Riecco il prezioso Oleg Caetani sul podio dell’Auditorium per offrirci un programma ancora
incentrato su Shostakovich, ma con
reminiscenze della grande stagione del teatro musicale dell’800, e precisamente
dei due compositori che ne rappresentano l’alfa e l’omega: Rossini e Wagner, la cui
presenza aleggia proprio nell’ultima Sinfonia del russo.
Se qualcuno aveva dubbi sulla meticolosità
del Direttore li avrà di sicuro sciolti vedendolo entrare sul palco in maniche
di camicia e panciotto, poco prima dell’ingresso degli orchestrali, per segnare
qualche indicazione sulle parti dei contrabbassi!
Si apre con Wagner e il Siegfrieds Rheinfahrt, il
viaggio di Sigfrido sul Reno, l’intermezzo strumentale che nell’ultima giornata
del Ring separa il Prologo (e in
particolare il commiato di Siegfried da Brünnhilde) dall’arrivo del
giovane eroe presso la corte dei Ghibicunghi,
dove non più di un paio di giorni più tardi troverà morte ignominiosa. E l’incipit
della marcia funebre che ne precede le esequie farà capolino nell’ultimo
movimento della Sinfonia di Shostakovich.
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In realtà il brano che si ascolta
(fu Engelbert Humperdinck ad
assemblarlo così, per essere eseguito in forma di concerto) presenta come
introduzione al viaggio le 52 battute
che sottolineano l’alba e il risveglio di Siegfried e Brünnhilde (che hanno passato la notte
nella grotta sulla di lei rupe circondata dalle fiamme).
In tempo assai
tranquillo si ode nel primo trombone il tema dell’Enigma del destino - è quello che ritroviamo appunto in Shostakovich - che
sfocia nell’accordo tenuto dai tre tromboni (più la tuba, che Humperdinck prescrive
al posto del trombone contrabbasso): una triade di FA# maggiore che convive per
altre quattro battute con il MI del primo trombone. I violoncelli (21”)
hanno contemporaneamente cominciato ad esporre un sommesso ed arcano recitativo
che sale dal FA# grave al DO# sopra il rigo, per poi degradare a dente di sega
e finalmente stabilizzarsi sul FA#.
E sul FA# (per loro
enarmonicamente SOLb) i corni, in tre battute, espongono (55”) un motivo che fra
pochissimo si farà perfettamente riconoscere come attinente a Siegfried. Ancora
i violoncelli (1’12”) ripropongono il loro recitativo, stavolta partendo da
una terza sopra (LA#) e poi lo sviluppano ampiamente, modulando a SOL minore,
fino a disegnare (1’54”) un inciso che viene da lontano (Rheingold): dal tema della Fuga. Ecco: mentre l’alba è sempre più
chiara e i bagliori del fuoco di Loge si fanno sempre più deboli, ci stiamo
inoltrando all’interno della caverna nella roccia dove ancora dormono i due
innamorati.
Ora i corni (2’15”) in SIb maggiore
espongono compiutamente quel motivo soltanto abbozzato poco prima (in SOLb), il
tema dell’Eroismo di Siegfried, che
altro non è se non quello del Grido del
fanciullo della foresta (che si ode per la prima volta nel Siegfried) riccamente armonizzato
(esposto a due voci, per terze) e
caratterizzato da un tempo assai più sostenuto.
Immediatamente lo segue (2’29”)
nel primo clarinetto, contrappuntato dal clarinetto basso, il motivo di Brünnhilde non più Valchiria, o Brünnhilde donna. Insomma, a noi sembra
quasi di vedere i due giovani aprire gli occhi, l’una dopo l’altro, e
stiracchiarsi come ogni comune mortale al risveglio dopo una notte
indimenticabile. Ed è incredibile come i due motivi, esposti qui in stretta
sequenza, ci appaiano quasi come un’unità indivisibile, il secondo come una
logica e consequenziale risposta al primo: ecco la mirabile sintesi musicale
della perfetta unione di due cuori, di due anime innamorate!
È il nuovo tema di Brünnhilde a
prendere ora decisamente il sopravvento (3’05”) in MIb, con il suo
caratteristico piglio: sottodominante LAb, gruppetto
rovesciato attorno alla stessa (SOL-LAb-SIb-LAb), salto in alto alla
sopratonica FA poi giù alla sesta DO, ancora su alla tonica MIb e giù alla
sopratonica FA (la parte iniziale del tema deriva chiaramente dal Rienzi). Il tema si ripete ancora,
slanciandosi continuamente da punti più alti (sottodominante, poi sesta, poi
tonica, infine ancora dalla sesta superiore) preparando l’arrivo di quello
dell’Eroismo di Siegfried.
In realtà qui (4’20”)
si salta a piè pari il lungo duetto fra i due innamorati per seguire Siegfried
che, dopo aver salutato Brünnhilde,
ha preso il cavallo Grane (dono della giovane ex-valchiria) per le briglie e si
incammina giù per lo scosceso pendio che separa la roccia infuocata dal Reno,
scomparendo alla vista, per andarsene finalmente a scoprire il mondo. È
accompagnato appropriatamente da due temi: quello del suo Grido, urlato da oboi, clarinetti e corni, contrappuntato in tromba
bassa e terzo trombone da quello della Cavalcata
(delle Valchirie) chè lui ora possiede un mezzo di locomozione equino (sia pure non più in grado di... volare). Essi
sfociano, sempre in fortissimo e con
piena consequenzialità (4’30”) in quello della Libertà, con nuove sporadiche
apparizioni (in tromba bassa e prima tromba) di quello della Cavalcata.
Brünnhilde ha seguito Siegfried
fin sull’orlo del pendio ed ora la vediamo (anzi… ascoltiamo attraverso
l’orchestra) osservare l’eroe che si allontana: allacciandosi al RE (sensibile
del MIb che caratterizzava Siegfried)
ecco che il suo tema adulto (4’48”) si slancia in alto di un
tritono (!) arrivando al LA maggiore, dove passa da una sezione all’altra
dell’orchestra, fino a quando Siegfried sembra scomparire anche alla vista
della donna amata.
Sì, perché ormai sta arrivando in
basso, forse scorge in lontananza la sponda del Reno: con una brusca
modulazione a FA maggiore, ecco risuonare nel corno (5’40”) il tema
inconfondibile del suo Grido. Ancora
un fugace inciso di Brünnhilde (5’55”)
che ormai lo sta perdendo di vista e gli lancia un ultimo saluto, dopodichè il
tema del Grido aizza in orchestra in
tutta la sua pienezza (6’12”) il motivo della Decisione d’amare, che i due avevano
intonato alla chiusa della seconda giornata (Siegfried). Un motivo che, al di là della chiara valenza
spirituale, richiama irresistibilmente anche l’atto materiale di scendere a
balzelloni, e con temporanee risalite, lungo un crinale scosceso.
Ed ora ecco il vero e proprio viaggio sul Reno, che prepara l’approdo
a quello che nell’opera si scoprirà essere un ambiente falsamente accogliente,
in realtà un luogo di perdizione! È una vera e propria rapsodia renana, costruita fondendo in mirabile simbiosi e con
orchestrazione lussureggiante i vari temi legati in qualche modo al grande
fiume, comparsi fin dal Rheingold,
con quelli di Siegfried.
La prima parte del viaggio vede
Siegfried ancora in fase di discesa dalla rupe di Brünnhilde, come ci precisa
la comparsa accanto al tema del Grido
(6’43”)
adesso divenuto più tranquillo e disteso (il tratto più scosceso del crinale è
stato evidentemente superato) del motivo del Fuoco di Loge (7’01”) che tuttora avvolge i piedi
della roccia di Brünnhilde: per Siegfried ormai dev’essere uno scherzo
attraversarlo, almeno a giudicare dalla languida forma che il tema ha assunto.
Finalmente siamo sulla sponda del
grande fiume. Che musica ci accoglie qui? Pare di essere tornati al Preludio
del Rheingold: l’Elemento primordiale (7’50”) in tutti i fiati
contrappuntato dall’Ondeggiamento
negli archi; però la tonalità ha di nuovo virato al LA maggiore, che si trova
ancora una volta a distanza di un malefico tritono dal MIb della Vigilia! Ed è quasi per ribellarsi a
questa specie di eresia che Wagner introduce una disperata modulazione al MIb (8’17”)
proprio mentre il tema dell’Elemento
primordiale sfuma temporaneamente in quello speculare del Crepuscolo degi Dèi, prima di riprendere
il suo corso in MIb.
Adesso all’Elemento primordiale segue (8’52”) il Canto delle Figlie del Reno, ma nella sua versione dolente, quella
cantata dalle tre ninfe desolate alla fine del Rheingold; per di più contrappuntata nei fagotti e violoncelli da
cupi incisi del Grido di Siegfried, poi
da quelli dell’Oro (9’11”)
nelle trombe. Altro chiaro indizio di malessere, di instabilità, altre nuvole
che si addensano su uno scenario che pareva presentare tutte le caratteristiche
del trionfo e della felicità.
Ma non è finita: compare anche (9’44”)
il tema dell’Anello, nella forma in
cui originariamente si ascolta dalla voce di Wellgunde nel Rheingold; poi qui (come là) sfocia (10’09”) in quello della Rinunzia,
due volte, seguito da due sinistre apparizioni del tema dell’Oro (10’31”) prima nel corno, poi nella tromba bassa.
Ecco, il viaggio sarebbe concluso, mentre
il povero Siegfried si sta pericolosamente inoltrando in un mondo assai poco
raccomandabile... ma Humperdinck pensa bene di aggiungere di suo una decina di
battute trionfalistiche in MIb maggiore, così il pubblico è accontentato. (Il
buon Tennstedt però le taglia di netto.)
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Brano
invero trascinante, che Caetani chiude con le battute di Humperdinck, così l’applauso scroscia copioso. Devo dire
onestamente che non si è proprio trattato di un’esecuzione... storica, ecco: il
corno di Siegfried doveva essere ancora poco riscaldato e l’amalgama fra le
sezioni dell’orchestra mi è parso migliorabile.
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Si prosegue con Rossini e la Sinfonia dal Guglielmo Tell, uno dei
cavalli di battaglia del’Orchestra, che l’ha eseguita una dozzina di volte nel
corso della sua storia. Sempre mirabile il recitativo del pacchetto dei cinque
violoncelli (guidati nell’occasione da Tobia
Scarpolini) che apre la sinfonia, poi è la volta del corno inglese di Paola Scotti ad accompagnarci nella selva opaca. Infine arriva il
celeberrimo e travolgente motivo della cavalcata finale, che viene citato da
Shostakovich nel primo movimento della sinfonia che chiude il concerto.
Qui davvero non si possono fare appunti
di sorta ai ragazzi e al Maestro, che si meritano lunghi applausi dal un pubblico
abbastanza folto.
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Ecco infine il clou del programma: la Sinfonia
n°15 di Shostakovich,
l’ultima sua (1971) che rappresenta una specie di sunto della sua esperienza
musicale ed esistenziale. Qui si può ascoltare la registrazione della prima, diretta a Mosca dal figlio Maksim,
sabato 8 gennaio, 1972. Caetani - non è la prima volta - arriva sul podio impugnando
al posto della bacchetta un... microfono per raccontarci genesi e sostanza dell’opera
che si appresta a portare alle nostre orecchie (e da qui a cervello e cuore).
In
questa ultima fatica Il compositore - vicino ormai alla fine - sembra
divertirsi a giocare con forme e contenuti, mescolando bizzarrie parodistiche e
infantili con seriose meditazioni filosofiche. Il tutto con ampie spruzzate di
citazioni (proprie ed altrui). Così ecco un primo movimento (Allegretto) che della forma-sonata
mantiene a fatica un simulacro, sfociando in realtà in un libero quanto geniale
affastellarsi di temi scanzonati, dove (all’interno del secondo gruppo
tematico) fa capolino l’inconfondibile motivo della cavalcata che chiude la
Sinfonia del rossiniano Tell. E poi
una serie di interventi spiritati ed esilaranti di percussioni leggere, insieme
a glockenspiel, celesta, xilofono e vibrafono (si noti come questi ultimi
strumenti siano presenti nelle battute conclusive di tutti i 4 movimenti della
sinfonia.) Compare di sfuggita, nella trombetta, anche un frammento che ricorda
il Mahler della quinta. Riguardo all’impertinente e infantile primo tema
(MIb-LAb-DO-SI-LA) esposto dal flauto, è stato osservato come la simbologia
tedesca di quelle 5 note richiami appropriatamente il nome S-AS-C-H-A, il
nipotino dell’Autore (Shostakovich aveva la mania dei temi richiamanti nomi di
persona, ad iniziare dal suo proprio - DSCH - citato spesso e volentieri nelle
sue musiche, oltre che scolpito sulla lapide della sua tomba).
Segue
un Adagio che alterna severi corali
di ottoni a lunghe e nobili melodie del violoncello e a meste melopee del
trombone solo, intercalate da interventi delle piccole percussioni. Poi uno
scherzo (Allegretto) che reintroduce
atmosfere ora spiritate ora sognanti e infine un altro Adagio che chiude l’opera nel segno di Wagner. É infatti introdotto
dal Leit-motiv dell’Enigma del destino,
che sfocia in un Allegretto dal
sapore agrodolce nel quale nasce una passacaglia dall’ostinato che ricorda la marcetta teutonica della settima. Questa chiude con un colossale frastuono (ritorno in Adagio) che poi si smorza per far posto
ancora all’Allegretto che conduce
alla conclusione, introdotta dal motivo del Tristan
che torna ancora per accompagnarci, dopo un percorso di fatiche e sofferenze, verso
una conclusione che, se non proprio divertita e scanzonata, appare quanto meno
serena e rassegnata senza drammi, come testimoniano i sommessi cicalecci della
batteria delle percussioni e degli strumenti dal suono argentino.
Shostakovich era arrivato a condannare
la tecnica seriale-dodecafonica come il
peggior male della musica del 20° secolo. Ma in questa sinfonia (ed in
altre opere della maturità) sembra divertirsi ad inventare motivi di 12 note
(che poi però manipola con criteri personali, irrispettosi del metodo di Schönberg).
Qui alcuni esempi presi dai primi tre movimenti della Sinfonia:
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Caetani, grande specialista di
Shostakovich - del quale ha inciso anni fa l’integrale sinfonico proprio con laVerdi - ottiene davvero il massimo da tutti e da ogni singolo
strumentista (praticamente tutte le prime parti hanno in carico passaggi solistici
di grande impegno). Dopo che archi, celesta, glockenspiel e... triangolo (!)
hanno esalato, morendo, la triade
perfetta di LA maggiore, il Maestro ottiene almeno 5 secondi di religioso
silenzio, prima che il pubblico sia autorizzato a dar sfogo all’entusiasmo.