Come si è ben visto – anzi, udito – i dissensi
finali hanno colpito principalmente (ma non solo) la regìa di Cerniakov. Il quale ha seguito l’ormai
classico – e quasi sempre deleterio – processo che ha come obiettivo quello di
impiegare l’opera in questione per rappresentare (in funzione pseudo-maieutica)
scenari e problemi di attualità. Nella fattispecie, come deve aver ragionato il
regista russo?
1. Verdi (con Piave) intendeva mettere in scena uno
spaccato di certa società degli anni 1850, contemporanea quindi a lui e al suo
pubblico;
2. vivendo noi negli anni 2000, bisogna trovare
qualcosa che rappresenti aspetti e comportamenti radicati nella nostra società,
che è oggettivamente diversa da quella di 150 anni orsono;
3. una di queste caratteristiche – ormai lo abbiamo
imparato a memoria, da Freud sui
libri e da Strindberg, per dire, a
teatro – è la nevrosi (indotta in
tutti noi da questa nostra società alienante) che impedisce agli esseri umani
di vivere compiutamente e in modo spontaneo e… umano anche il rapporto più
importante: l’amore;
4. e quindi Violetta e Alfredo il loro amore lo
devono vivere in uno stato di perenne isteria, che porta lei nientemeno che alla
morte e lui a vedere quella morte come un’autentica liberazione da un incubo.
Noto di passaggio che il regista non si deve essere
fatto tradurre bene in russo il testo dell’aria di esordio dell’atto secondo,
che ci racconta del tipo di ménage Violetta-Alfredo più e meglio di un’intera raccolta
di Racconti di Liala… Forse questo ha portato il regista ad immaginare che i bollenti spiriti fossero riferiti ad un
minestrone di verdura, che infatti Alfredo si mette solertemente a cucinare (smile!)
Se qualcuno obietta che il soggetto di Cerniakov
sarà pur interessante ed attuale quanto si vuole, ma non ha nemmeno un capello
in comune con quello di Verdi-Piave, la risposta è già bell’e pronta: chi se ne
frega! qui si fa teatro, amico, mica siamo al museo!
Beh, a qualcuno invece pare che gliene freghi parecchio,
a giudicare dai buh di ieri sera. Di cui val la pena anche di interpretare il
senso, essendo stati apparentemente… schizofrenici (proprio come questa
Violetta, smile!) Allora: alle prime
uscite singole tutti gli interpreti (con una sola eccezione) hanno ricevuto
soltanto consensi, da quelli trionfali alla Damrau
fino a quelli moderati, andati persino a Lucic.
L’eccezione è stato Beczala, accolto
da un mix di applausi e buh. Poi i buh son diventati un fiume alla comparsa di Gatti, cui evidentemente non si sono
perdonati certi elastici nei tempi e magari - forse contagiato dal regista - un approccio
più consono a Berg che a Verdi. Infine sono diventati appunto un oceano per il
regista. Dopodiché però hanno continuato ad imperversare anche sui singoli, alle
uscite successive. Perché mai? Ecco, a me pare che questi ultimi fossero
dissensi espressi verso gli interpreti in quanto complici – convinti o meno –
del risultato complessivamente negativo della serata. Come dire: cara Diana, tu
avrai anche cantato benissimo, ma la tua Violetta in complesso ci ha deluso, e
poco conta che la colpa sia del regista, perché in scena c’eri comunque tu.
Radio3, in una specie di fuori-onda al termine della trasmissione, ha captato il pistolotto
di addio di Lissner (questo era il
suo ultimo SantAmbrogio, e meno male, aggiungo io…) alle masse scaligere. Indirizzo concluso con la ripetizione del suo ritornello
ormai trito e ritrito: la missione della Scala non è far divertire il pubblico, ma farlo
riflettere!
Beh, in linea di principio si potrebbe anche
concordare, ma a condizione che il pubblico sia portato a meditare sui
contenuti che Mozart, Wagner, Verdi ci hanno trasmesso nei loro capolavori.
Meno, se veniamo costretti a sorbirci i contenuti dei vari genialoidi sponsorizzati
da Lissner: Carsen, Guth e Cerniakov; che per farsi belli, ricchi e famosi
loro (e far salire l’ingaggio del soprintendente!) non esitano a sequestrare,
per poi riconsegnarceli dovutamente adulterati, quei capolavori del teatro
musicale.
Amen.
Ah, dimenticavo che ce n’è anche per
Gatti. Tutti ricordano come reagì al fiasco del SantAmbrogio 2008: richiesto di
commentare i fischi piovutigli addosso, rispose un filino piccato (prima di
sbattere la porta) che non ne aveva udito alcuno!
Ieri sera, intervistato da Pedone di Radio3
dietro le quinte, e con il frac ancora inzuppato di buh, il nostro ha serenamente
ammesso che le contestazioni erano la legittima manifestazione di libero pensiero.
Ohibò, due Gatti e due misure? Mah, credo che la spiegazione non sia poi così difficile:
quel Don Carlo rappresentava per lui una specie di esame di ammissione al concorso
per un posto di Direttore musicale alla Scala, e la bruciante bocciatura doveva
parecchio rodergli dentro. A 5 anni di distanza il nostro si deve essere messo il
cuore in pace, quanto meno accettando il fatto che la prossima opportunità gli verrà
offerta quando avrà raggiunto l’età che ha oggi Riccardo Chailly (smile!) Ecco perché, almeno per un po’ di
tempo, può permettersi di fare il signore…
Ri-amen.
2 commenti:
Io comunque qualcosa da questa regia ho imparato. Finalmente mi è stata spiegata l’ origine delle “fettuccine Alfredo”, piatto tipico della cucina italoamericana completamente sconosciuto in Italia. Ci voleva Tcherno-Bill per farcele conoscere…
@mozart2006
Anche Beczala si è detto entusiasta dell'inizio del second'atto: lui appena può si mette in cucina a tirar sfoglia e infornare pizze.
Come dire: ha una professione assicurata comunque.
Ciao!
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