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31 luglio, 2014

Bayreuth: l’ultima stagione di mickey-Lohengrin


Accade abbastanza raramente che il primo ciclo (dei 4, normalmente in programma lungo il Festival) del Ring venga per così dire interrotto dalla programmazione di altre opere. Quest’anno accade nuovamente dopo 4 stagioni: come nel 2010 fu Parsifal ad insinuarsi tra Walküre e Siegfried, quest’anno è il figlioletto Lohengrin a disturbare la continuità fra Siegfried e Götterdämmerung. (Nel 2006 ci fu un’azione di fuoco amico, con un Rheingold re-infilatosi fra le ultime due giornate.)

Eccoci quindi al capolinea del capolavoro di Neuenfels, quello che verrà ricordato soprattutto per la toponomastica dell’ambientazione (smile!)

Stessa squadra del 2013 con la sola, ma importante, sostituzione della protagonista femminile: alla Dasch, mamma per la seconda volta, è subentrata come Elsa l’italiana (di Meran!) Edith Haller, che torna dopo 4 anni a Bayreuth, dopo avervi imperversato dal 2006 al 2010 in diversi ruoli di un certo spicco nel Ring diretto da Thielemann: Gutrune, Freia e da ultimo Sieglinde (più una Valchiria e una Norna). Direi che la sua prestazione sia da catalogare nella serie delle oneste e innocue.

Chi pensa che il tempo appesantisca e scurisca la voce viene clamorosamente smentito da Klaus Florian Vogt: la sua vocina di anno in anno sembra volgere sempre più verso quella di un efebo evanescente, Bocelli al confronto è un autentico Heldentenor! Chissà, magari ciò è coerente con la vision del regista, che in effetti fa di Lohengrin un povero ingenuo irresponsabile e invertebrato. A me invece fa ridere, e ciò – trattandosi di Wagner e non del Donizetti dell’Elisir o del Rossini della Scala di seta – equivale praticamente ad un sacrilegio.

Per il resto, si salvano (per così dire) i due cattivi Petra Lang e Thomas J.Mayer e… l’olandese-coreano Samuel Youn. Come sempre, sono orchestra e coro (più il Kapellmeister Andris Nelsons) a tenere a galla il baraccone.

30 luglio, 2014

Bayreuth: Siegfried… invecchia


Rispetto al 2013 – se si esclude la sostituzione di Alberich (ieri Martin Winkler, oggi Oleg Bryjak, che ce la mette tutta per non farlo troppo rimpiangere) – questo Siegfried è parecchio… invecchiato. Ma al contrario della classica gallina, col passar degli anni il capponcello Lance Ryan produce un brodo sempre più indigesto; se aggiungiamo che Wolfgang Koch e Catherine Foster ancora non si sono operati alle corde vocali (e quindi i loro Wotan e Brünnhilde sono da caricatura) abbiamo un quadro invero desolante. A poco servono le prestazioni dignitose (non più) del Mime di Burkhard Ulrich, della Erda di Nadine Weissmann, del Fafner di Sorin Coliban e dell’Uccellino di Mirella Hagen per sollevare il livello invero modesto della recita.

Petrenko tiene sempre tempi spediti (qui 75-70-80 minuti): la sua è una direzione che raggiunge discrete altezze quando di mezzo c’è solo l’orchestra (sempre eccellente) di Bayreuth (vedi il Prologo dell’atto terzo, davvero emozionante); per il resto, con questo cast, è frustrante ricerca di cavar sangue dalle rape. Credo proprio che i consistenti buh finali non fossero indirizzati soltanto al regista…

28 luglio, 2014

Bayreuth: un filino meglio


Come già accadde lo scorso anno, Die Walküre ha un po’ risollevato il livello qualitativo di questo Ring, che di sicuro pochi ricorderanno come… memorabile.  

In particolare è il primo atto ad aver(mi) pienamente convinto: il trio Botha-Kampe-Petrenko ne ha dato un’interpretazione degnissima, cui il nuovo (rispetto al 2013) Hunding di Kwangchul Youn ha aggiunto un tocco di serietà fin eccessiva. L’entusiasmante finale è stata una vera perla, come raramente capita di ascoltare, con la semiminima conclusiva che Petrenko ha mirabilmente inchiodato nella prima metà della battuta e non enfaticamente tenuto (nella seconda) come usa fare la maggior parte dei Kapellmeister. Bravo!

Il direttore russo tiene in generale tempi rapidi (61–85–64 minuti) ma non ci fa mancare nulla dei dettagli e dei pregi della partitura. Qualche piccola libertà nell’agogica fa parte (non da oggi) del… patrimonio dei direttori, grandi e piccoli.

L’ingresso in scena, dal second’atto,  degli altri tre protagonisti (due dei quali purtroppo dovremo incontrare anche nelle giornate successive) ha poi nettamente abbassato il livello qualitativo della recita: Wolfgang Koch e Catherine Foster (parliamoci chiaro) non dovrebbero cantare nei panni di Wotan e Brünnhilde! Le note le faranno anche (beh, insomma, la Foster ha abbastanza calato un paio di DO nei suoi Hojotoho…) ma è proprio la caratteristica fisica della loro voce a fare a pugni con le esigenze minime dei ruoli. Lui ha fatto varie volte Alberich, che probabilmente gli calza meglio; lei invece fa Brünnhilde praticamente ovunque e quindi devo essere io a sbagliarmi (smile!) Quanto a Claudia Mahnke, è anche qui (come nel Rheingold) una Fricka piuttosto incolore, poi non si riscatta molto travestendosi da valchiria (Waltraute). 

Insomma, suonatori sugli alti standard di Bayreuth e compagnia di canto male assortita: anche questo pare divenuto uno standard – negativo – sulla verde collina.

27 luglio, 2014

Bayreuth: riecco il Ring oleoso di Castorf


Con Das Rheingold si è aperto oggi il ciclo del Ring.

Tre le novità di quest’anno, a livello interpreti: Alberich è il kazako Oleg Bryjan, che la direzione del festival ha chiamato a sorpresa a sostituire Martin Winkler, provocando le ire del regista Frank Castorf, che pare voglia adire le vie legali per lavare l’onta. A me Winkler non era dispiaciuto, e lo stesso mi sento di dire di Bryjan, che mi è parso passabilmente sicuro ed efficace. Poi c’è un nuovo Donner, Markus Eiche, il discutibile Wolfram di due giorni orsono: il suo Hedà-Hedò (poco altro ha da cantare) non ha certo brillato. Infine il gigante buono (Fasolt) è Wilhelm Schwinghammer, che continua anche a fare Re Heinrich nel Lohengrin-topolino: prestazione direi sufficiente.

Il resto del cast è quello dello scorso anno, cioè… piuttosto deficitario, a cominciare dal Wotan di Wolfgang Koch, che non ha proprio la voce adatta per quel ruolo.  

Petrenko ha tenuto tempi assai spediti (2h 18’ sono praticamente un record) chissà, forse per non mettere ulteriormente in difficoltà l’armata brancaleone che calcava il palcoscenico (oltre che il pubblico in via di liquefazione).

Alla fine (è parso) solo applausi: quindi anche Castorf è stato metabolizzato! 

Come ha sentenziato José Luis Pérez de Arteaga, il simpatico quanto enciclopedico commentatore di Radio Clásica: da qui nessuno passerà alla storia!  

26 luglio, 2014

Bayreuth: l’Olandese svolazza


Rispetto ai due precedenti cicli (12 e 13) dove solo Thielemann (con orchestra e coro) aveva tenuto a galla il barcone, oggi mi è parso che le cose siano andate un filino meglio. Forse gli interpreti confermati dal 2013 hanno fatto esperienza, fatto sta che ne è uscito un Holländer più che dignitoso, fermo restando che stiamo giudicando da un ascolto dal morto (smile!)

In particolare non mi sono dispiaciuti la Senta della Merbeth e il protagonista Youn (Samuel, che ricordiamo fu chiamato all’ultimo momento due anni fa a sostituire il collega tatuato a svastiche). L’unica novità del 2014 era l’altro Youn (il più famoso Kwangchul) il quale ha una tecnica invidiabile, ma forse è troppo abituato a ruoli seri (il Langravio di ieri, o Fasolt o Gurnemanz o il mozartiano Commendatore) oppure truci (dopodomani farà Hunding) e quindi ha tirato fuori un Daland fin troppo austero, mentre sappiamo che il navigatore-trafficone norvegese è un gran paraculo dai principi etici quanto meno discutibili. 

Tornando a Thielemann, sappiamo che lui fa i suoi scarabocchi sulle partiture, a cui resta indefessamente fedele; così anche oggi ha gestito a parer suo i tempi (esempio lampante, la prima parte del terzo atto). Ormai bisogna prenderlo così (lui certo non cambierà le sue abitudini): è il prezzo da pagare per poter godere della sua bravura…  

25 luglio, 2014

Bayreuth apre con una falsa partenza

 

La magica fabbrica di Sebastian Baumgarten (quella che trasforma la merda in burro) è andata in tilt, mettendosi a trasformare il burro in merda (stra-smile!) Così il Tannhäuser inaugurale è stato sospeso poco dopo l’Ouverture.

La causa ufficiale dello stop è stata attribuita alla rottura di due cavi che reggono il gabbiotto dentro il quale i due protagonisti calano dall’alto sulla scena. Una cosa al limite del ridicolo, nel paese dei Krupp! Sul momento si è annunciata un’interruzione di 20-25 minuti, poi diventati quasi 60, prima che si ricominciasse, dall’inizio dell’atto. Pubblico evacuato, non perché ci fossero timori di un crollo del vetusto Festspielhaus, ma perché i 35 gradi di temperatura interna sono davvero duri da sopportare!

A parte la sua lunghezza totale (proprio da… Parsifal) e l’ormai conosciuta demenzialità della messinscena (ampiamente buata alla fine) questa prima del 2014 si è passata nel rispetto degli attuali standard qualitativi di Bayreuth: diciamo assai migliorabili (politically-correct parlando…)

La squadra è stata un poco ritoccata rispetto allo scorso anno, in particolare con il ritorno (dopo il 2012) del sempre impeccabile Kwangchul Youn nel ruolo del Langravio. Cambiato anche il Wolfram, ora impersonato da Markus Eiche, che ha sfoggiato una bella voce, ma a parer mio non si è calato bene nel personaggio, reso con scarso pathos e quasi sempre con un canto stentoreo e scandito, francamente fuori luogo. Nuovo anche Reiner Zaum, un passabile Reinmar.

Della formazione 2013 sono stati confermati il protagonista Torsten Kerl, che non ha demeritato (anche se ha rischiato la stecca sull’Elisabeth del terz’atto) e le due primedonne Camilla Nylund (Elisabeth) e Michelle Breedt (Venus) che meritano, secondo me, giusto la sufficienza. Come pure i tre cantori: Lothar Odinius (Walter), Thomas Jesatko (Biterolf) e Stefan Heibach (Heinrich), tutti senza infamia e senza lode. Katja Stuber è stata per questa intera produzione (2011-2014) nei panni del pastorello: ma non mi sembra che l’esperienza le abbia giovato…

Quanto ad Axel Kober se l’è cavata con dignità, grazie alle qualità di strumentisti e coristi che aveva ai suoi ordini.

22 luglio, 2014

Bayreuth 2014: chi se ne frega?


D’accordo, questo sulla collina verde è un anno di cosiddetta transizione (nessuna nuova produzione, tutta roba vista e anche rivista) però sta arrivando il 25 luglio e pare che non gliene freghi nulla a nessuno.

Meno che a tutti a Radio3, che ha deciso di disertare in blocco (quanto meno le prime, che solitamente irradiava). Ma persino la Bayerischer Rundfunk diluisce le trasmissioni dei 7 titoli in programma (Ring, Holländer, Tannhäuser, Lohengrin) lungo il mese di agosto.

Gli aficionados più indefessi restano gli spagnoli di Radio Clasica, che ci proporranno tutte le prime:

25/7 Tannhäuser (16:00)
26/7 Holländer (18:00)
27/7 Rheingold (18:00)
28/7 Walküre (16:00)
30/7 Siegfried (16:00)
31/7 Lohengrin (16:00)
1/8 Götterdämmerung (16:00)

Allora, tanto per ravvivare un po’ questo grigio tran-tran, ecco che scoppia al momento opportuno uno scandaletto giornalistico che vede protagonista l’ultimo genio-dell’anello, al secolo il regista Frank Castorf (quello che ha pensato bene di sostituire all’oro giallo quello nero…)

Il nostro si fa intervistare dallo Spiegel (mica pizza-e-fichi) e spara a zero sulle sorellastre Wagner che tengono le mani sul baraccone: che lui già un anno fa aveva dipinto come un ambiente peggio della sua natia DDR (Stasi inclusa?) quanto a stress e servilismo. Il movente dello sfogo di oggi sarebbe da individuarsi nell’improvviso licenziamento di Martin Winkler (l’Alberich di questa produzione, gradito al regista) e la sua sostituzione con Oleg Bryjak, decisa unilateralmente da Eva Wagner. La cosa pare assumere contorni seri, se è vero che Castorf ha già messo la pratica nelle mani di un avvocato! Domenica sapremo se ci saranno… conseguenze.

Il Conte Ory. E la Contessa? Oryna

 

Un Piermarini scandalosamente semideserto ha accolto ier sera – prima di chiudere per ferie - l’ultima recita del penultimo capolavoro teatrale del sommo Gioachino.

 

Una serata nella più aurea mediocrità, dalla quale sono emersi - a mio modestissimo parere, e non più in alto che col naso – il protagonista Colin Lee (che non ha fatto troppo rimpiangere il forfettario JDF) e due dei comprimari: il Raimbaud di Stéphane Degout e la Ragonde di Marina De Liso.

Gli altri, una frana: a cominciare dalla Aleksandra Kurzak, una gran bella gnocca perfettamente integrata nella pièce di avanspettacolo messa su da Laurent Pelly, ma il cui canto (sguaiatezze negli acuti e totale approssimazione nei virtuosismi) non può esser degno di Rossini (e a ben vedere di alcun altro serio compositore di opere liriche). Del tutto meritata la salva di dissensi che l’ha accolta alla singola finale. Dissensi indirizzati anche al Kapellmeister Donato Renzetti (chiamato a sua volta a rimpiazzare il titolare Stefano Montanari) forse perché in fatto di miracoli non si è dimostrato più efficace di Ory (smile!)

Roberto Tagliavini (Gouverneur), José Maria Lo Monaco (Isolier) e Rosanna Savoia (Alice) sono tutti affetti dalla stessa malattia: quando devono cantare nella cosiddetta ottava bassa fanno la figura del pesce in acquario: e siccome in Rossini ci sono ad ogni piè sospinto passaggi che attraversano il rigo da cima a fondo, il risultato è che la metà del testo risulti inudibile, come succede quando un altoparlante funziona a singhiozzo.

Gli altri e il coro di Casoni su livelli accettabili.

Quanto alla regìa, Pelly ha prodotto una cosa che fatica a raggiungere le altezze del …vecchio Teatro Smeraldo (oggi purtroppo riconvertito a mangiatoia). L’eremita in cui Ory si traveste nel primo atto era una cosa fra Toro Seduto e Ras Kaylù; meglio la suora del second’atto, però che il terzetto finale venga degradato a scena threesome with dp (chiedere spiegazione agli esperti di porno) supera ogni immaginazione.  

Se tanto mi dà tanto, quando gli chiederanno di mettere in scena un’opera di Gluck, lui sceglierà… Ifigonia in Culide (stra-smile!) Che poi il pubblico si diverta con Rossini ridotto al più sbracato degli avanspettacoli non deve fare alcuna meraviglia, visto che nello stesso tempio – e per limitarci a questa stagione – si è usato Verdi come colonna sonora per accompagnare scene di produzione di lasagne e minestroni.