chiusura in gloria di questa sua non
propriamente eccelsa partitura:
ПЕРВОМАЙСКАЯ
Nel
primissimo Primo Maggio
Una
torcia fu gettata nel passato,
una
scintilla si fece falò,
e
le fiamme avvolsero la foresta.
Con
le orecchie delle ondeggianti conifere
la
foresta ascoltò
le
voci e i rumori
della
nuova parata del Primo Maggio.
Il
nostro Primo Maggio.
Nel
luttuoso sibilare di pallottole
impugnando
baionette e fucili,
il
palazzo dello zar fu occupato.
Il
palazzo del detronizzato zar:
quella
fu l’alba di Maggio,
avanzando
in marcia,
nella
luce di luttuose bandiere.
Il
nostro Primo Maggio:
un
futuro di vele,
spiegantesi
sopra un mare di grano,
e
i passi rimbombanti delle squadre.
Squadre
nuove, nuove classi di Maggio,
con
occhi fiammeggianti rivolti al futuro.
Fabbriche
ed operai marciano
alla parata del Primo Maggio,
raccoglieremo
i frutti della terra, è arrivato il nostro momento.
Ascoltate, lavoratori, la voce delle nostre fabbriche:
nel
radere al suolo la vecchia,
voi
dovrete accendere la nuova realtà.
Bandiere
che sorgono come il sole,
marciate,
che i vostri passi rimbombino.
Ogni
Primo Maggio
è
una tappa verso il socialismo.
Primo
Maggio è la marcia
di
minatori armati.
Nelle
piazze, o rivoluzione,
marcia con milioni di piedi!
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Beh, quanto a retorica ed auto-incensazione non c’è male: solo che oggi assomiglia curiosamente a quella del tanti Bonomi&Bonometti (spalleggiati dai tanti Zaia&Salvini) di turno che inneggiano alla ripresa hic-et-nunc (già anzi in ritardo) del lavoro (...degli altri) per non compromettere il futuro (...il loro, soprattutto).
Dicono: se non si riparte, si muore di fame invece che di Covid (altra ardita formulazione filosofica: la dignità mia la compro con la vita tua, cruda versione dell’adagio Il lavoro nobilita l’uomo). Orbene, a parte che mi risulta che, di fame, si morisse già ben prima dell’arrivo del Covid, un rapido conto-della-serva ci dice che - con questo tipo di lockdown, appena ritoccato con la riapertura delle scuole e depurato da cervellotiche misure sulla mobilità individuale - potremmo andare avanti per un tempo abbondantemente superiore a quello richiesto per dotarci del vaccino, senza morire di fame... Certo, ci sarebbe da soddisfare solo un trascurabile prerequisito: che il 10% dell’umanità che detiene il 90% della ricchezza ne distribuisse una parte nemmeno troppo cospicua al restante 90%, che potrebbe così salvarsi sia dalla fame che dal Covid.
Poi ci si è messa pure la CEI, blaterando di libertà di culto violata (una variante della filosofia laica di Schauble: ma non sono costoro i difensori ad oltranza della vita?) E allora quell’altra religione che chiamiamo Arte (musicale, nel nostro caso) non avrebbe forse gli stessi diritti costituzionali? A Milano, per dire: il tempio aperto e, ad una galleria di distanza, l’altro sbarrato?
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Però,
già che ci siamo, cerchiamo di decifrare questo lavoro piuttosto inafferrabile,
che di sinfonia (come normalmente intesa) non ha molto. Per prima cosa, la
presenza del coro conclusivo è di per se discutibile: certo, dopo Beethoven, già
Mendelssohn e poi Mahler e ancora Scriabin avevano proposto questa
contaminazione di generi, che però Shostakovich spingerà oltre ogni ragionevole
limite, chiamando sinfonia ogni
genere di patchwork gli venisse in
mente di comporre... Nella Terza non solo non
troviamo una chiara suddivisione in movimenti (soltanto cinque principali
indicazioni agogiche, vagamente riconducibili a quelle caratteristiche della
forma classica) ma soprattutto non vi trova posto alcuna coerente narrativa, intesa come esposizione e poi
sviluppo, riutilizzo, variazione di temi
o motivi musicali.
Non sarà un caso che Vasily
Petrenko, Direttore della Liverpool
Philharmonic, con la quale ha inciso l’integrale delle sinfonie di
Shostakovich, parli della Terza (e
della simile, per certi versi, Seconda)
come di un’opera di cui si fatica a comprendere
la logica (!) Dopodichè giustifica questa carenza con la (celata) volontà
del compositore di prendersi gioco della retorica del regime... Mah, lo
Shostakovich della Terza era ancora
un ragazzo di 23 anni, pieno di entusiasmo (anche per la rivoluzione) con una movimentata vita sentimentale ed era in piena
crescita di apprezzamenti e di... carriera: il disincanto (e la paura di
lasciarci le penne) arriverà solo qualche anno dopo, con il colpo basso rifilatogli
a tradimento dalla coppia Stalin-Zdanov a proposito della Ledi.
Seguiamo allora la proposta esecuzione della Sinfonia, diretta dal venerabile Rozhdestvensky.
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Seguiamo allora la proposta esecuzione della Sinfonia, diretta dal venerabile Rozhdestvensky.
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Intanto,
un’osservazione tecnica riguardo l’edizione della partitura che si può
scaricare dal sito scorser: sappiamo che
Shostakovich indicava sempre meticolosamente il metronomo da seguire, accanto all’indicazione agogica qualitativa (Allegretto, Moderato, e così via); e sappiamo anche che spesso sono nate
discussioni e diatribe relative a tali indicazioni, fra chi le considera
bizzarre se non addirittura demenziali, e chi incolpa di grossolani errori il
copista, l’editore o lo stampatore. Sta di fatto che lo stesso Autore spesso e
volentieri eseguì la sua musica contraddicendo clamorosamente le indicazioni
metronomiche pubblicate.
La Terza inizia in Allegretto
a 100 semiminime (e qui siamo
effettivamente nella normalità); ma poi l’indicazione sull’Allegro che segue lascia letteralmente allibiti: 104 minime! Che sarebbe il limite superiore
di un Prestissimo. (Del resto 104 semiminime sarebbe altrettanto risibile,
visto che Allegro diventerebbe
agogica quasi indistinguibile da Allegretto.) Tralascio
altri esempi, limitandomi a citare l’indicazione del successivo Andante, tempo ovviamente più lento di
un Allegretto: ebbene, qui leggiamo invece
138 semiminime, circa il doppio del
normale e tipico di un Allegro... per
cui dovremmo concludere che Shostakovich fosse fuori di testa, visto che aveva
notato l’Allegretto di apertura a 100 semiminime.
Insomma, una gran confusione, che spiega perchè i Direttori (come qui Rozhdestvensky) di solito ignorino quasi del tutto tali indicazioni tecnologiche (quantitative) affidandosi a quelle qualitative, e poi alla propria sensibilità estetica.
[Sul concetto di agogica si potrebbe aprire poi un universo, cominciando col fare distinzione fra la velocità con la quale l’interprete deve suonare un certo brano (la prescrizione dell’Autore) e quella che invece è la velocità della musica percepita dall’orecchio umano. Un banale (estremizzato) esempio: prendiamo una partitura sulla quale il compositore indichi Larghetto (metronomo 50 semiminime): ci aspetteremmo una melodia piuttosto lenta, riposante, tipo Ombra mai fu, avete presente? Ma se il compositore scrivesse in ogni battuta di quel brano 4 semicrome al posto di ciascuna semiminima e l’interprete rispettasse il metronomo, al nostro orecchio il brano farebbe l’effetto di un Prestissimo! Non diversamente, a parità di tempo di percorrenza della distanza, l’agogica di un centometrista longilineo ci apparirà più rilassata di quella di un brevilineo...]
Insomma, una gran confusione, che spiega perchè i Direttori (come qui Rozhdestvensky) di solito ignorino quasi del tutto tali indicazioni tecnologiche (quantitative) affidandosi a quelle qualitative, e poi alla propria sensibilità estetica.
[Sul concetto di agogica si potrebbe aprire poi un universo, cominciando col fare distinzione fra la velocità con la quale l’interprete deve suonare un certo brano (la prescrizione dell’Autore) e quella che invece è la velocità della musica percepita dall’orecchio umano. Un banale (estremizzato) esempio: prendiamo una partitura sulla quale il compositore indichi Larghetto (metronomo 50 semiminime): ci aspetteremmo una melodia piuttosto lenta, riposante, tipo Ombra mai fu, avete presente? Ma se il compositore scrivesse in ogni battuta di quel brano 4 semicrome al posto di ciascuna semiminima e l’interprete rispettasse il metronomo, al nostro orecchio il brano farebbe l’effetto di un Prestissimo! Non diversamente, a parità di tempo di percorrenza della distanza, l’agogica di un centometrista longilineo ci apparirà più rilassata di quella di un brevilineo...]
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L’apertura è un poco à-la-Haydn: non proprio con un Adagio, ma quasi: 55 battute
introduttive di Allegretto (4/4, come
il resto della prima sezione della Sinfonia) dove il primo clarinetto, poi
raggiunto dal secondo, espone una delicata melopea, che porta (1’55”,
Più mosso) ad un assolo della tromba,
poi del corno, su ritmo marziale scandito dagli archi in pizzicato e fra
svolazzi dei legni. Qui il tempo accelera progressivamente per raggiungere l’Allegro (2’26”).
I motivi di questa sezione sono
principalmente di carattere nervoso (una delle caratteristiche distintive del
compositore) raramente alternati ad espressioni più composte (come ciò che si
ode a 3’55”). La spiccata teatralità (o cinematograficità) di questa
musica comincia a manifestarsi in diversi momenti topici, come l’accordo tenuto
dall’orchestra a 4’27” seguito da un drammatico colpo di timpano, prima di una
ripresa più vivace (Più mosso). A 5’38”,
Meno mosso, ecco un nuovo passaggio
meno nervoso, che prepara (6’22”) il ritorno dell’Allegro, dove un commentatore del video individua una possibile e
plausibile reminiscenza di un passaggio (N°21,
Allegro) delle Drottningholmsmusiken del
settecentesco svedese Johann Helmich Roman.
Si prosegue in un crescendo di convulsioni sfocianti, a partire da 7’47”,
in quattro reiterati interventi della tromba, che si staccano sul fondo
ribollente dell’orchestra e culminano in altrettanti tutti (esaltati da piatti e triangolo) finchè (8’32”) ecco un altro
esempio di teatralità: un lungo rullo
di tamburino, che si protrae per 25 battute, fa da unico sfondo agli stentorei
interventi solistici dei corni e poi della tromba. Al tacere del tamburino,
sono ottavino, oboe e fagotto, poi raggiunti anche dal clarinetto, a prendere
la scena con spiritate figurazioni. Quindi torna a farsi viva (9’47”)
la tromba, sempre spalleggiata dal tamburino, e poi da due corni; infine il
clarinetto ci fa sentire i suoi impertinenti svolazzi, su un marziale tappeto
di archi bassi; anche il fagotto (10’27”) lancia un ultimo richiamo:
siamo ormai vicini alla conclusione dell’Allegro,
protagonisti, ora in pizzicato, celli
e bassi, poi il timpano, che preparano - in una specie di misteriosa suspence - il terreno per la prossima
sezione. Come si vede, nulla di lontanamente riferibile agli schemi classici di
un primo tempo di Sinfonia.
Il successivo Andante attacca (10’53”) con 11 battute introduttive
in 4/4 caratterizzate da tre isolati lamenti dei primi violini (affiancati, sul
terzo, dai secondi). Un rullo di timpano, chiuso da quattro secchi colpi, dà
inizio - con tre schianti dei fiati - al corpo di questa seconda sezione (11’34”)
di 100 battute in tempo 3/4. Anche qui è quasi impossibile trovare il bandolo
in un susseguirsi, senza logica apparente, di motivi esposti da diverse sezioni
dell’orchestra. Dapprima gli archi, dai bassi agli alti, che poi (12’21)
ricordano fugacemente il motivo svedese
dell’Allegro. Quindi fanno capolino
corni e tromboni, poi ottavino e violini, finchè (13’36”, Meno mosso) tocca al flauto esibirsi
nella sua lamentosa esternazione. Ecco ancora i violini (14’44”, Lento) con una triste melopea, che si
increspa appena, prima di sfociare (15’15”) nella finale cadenza che
porta mestamente alla chiusura della sezione.
La successiva sezione della
Sinfonia, un Allegro, sempre in 3/4,
occupa il posto del classico Scherzo.
Essa principia (16’36”) con i soli archi che entrano a canone (dal basso
all’alto) per introdurre (rimpiazzati dai corni) spiritate figurazioni dei
legni, su un ritmo ostinato (6 crome
a battuta) che è una delle caratteristiche
somatiche di molta musica di Shostakovich, che evoca sferraglianti
locomotive o il martellare dei magli nelle acciaierie. È forse questo l’unico
vago riferimento in musica al lavoro,
quindi alla sua festa.
Il brano si sviluppa poi con
interventi di tutte le sezioni dell’orchestra e con la comparsa di qualche
sincope ad increspare l’insistente monotonia del ritmo. Il quale cambia
bruscamente a 18’36”, in corrispondenza di una mutazione del tempo, a 4/4 alla breve. La velocità aumenta
leggermente e si instaura un ritmo in piede
dattilo (taaa-ta-ta-taaa) o spondeo
(leggendolo ta-ta-taaaa-ta-ta): caratteristico di altri macchinari o di altre
lavorazioni (compare qui anche il tintinnio dei campanelli). Il ritmo è
sostenuto da corni e tromba, con gli archi a disegnare figurazioni puntate.
Ecco (19’12”) un intervento dei tromboni, poi si prosegue con
l’insistente dattilo finchè una poderosa irruzione dei timpani (19’53”)
porta poco a poco, dopo lo stentoreo intervento dei corni (20’15”) al ritorno al
ritmo ostinato e regolare, che permane fino a 20’40” (Poco meno mosso).
Adesso l’intera orchestra si
lancia in una teatrale perorazione, fatta di successive ondate culminanti in
altrettante prese di respiro, fino a sfociare (21’44”, Allegro molto) in una lunga, invero melodrammatica
coda appoggiata su un sottofondo di triangolo,
piatti (con bacchette) timpani, tamburo e grancassa (par di sentire un certo
Mahler... volgaruccio). Da 22’14” (Meno mosso) eroiche e stentoree figurazioni si alternano a
precipitose cadute nell’abisso, fino a quando, di tutto questo gran bailamme,
resta solo il funereo tappeto di timpani, tamburo e cassa, la quale lascia
udire otto lugubri rintocchi, quasi ad evocare un’esecuzione capitale comminata a bastonate.
A questo punto (24’01”)
inizia la quarta sezione della Sinfonia, un Andante-Largo
in 3/4 di 87 battute che prepara il coro finale del 1° Maggio. È monopolizzato
da interventi degli ottoni e degli archi bassi. Dapprima la tuba (con un’interiezione
del fagotto) si produce in una discesa dal DO sopra il rigo al SOL sotto il
rigo (2 ottave e mezza) chiusa da uno spaventevole colpo di tam-tam; poi (24’32”,
Largo) sono celli e bassi a
rispondere con tre salite in glissando
(LA-FA, LA-SIb, SOL-DO) subito seguiti dalle trombe, nel silenzio generale.
Ancora due glissando degli archi
bassi, seguiti da una progressione ascendente, suggellata da un nuovo
intervento di tam-tam. Sono i tromboni adesso a venire da soli in primo piano, presto
raggiunti dalle trombe. Ancora due glissando
degli archi bassi, poi un nuovo recitativo dei tromboni. Ora (27’23”)
tutti gli archi intervengono, dapprima in glissando,
poi a contrappuntare i tromboni, finchè si giunge ad una sospensione cui segue (27’53”)
un tremendo schianto generale. Ancora tromboni, tuba e poi trombe chiudono la
sezione su un fortissimo SIb, accompagnato da un poderoso cymbal clash.
Eccoci quindi al finale (28’33”, Moderato in 4/4). Il coro è introdotto da 5 movimentate battute degli archi sulle quali spiccano note tenute dei legni. A 28’46” attaccano quindi le voci, che espongono le 9 strofe dell’inno. La tonalità, dal DO minore si muoverà verso il trionfalistico MIb maggiore conclusivo: in questa ultima strofa troviamo almeno un paio di arditi salti di tonalità, che inevitabilmente ricordano quello del finale del mahleriano Titan. La sinfonia si chiude con sei battute sul pesante ritmo marziale dell’intera orchestra, al di sopra del quale si staccano gli stentorei squilli della tromba sola, che (anche qui emulando gli scrosci dei corni del finale della Prima di Mahler) toccano per otto volte la dominante SIb, prima dell’ultima battuta, un unisono generale di MIb.
Eccoci quindi al finale (28’33”, Moderato in 4/4). Il coro è introdotto da 5 movimentate battute degli archi sulle quali spiccano note tenute dei legni. A 28’46” attaccano quindi le voci, che espongono le 9 strofe dell’inno. La tonalità, dal DO minore si muoverà verso il trionfalistico MIb maggiore conclusivo: in questa ultima strofa troviamo almeno un paio di arditi salti di tonalità, che inevitabilmente ricordano quello del finale del mahleriano Titan. La sinfonia si chiude con sei battute sul pesante ritmo marziale dell’intera orchestra, al di sopra del quale si staccano gli stentorei squilli della tromba sola, che (anche qui emulando gli scrosci dei corni del finale della Prima di Mahler) toccano per otto volte la dominante SIb, prima dell’ultima battuta, un unisono generale di MIb.
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Che
dire? Un lavoro da cui traspare tanta (forse troppa) voglia di fare; un turbinare di idee, magari singolarmente
apprezzabili, dove emerge chiaramente il DNA del compositore, ma un po’...
accatastate, ecco, senza capo nè coda: un Durchkomponieren
senza alcun soggetto, dichiarato o sottinteso che sia. Perchè anche il titolo -
1° Maggio - si applica di certo al
coro finale, ma nulla ha a che spartire con tutto il resto dell’opera, che
potrebbe benissimo essere la colonna sonora di un film su 6 gennaio, 15 agosto
e 2 novembre (!)
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