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Vengo all’allestimento di Hugo de Ana. Come al solito sovrabbondante, quasi esagerato nelle
scene, non per niente qualcuno lo apostrofa come tardo-zeffirelliano... Enormi portoni di tempio, grandi strutture
grigio-argentee (primo atto); due giganteschi lampadari appoggiati al pavimento
ed altrettanto enormi velari (la casa di Dalila) e ancora opprimenti strutture
con pesanti decorazioni (atto terzo). In ogni caso, una lettura assolutamente
rigorosa (questo è sempre un suo merito) che non ha preteso di proporre chissà
quali significati reconditi o improbabili ambientazioni nell’attualità.
Un esempio concreto ne è la
presentazione del baccanale, dove
nulla è stato lasciato all’immaginazione, senza peraltro mai scadere nel volgare
o nel disturbante. È vero, c’erano in scena frotte di ragazzi e ragazze
completamente (e apparentemente) nudi in atteggiamenti piuttosto espliciti, ma
un baccanale non è il balletto dei piccoli cigni di Ciajkovski, nè un happening di smidollati in discoteca, ecco... A proposito di nudi maschili, si notava
chiaramente (dall’elastico che gli cingeva i fianchi, entrando tra le... ehm...
chiappe) come avessero comunque addosso un capo di abbigliamento, che però lasciava
chiaramente in mostra proprio le forme dell’organo genitale, e che forme,
accipicchia! Ora, mi par difficile pensare che de Ana (che qui è pure costumista) abbia fatto confezionare degli
appositi baccelli per pisello... sono
portato invece ad immaginare che abbia voluto intelligentemente mettere in
evidenza che in quella scena si celebra un rito della fertilità e allora –
avete presente Priapo e il suo... coso?
– si sia procurato appositamente delle protesi di robuste dimensioni da far
indossare ai danzatori! Sufficientemente sobria e senza esagerazioni
cruente anche la successiva scena del sacrificio umano.
Curata anche la parte attoriale e i
movimenti dei cori, così come i costumi (tetri per gli ebrei e sgargianti per i
filistei). Efficaci le luci di Vinicio
Cheli, a sottolineare le scene cupe e poi quella solare dell’ultimo atto. Meno
apprezzabili le immagini di Sergio
Metalli proiettate sulla zanzariera.
Ma in complesso uno spettacolo
godibilissimo, accolto come sempre con calore dal come sempre foltissimo
pubblico.
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Ora propongo una specie di bigino della componente musicale, più che
altro per sottolinearne alcune caratteristiche di fondo, a partire dall’impiego
piuttosto esteso dei Leit-motive. Non
siamo proprio al Wagner più spinto, ma la tecnica dei motivi ricorrenti viene
usata con grande cura e con la massima efficacia: nella scelta del loro contenuto
musicale, come nell’appropriatezza delle loro riapparizioni.
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Come detto, un ruolo fondamentale nell’opera lo ha il
coro, rigorosamente diviso (la par-condicio!)
fra gli sbifidi filistei e gli ebrei, vessati da costoro, ma anche abbandonati
dal loro Dio un filino... arrabbiato per la loro fede non proprio incrollabile.
Sono questi ultimi ad occupare la prima parte dell’atto iniziale, facendo udire
la loro lunga implorazione (Dieu! Dieu d’Israël!) di lontano, dopo 31
battute di lamentoso preludio in SI minore, quando ancora il sipario dovrebbe
restare chiuso. Poco prima dell’alzarsi della tela (Un
jour, de nous tu détournas ta face) le donne espongono un tema che tornerà spesso a
farsi udire, a mo’ di Leit-motiv: esprime
lo stato di prostrazione
del popolo di Israele, cui Dio ha voltato le spalle:
Il sipario si alza e il motivo viene poco dopo ripreso con energia, a
canone largo da tutto il coro (nell’ordine bassi, tenori, contralti e soprani)
per tornare ancora a spegnersi, determinando la reazione di Samson, che dopo
una prima modulazione dell’orchestra a SOL maggiore, con un’altra brusca sterzata
a MIb sferza i suoi (Arrêtez, ô mes frères!) invitandoli ad onorare il
Dio che saprà perdonarli e liberarli. Il corno espone qui un nuovo,
fondamentale motivo, che rappresenta la speranza di Israele:
Ma gli ebrei sono sfiduciati e il SI minore torna insieme alla loro prostrazione e rassegnazione (Hélas! paroles vaines!) Samson però non si dà per
vinto, e dopo un battagliero passaggio in SIb maggiore (L’as-tu donc oublié) cui risponde un ennesimo
scetticismo del popolo, torna al MIb, introdotto grandiosamente in orchestra
dal tema della speranza,
con un accorato cantabile (Implorons à genoux) dal piglio davvero eroico:
L’appello (C’est le Dieu des combats!) sul tema della speranza ottiene
il miracoloso effetto di scuotere i suoi, facendo rinascere in loro la fiducia
in Dio e in se stessi, e così la speranza
si alza adesso (Ah! le souffle du Seigneur) a piena voce nel coro. Un
fugace passaggio in REb, poi il ritorno al MIb maggiore chiude questa prima
scena con il tripudio degli ebrei, pronti a riprendersi la perduta libertà.
Tocca ora all’aguzzino filisteo aprire la seconda scena, su un brusco
accordo orchestrale che ci porta dal MIb alla relativa DO minore, che sostiene
un nuovo motivo, nei contrabbassi, evocante la brutalità dei filistei:
É il satrapo Abimelech che si fa avanti per spegnere gli ardori degli
schiavi ebrei, e prima delle sue parole sprezzanti (Qui
donc élève ici la voix?) si ode negli strumentini, sfociante anche nei
corni, il tema - subdolamente melenso - della perfidia dei filistei:
Dunque, Abimelech si imbarca in un vero e proprio predicozzo offensivo
verso gli ebrei e il loro Dio che non sa nemmeno aiutarli. La sua noiosa
cantilena (Ce Dieu que votre voix implore) in MIb minore, è
inframmezzata da spiritati interventi degli strumentini dal sapore
orientaleggiante e si conclude con un panegirico a Dagon, la divinità adorata dai filistei, di fronte alla quale il
Dio di Israele fugge come una colomba inseguita da un avvoltoio!
Il che provoca la reazione di Samson (C’est
toi que sa bouche invective) introdotta dalla comparsa di un nuovo tema principale,
quello della rivolta,
evocante la decisione degli ebrei di ribellarsi alle angherie dei filistei:
E un altro tema (la vittoria) compare nei tromboni, in quattro ondate
successive, a sostenere la fede incrollabile di Samson (Je vois aux mains des anges):
Quindi è la rivolta ad accompagnare (Enfin
l’heure est venue) la certezza di Samson e del suo popolo nella
liberazione dalla schiavitù. La tonalità vira a SIb maggiore quando Samson (Israël! romps ta chaîne!) lancia i suoi in una specie
di marcia trionfale, che sviluppa ulteriormente il tema della rivolta,
sottolineato da inebrianti cascate di semicrome di fiati e violini. Su un
richiamo di Samson (Oui, devant sa colère) compare nelle viole il
tema della collera
divina:
Al culmine del coro ebraico (Israël, lève toi!) Abimelech perde la
pazienza e si slancia su Samson per toglierlo di mezzo, ma l’eroe ebreo gli
strappa la spada e lo fa secco all’istante! L’orchestra ne accompagna la morte
con una specie di sberleffo (semicrome in staccato) di tono orientaleggiante,
una discesa che sfocia in un SIb grave degli archi.
La terza scena si apre con il tema della rivolta che lentamente se ne va, nei
fiati, accompagnando gli ebrei che si allontanano (per prendersi la meritata
vendetta) mentre è il Gran Sacerdote che esce dal tempio e constata
esterrefatto la morte del satrapo (gli archi bassi reiterano una variante
beffarda del tema della vittoria). Alcuni filistei si mostrano
terrorizzati dalla inaspettata reazione degli schiavi, altri (quarta scena,
modulazione a FA minore) arrivano con notizie disastrose riguardo le razzie che
gli ebrei stanno compiendo e propongono di fuggire dalle loro stesse terre. A
questo punto il Gran Sacerdote lancia la sua tremenda maledizione (Maudite à jamais soit la race) contro il popolo
ebraico:
É una specie di aria in due strofe, cui segue il coro dei filistei che
decidono di andarsene sui monti per sfuggire la vendetta degli ebrei. Al Gran
sacerdote non rimane che lanciare un’ultima maledizione.
La quinta scena vede il ritorno degli ebrei guidati da Samson e la
tonalità trascolora dal cupo FA minore della scena precedente ad un pastorale
FA maggiore: archi e fiati si danno il cambio nell’esporre un motivo che sale
lentamente da tonica a mediante all’ottava superiore, poi dalla mediante alla
dominante dell’ottava sopra. Sono i vecchi che ringraziano Dio (Hymne de joie, hymne de délivrance) per averli liberati. Uno
di loro confessa come il popolo ebreo abbia sfidato la legge di Dio, e perciò
fu punito. Ma adesso - ed ecco il tema della speranza (in un momentaneo SIb) accompagnare la sua perorazione (Je suis le Seigneur des armées) – egli proclama che Dio
alla fine è venuto in soccorso del suo popolo. Il canto degli ebrei si perde in
lontananza, e il FA che lo aveva sostenuto degrada negli archi di un semitono,
mutando nella dominante di LA maggiore.
In questa tonalità luminosa e danzante
(così Wagner definì la settima di
Beethoven, incardinata appunto sul LA) ecco arrivare le donne filistee, Dalila
inclusa, per festeggiare la primavera che ispira amore e – questo vale però
solo per Dalila – per adulare il prode Samson (che dovremmo sapere dalla Bibbia
che già aveva conosciuto - in senso appunto biblico! - quella gran gnocca della
sacerdotessa filistea). Qui sarebbe da aprire una... parente (Totò) sui
trascorsi dei due protagonisti, che pare fossero amanti ormai incalliti, il che
confermerebbe la scarsa plausibilità dei tentativi della donna di strappare
all’energumeno ebreo, dopo tanti infruttuosi tentativi, il segreto della sua
forza; ma... soprassediamo.
Per goderci questa mirabile oasi di lirismo che pervade l’ultima scena
dell’atto primo, con le giovani filistee che intonano una melodia serena e...
afrodisiaca:
Viene ripetuta su una seconda strofa, mentre i primi violini,
successivamente a più riprese i flauti, la imitano velocizzandola con
scorrevoli semicrome, finchè canta Dalila: mentre pochi dubbi esistevano sulla
sincerità del canto delle ragazze, subito qui ci si domanda (conoscendo i
precedenti) quanto ci sia di spontaneo e quanto invece di carognesco in quello
della Sacerdotessa (Je viens célébrer la
victoire) che in effetti manipola subdolamente (e cromaticamente) la melodia. E
non a caso Samson, rimasto nei pressi, ne rimane ammaliato e disturbato allo
stesso tempo (O, Dieu! toi qui vois ma
faiblesse) presentendo tutto il pericolo potenzialmente insito nelle lusinghe
della filistea.
Qui abbiamo l’intervento di un vecchio ebreo, che si può lontanamente
assimilare alla Brangäne che nel
second’atto del Tristan ammonisce Isolde sul pericolo della sua infatuazione
per l’eroe di Kareol: assistiamo quindi ad una specie di terzetto, chiuso dagli
svolazzi del flauto sul tema delle filistee.
Siamo ancora nel primo atto, ma Saint-Saëns
non esita a infilare già qui un balletto. (Naturalmente ne sarà previsto un
altro, ben più corposo e... peccaminoso, da eseguirsi all’ora di arrivo dei
ragazzacci del Jockey-Club! Qui siamo
ancora in un collegio di educande... poi invece ci sarà, per gli intenditori,
un sapido baccanale.) Ma andiamo con
ordine: le fanciulle filistee danzano su un innocente motivo (in LA minore) che
presenta solo qualche sfumatura di carattere orientaleggiante:
Dopodichè Dalila porta il suo affondo: intonando l’aria, o la canzone in
effetti, della primavera:
E naturalmente la tonalità modula con gentilezza da LA a MI maggiore,
scolastica ambientazione di scenari celestiali: quel salto di nona all’insù su espérance
è poi un chiaro contraltare, languido ed insinuante, alla speranza degli ebrei
e quindi di Samson, tutta intrisa di battagliero furore... Il vegliardo ebreo (L’esprit du mal a conduit cette femme) mette ancora in guardia
Samson (e in orchestra serpeggia il tema della perfidia dei filistei) da quella
donna falsa e ammaliatrice, ma Dalila gioca tutte le sue carte, e subito intona
(Chassant ma tristesse) un tema irresistibile, della
sua seduzione,
anticipato dai violini:
Ancora il tema della primavera e quello del canto delle filistee
accompagnano Dalila che si allontana verso il tempio, ormai certa che Samson la
seguirà alla sua dimora: non per nulla è il motivo della perfidia, ammantato di beatitudine,
che chiude l’atto.
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Il secondo atto (che vagamente richiama quello del Tristan) ci presenta la classica scena d’amore, preceduta dall’incontro di Dalila con il Gran
Sacerdote, che serve soprattutto a chiarirci i precedenti rapporti intercorsi
fra Dalila e Samson e toglierci ogni residuo dubbio sul cinismo che anima la
sacerdotessa riguardo al suo legame con l’ebreo.
Il breve Preludio si apre con il tema della collera divina che serpeggia negli
archi, con i fiati a proporre accordi che portano alla tonalità di FA maggiore
sulla quale, preceduto da svolazzi di clarinetti, si ode nei flauti un nuovo
motivo, che tornerà più avanti, e che evoca un temporale:
L’atmosfera è in effetti piuttosto agitata, come l’animo di Dalila, in
ansiosa attesa dell’arrivo di Samson, vittima predestinata della sua vendetta.
Ancora il tema della collera negli archi e poi quello della perfidia
nella viola accompagnano il recitativo in cui manifesta le sue intenzioni. Modulando
a LAb, violini e viole espongono un motivo che rappresenta l’invocazione
all’amore:
Ed è invocando l’amore (Amour! viens aider ma
faiblesse!) che Dalila intona la sua aria bipartita, che nasconde sotto una
superficie di dolcezza e sentimento il disegno carognesco della donna:
distruggere Samson:
E prima della ripresa, sulle parole di sfida (je le
brave) ecco una repentina discesa dal SOL sopra il rigo al SIb sotto, proprio
a sottolineare la cinica determinazione della donna. Al termine dell’aria
riecco negli archi la collera divina e poi un nuovo motivo nell’ottavino
e nel flauto che evoca lampi lontani (lo risentiremo al momento dello
scatenarsi del temporale):
Per ora ciò che sta arrivando è un personaggio conosciuto: il Gran
Sacerdote, preceduto negli archi bassi dall’inconfondibile tema della sua maledizione.
Dopo brevi convenevoli di rito, ecco il duetto (in DO minore) fra i due, aperto
dal religioso che non fa che ripetere (Notre
sort t’est connu) a Dalila notizie arcinote riguardo la pessima
piega che le cose hanno preso per i filistei, schiacciati dagli ebrei aizzati
da Samson, il quale sembra inossidabile alle lusinghe amorose della
sacerdotessa. La tonalità vira bruscamente a SI maggiore e lei risponde
convinta delle sue capacità di plagio, e sulle parole Samson, malgré lui-même, combat et lutte en vain, si ode reiteratamente nei violini il
tema della seduzione,
con la quale Didone è sicura di poter finalmente buggerare l’ebreo.
Il Gran Sacerdote
(ah, le chiese secolari!) la mette subito sul monetario (intanto degradando la
tonalità dal severo SI al prosaico LAb) e promette a Dalila metà delle sue
ricchezze in cambio di Samson! Ma lei è al di sopra di certe... bassezze e così
(Qu’importe à
Dalila ton or!) gli chiarisce seduta stante il movente delle sue
azioni: la vendetta!
Il Gran Sacerdote resta scettico, e ricorda che lei già in passato aveva
tentato di carpire a Samson il suo segreto, ma sempre lui l’aveva giocata. Dalila
(Oui, déjà, par trois fois
déguisant mon projet) ammette di aver effettivamente
fatto ben tre tentativi per plagiare l’ebreo, ma questa – lei ne è certa – sarà
la volta buona! Tutta la sua successiva esternazione è caratterizzata da continue
ricomparse del tema della vendetta, e ciò convince il Gran Sacerdote (Tu combats pour sa gloire et par lui tu vaincras!) delle buone ragioni di
Dalila.
Ora inizia la parte finale del duetto (la tonalità è la relativa di LAb,
FA minore) e i due pregustano la caduta di Samson come mezzo per placare il
loro odio e avere finalmente la loro rivincita su di lui (Il
faut, pour assouvir ma haine):
È un passaggio truculento, nel quale Dalila non si nega persino una coloratura
rossiniana (Ah!
Il courbe le front à son tour!) e che chiude con
l’invocazione alla morte dell’ebreo. Il Gran Sacerdote si allontana, ma
promette – in un recitativo - di restare con i suoi lì nei pressi, pronto ad
intervenire al momento opportuno. Modulando a FA maggiore, sono i temi dell’invocazione
all’amore (violini II e violoncelli)
poi della vendetta
(contrabbassi) della maledizione
(violoncelli) e della collera divina (archi) ad accompagnarne l’uscita
di scena, mentre Dalila ancora è incerta sull’arrivo di Samson, appoggiata ad
una colonna della sua abitazione, con il temporale che si fa sentire in lontananza.
E Samson, puntuale come un orologio... francese arriva in quei paraggi,
preceduto da un motivo (il desiderio peccaminoso) che ne evoca perfettamente
lo stato d’animo turbato:
Samson desidera Dalila, ma è ben conscio di tradire con ciò la sua fede:
forse pensa di poter ancora sfidare il destino, di poter soddisfare gli istinti
della carne senza pagare un prezzo eccessivo, come gli era riuscito in passato,
ma di sicuro il suo subconscio avverte il pericolo rappresentato da quella
donna dalla quale era stato pur messo in guardia dagli anziani del suo popolo.
E i temi dei lampi
(strumentini) e della collera divina (archi) nulla di buono fanno in
effetti presagire.
Ai dubbi e ai rimorsi che Samson esprime nel suo recitativo d’esordio,
culminante in un’autentica imprecazione (Fuyons,
fuyons ces lieux que ma faiblesse adore!) risponde Dalila accogliendolo (C’est toi! C’est toi, mon bien aimé!) in un’atmosfera che si è
fatta immediatamente idilliaca (modulazione a LA maggiore).
Inizia qui il grande duetto che caratterizza questo second’atto. Samson
cerca di bloccare Dalila (Arrêtes ces transports!): è il desiderio peccaminoso (prima sezione nelle viole, poi seconda nei violini) che
lo riempie di rimorsi; ma lei, mentre si modula a SIb maggiore, comincia a
tessere la sua tela (Samson! ô toi! mon bien
aimé) con una melodia accattivante, dal sapore dolciastro, che introduce poco
dopo (Pourquoi, de mon front parfumé) un nuovo motivo (della persuasione)
che si sviluppa in pieno quando lei risponde ai dubbi di Samson (Près de moi pourquoi ces alarmes?):
Samson (Hélas! esclave de mon Dieu) cerca ancora di resistere e
qui si manifesta tutta la dissociazione che invade il suo animo, dilaniato
fra l’attrazione amorosa e il dovere supremo:
La tonalità è passata in minore
(SIb) ma ecco che, sull’invocazione D’Israël renaît
l’espérance! è il tema della speranza
che esplode in un grandioso corale degli ottoni, in MIb. Samson ora si esalta (tornando
a SIb) ricordando il richiamo che il Signore gli ha rivolto: riporta il tuo popolo a me e poni fine alle
sue miserie! E un poderoso accordo di MIb suggella questa accorata
perorazione.
Dalila sembra per un attimo (o finge di essere) delusa e rassegnata a
perdere il suo amore, e lo fa cantando (Qu’importe
à mon coeur désolé) in modo minore
(SI) il motivo della sua persuasione (!) Lei rinfaccia senza mezzi termini
a Samson la sua infedeltà e, in sostanza, lo accusa di usare con lei un
approccio usa&getta. E questo
atteggiamento comincia ad ottenere l’effetto desiderato: Samson confessa il
tremendo squilibrio che alberga nel suo animo, diviso fra amore e dovere, ed
alla fine cede: Dalila! Dalila! Je t’aime! Ottavino e flauti fanno
balenare lampi
per ora lontani.
Dalila affonda il coltello nella piaga: c’è un dio più potente del tuo, è
quello che muove i miei sentimenti, è l’amore! Lo fa cantando (Un dieu plus puissant que le tien) su una variante (in SI
maggiore, un semitono sopra il normale!) del motivo della persuasione, mentre si odono anche i
temi della primavera
(strumentini) e poi dell’invocazione all’amore (oboe
e violino) che introduce (Que tu devais aimer
toujours) il tema della seduzione! Insomma, Dalila sta mettendo in campo
tutto il suo armamentario... tematico per far crollare Samson. Il quale si
sente offeso e le risponde (Quand pour toi tout parle
à mon âme!) sul tema della sua dissociazione, mentre la collera divina e lampi
sempre più vicini incombono sulla scena, che viene però rasserenata da dolci
accordi degli archi, sui quali Samson ribadisce: Dalila!
Dalila! Je t’aime!
La tonalità vira a REb maggiore e Dalila ha ormai una prateria davanti a
sè; così dispiega il suo canto ammaliatore (Mon
coeur s’ouvre à ta voix):
Canto che raggiunge il suo culmine sull’esposizione dei due seducenti appelli: Ah! réponds à ma tendresse! e poi Verse-moi, verse-moi l’ivresse! sostenuti
dalle due sezioni del tema dell’amore:
Al povero Samson
non resta che esalare un nuovo Dalila! Dalila! Je t’aime! Ecco ora la ripetizione
dell’ultima strofa, che presenta come principali varianti l’apparizione
reiterata, nei legni, del tema del temporale (qui per la verità assai benigno) e
l’intervento di Samson che è ormai cotto a puntino e chiude con l’ennesimo Dalila! Dalila! Je t’aime! dove va a toccare la sesta su un SIb acuto da cantarsi piano (pare Verdi...)
Adesso Dalila comincia la sua opera di demolizione: mentre l’atmosfera si
arroventa con il tema della collera che invade gli archi e la tonalità vira a
DO minore, lei spudoratamente (Mais! non! que dis-je,
hélas!) accusa Samson di manifestarle sentimenti falsi e ipocriti, così lui è
costretto (LAb maggiore) a difendersi (Quand
pour toi j’ose oublier Dieu) affermando di aver rinunciato per lei ai suoi
doveri verso il popolo (si ode, tracotante nei tromboni, il tema della vittoria):
lui, che era stato scelto dalla potenza divina! Dalila, tornando al REb del suo
amore introdotto
però nei violini da quello della perfidia (!) chiede a Samson (Eh bien! connais donc mon amour!) la prova suprema del suo
amore: rivelargli il segreto della sua forza. La seconda sezione del tema dell’amore
pervade ormai tutto il suo canto, in un crescendo implacabile che porta Samson
all’esasperazione.
Il duetto è ormai sfociato in uno scontro aperto, che va di pari passo
con l’avvicinarsi sempre più minaccioso del temporale e il balenare continuo di lampi. Samson è letteralmente dilaniato dalla dissociazione
della sua psiche che condiziona il suo agire. La perfidia invece serve a Dalila per
cercare di raggiungere l’obiettivo, minacciando addirittura un suicidio. Samson
cerca ancora di resistere, vede nella tempesta incombente il potere divino, ma
Dalila quel potere lo sfida sfacciatamente e ora gioca la carta estrema: su un
SIb acuto (Lâche!) lo sputtana come un essere
senza amore, e gli volta le spalle, andandosene verso casa, accompagnata
dall’esplosione del tema della perfidia, sul sottofondo della collera
divina e dei lampi
che guizzano da ogni parte.
Samson esita ancora, ma gli archi a noi raccontano inequivocabilmente che
il suo desiderio
peccaminoso alla fine trionfa: e lui
si slancia sulle orme di Dalila. I filistei con il Gran Sacerdote sono lì in
agguato e il tema della maledizione ce lo testimonia, comparendo pianissimo
negli archi bassi, poi in viole e strumentini. Poco dopo lo contrappunta il
tema dei filistei,
e quindi, dopo un ennesimo lampo e un colossale tuono (tamtam e grancassa) il
tremolo degli archi accompagna il richiamo di Dalila ai suoi ad intervenire: A
Samson non resta che un urlo, sul SIb acuto: tradimento! E in SIb minore si chiude l’atto, con una sequenza che
parte dal tema dell’amore, letteralmente incarognito, prosegue con
quattro comparse del tema della perfidia e finalmente da una scarica di lampi che
porta allo schianto finale.
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L’atto terzo si apre con una breve introduzione strumentale che richiama
vagamente quella del corrispondente atto del Tristan (qui SOL minore, là FA minore). La cosa non è per nulla
fuori luogo, considerando l’analogia di scenario psico-fisico dei due
protagonisti: fisicamente malconci e psicologicamente distrutti:
Le ripetitive quartine di semicrome ascendenti e ondeggianti negli archi
alti evocano il succedersi dei passi pesanti di Samson, rapato e pure cieco,
imprigionato e costretto a spingere la ruota di una macina (e possiamo
immaginare la sua fatica, datosi che il taglio di capelli cui è stato
sottoposto gli deve aver azzerato ogni sua miracolosa forza...) I legni, con settime discendenti, sembrano evocare i
lamenti di Samson, ma subito appare in orchestra (oboe e corno) anche il tema
della prostrazione
di Israele, concentrato qui sul suo eroe purtroppo decaduto! Particolarmente
espressivo è l’intervento del corno inglese (anche qui Wagner ha fatto scuola)
a sottolineare la miseria dello scenario.
La prima scena si trascina su un continuo botta-e-risposta fra Samson e
gli altri ebrei che (nascosti dietro le quinte, all’esterno della prigione) gli
chiedono conto delle sue azioni: è una specie di dialogo-fra sordi, con Samson
che con le sue lamentazioni chiede perdono a Dio e lo implora di non
abbandonare il suo popolo, e il popolo medesimo che se la prende con il suo
ex-eroe, trasformatosi ai suoi occhi in traditore per un piatto di... filistee!
Dopo che oboe fagotto hanno riproposto la prostrazione, arrivano appunto i
filistei e trascinano con loro Samson: scopriremo presto dove lo hanno portato.
Un breve intermezzo strumentale (aggiunto in un secondo tempo dall’Autore)
serve a dare qualche istante di più al cambio di scena, ma soprattutto ci
ripropone alcuni temi già ascoltati: dapprima la primavera (in MIb, poi in MI)
intrecciata con la perfidia (subdolamente addolcita) e seguita dalla seduzione.
La seconda scena si apre nel tempio del dio Dagon dove – è l’alba - ritroviamo
il Gran Sacerdote e Dalila, pronti ad officiare una celebrazione in suo onore,
a cospetto del popolo. Qui viene riproposta, sempre nella tonalità di LA
maggiore, come era apparsa nel primo atto, la canzone delle giovani filistee, ora cantata però anche dai maschi, le cui parole (L’aube
qui blanchit déjà les coteaux) invitano tutti a prolungare gli amori notturni,
mentre l’orizzonte si arrossa e la terra si indora ai raggi del sole. Chiuso il
canto, un LA tenuto dell’oboe sfocia in un recitativo di sapore chiaramente
orientaleggiante, che apre la strada al famoso baccanale (semplicemente e più pudicamente:
una danza, reca la partitura
definitiva). Un chiaro omaggio alla tradizione ed alle regole dei teatri
parigini (Opéra, ma non solo) è strutturato su tre temi principali, due in
tonalità (parlandone in termini di musica occidentale) di RE e LA minore, e uno
(una specie di trio) in DO maggiore:
Chiusa la parentesi godereccia, si apre la terza scena con l’arrivo al
tempio di Samson, guidato da un ragazzino. Perchè lo hanno trascinato lì? Solo
e semplicemente per beffarsi di lui, umiliarlo e umiliare così quel Dio che gli
aveva dato tutta quella forza di cui ora una donna filistea ha saputo privarlo.
In modo strafottente, il Gran Sacerdote saluta Samson, mentre i violini lo
accompagnano con il tema della sua maledizione, qui portato in modo maggiore, MIb
(chè pare aver proprio funzionato!) Poi, mentre si alza il tema della perfidia,
invita Dalila ad offrire da bere al nemico sconfitto, imitato dai filistei (Samson! nous buvons avec toi!) che bevono alla salute
dell’ebreo. Samson, modulando alla relativa DO minore, non può che rimettersi
al volere di Dio (L’âme triste jusqu’à la
mort) accada ciò che lui decide.
Qui il DO minore diventa maggiore e udiamo, come un allegro sberleffo, il
tema dell’amore
saltabeccare negli strumentini, mentre su di esso Dalila si esibisce in una carognesca
serenata (Laisse-moi prendre ta main) ricordando a Samson i bei
momenti passati insieme, mentre si ode il tema dell’invocazione all’amore e poi, sul
ricordo delle passeggiate fra i monti (Tu
gravissais les montagnes) ecco il tema del desiderio peccaminoso affacciarsi in
violini e viole, mentre i legni ricordano allegramente la primavera! Ancora l’amore si
impadronisce della scena mentre Dalila invita Samson a ricordare ebbrezze e
carezze... Quell’amore che a lei è servito però per consumare la sua vendetta.
E il coro dei filistei si unisce alle parole di vendetta di dio, popolo e odio!
Samson è distrutto, incapace di reazione anche di fronte a simili
carognate: modulando a FA minore, sa solo compiangersi (Quand tu parlais, je restais sourd) per la sua dabbenaggine e
la sua debolezza. Il Gran Sacerdote gli sta però preparando una nuova
provocazione: tornato a DO (e poi a FA) maggiore, sul tema trionfante della sua
maledizione,
gli chiede beffardo: caro Samson, prova ad invocare il tuo Dio per farti
riavere la vista; dovesse succedere, sarò il primo a convertirmi... ma siccome
tanto non succede, ecco: io lo posso tranquillamente oltraggiare e
sbeffeggiare! E allora Samson comincia a... non vederci più (!) Sul ribollire
negli archi della collera divina, chiede a Dio se permetta simili atrocità (Tu permets, ô Dieu d’Israël!) e poi (Que ne puis-je venger ta gloire) implora un’ultima grazia, riacquistare
per un solo momento a forza per poter opporsi agli infedeli, mentre il tema
della speranza
si ode negli ottoni a contrappuntare quello della rivolta, nei violini, strumenti che
subito si scambiano fra loro i due temi.
I filistei accolgono il suo appello con risa sguaiate e sbeffeggiano la
sua collera cantando un contrappunto bestiale (proprio da oratorio) e irridendo alla sua cecità. Ora il Gran Sacerdote invita
Dalila a compiere il rito di devozione a Dagon, una libagione con versamento di
vino sul fuoco sacro, seguita da sacrifici umani. Passando da REb, per enarmonia a DO# si modula a LA
maggiore (Versons pour lui le vin des sacrifices) e quindi a SI maggiore,
dove assistiamo al rito del versamento del vino, accompagnato dal motivo del culto di Dagon:
Come si nota, un motivo spiritato,
che ben si addice ad una divinità pagana alimentata con... vino! Dalila e il
Gran Sacerdote (Gloire à Dagon vainqueur!) cantano a contrappunto
l’inno al loro dio, su una melodia che pare addirittura ricordare il finale
della nona beethoveniana! Poi il coro
dei filistei (Marqué d’un signe nos
longs troupeaux) prega per avere abbondanti messi e mandrie
numerose, quindi c’è un susseguirsi piuttosto lungo (e francamente ripetitivo)
di interventi alternati dei due officianti e del coro, fino all’invocazione Dagon se révèle!, che dà inizio alla danza pagana, che dovrebbe ottenere la
discesa sulla terra del grande dio Dagon:
Nessun Dagon scende giù, così il Gran Sacerdote – mentre le danze sono
momentaneamente sospese - si rivolge a Samson invitandolo alla libagione
propiziatoria. Samson (modulazione a MIb maggiore) invoca ancora Dio (Seigneur, inspire-moi, ne m’abandonne pas!) e si fa condurre al centro
del tempio, proprio fra le due colonne portanti. Una breve transizione in SOL
maggiore sul culto
di Dagon ci riporta al SI maggiore della danza pagana, che riprende in modo a dir poco forsennato con il
ritorno del grido Dagon se révèle!, urlato dai filistei. Cui
si aggiungono Dalila e il Gran Sacerdote per la perorazione finale (Que la victoire suive nos pas! Gloire à Dagon! Gloire!
Gloire! Gloire!) che però non si chiude in gloria, ma sfuma
bruscamente su... Samson, come ci testimonia la comparsa (in MIb) del tema
della rivolta,
nei violini, seguito da quello della vittoria, negli ottoni.
Samson (Souviens-toi de ton
serviteur!) esterna la sua ultima implorazione a Dio, sostenuta ancora da reiterate
comparse dei temi della vittoria e della rivolta (questo adesso nella
tromba). Sull’ultimo verso (En les écrasant en ce
lieu!) Samson chiude su un SIb acuto, proprio mentre le colonne si aprono
sulla spinta delle sue braccia e il tempio crolla travolgendo tutti.