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14 dicembre, 2013

Orchestraverdi – Concerto n°13


Riecco il Direttore principale John Axelrod alle prese con un programma piuttosto insolito, una passeggiata musicale tutta romantica (e tardo-) che ci porta da Mahler a Brahms passando per Wagner. Un viaggio interessante ed anche curioso, dacchè vi viene smentita la cosiddetta proprietà transitiva: visto che Wagner e Brahms stavano (artisticamente) su sponde opposte, chiunque seguisse l’uno avrebbe dovuto automaticamente prendere le distanze dall’altro. Non così Mahler, che invece fu fervente ammiratore di entrambi (pur con qualche distinguo di natura estetica).

Il concerto si apre con un breve brano che Mahler aveva originariamente incluso - come secondo movimento, Andante alegretto (sic!) dei cinque - nella sua Prima sinfonia (anzi, Poema sinfonico, come lo aveva inizialmente battezzato, nel 1888): si tratta di Blumine, il cui manoscritto si era perso in giro per il mondo e che è stato riportato alla luce qualche decina di anni orsono (1966).

 
Stando all’Autore medesimo il titolo, così come quello della sinfonia (Titan) fu mutuato da Jean Paul, precisamente da una raccolta di articoli di rivista, pubblicata a Tubingen nel 1810 e intitolata Herbst-Blumine… (Fiori d’autunno). Ma si è scoperto poi che il brano era da Mahler già stato composto a Kassel nel 1884 per la serenata di Werner nelle musiche di scena (andate perdute o distrutte, salvo proprio il frammento relativo alla serenata) di Der Trompeter von Säkkingen di Viktor von Scheffel, un poema eroicomico ambientato nella guerra dei 30 anni.


Non a caso protagonista del brano è la tromba solista (qui Christopher Dicken, con Harding e la MCO).

Curiose le peripezie cui il pezzo andò incontro nelle mani del suo autore: dopo essere stato presentato alla prima di Budapest nel 1889, Mahler (all’inizio del 1893) aveva deciso di cestinarlo. Ma pochi mesi dopo (estate 1893) lo aveva ripristinato e presentato in un’esecuzione ad Amburgo (ancora l’opera si chiamava Poema sinfonico…)

Fu in occasione di un’esecuzione a Berlino nel 1896 che Mahler cassò definitivamente Blumine e presentò il suo lavoro in 4 movimenti come Sinfonia in RE maggiore per grande orchestra: e così essa fu definitivamente pubblicata nel 1899 e poi nel 1906 e così da allora viene eseguita in tutto il mondo.

Cedo ora la parola a Henry-Louis de La Grange perché ci descriva questo brano (testo preso dalla sua monumentale biografia di Mahler, traduzione mia):

Tonalità: DO maggiore. Tempo: 6/8. Forma: ABA.
Dopo un poetico preludio degli archi, pianissimo, di quattro misure, la tromba solista espone immediatamente la melodia, la cui seconda frase (prima del numero 2), è poi ripresa dagli archi. La sua principale debolezza risiede in un eccesso di simmetria nelle appoggiature dal semitono inferiore, rozzamente accentuate, che precedono ogni nota importante della melodia, e che finiscono per creare l’impressione di un tic o di un ossessivo manierismo. L’episodio centrale (B) comincia in LA minore con imitazioni sulla prima misura del tema A. Un secondo episodio espone una nuova versione di A, dopo la quale si perviene poco a poco alla forma originaria del tema attraverso un passaggio modulante che combina un’altra versione di A con un controcanto nei violini. Raggiunta la tonalità di SOLb maggiore nella quale i violoncelli in acuto e i flauti hanno scambiato A in imitazione, Mahler ritorna alla tonalità principale in sole quattro misure. È la seconda frase di A, negli archi, che introduce la riesposizione. Questa è abbreviata e seguita da una piccola coda, assai semplice, sempre basata su A.
Insomma, Mahler fa un uso eccessivo del suo primo tema, la cui dolcezza un po’ zuccherosa e le famose appoggiature ne distruggono ben presto il fascino. Se non fosse che è di Mahler, tutto farebbe pensare che Blumine sarebbe scomparso in un oblio definitivo, trattandosi al più di una musica neo-mendelssohniana, la cui grazia, lo charme, l’eleganza e l’invenzione piuttosto modesta sono totalmente lontani dallo stile mahleriano, così come lo conosciamo. Alcuni passaggi sono particolarmente ben riusciti, in particolare le transizioni, ad esempio quella che collega i due temi dell’esposizione, dove una lunga nota tenuta, MI (mediante di DO maggiore) si trasforma in dominante della tonalità seguente, LA minore, attraverso un semplice salto d’ottava in glissando. Un altro momento di pura poesia è quello dove il primo motivo viene elaborato in imitazioni, e passa da uno strumento all’altro; e anche quello dove, più tardi, l’arpa esegue dei tremoli su triple crome. L’arpa è peraltro utilizzata ovunque con una consumata perizia, come nei Gesellen. Tuttavia, qualche fortunato cammeo non è sufficiente a rendere il pezzo degno del suo autore. In tutto il resto dell’opera mahleriana non esiste null’altro di così superficiale e meramente decorativo come questo pezzo, nemmeno il grande assolo nostalgico del Posthorn della Terza sinfonia, che pure discende direttamente da questo. Non c’è quindi nulla di male nel fatto che Mahler lo abbia soppresso, casomai ci si dovrebbe stupire del fatto che Mahler dopo qualche mese fosse tornato su quella decisione. L’interesse di questo pezzo è soprattutto di tipo documentario. Senza di esso, in effetti saremmo privi di ogni idea riguardo lo stile delle musiche di scena del Trompeter von Säkkingen.

Per la verità Blumine viene qualche volta presentato al suo posto originario nella Sinfonia: c’è chi – con de La Grange - boccia l’idea come si trattasse di uno scoop ammuffito, mentre altri cercano di dimostrare come in fin dei conti quella presenza non sarebbe poi del tutto ingiustificata.

E al proposito, mi limito a segnalare qui uno dei legami concreti che oggettivamente si possono individuare fra Blumine ed il resto della sinfonia: la chiara somiglianza fra la cadenza dei violini che chiude la frase di Blumine e il passaggio (Sehr gesangvoll) del Finale, che a quella si richiama senza alcun’ombra di dubbio:


Ecco: questo aspetto ciclico della Sinfonia si perde irrimediabilmente con l’assenza di Blumine. 

Che poi uno dei motivi che portarono Mahler all’abbandono del brano fosse il pudore per la rassomiglianza delle prime 6 note del tema della tromba con quelle dell’Allegro ma non troppo del Finale della Prima di Brahms, mi parrebbe una spiegazione poco plausibile (ci avrebbe messo 6 anni ad accorgersene?):
Certo, non esistendo alcun indizio di possibili ulteriori ripensamenti di Mahler in proposito, parrebbe giusto rispettare la sua volontà, come testimoniata dalle edizioni ufficiali, e non eseguire il brano nel corpo della Prima. Però non ha nemmeno torto chi sostiene – con argomenti non peregrini - che il re-inserimento di Blumine non sia poi un delitto di lesa-maestà.

Ad ogni buon conto, Axelrod ha fatto la cosa più sensata: ci ha proposto questo delizioso cammeo, che è un vero piacere ascoltare, senza però metterci intorno… la sinfonia! Bravissimo, come al solito, Alex Ghidotti a porgerci questa piccola ma interessante reliquia.
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Wagner compose il Siegfried-Idyll per farne un regalo di compleanno alla moglie Cosima che da poco più di un anno gli aveva dato il tanto atteso figlio maschio. Anche qui, lascio la parola ad un illustre wagnerita, il compianto prof. Teodoro Celli, per raccontarci di quest’opera in modo a dir poco appassionato:

Il 24 Dicembre 1870.
Era la vigilia di Natale; Cosima, in quel giorno, compiva i trentatré anni. Aveva appena scritto sul suo diario: “Quest’anno da Richard non ho avuto nessun regalo”. Era la mattina; quando giù, nell’atrio della villa – a Triebschen in Svizzera dove abitavano – udì risuonare una musica.
L’evento era frutto d’un amorevole complotto. In novembre e in dicembre, Wagner aveva scritto un poemetto sinfonico con l’intenzione di farne dono alla sposa amata. Aveva segretamente ingaggiato i musicisti necessari, e aveva fatto eseguire le prove: fra di essi era il celebre cornista Hans Richter, futuro direttore d’orchestra dell’Anello del Nibelungo a Bayreuth, per la “prima” del 1876. In quest’occasione egli aveva imparato a suonare la tromba!
I leggii furono disposti nell’atrio della villa, e sulle scale. Wagner stesso diede l’attacco. E così Cosima quando scese, circondata dalle figlie, e col piccolo Siegfried in braccio (aveva un anno e mezzo), udì qual’era il suo “regalo”.
Questa musica fu poi chiamata Siegfried-Idyll, “Idillio di Sigfrido”. I bambini di casa Wagner la chiamavano invece Treppermusik, “musica delle scale”, dal luogo dove l’avevano sentita! Otto anni dopo Wagner acconsentì a pubblicarla, con una dedica a Cosima che diceva fra l’altro: “La calma gioia che noi abbiamo goduta al focolare e che è espressa in questi suoni, noi volemmo tenerla segreta. Ma a coloro che ci furono fedeli, che furon dolci a Sigfrido e amorosi a nostro figlio, sia finalmente rivelata, col tuo consenso, quest’opera che canta la serena felicità di cui abbiamo gioito”.
La gioia della vita familiare – che fu veramente “unica” nell’arco affannoso della vita del Maestro – è qui cantata con accenti indicibilmente toccanti. Vi si ascolta l’amore di Wagner per la sua donna, e l’emozione per i cari figli, soprattutto per il piccolo “Fidi”; e vi si vede – quasi – anche il Wagner capace, di quando in quando, di tornar ragazzo, giocando in giardino con i bambini e arrampicandosi sugli alberi, con non diminuita agilità d’acrobata, nonostante i cinquantasette anni. Ma vi si sente soprattutto un magistero puramente sinfonico, che dimostra a quale altezza il Maestro fosse arrivato.
Composta per piccola orchestra, la partitura richiede (secondo le indicazioni di Wagner stesso) un flauto, un oboe, due clarinetti, un fagotto, due corni, una tromba, sei primi violini, cinque secondi violini, quattro viole, tre violoncelli e due contrabbassi. Il tessuto sinfonico aduna alcuni temi del Sigfrido, e precisamente: la melodia della “Pace”, il “Sonno”, “Siegfried erede della potenza del mondo”, “Decisione d’amare”, “Angoscia d’amore” e “Uccello del bosco”; ad essi è aggiunta, di quando in quando, una canzone popolare svizzera. Fluiti dall’animo del Maestro nella sua opera, quei motivi tornavano affettuosamente dall’opera al Maestro, a contrassegnare il momento più dolce della sua vita.

In realtà parrebbe che quell’esecuzione scaligera (!) sia avvenuta proprio il giorno di Natale, poiché Cosima era solita spostarvi i festeggiamenti per il suo compleanno.

Quanto alla primogenitura di alcuni temi, primo fra tutti quello della Pace, recenti studi porterebbero a pensare che sia entrato prima nel poemetto sinfonico e successivamente nell’opera, contrariamente a quanto sostenuto da Celli (in effetti Wagner stava lavorando al terz’atto del Siegfried quando compose l’Idyll). Quel che è incontestabile è però che il tema in questione (e forse anche quello di Siegfried erede della potenza del mondo) ha un’origine assai più remota rispetto all’opera; un’origine, per così dire, galeotta: dacchè viene dall’abbozzo di un quartetto - detto di Starnberg perché colà ideato e mai portato a termine - che Wagner avrebbe voluto dedicare alla sua Cosima amante, e non ancora moglie. Erano i giorni (estate 1864) in cui i due convissero more-uxorio (la piccola Isolde fu concepita lì, nella Villa Pellet, messa a loro disposizione da Re Ludwig e che sorgeva sulla costa orientale del laghetto, subito sotto la cittadina, a sud di Monaco) senza curarsi di occultare la loro relazione al marito di lei, Hans von Bülow, che anzi – da wagneriano sfegatato – ottenne in cambio (smile!) il privilegio di essere il primo a dirigere il Tristan!

Infine, anche in merito alla canzone popolare svizzera ci sono probabilmente delle inesattezze: ciò che compare nella partitura è un richiamo (letterale nelle prime 4 battute) al tema di una ninna-nanna che Wagner aveva composto qualche tempo prima per la figlia Eva, trascrivendolo sul suo diario: il primo verso suona come Schlaf, Kindchen, Schlafe, che guarda caso è molto simile al titolo di una ninna-nanna tedesca, musicata da Johann Friedrich Reichardt nel 1781, che però ha un testo diverso ed un motivo piuttosto banalotto:


Come si vede, si tratta di tutti motivi di 10 battute, ed è quasi certo che Wagner conoscesse il brano di Reichardt e che ne abbia tratto vagamente lo spunto.

Il complesso che eseguì originariamente il poemetto - che aveva anche un titolo diverso, quasi più lungo della stessa musica (smile!): Tribschener Idyll mit Fidi-Vogelsang und Orange-Sonnenaufgang, als Symphonischer Geburtstagsgruss. Seiner Cosima dargebracht von Ihrem Richard. - era composto da otto fiati (1-1-2-1-2-1) e dai 5 archi tradizionali. Nel far pubblicare la partitura, oltre ad imporle il titolo, Wagner mantenne l’organico dei fiati e irrobustì gli archi (6-5-4-3-2).

Qui lo esegue un Celibidache sempre grande, ma forse fin troppo… ascetico! Francamente gli ho preferito l’Axelrod di ieri sera, più asciutto e spedito, che ha ben interpretato le diverse variazioni agogiche previste in partitura. Invece dei 20 archi prescritti, ne ha schierati quasi il doppio (!) e di conseguenza l’atmosfera cameristica si è un pochino persa, ma va bene lo stesso.
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Chiude il concerto Brahms con la Terza Sinfonia. Opera che Mahler apprezzava assai, arrivando a pensare persino (udite, udite!) di manipolarne l’orchestrazione (come fece con Schumann…) da lui considerata troppo scarna.

Di Brahms Mahler aveva una grandissima stima (appena appannata da quello che lui considerava uno sgarbo fattogli dal burbero amburghese, ai tempi della bocciatura del suo Klagende Lied al Conservatorio di Vienna) ma considerava la sua musica troppo fredda. Come scrisse a Natalie Bauer-Lechner, gli sembrava che essa avesse un solo limite, quello di non spezzare mai le catene che le impedivano di elevarsi al di sopra della vita e dei dolori di questa terra, per esplorare mondi più liberi e luminosi. Brahms, scriveva, sembra prigioniero della sua condizione, di questo mondo e di questa vita; non rivolge mai lo sguardo verso le più alte vette; per questo le sue opere mai potranno produrre la più forte ed alta impressione; ad esse ornamenti, fioriture e fantasia sono del tutto estranei, e vi rimane solo un gioco di suoni duro ed austero, anche se sono colme di ingegno e di arte, dato che Brahms è un grande artista ed un uomo superiore.

Poi, constatando l’abissale differenza fra le sue opere e quelle di Brahms, Mahler si chiedeva (con grande onestà intellettuale) se per caso non fosse lui a sbagliare, e la sua musica non fosse altro che un guazzabuglio (cattolico!) di misticismi…

Dai tempi di Hanslick si usa dire che la musica di Brahms è assoluta, in opposizione a quella di Liszt, di Wagner (ovviamente) di Strauss e di Mahler. Ma allora perché una musicista raffinata, colta e sensibile come l’amata Clara (Schumann) nel felicitarsi con l’autore per la sua Terza gli confida di vederci i boschi e le foreste, i boscaioli inginocchiati ai piedi di una cappella nel verde, e ancora lo sciacquio del ruscello ed il ronzio degli insetti (ohibò… il Waldweben)? In realtà a questa, come a qualunque altra sinfonia o musica in genere, si possono appiccicare dall’esterno tutti i programmi di questo mondo, quanto infinite sono le sensazioni che ciascuno di noi può provare ascoltando quel dato brano musicale.

E questa Terza non comincia per caso con un motivo preso da un’altra Terza, precisamente quella di Schumann, apertamente sottotitolata renana?

E non era proprio il Reno che Brahms poteva ammirare dalle finestre della casa che lo ospitava a Wiesbaden mentre componeva la Terza? E a proposito di Wagner: se in quel tema sostituiamo la tonica di partenza (SOL) con una sesta (MI) non troviamo forse l’incipit del motivo assolutamente renano del Weia-Waga, che poi è anche quello del Sonno e dell’Uccellino del bosco?  

Beh, ce n’è abbastanza per ripensare certe categorie piuttosto stucchevoli che ancora vengono usate per catalogare musiche e musicisti…   

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Axelrod e laVerdi hanno eseguito la Terza non troppo tempo fa con gran profitto, così adesso la registrano per inciderla nell’integrale del maestro texano. Un’esecuzione forse un poco contratta all’inizio (magari eccessiva… tensione?) ma poi cresciuta via via (pregevoli i due tempi centrali) fino alla splendida conclusione.

Gran trionfo in un Auditorium gremito.

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