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28 febbraio, 2018

L’ipertrofico Mahler di Chailly alla Scala

 

Il Direttore Musicale è stato protagonista di una 3-giorni dedicata a quello sterminato lavoro mahleriano che va sotto il nome di Terza Sinfonia. Ieri sera un Piermarini non proprio stracolmo ma alla fine osannante ha ospitato l’ultima delle tre esecuzioni.   

Questo lavoro è ancor oggi oggetto di diatribe tra chi, continuando a riferirsi al programma extramusicale che - ahilui - lo stesso compositore aveva originariamente esplicitato (in non meno di 8 versioni diverse e persino contraddittorie!) ne disconosce la qualità estetica, liquidandolo come velleitario e vuoto prodotto di Kapellmeister-Musik (musica-da-direttore-d’orchestra); e chi invece gli riconosce alto valore estetico in quanto... etico. Personalmente propendo per una via di mezzo: che si tratti di un gran bel minestrone, che ti appaga la vista, ti riempie lo stomaco e, quindi, ti concilia con la vita e ti permette di vedere il mondo con un certo ottimismo, dimenticando per qualche ora tutto quanto di negativo e fastidioso circonda l’umana esistenza.         

Che sia un minestrone (in senso buono, per carità) lo attesta la nutrita serie di ingredienti (dei quali una lista certo incompleta si può leggere in questo mio commento ad una ormai lontana esecuzione de laVerdi) che Mahler raccoglie in giro per il mondo (musicale) per cucinarlo. E pensare che in origine ci doveva essere pure... l’ammazza-caffè (un settimo movimento, tematicamente legato al quinto) poi risparmiatoci per diventare l’epilogo della sinfonia successiva (siamo al concetto di... meccano).  

E al proposito mi permetto, ma sì, una provocazione: é vero o no che oggi nessuno si scandalizza se un regista o un direttore propongono un Boris costruito (a proposito di meccani!) a partire dai due ben distinti Boris originali? E che nessuno obietta più di tanto se nel DonCarlo si ripristina l’espunto (per trovar posto nel Requiem) Lacrymosa? E qualcuno ha forse gridato allo scandalo quando si è presentato un Macbeth del ’47 con il coro Patria oppressa del ’65? E così via rimescolando... Ora, perchè un Direttore che si voglia distinguere non prova a proporre questa Terza con aggiunto il finale originariamente immaginato dal compositore? E ancora, cosa che sarebbe davvero epocale, che si aspetta a presentare in prima assoluta mondiale un’opera inedita di Mahler, dal titolo 4. Symphonie / Eine Humoreske? Fine della provocazione.
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Ricapitolando, possiamo ascoltare la terza del boemo secondo le di lui originarie (e infine ritrattate) indicazioni programmatiche, con le quali vorrebbe spiegarci nientemeno cosa gli raccontano le diverse manifestazioni del creato. Un interminabile poema sinfonico che parte dalle montagne del Salzkammergut per arrivare fino a… Dio! Transitando - magari in un giorno di festa, tipo 1°maggio - per il Prater di Vienna, con le sue bande peripatetiche al seguito di variopinti cortei; camminando (a piedi nudi sull'erba…) attraverso prati e boschi (di Boemia?); ascoltando particolari storielle del bosco (viennese?) con tanto di passaggio di consegne (Ablösung im Sommer) dal defunto cuculo all'usignolo, cerimonia disturbata dalla languida melopea della trombetta di uno svogliato postiglione; meditando poi su notturni complessi freudiani (pardon, nietzschiani); ascoltando angeli che cantano con accompagnamento infantile, onomatopeicamente bombarolo; fino ad arrivare al creatore. Il rischio qui è di restare delusi, proprio come capita al sommo Quirino Principe:


Oppure ascoltarla come fosse soltanto nulla più e nulla meno che... musica! Che in fondo è proprio l’approccio che lo stesso Mahler, ordinandoci alla fin fine di ignorare tutti i programmi da lui stesso proposti, ci invita a praticare: abbandonarsi al rapsodo.

E in effetti non si può negare che questa sia musica che ha una sua inequivocabile narrativa: dapprima ci porta nel bel mezzo del weltlich Getümmel - proprio ciò che nel Lied originariamente pensato a chiudere la Sinfonia viene dichiarato come bandito lassù, dove si vive la vita celestiale - il gran casino e fracasso (materiale e morale) del nostro mondo, carico di ipocrisia, retorica, qualunquismo, volgarità, sguaiatezze e banalità: come trovare un solo tema nobile nell’iniziale Kräftig? Un movimento in forma-sonata di dimensioni inaudite, estenuante e a un certo punto persino insopportabile (la ripresa che arriva dopo 25 minuti, quando una normale sinfonia è ben oltre la metà del suo cammino!) che è specchio fedele delle mostruosità sesquipedali che già la civiltà di fine ‘800 aveva creato, in tutti i campi.

Poi abbiamo due movimenti (un Menuetto più uno Scherzo, il che già la dice lunga sull’ipertrofia della narrazione musicale di Mahler) che ci portano fuori città, quasi a passare un distensivo week-end, lontani dal logorio della vita moderna. Della quale per la verità qualche lontana eco ci raggiunge anche lì, con squilli di cornette, marcette meno sguaiate, ma non certo sublimi, e rumorosi scoppi che ci risvegliano di soprassalto. Quindi (nel Misterioso, con l’aiuto determinante di una parola autorevole abbinata a musica da balera vestita di seriosità) Mahler comincia a far filosofia, per indurci a meditare sui concetti di terreno e di eterno. E ancora (nel Lustig, sempre esplicitamente) per indicarci ingenuamente la salvezza dai nostri peccati.

Infine, nel colossale Langsam (grazie a Beethoven, Wagner e Verdi, tre che di buona musica ne sapevano qualcosa...) ecco che Mahler ci porta faticosamente, proprio in modo estenuante, quasi fosse una musicale via-crucis (o il parsifaliano percorso verso il Gral) dentro una specie di luminoso nirvana. Interessante al proposito notare la differenza fra la conclusione della Terza e quella della Seconda: quest’ultima chiude in MIb maggiore (tonalità quanto mai liturgica!) con una secca croma di tutta l’orchestra, compresi i due timpani che devono martellarla in fff, un perentorio schianto che evoca tutto tranne che... l’eternità. Nella Terza invece il poderoso accordo dell’intera orchestra di RE maggiore (tonalità trionfale ma anche pastorale) si prolunga nell’ultima battuta su una semibreve con corona puntata (teoricamente in eterno, quindi, e per sicurezza Mahler aggiunge un esplicito Lange) mentre i due timpani, dopo una serie di precedenti proterve martellate, suonano solo per una minima, poi tacciono, a conferma che... non c’è una porta che ci vien sbattuta in faccia.
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Chailly? Beh, lui di Mahler ne mastica fin da bambino, poi ha potuto seguire quello che Abbado portava di peso alla Scala, quindi sperimentarlo dal vivo con un’orchestrina giovane come laVerdi, ancora studiarlo e dirigerlo nella seconda patria musicale del boemo, lassù in mezzo ai tulipani; infine perfezionarlo a casa di Mendelssohn, non so se mi spiego. Insomma: un pedigree di tutto rispetto, per non dire quasi unico al mondo. 

Per ieri mi permetto di dargli due voti separati: un bel 9 per le dinamiche, davvero quasi perfette: enfasi e fracassi quando e solo se necessari, ma soprattutto arte di cesello nelle molte sezioni dove l’espressività deve farla da padrone (passaggi dove archi e strumentini nulla avevano da invidiare allo Strauss del Rosenkavalier, per dire...); non più di 7 invece - ma qui è davvero questione di gusti - per l’agogica: la partitura Universal indica come durata complessiva circa 90 minuti; Chailly (qui al Concertgebouw) già va lungo di quasi 10 minuti; ma ieri finisce (al netto della pausa dopo il Kräftig) per avvicinare i 110! Insomma, più di un quarto d’ora mi pare un ritardo eccessivo, ecco: vuoi vedere che a Chailly l’avanzare degli anni faccia l’effetto che fece già a Celibidache, o a Knappertsbusch, o a Klemperer? In ogni caso, la sua lettura è stata assolutamente coerente, distribuendo l’extra-time in modo quasi equanime nei 6 movimenti. 
  
L’immane Orchestra, disposta insolitamente con violini secondi al proscenio rimpiazzati al loro posto dalle viole, sempre concentratissima. Alcune galeotte quanto indesiderate acciaccature dei corni, un paio di note rimaste nella coulisse del trombone (peraltro superbo) non inficiano certo una prestazione sontuosa (anzi a volte piccole imperfezioni ti confermano che a suonare sono esseri umani con un’anima e non freddi robot). I cori (signore e... signorini/e) di Casoni hanno ben meritato nella loro filastrocca a sfondo mistico. Gerhild Romberger ha prestato la sua voce ben tornita a tale Nietzsche e poi ha dialogato da par suo con i cori.

Alla fine un autentico tripudio ha salutato la sterminata compagnia dei Musikanten, con chiamate a ripetizione per Chailly, Casoni, Romberger e il postiglione Nicola Martelli, accolti da ovazioni da stadio. Eroe della serata, manco a dirlo, Chailly, che non si crederebbe essere lo stesso direttore che meno di un anno fa fu smaccatamente buato dopo l’ouverture della Gazza ladra, da qualcuno che ne richiedeva a gran voce la cacciata da Milano per indegnità...  Ecco, il tempo è sempre galantuomo.

26 febbraio, 2018

Un bel Trittico a Reggio E. dopo 10 anni


Nel suo imprescindibile testo su Puccini, Michele Girardi cita un aneddoto (riportato originariamente da Ferruccio Pagni e Guido Marotti nel loro Giacomo Puccini intimo del 1926, poi ristampato nel 1943) che riguarda le curiose circostanze nelle quali sarebbe stato attribuito il nome Trittico ai tre atti unici di Puccini. Dunque, la cosa avvenne in un circolo di pittori (Pagni era uno di loro) di Torre del Lago, dove emersero le proposte più bizzarre, quali treppiede, triangolo, tritono, trinità. Chissà (ma questo lo immagino io) se qualcuno per caso suggerì anche... tricolore

E con ciò? direte voi. Niente, solo che ieri stavo per caso nella città del Tricolore che ha ospitato (al Valli) la prima delle due recite del Trittico pucciniano, tornato colà - passando per Modena e Piacenza e prima di muovere verso Ferrara - a 10 anni di distanza dalla precedente visita. Quella ripresa oggi è la produzione del Teatro modenese del 2007, per la regìa di Cristina Pezzoli.

Credo sia doveroso elogiare subito l’organizzazione di questo tour del Trittico, che comporta evidentemente enormi e molteplici difficoltà (dalla composizione di un cast pletorico, ai relativi problemi economici); difficoltà che da sempre hanno fortemente limitato la messa in scena di questa trilogia, abitualmente spacchettata nelle sue componenti, magari poi abbinate ad altre opere brevi. Al proposito cedo la parola ad un’altra autorità pucciniana, Julian Budden:

Budden fa riferimento all’interpretazione drammaturgica del Trittico di Mosco Carner, con relativo riferimento ai tre cantici della Commedia dantesca:


Budden giustamente osserva come quel parallelo sia assai azzardato (lo stesso spunto per lo Schicchi - l’Inferno - lo smentirebbe per definizione). E quindi l’ostilità di Puccini verso lo smembramento della trilogia (come correttamente ricorda Carner, testimoniando anche la sua personale predilezione per la messinscena unitaria) fu più probabilmente legata a ragioni estetiche che non al supposto riferimento dantesco.

Peraltro non si può escludere che Puccini abbia pensato ad un qualche filo rosso che leghi le tre operine. Come minimo, non v’è dubbio che in tutte sia protagonista, sotto forme pur diversissime, la morte. Violenta e verista nel Tabarro, nobile e trasfigurata nell’Angelica, infine trattata parodisticamente quanto prosaicamente nello Schicchi. Insomma, una trilogia da necrologio!
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Ieri credo che il protervo fratellone russo dell’innocua buriana abbia dissuaso molti dal muoversi da casa: fatto sta che parecchi posti del Valli sono andati deserti... In compenso chi ha assistito ha applaudito anche per gli assenti, ecco.

L’allestimento - di quelli che sarebbero da catalogare nella categoria tradizionali, nel senso che mostrano il soggetto originale e non una sua genialoide contraffazione - mantiene ancor oggi, a 10 anni di distanza, tutta la sua freschezza e gradevolezza, restituendoci con grande efficacia la sostanza di queste tre varianti sul tema del trapasso: quella di un abietto scenario di precarietà e degrado; l’altra, di psicologica soperchieria della società ai danni di una donna colpevole di reato-d’amore; la terza, di somma ipocrisia di chi (eredi legittimi o approfittatori, fa lo stesso) nella morte cerca solo il proprio tornaconto.

Da encomiare la compagnia di canto, ovviamente con alti (Ambrogio Maestri, chi se no) e... diversamente alti (la Svetlana Kasyan, un gran vocione ma di qualità da migliorare assai). Brava la Anna Maria Chiuri (unica presente nelle tre opere) e bravissimi, direi, i due tenori (Rubens Pelizzari nel Tabarro e Matteo Desole nello Schicchi). Tutti e tutte le altre da elogiare in blocco, così come i cori (adulti e... minorenni) di Modena. 

La ORER ha offerto una brillante esecuzione di queste difficili partiture, ben condotta da Aldo Sisillo, preciso e puntuale nella concertazione.
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Allego con l’occasione un bel profilo pucciniano comparso nel luglio del 1990 su Musica&Dossier a firma di Gustavo Marchesi.

24 febbraio, 2018

laVerdi 17-18 – Concerto n°15


Tutto Mahler per il ritorno sul podio del Musikdirektor Claus Peter Flor.

L’accoppiata dei brani è abbastanza insolita: usualmente si accostano i Lieder eines fahrenden Gesellen alla Prima sinfonia, dati gli strettissimi legami tematici (e cronologici, e pure esistenziali) che intercorrono fra due delle quattro canzoni e due dei movimenti della sinfonia. Flor invece fa seguire la Quinta, più legata, casomai, a testi di Rückert, musicati da Mahler nello stesso periodo... ma va bene così, per carità.

Johannes Held ci propone quindi in apertura il ciclo del 1884-5, composto a Kassel - confessò l’Autore - sotto una profonda agitazione psicologica derivatagli dal travagliato (e abortito) legame sentimentale con tale Johanna Richter, cantante all’Opera di cui Mahler era a quel tempo Direttore musicale. Originariamene scritto per voce intermedia (baritono o mezzo) e pianoforte, fu poi orchestrato dallo stesso Mahler molti anni più tardi.

 
I testi delle quattro canzoni sono dello stesso Mahler, ma il primo ha come scoperto modello due poesie del Knaben Wunderhorn, la collezione di anonimi canti popolari raccolti ed editati da Arnim&Brentano, di cui Mahler musicherà ben presto parecchi testi, pubblicati come Lieder e/o inseriti nelle sinfonie 2-3-4 (che per questo sono spesso etichettate, più o meno appropriatamente, come Wunderhorn-Symphonien).
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Seguiamo l’esecuzione di Hermann Prey con Haitink al Concertgebouw. Una caratteristica che accomuna i 4 brani è che nessuno chiude nella stessa tonalità con la quale si apre: segno questo di smania innovativa (mista a qualche perdonabile velleità) del 25enne Mahler; ma forse anche espressione di un concetto filosofico sull’esistenza, che procede sempre inesorabile, ed esclude ritorni al passato.      

Wenn mein Schatz Hochzeit macht. Il tempo è  2/4 e 6/8, tonalità di attacco RE minore e agogica che passa rapidamente da veloce a lento e viceversa. A proposito di legami con la Prima sinfonia, già se ne intravede uno proprio nell’attacco dei clarinetti (dopo il gruppetto iniziale) con quel balzo ascendente dominante-tonica (4”) seguito dalla caduta contraria: a parte il metro, lo ritroveremo nella marcia funebre della sinfonia.

Il Lied ha una struttura tripartita: A-B-A’. Abbastanza ricercata la concatenazione delle tonalità: la strofa A (in 2/4) si porta dall’iniziale RE minore a SIb maggiore (47”, Geh' ich in mein Kämmerlein) e poi (1’16”, Um meinen lieben Schatz!) alla relativa SOL minore (tonalità che quindi chiuderà il Lied). La strofa centrale (1’39”, Blümlein blau!)  in 6/8 e dolcemente mosso attacca con un inaspettato MIb maggiore, per poi modulare fugacemente a SOL minore (1’59”, Du singst auf grüner Heide!) e da qui al FA maggiore (2’06”, Ach! Wie ist die Welt so schön!) che prepara il ritorno alla relativa RE minore che apre (2’23”) l’ultima strofa A’ (Singet nicht!) Essa si differenzia poco dalla A, ma come quella modula a SIb maggiore (2’53”, Des Abends, wenn ich schlafen geh’) e infine (3’17”, An mein Leide!) al conclusivo SOL minore, in un’atmosfera invero lugubre.

Ging heut’ morgens übers Feld. Tempo 4/4 alla breve, comodo, tonalità di attacco RE maggiore, chiusura in FA# maggiore. É costituito da tre strofe A-A-A’ più una coda che impiega comunque la prima parte del tema. La melodia (3’49”) è quella  che diventerà famosa come primo tema della Prima sinfonia (anche là in RE maggiore). Si ripete con qualche variazione finale anche alla seconda strofa (4’34”, Auch die Glokken blum’ am Feld). La cui coda orchestrale (5’13”) vira però di una terza in alto, al FA# maggiore e subito dopo (5’22”) alla sottodominante SI maggiore, su cui si apre la terza strofa (5’27”, Und da fing im Sonnenschein) dove il tema viene esposto in modo assai sviluppato, ri-modulando (6’02”, Guten Tag, guten Tag!) a FA# maggiore. Tonalità che permane anche nella coda (6’34”, Nun fängt auch mein Glück wohl an) dove il tempo si fa progressivamente sempre più lento. Ultima divagazione a SI maggiore (6’51”, ancora Nun fängt auch mein Glück wohl an) e poi il ritorno a FA# maggiore (7’13”, Nein! Nein!) per la sconsolata, ma anche serenamente rassegnata, conclusione.   

Ich hab’ ein glühend Messer. Tempo 9/8, poi 4/4, tempestoso, selvaggio, tonalità RE minore, chiusura in MIb minore. L’attacco (8’05”) è davvero feroce e la melodia (a parte il tempo e la tonalità) ricorda abbastanza quella dell’incipit della Totenfeier (la futura Seconda sinfonia) che non a caso fu eseguita insieme alla Prima nel concerto coi Berliner del 1896, dove i Lieder ebbero il pubblico battesimo.

La forma della canzone è tipicamente durchkomponiert, nel senso che non ci sono strofe ripetute, nè riprese. La prima sezione in RE minore si protrae fino alla seconda comparsa dell’esclamazione O weh. O weh! Qui (8’48”) troviamo una breve sezione puramente strumentale, un piccolo intermezzo, che serve a modulare la tonalità dapprima a SOL minore e poi a SOL maggiore. Ecco ora (9’02”, nuovo  O weh!) una nuova modulazione, a DO maggiore, con i flauti che introducono (9’18”, Wenn ich in den Himmel seh) una sezione lenta, di fatto onirica, subito dopo caratterizzata ancora dal DO maggiore (9’41”, Wenn ich im gelben Felde geh'). Ma l’oasi serena subito scompare, il sogno svanisce e (10’01”, Wenn ich aus dem Traum auffahr') si ripiomba nella disperazione (qui addirittura pare di scorgere un passaggio dell’ancora lontanissimo Trinklied vom Jammer der Erde!) La tonalità si muove a SIb minore e dopo un’altra esplosione di O weh! veniamo investiti (10’13”) da una rapidissima scala ascendente di tutta l’orchestra che conduce ad un colossale accordo di SIb minore, dal quale si diparte una pesante scala discendente (Ich wollt', ich lag' auf der schwarzen Bahr) che conduce al MIb minore sul quale (10’40”) riudiamo, quasi in via di disintegrazione, lo stilema di apertura, seguito da una veloce discesa degli archi, fino a morire in pianissimo

Die zwei blauen Augen von meinem Schatz. Tempo 4/4 (con qualche battuta sparsa in 5/4) senza sentimentalità, tonalità MI minore, poi FA maggiore; chiusura in FA minore. Il Lied si caratterizza per un mesto tempo di marcia e la voce attaccca subito (11’04”) un motivo che è parente del Bruder Martin che Mahler assumerà a base della Marcia funebre della Prima sinfonia. Il tema viene subito ripreso (11’43”, O Augen blau!) ma chiuso diversamente, con intervento dei flauti a ribadire la cellula iniziale. A 12’30” (Ich bin ausgegangen in stiller Nacht) abbiamo una variante della melodia, in DO maggiore/minore (uno degli stilemi che Mahler si porterà dietro per sempre): questa alternanza maggiore-minore si protrae fino ad una stentata reiterazione della cellula iniziale (13’47”) che chiude la prima sezione del Lied.

La seconda sezione (14’07”, Auf der Strasse steht ein Lindenbaum) comparirà nella Marcia funebre della Prima sinfonia, anche là a costituire un breve squarcio di serenità in uno scenario ferale. La tonalità, dal precedente DO, è ora passata alla sottodominante FA maggiore, ma ancora con inflessioni in minore. La chiusura (15’45”, Alles! Alles!) evoca un’allucinazione onirica, suggellata, in FA minore (16’21”) dalla cellula iniziale, esposta ancora dai flauti.
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Johannes Held, devo confessare, mi ha lasciato assai perplesso: timbro di voce non proprio nobilissimo, legato precario ed espressività latente. Insomma: per essere stato questo (credo) l’esordio dei Gesellen nel carnet de laVerdi, dirò che ci si poteva aspettare qualcosa di più, ecco.
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Decisamente meglio sono andate le cose con la celebre Quinta. Flor l’aveva diretta - per me con profitto - a fine 2016, e ieri lui - che ha naturalmente tenuto fede ad alcuni suoi particolari interpretativi, mentre ha disposto diversamente gli archi, con violini secondi al proscenio - e i ragazzi si sono ripetuti con una prestazione di tutto rispetto, salutata con gran calore da un pubblico foltissimo se non proprio oceanico. Insomma: questo Mahler, per quanto inflazionato, paga sempre.

(In contemporanea la Scala ha offerto la smisurata Terza, guidata dal Direttore Onorario de laVerdi. Di ciò riferirò dopo ascolto dell’ultima replica del 27.)

21 febbraio, 2018

Un Simone di routine alla Scala (gentilonizzata)


Ieri sera: Piazza Scala transennata come neanche a SantAmbrogio. Poliziotti adibiti a maschere-aggiunte cui mostrare il tagliando d’ingresso per poter avvicinarsi al teatro. Ohibò, ci si chiedeva: timori di attentato dinamitardo dell’ISIS? Minacce nucleari dei nord-coreani contro il direttore sud-coreano? Ma no, tutto a posto: c’è solo Gentiloni che, essendo capitato per caso a Milano per sostenere la candidatura di tale Gori a Governatore longobardo, si è fatto invitare dal tenutario-pro-tempore del teatro (tale Sala) nel Palco Reale, così, tanto per vedere l’effetto che fa.

Per la verità il nostro PM è sempre schivo e modesto, e pochi si sono accorti del suo ingresso alla chetichella nel suddetto Palco Reale (ci mancava pure che Chung attaccasse, per par-condicio, Fratelli d’Italia!) Così qualche adepto zelante ha pensato bene di fargli uno spot-tino elettorale. Quando, verso la fine, la regìa di Tiezzi (copiando il DonGiovanni di Carsen) prevede di collocare in quel palco privilegiato il Capitano che declama le sue tre righe di testo, ecco che un occhio-di-bue illumina a giorno il Capitano e, con lui, il  Premier! Evabbè, tanto qui la par-condicio è comunque salva, dato che il nostro è ben visto da (quasi) tutto  l’arco inciucionale costituzionale...
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In questi ultimi anni il corsaro Boccanegra ha infestato veleggiato nel vasto mare del Piermarini con frequenza pari almeno a quella registrata negli anni ‘60 e ’70 del secolo scorso: ben quattro incursioni negli ultimi 8 anni (10-14-16-18). Si tratta della terza ripresa della produzione di Federico Tiezzi, che ha visto sul podio Barenboim, Ranzani e queste ultime due volte Chung. Quanto al protagonista, Domingo si è baritonizzato per le prime tre edizioni, Nucci ha cantato di sua natura nelle ultime tre. 

A parte Nucci, nel cast il decano di queste quattro programmazioni è Ernesto Panariello (Pietro) sempre sul pezzo dal 2010; lo segue Fabio Sartori (Adorno) che torna dopo il 2010 e il 2014; con lui i due accademici Luigi Albani (Capitano) e Barbara Lavarian (Ancella) già in pista nel 2014 e 2016; infine Krassimira Stoyanova (Amelia) e Dmitri Belosselskiy (Fiesco) tornano dopo il 2016. Esordiente il Paolo di Dalibor Jenis. Insomma, una squadra, almeno sulla carta, sufficientemente rodata. 

E ieri sera, alla quinta delle otto recite della stagione, l’affiatamento fra tutti (coro di Casoni e orchestra inclusi) ha prodotto un dignitoso risultato, che un pubblico non oceanico ha accolto con unanimi, pur non esagitati, applausi.

19 febbraio, 2018

Un orecchio all’Orphée che sta arrivando a Milano (3)


Mancano ormai pochi giorni al debutto scaligero di Orphée et Euridice, spettacolo di cui si sa già molto (o quasi tutto) trattandosi di una produzione del 2015 della londinese Royal Opera House.

Della quale produzione esiste fortunatamente in rete (almeno finchè qualche spilorcio non ne richiederà la rimozione) l’audio integrale, per il quale dobbiamo ringraziare Larry L. Lash (aka la straussiana Jungfer Marianne Leizmetzerin). 

E proprio seguendo questa registrazione ci possiamo preparare a ciò che si ascolterà al Piermarini, ovviamente ben sapendo che, a parte JDF, tutti gli altri protagonisti sonori dello spettacolo sono mutati rispetto a Londra, dove Flórez si accompagnava a Crowe e Forsythe, sotto la bacchetta dello specialista Gardiner (che aveva pure coro e orchestra praticamente incorporati) mentre qui gli terranno compagnia Karg e Said, diretti da uno (Mariotti) che con questo repertorio non ci vive giorno e notte, e men che meno con l’orchestra e il coro scaligeri. Ma ovviamente speriamo per il meglio!

Ouverture
É in DO maggiore, nella canonica forma-sonata, e presenta temi del tutto avulsi dai contenuti musicali dell’opera (un cedimento al vecchio stile di metastasiana memoria). Serve però a meraviglia per aprire festosamente il dramma che altrettanto festosamente si concluderà.  

Atto 1 - Euridice è morta - Orfeo si dispera, poi decide di scendere all’Inferno
Scena 1 - Le esequie di Euridice, il dolore di pastori e ninfe, la disperazione di Orfeo
3’07” Coro "Ah, dans ce bois tranquille et sombre". La tonalità muta improvvisamente a DO minore, creando un forte contrasto fra l’introduzione festosa e lo scenario delle esequie di Euridice (contrariamente alle tradizioni di letteratura e teatro, qui nulla sappiamo della sua vita, nè delle cause della sua morte). Il coro la invoca, mentre Orfeo - come testimoniano i suoi mesti richiami al nome della sposa che lo contrappuntano - si sente morire di dolore. Ancora il coro si rivolge ad Euridice (con fugace modulazione alla relativa MIb maggiore) chiedendole di aver pietà dello sposo e della sua disperazione.
6’27” Recitativo Orfeo Vos plaintes, vos regrets”. Orfeo, sempre in DO minore, piange la sposa morta e invoca i suoi mani perchè le diano le onoranze funebri che si merita.
7’01” Pantomima di pastori e ninfe. La danza funebre si apre nella relativa MIb maggiore, poi vira al minore (SIb e quindi MIb) chiudendo però ancora con un accordo maggiore.
8’53” Coro "Ah, dans ce bois lugubre et sombre". Sempre in DO minore ecco la ripresa del precedente coro, dove si invoca ancora l’ombra di Euridice, perchè porti consolazione alle lacrime che la sua morte ha provocato.
10’24” Recitativo OrfeoEloignez vous”. La tonalità resta DO minore, mentre Orfeo chiede di rimanere solo con il suo dolore.
10’45” RitornelloLa sola orchestra chiude la scena - pastori e pastorelle che si ritirano - riprendendo il motivo del coro, sempre in DO minore.

Scena 2 - Orfeo solo, immerso nel suo dolore, ma poi deciso a sfidare gli inferi  
11’49” Aria Orfeo "Objet de mon amour". Questa prima aria rappresenta il punto centrale del primo atto. Orfeo, dopo aver pensato al suicidio, non si rassegna al destino di morte e si propone di sfidare gli inferi per riprendersi la sua Euridice. É un brano assai complesso, strutturato su tre strofe cantate (caratterizate da linea melodica purissima) intercalate da due recitativi (assai cupi e dolenti) di invocazione ad Euridice, più un recitativo conclusivo che presenta la decisione di Orfeo. La tonalità del tema delle strofe è DO maggiore (qui per la voce tenorile, a Vienna era in FA) quella dei recitativi DO minore. Nella prima strofa Orfeo esterna il suo continuo ricordo di Euridice.
13’11” Recitativo Orfeo Euridice! Euridice!” Orfeo si chiede dove sia Euridice, ma la sua preghiera se la portano via i venti.
14’42” Aria Orfeo (strofa 2) "Accablé de regrets". Orfeo canta il suo vagare per foreste e boschi, ma l’eco non fa che ripetere il suo triste pianto.  
16’06” Recitativo Orfeo "Euridice! Euridice! De ce doux nom". Ancora i lamenti di Orfeo, che sente il nome di Euridice risuonare nella foresta e lo vede inciso sui tronchi dalla sua mano tremante. Implora gli dèi: ridatele la vita, o date a me la morte. Il DO minore qui trascolora in maggiore.
17’41” Aria Orfeo (strofa 3) "Plein de trouble et d'espoir". Il cuore di Orfeo è colmo di turbamento, di terrore, di pena. Anche il ruscello mormora la testimonianza della sua infelicità.
19’05” Recitativo Orfeo "Divinités de l'Achéron". Orfeo inveisce contro le divinità della morte, che gli hanno strappato la sposa. E si propone di scendere agli inferi per riprendersela, sfidando il loro tirannico furore. Il recitativo (la tonalità si muove fra LA e RE minore) evoca mirabilmente la determinazione e la collera di Orfeo.

Scena 3 - Orfeo, incoraggiato da Amore, si prepara a scendere verso gli inferi
20’10” Recitativo Amore L’amour vient au secours”. Con un colpo di teatro ecco che Amore compare all’improvviso per confortare Orfeo, assicurandogli che potrà scendere agli inferi per ritrovare Euridice. La tonalità va dall’iniziale DO al FA maggiore, introducendo la successiva aria.
20’41” Aria Amore "Si les doux accords de ta lyre". Amore promette a Orfeo che, qualora il suo canto e il suono della sua lira appaghino gli dèi infernali, ecco che lui potrà portare con sè Euridice. Orfeo interrompe brevemente l’aria, che si era appoggiata alla dominante DO, con un’esclamazione in recitativo, che riprenderà subito dopo. Amore riprende l’aria ripetendo i versi precedenti, ma su una nuova melodia, ancora in FA.   
22’05” Recitativo Orfeo-Amore Dieux, je la reverrais”. Mentre la tonalità si sposta a SIb maggiore (poi a SOL minore) Orfeo ripete l’esclamazione di poco prima, ma Amore lo avverte: dovrai rispettare i voleri degli dèi. Lui si dice disposto a tutto. Amore gli impartisce allora l’ordine perentorio: non dovrai per nessun motivo rivolgere lo sguardo alla sposa.
23’06” Aria Amore "Soumis au silence". Virando a SOL maggiore, Amore spiega a Orfeo la ragione dell’ordine degli dèi: per loro è più commovente che l’amante resti vicino all’amata silenzioso e discreto. L’aria alterna due volte tempo lento a tempo più mosso.  
25’13” Recitativo Orfeo "Impitoyables dieux, qu'exigez-vous de moi?Rimasto solo, Orfeo si cruccia per questo terribile comando (e l’orchestra ribolle con lui, svariando su tonalità diverse e lontane, DO#, FA#, e sottolineando l’agitazione del suo animo con lugubri e violenti accordi) ma alla fine si rincuora, preparandosi (mentre la tonalità scivola a RE maggiore) a sostenere la dura prova.
26’19” Arietta Orfeo L’espoir renait dans mon âme”. È questa l’aria inserita da Gluck appositamente per Parigi e ampiamente contestata (plagio da Ferdinando Bertoni?) che chiude trionfalmente l’atto. La tonalità (SIb maggiore) è abbastanza vicina a ciò che precedeva, tuttavia il carattere squisitamente virtuosistico dell’aria ne fa quasi un corpo estraneo all’opera. Ma certo per il tenore è occasione più unica che rara! 

Atto 2 - Viaggio di Orfeo all’Inferno
Scena 1 - Orfeo scende agli inferi e vi incontra gli spiriti maligni
31’08” Introduzione: Danza delle Furie (nel libretto viennese di Calzabigi: orribile sinfonia!) In tempo maestoso vengono evocati gli spettri infernali che accoglieranno Orfeo. Tre pesanti coppie di unisoni di MIb, poi di FA, quindi di SOL creano un’atmosfera di crescente, spaventevole tensione.
32’31” Arrivo di Orfeo. Tensione interrotta bruscamente dal suono in semicrome di un’arpa (con accompagnamento pizzicato in semiminime degli archi) proveniente dall’esterno (seconda orchestra dietro la scena, indica la partitura) che evoca inequivocabilmente l’avvicinarsi di Orfeo e del suono della sua lira. La tonalità è RE minore, sulla quale è cantato il successivo Coro.   
32’41” Coro "Quel est l'audacieux". Le creature infernali si domandano inizialmente chi sia quel pazzo che osa inoltrarsi fin laggiù, sulle orme di Ercole e Piritoo. Lo fanno con un canto in unisono, assai pesante e minaccioso, accompagnato dall’oboe e dal rabbrividente tremolo degli archi. Lo stilema della melodia (tempo 3/4) si manterrà per l’intera scena.
32’58” Danza delle Furie. Si interpone qui una nuova danza degli spettri, davvero indiavolata!
33’39” Coro "Quel est l'audacieux". Riprende il coro che adesso cerca reiteratamente di spaventare il malcapitato Orfeo, evocando il mostruoso e tricefalo Cerbero, i cui orrendi latrati sono ben individuabili dai ripetuti (triplici!) interventi in glissando degli archi!  
34’41” Aria Orfeo (con pertichini del Coro) "Laissez-vous toucher par mes pleurs". Altra brusca transizione di atmosfera, con il nuovo ingresso della seconda orchestra e dell’arpa di Orfeo. La quale esegue una modulazione dal RE minore al SIb maggiore dell’aria per il tenore (a Vienna era un canonico passaggio da DO minore alla relativa MIb maggiore per il castrato-contralto). Orfeo implora reiteratamente gli spettri e le larve di lasciarsi commuovere dalle sue lacrime e di essere sensibili al suo dolore. Ma questi intercalano le sue esternazioni con ripetuti e perentori NO-NO-NO, accompagnati dall’orchestra in buca.  
37’27” Coro "Qui t'amène en ces lieux". Le creature infernali cominciano forse ad ammorbidire la loro tracotanza: chiedono infatti ad Orfeo che cosa lo abbia condotto laggiù, luogo di rimorsi, gemiti e tormenti. La melodia è però sempre quella martellante degli interventi precedenti. La tonalità, dal SIb maggiore dell’aria di Orfeo ha virato alla fine al DO minore, per il nuovo intervento di Orfeo.
38’27” Aria Orfeo "Ah, la flamme qui me dévore". Orfeo risponde che ciò che lo divora è un fuoco assai più bruciante di quello dell’inferno. Chiude modulando a SOL minore.
39’14” CoroPar quels puissants accords”. Gli spettri, quasi soggiogati, danno segnali di ammorbidimento.
40’19” Aria Orfeo  "La tendresse que me presse".  Modulando a DO minore, Orfeo è omai certo che le sue lacrime potranno calmare il furore delle creature infernali.
41’15” Coro Quel chants doux et touchants”. Passando da DO a FA minore, gli spettri si mostrano ormai convinti dal canto di Orfeo ad aprirgli le porte dell’Inferno. Lui passa accanto a loro e si inoltra oltre la porta.
42’47” Danza delle Furie. Allontanatosi Orfeo, le creature infernali riprendono la loro normale e spaventevole attitudine. Con una danza in RE minore presa di peso dal balletto Don Juan, che qui è quanto mai appropriata, date le sue caratteristiche davvero indiavolate.

Scena 2 - I Campi Elisi e le Ombre felici
47’02” Danza delle Ombre felici. Quella che si apre davanti agli occhi di Orfeo è una consolante scena bucolica: i Campi Elisi, abitati dalle Ombre felici, le anime dei morti che trovano l’oblio bevendo le acque del Lete. È costituita da quattro sezioni puramente strumentali, di cui la prima - unica presente nella versione di Vienna - è un menuetto in FA maggiore (Lento e molto dolce).
49’07” (seconda sezione). Si tratta di un trio in RE minore, caratterizzato da un mirabile quanto celebre assolo di flauto.
52’16” (terza sezione). È una semplice ripresa del menuetto in FA maggiore della prima sezione.
53’21” (quarta sezione). È una gavotta in DO maggiore / minore ripresa dall’opera Paride&Elena del 1770.
55’18” Aria Euridice (con Coro) "Cet asile aimable et tranquille". É un rondò in FA maggiore che Euridice attacca cantando il ritornello e la strofa; il coro con Euridice canta il ritornello, Euridice ripete la strofa e il coro con Euridice chiude con il ritornello.        
57’33” Danza di Eroi ed Eroine. I temi del rondò sono infine ripresi dall’orchestra per accompagnare Euridice che si allontana. 

Scena 3 - Orfeo incontra le Ombre felici e chiede di Euridice
58’24” Recitativo Orfeo "Quel nouveau ciel pare ces lieux!" Beh, il termine recitativo posto da Gluck in calce a questo numero gli sta non dico stretto, ma quasi... offensivo! È vero che Orfeo più che cantare declama, ma l’orchestra (l’oboe soprattutto) disegna melodie celestiali, nel solare DO maggiore! È la natura qui protagonista: boschi, prati, il cinguettare di uccelli (questo rimosso per la verità a Parigi) lasciano Orfeo letteralmente incantato. Tuttavia il ricordo e l’immagine di Euridice, mentre l’oboe vira a LA minore, tornano ad occupare la mente di Orfeo (la tonalità sfuma ora a RE minore) il quale invoca l’amata con accenti accorati.
1h03’04” Coro "Viens dans ce séjour paisible". Le Ombre felici - in un calmo FA maggiore - invitano Orfeo ad avvicinarsi: Euridice sta per arrivare da lui.
1h05’24” Danza delle Ombre felici. Un tenero menuetto in SIb maggiore accompagna la danza delle Ombre felici che si apprestano ad accogliere Euridice.
1h07’34” Recitativo Orfeo (con Coro) "O vous, ombres que j'implore". Ma Orfeo è impaziente, e ancora - con un concitato recitativo che va dal SIb al RE minore - chiede a quelle ombre di affrettare il momento in cui finalmente Euridice sarà ancora al suo fianco. In un breve corale in DO maggiore le Ombre finalmente annunciano: viene Euridice! 

Scena 4 - Euridice torna, accolta dalle Ombre felici
1h08’14” Coro "Près du tendre objet qu'on aime". Il Coro - in FA maggiore - si rivolge ora alla sopraggiungente Euridice, invitandola a rinascere per il suo Orfeo. 

Atto 3 - Orfeo, con l’aiuto di Amore, riporta Euridice alla vita - Apoteosi
Scena 1 - Orfeo accompagna Euridice, ma si volge a guardarla e lei muore
1h11’38” Recitativo Orfeo-Euridice "Viens, viens, Euridice, suis-moi". L’introduzione agitata degli archi, in FA minore, ci fa capire che Orfeo e la sua rediviva sposa stanno cercando di ritrovare l’uscita dall’Inferno, in uno scenario per nulla rassicurante. Il lungo recitativo - che svaria spesso a DO - alterna gli inviti sempre concitati di Orfeo a far presto e le esternazioni di Euridice che, ancora stordita, fatica a capacitarsi di essere tornata creatura vivente, e vorrebbe subito godere dell’intimità con lo sposo. Il quale viceversa non si degna di guardarla e corre avanti imperterrito. Euridice non si dà pace per questo strano comportamento di Orfeo, dal quale si sente quasi oltraggiata. Arriva a desiderare di essere abbandonata laggiù. La chiusa è su un flebile DO maggiore degli archi.
1h15’34” Duetto Orfeo-Euridice "Viens, suis un époux qui t'adore". Dopo poche battute introduttive dei violini, in FA maggiore, fra i due nasce un rapido botta-e-risposta: lui la esorta a seguirlo e lei risponde che preferirebbe morire; ora nella relativa RE minore entrambi - cantando per terze - esternano la propria angoscia, rivolgendosi agli dèi, che hanno accompagnato la loro benevolenza a crudeli tormenti. La seconda parte del duetto viene ripetuta, la tonalità svaria a FA minore per poi chiudere in modo maggiore.
1h19’19” Recitativo Euridice "Mais d'où vient qu'il persiste à garder le silence!" Orfeo si è allontanato da Euridice, accasciandosi su una roccia, mentre la sposa ancora si chiede la ragione di quell’incredibile trattamento che Orfeo la ha riservato: strapparla al mondo dei morti per poi gettarla nella più cupa disperazione! Ostinate terzine degli archi accompagnano la sua profonda agitazione, che chiude il recitativo - dall’iniziale LA - sul DO minore.
1h21’08” Aria Euridice "Fortune ennemie" (parte prima). Attacca ora in questa tonalità un’aria in tre parti, che nella seconda diviene in pratica un duetto, con l’intervento di Orfeo. Dapprima è ancora Euridice, sempre agitata, a prendersela con il destino, che le ha restituito, insieme all vita, atroci tormenti.        
1h22’01” Duetto Euridice-Orfeo Je goûtais les charmes”. Questa sezione centrale è più calma - nella relativa MIb maggiore, in tempo ternario e non binario - e ci porta le rispettive esternazioni dei due giovani (ciascuno parla solo con se stesso, anche se le voci si sovrappongono): lei rimpiange la serenità da cui era circondata nei Campi Elisi, mentre ora dolori e lacrime riempiono la sua vita; lui è tormentato dai sospetti di lei, sospetti che però non può fugare senza disobbedire all’ordine divino, e quindi perderla di nuovo, e per sempre.     
1h23’32” Aria Euridice "Fortune ennemie" (ripresa). Si ritorna a DO minore, tempo più mosso e binario, per la chiusa dell’aria di Euridice, che ripete, variandola, la strofa iniziale.
1h24’20” Recitativo Orfeo-Euridice "Quelle épreuve cruelle!" Orfeo fatica a resistere alla tentazione di disobbedire al volere divino, mentre Euridice si dispera di dover morire senza uno sguardo dell’amato. Il quale è ormai in preda ad una tremenda dissociazione psicologica: vedere Euridice morire, senza far nulla, o farla morire lui cercando di soccorrerla? Nel momento in cui Euridice gli lancia l’ultimo addio, Orfeo si volta e si precipita su di lei: e i loro due nomi si incontrano mirabilmente proprio sulla stessa battuta musicale, formando con gli archi un accordo di settima diminuita (MIb-FA#-LA-DO). É il fatale momento (1h26’20”) in cui Euridice muore per la seconda volta. Ad Orfeo non restano che rimorso, disperazione e... morte, come canta, sulle agitate crome degli archi, chiudendo in RE minore il recitativo.
1h27’44” Aria Orfeo "J'ai perdu mon Euridice". Ma la morte deve attendere: perchè Orfeo ci deve far ascoltare l’aria che diventerà una delle più famose nell’intera storia della musica. In FA maggiore (a Vienna era in DO...) intona il suo lamento, che si struttura in forma di rondò (un ritornello ripetuto tre volte e inframmezzato da due strofe). Il ritornello espone la disperazione di Orfeo, ormai conscio di aver perso l’amata per sempre. Le sue strofe, che iniziano con l’invocazione Euridice! Euridice! si muovono sulla dominante DO, la prima (in maggiore) evocando il vano tentativo di Orfeo di ottenere risposta dalla sposa; e la seconda (in minore) il silenzio mortale che riempie il suo cuore di sofferenze e tormenti.
1h32’16” Recitativo Orfeo "Ah, puisse ma douleur finir avec ma vie!" Finalmente Orfeo pare deciso: rivarcherà le porte dell’Inferno per riunirsi per sempre alla sua Euridice. Estrae quindi la sua spada e si appresta a rivolgerla contro se stesso.

Scena 2 - Amore dissuade Orfeo dal suicidio - Euridice torna in vita - Trionfo
1h33’48” Recitativo Amore-Orfeo-Euridice Arrête, Orphée”. Tipico clichè barocco, ecco scendere sulla scena il deus-ex-machina: è Amore che ferma il braccio di Orfeo, annunciandogli la benevolenza divina. Poi si rivolge ad Euridice, ingiungendole di tornare a repirare. Ancora increduli, i due amanti possono solo esprimere la loro riconoscenza alla potenza divina.
1h35’19” Terzetto Euridice-Orfeo-Amore "Tendre amour". Qui si ascolta il terzetto la cui musica è mutuata da Paride&Elena (dove peraltro compariva in uno scenario del tutto diverso, addirittura di lite fra i due protagonisti - a proposito di adattabilità della musica a supportare situazioni opposte). La prima sezione (MI minore) è aperta da Euridice, seguita da Orfeo e poi da Amore (che modula momentaneamente alla relativa SOL maggiore). Nella seconda sezione, che modula a MI maggiore e passa (da Andante 4/4) ad Allegro in 6/8, i due sposi, spalleggiati dal dio benefattore, inneggiano alla sua munificienza e alle gioie che procura.  
1h38’02” Aria Orfeo-Euridice-Amore (con Coro) "L'amour triomphe". La scena muta istantaneamente, presentando un tempio sontuoso consacrato all’amore. Pastori e pastorelle, che all’inizio dell’opera avevano pianto la morte di Euridice, ora gioiscono accogliendola al suo ritorno alla vita. L’aria è in forma di rondò e, dopo una breve introduzione orchestrale, in LA maggiore, è Orfeo ad esporre il ritornello, subito ripreso, in RE maggiore, dal Coro cui si aggiunge Amore. Il quale espone una prima strofa (Dans les peines, dans les alarmes) ancora in LA maggiore, descrivendo le pene, ma poi le gioie che lui sa provocare negli esseri umani. Torna quindi il coro con il ritornello in RE maggiore. Ora è Euridice ad esporre la seconda strofa (Si la cruelle jalousie) modulando pateticamente alla relativa SI minore, dove ammette di essere stata vittima di gelosia, ma di godere ora del massimo piacere. Amore e Coro ripetono per l’ultima volta il ritornello in RE maggiore, chiuso da un festoso Allegro.

Balletti finali
Le partiture pubblicate a ridosso della prima esecuzione del 1774 presentano una sequenza della scena finale rispetto alla quale le esecuzioni moderne si discostano non di poco. Dopo l’intervento di Amore a trattenere Orfeo dal suicidio, attacca subito l’aria con coro "L'amour triomphe", seguita da 4 numeri di balletto (la Danze del trionfo d’Amore). Quindi ecco il trio "Tendre amour", cui fanno seguito la breve introduzione sul tema de "L'amour triomphe" e i due numeri del balletto finale. Abbiamo invece visto come in questa produzione (e in tutte quelle di oggi) il trio "Tendre amour" venga anticipato e premesso a "L'amour triomphe" (preceduto a sua volta dall’introduzione orchestrale) il quale è poi seguito da ciò che ci prepariamo ad ascoltare.
1h41’40” Danze del Trionfo d’Amore (prima sezione). É un Menuetto (Gratieux, dolce) in LA maggiore, costituito da due poarti ripetute, privo del classico Trio.
1h42’48” (seconda sezione). É una Gavotta, Allegro, che presenta una parte in LA minore incastonata nel corpo di LA maggiore.
1h44’40” (terza sezione). Indicata come Air vif (vivace) in DO maggiore è stata presa di peso dal’Ouverture de Il Trionfo di Clelia, opera composta nel 1763 (un anno dopo l’Orfeo viennese) per l’inaugurazione del Teatro del Bibiena di Bologna.  
1h47’42” (quarta sezione). Anche questo Menuetto (Gratieux) è ripreso dal citato Il Trionfo di Clelia, dove occupa parte del finale dell’Ouverture.
1h49’14” Aria Amore (con Coro) "L'amour triomphe". Al posto della sola introduzione strumentale, ascoltiamo qui la sezione finale dell’aria (in RE maggiore).
1h49’58” Balletto finale (prima sezione). Molto lentamente, in RE maggiore, 3/4, è una delicata musette, ripresa con ampliamenti dall’Andante che a Vienna occupava il posto del terzo balletto finale, prima del coro del trionfo.    
1h52’12” (seconda sezione). É la Chaconne (sempre in RE maggiore) prelevata di peso dal finale di Iphigénie en Aulide. Che chiude con grande brillantezza i festeggiamenti per Orfeo e Euridice e con essi l’opera.