Accade abbastanza raramente che il
primo ciclo (dei 4, normalmente in programma lungo il Festival) del Ring venga per così dire interrotto dalla
programmazione di altre opere. Quest’anno accade nuovamente dopo 4 stagioni:
come nel 2010 fu Parsifal ad insinuarsi tra Walküre e Siegfried, quest’anno è il figlioletto Lohengrin a disturbare la continuità
fra Siegfried e Götterdämmerung. (Nel 2006 ci fu un’azione di fuoco amico, con un Rheingold re-infilatosi
fra le ultime due giornate.)
Eccoci quindi al capolinea del capolavoro
di Neuenfels, quello che verrà
ricordato soprattutto per la toponomastica
dell’ambientazione (smile!)
Stessa squadra del 2013 con la
sola, ma importante, sostituzione della protagonista femminile: alla Dasch,
mamma per la seconda volta, è subentrata come Elsa l’italiana (di Meran!) Edith Haller, che torna dopo 4 anni a
Bayreuth, dopo avervi imperversato dal 2006 al 2010 in diversi ruoli di un
certo spicco nel Ring diretto da
Thielemann: Gutrune, Freia e da ultimo Sieglinde (più una Valchiria e una
Norna). Direi che la sua prestazione sia da catalogare nella serie delle oneste
e innocue.
Chi pensa che il tempo appesantisca
e scurisca la voce viene clamorosamente smentito da Klaus Florian Vogt: la sua vocina di anno in anno sembra volgere
sempre più verso quella di un efebo evanescente, Bocelli al confronto è un
autentico Heldentenor! Chissà, magari
ciò è coerente con la vision del
regista, che in effetti fa di Lohengrin un povero ingenuo irresponsabile e
invertebrato. A me invece fa ridere, e ciò – trattandosi di Wagner e non del
Donizetti dell’Elisir o del Rossini della Scala di seta – equivale praticamente
ad un sacrilegio.
Per il resto, si salvano (per così
dire) i due cattivi Petra Lang e Thomas J.Mayer e… l’olandese-coreano Samuel Youn. Come sempre, sono orchestra e coro (più il Kapellmeister Andris Nelsons) a tenere a
galla il baraccone.