ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

22 novembre, 2013

Venezia ospita una indo-africana (3)


Si è già accennato al fatto che la stesura della versione dell’Africaine divenuta celebre in tutto il mondo - fin dalla prima di venerdi 28 aprile 1865 - si deve a François-Joseph Fétis, che ne ricevette l’incarico dalla vedova del compositore, Minna (toh, finalmente scopriamo l’unica cosa che avevano in comune Meyerbeer e Wagner: il nome della moglie!) e dalla direzione dell’Opéra, che vantava i diritti sul lavoro. Fétis apportò al materiale prodotto da Meyerbeer una serie di modifiche, alterazioni e tagli da lui giustificati con le più svariate ragioni, legate ad altrettante supposte necessità emerse durante la lunga e travagliata fase di messa-in-scena dell’opera. Lo spartito per voce e pianoforte di Fétis è stato pubblicato in diverse edizioni e lingue, che si differenziano di poco fra loro.


Le considerazioni di Fétis relative ai suoi interventi sono sommariamente riportate nella prefazione alla sua edizione della 2a parte dello spartito, che reca (quasi) tutto ciò (22 brani) che Fétis modificò o espunse rispetto al lavoro di Meyerbeer al momento di predisporre la sua edizione dell’opera: si tratta di considerazioni tutt’altro che peregrine (che sono state in parte condivise anche da chi ha curato la recente messa in scena del Vasco a Chemnitz) anche se la notoria attitudine del professor Fétis a correggere i difetti di altri compositori (a partire da tale Beethoven, di cui ritoccò disinvoltamente le sinfonie!) lascia più di un dubbio riguardo all’effettiva necessità, opportunità e bontà dei suoi interventi.

Per i quali, una delle motivazioni principali addotte riguarda la durata dello spettacolo. Durante le prove del 1865 all’Opéra, lui fece cronometrare un’esecuzione senza tagli, che risultò protrarsi per 4h30’ (intervalli esclusi, ovviamente). Ciò fu giudicato inaccettabile dalla direzione del Teatro e costrinse Fétis ad apportare (di malavoglia, dice lui) i numerosi tagli che la recente versione di Schläder – come presentata a Chemnitz - ha quasi interamente riaperto (tranne il Courons dell’atto II, il secondo couplet di Adamastor del terz’atto, il primo coro delle donne portoghesi e il notturno del quarto e una parte del duetto Sélika-Inès del quinto) durando precisamente 4h11’ (52+47+55+54+43).

Si noti che le rappresentazioni della versione tradizionale di Fétis, anche quando non ulteriormente tagliata (ma tagli più o meno barbari sono immancabilmente all’ordine del giorno…) difficilmente superano le 3 ore. Ad esempio la storica, si può dire, incisione dal vivo di Domingo-Verrett del 1971 a San Francisco nemmeno ci arriva, a toccare le 3 ore (42+37+25+40+34) nonostante riapra il taglio dell’inizio dell’atto V (Inès); e quella, sempre con gli stessi protagonisti, di 17 anni dopo, le supera di poco. Dopodichè si può discutere all’infinito se i tagli (originali di Fétis o praticati dai vari concertatori) siano o meno giustificabili e rendano l’opera più o meno digeribile. Al proposito, stando al sito web del Teatro, tre ore nette durerà anche lo spettacolo alla Fenice, spettacolo la cui struttura (90+30+60) lascerebbe immaginare – prendendo come base l’edizione Domingo-Verrett - una maggior corposità dei primi tre atti e qualche taglio in più negli ultimi due. (Ma staremo a… sentire!)

Vediamo quindi un po’ più in dettaglio come si configura la versione dell’opera edita da Fétis - che ha determinato il successo del lavoro per tutto l’800, prima del declino dovuto anche all’ostracismo nazista - rispetto a quella originariamente predisposta da Meyerbeer.

Al fine di avere dei chiari punti di riferimento, ho predisposto questo documento in cui ho assemblato tutti i testi (disponibili ai comuni mortali) dell’opera, evidenziandone le diverse componenti a seconda dell’origine. La parte in colore nero rappresenta (a meno di piccole discrepanze) il testo che Fétis incluse nella sua edizione per l’Opéra, da allora ed ancor oggi impiegata per le sue rappresentazioni, incluse le prossime (fatti salvi i tagli…) alla Fenice (ma qui ci chiarirà tutto il programma di sala, che sarà certamente ricco e rigoroso, come è costume del teatro veneziano).
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Intanto, un particolare proprio da nulla: il titolo! Fétis cestinò quello nuovo (Vasco de Gama, ou le Cap des tempêtes) e ripristinò quello originale di L’Africaine (nome che peraltro lo stesso Meyerbeer continuava ad usare in privato, per comodità…) La ragione principale essendo che il vasto pubblico aspettava da decenni di vedere in cartellone quel titolo: e chi se ne frega se Sélika, la protagonista del nuovo libretto, non fosse per nulla africana, tantomeno di pelle nera, bensì indiana, in omaggio e in coerenza con la meta dei sogni e dei viaggi del grande Vasco. Del resto abbiamo già visto come lo stesso Scribe avesse dovuto inventarsi un Madagascar indiano per trarsi d’impaccio!

Nell’Atto I – il meno strapazzato fra i cinque - Meyerbeer aveva lasciato due versioni della romanza di apertura di Inès Adieu, mon beau (doux?) rivage, in SOL minore (versi che torneranno a farsi sentire nel terzo e poi, più corposamente, nel quarto atto). Differiscono – solo nella musica, il testo non cambia - nella sezione centrale, 6/8 in SOL maggiore (Pour celle qui m'est chère). Fétis si è limitato a scegliere quella che reputò (direi a giusto titolo) più convincente. Per il resto non ci sono né alterazioni né tagli rispetto al Vasco.

Nell’Atto II Fétis comincia a tagliare: fa aprire la scena da Sélika che si avvicina a Vasco, di cui vengono tagliate le parole pronunciate nel dormiveglia Vogue, vogue, mon beau navire, nella stessa tonalità di MIb maggiore su cui il corno solo apre l’atto con un bellissimo recitativo, che serve proprio ad introdurre quella frase di Vasco, e torna anche poco dopo. Invece, se la frase viene omessa, si passa inopinatamente ed inspiegabilmente dalla sognante introduzione del corno al cupo intervento della schiava. Per questo in alcune edizioni dello spartito – inclusa una in lingua italiana – il frammento di Vasco viene re-incluso.

Fétis taglia anche alcuni versi di Sélika poco dopo (Son front me brûle, hélas!) in cui la schiava ricorda come Vasco avesse venduto i suoi gioielli e le sue armi per acquistarla: in effetti è un riferimento che sarebbe più appropriato al Fernand della stesura del 1843; Vasco più verosimilmente acquistò i due schiavi indiani con fondi… pubblici del Regno di Portogallo, e non di tasca sua.

Fétis sceglie poi una delle due versioni della famosa ninna-nanna di Sélika Sur mes genoux, quella che presenta più passaggi di agilità per il soprano. In effetti le due hanno parecchio in comune: tutta la sezione centrale (in FA e FA# maggiore, da Hélas, mon coeur faiblit…) e quella finale che torna in LA minore (da Il dort en paix…)

Più avanti Fétis taglia qualche battuta a Nélusko e Sélika nella scena del tentato omicidio (da À prix d'or au marché nous lui fûmes vendus); non fa esplicitamente menzione di questo taglio nella sua appendice allo spartito. La ragione sembra comunque evidente: i due schiavi ricordano il momento in cui vennero venduti al mercato e fanno riferimenti assai pertinenti allo scenario del 1843, allorquando erano stati acquistati da Fernand, e sappiamo bene con quali diverse motivazioni rispetto a quelle di Vasco. Il taglio sembra quindi abbastanza plausibile; un po’ meno la riapertura che ne fa Schläder.

Per il resto la scena e, soprattutto, la grande aria di Nélusko (Fille des rois e poi Quand l'amour m'entraîne) rimangono fortunatamente intatti. Invece Fétis taglia la prima parte del recitativo e duo di Sélika e Vasco Le maître a-t-il faim? Qui se ne va un frammento (À Vasco de Gama gloire! À lui l'univers!) abbastanza interessante sia sul piano drammatico che su quello musicale.

Nel grande duo Combien tu m'es chère, dopo che Sélika ha dato a Vasco lezioni di navigazione attorno al Capo, Fétis taglia di netto la strofa (da Près de moi tu resteras pour toujours) che vira abbastanza suggestivamente dal MIb maggiore d’impianto ad un momentaneo SI maggiore, prima del ritornello e della cadenza che chiude il duetto. In questa strofa i due sognano di risalire la costa orientale africana, e da lì esplorare altri territori più lontani, di incontrare nuovi popoli e nuovi climi. Ecco, questo taglio mi risulta francamente incomprensibile, sotto ogni punto di vista.  

Ecco infine l’ultimo taglio in quest’atto (mantenuto anche nella produzione di Chemnitz): il recitativo e arioso di Vasco-Sélika-Nélusko Courons, sortons! Qui Fétis ci dà una duplice spiegazione drammaturgica (permettendosi di correggere Scribe!) La questione sta in questi termini: alla fine del duetto fra Sélika e Vasco, che si chiude con i due emozionati e festanti, dopo che la schiava ha mostrato al navigatore la rotta giusta per doppiare il Capo, Scribe aveva introdotto – lo abbiamo visto nella precedente puntata - una nuova scena, quella dove Vasco torna a disperarsi e poi ode lo scampanìo in lontananza che Nélusko gli spiega come festeggiamento per le nozze di Don Pédro e Inès. Ecco perchè Fétis pensa che ciò rovini, poco dopo, la sorpresa di Vasco all’apprendere da Inès che lei ha sposato proprio Don Pédro.

Secondo poi: questa scenetta abbastanza insulsa (per Fétis, quantomeno, ma personalmente tenderei a condividerne il giudizio) toglierebbe totalmente drammaticità alla successiva entrata di Inès e Don Pédro, che  non troverebbero più Vasco e Sélika in atteggiamento sospetto. E ciò farebbe perdere significato alle prime parole di Don Pédro (visto? li abbiamo beccati in flagrante…) Ecco quindi che tutta la scena viene rimossa, in modo da proporre il seguente colpo di teatro: Don Pédro e Inès che entrano nella prigione e trovano Vasco e Sélika in piena esultanza.

Ecco poi il settimino finale (arrivo di Inès e Don Pédro e tutto ciò che segue) che Fétis – per fortuna, verrebbe da dire – non ha toccato per nulla. Ci sono qui un paio di concertati dove l’ascoltatore dovrebbe poter distinguere almeno 4-5 diverse, a volte contrastanti, espressioni di stati d’animo, cantate da personaggi che sovrappongono le rispettive voci: cosa praticamente impossibile anche a chi conosca il testo a memoria. Ma questo è un difetto (o un pregio?) del melodramma: il finale secondo di Aida ne è altro esempio preclaro.

L’Atto III è proprio nel mirino di Fétis, che ci apporta tagli piuttosto corposi. Dopo i cori delle donne e dei marinai (inclusa la gregoriana implorazione a SanDomenico) si comincia con l’eliminazione del canto del marinaio (Il est franchi, ce cap terrible)  che inneggia al doppiaggio del Capo e prende in giro Nélusko per le sue inavverate premonizioni sull’arrivo di Adamastor; tagliato poi il richiamo al pasto mattutino e infine il rondo bacchico dei marinai (Il faut du vin, du vin, du vin) dove a Scribe era sfuggito il riferimento – coerente nella prima versione del 1843 - alle coste messicane! Il taglio si porta via anche il breve lamento di Inès che riprende quello dell’inizio del primo atto (Adieux rives du Tage) e che crea un evidente contrasto con l’esuberanza dei marinai. Insomma, anche se non indispensabile sul lato della drammaturgia, questo scorcio eliminato da Fétis era invece assolutamente funzionale allo spettacolo, e la musica che lo supporta è tutt’altro che da buttare.

Si passa quindi direttamente al colloquio fra Don Pédro e Don Alvar, ma anche qui Fétis elimina la parte della scena dove il membro del Consiglio confida i suoi sospetti su Nélusko al Comandante (Êtes-vous bien sûr qu’il ne vous trahit pas?): che viceversa nomina lo schiavo come ufficiale di bordo, esecutore di tutte le pene da lui comminate, eccitandone tutta l’aggressività. Si tratta di un passaggio che dovrebbe servire a chiarire le cattive intenzioni dell’indiano.

Intenzioni che comunque Nélusko non tarda a manifestare, riconoscendo che il vascello è vicino ai paraggi dove incrociano i suoi compatrioti e cantando quindi la famosa ballata di Adamastor.

Adesso arriva la nave di Vasco, che sale a bordo. Fétis taglia due parti del duetto della lite fra Don Pédro e Vasco: Généreuse perfidie! (in cui troviamo un cupo accompagnamento del violoncello solo) dove i due si rimpallano la responsabilità della sorte di Inès (Fétis lo fa probabilmente per non… gettare un’ombra sul disinteresse di Vasco); e poi alcune battute da Eh bien! c'est moi qu'indigne en fin tant de bassesse.

Poi, come detto, altri barbari tagli: viene eliminato in pratica l’intero settimino, dove troviamo Sélika che punta il pugnale al cuore di Inès (Ah! qu’à défaut du ciel, l’enfer me soit propice!) Se ne va di conseguenza anche il successivo Qu’on l’entraine à l’instant, dove Don Pédro fa imprigionare Vasco nella stiva e cerca invano di obbligare Nélusko a frustare Sélika, con la conseguente offerta dei due di essere giustiziati insieme. Si tratta di scene assolutamente valide dal punto di vista drammaturgico, come è ad esempio la crisi di Nélusko, tanto spietato con gli stranieri, quanto inorridito al dover castigare la sua Sélika.

In pratica, da poco dopo l’arrivo di Vasco, la lite (abbreviata) con Don Pédro e la decisione di quest’ultimo di farlo fucilare, si salta direttamente e sbrigativamente alla chiusura dell’atto, con l’urto del vascello contro la scogliera e l’arrivo delle orde di indiani che fanno tutti prigionieri, per l’esultanza di Nélusko. Ma anche l’accoglienza dello schiavo ai suoi compatrioti, con annessa presentazione della loro futura regina Sélika e coro finale (Mais ceux-ci, quels sont-ils?) se ne vanno nel cestino di Fétis!

Insomma, il musicologo belga ha veramente massacrato questo atto, buttandone via almeno il 40%! E si tratta di scene tutt’altro che insignificanti e di musica assolutamente degna di essere apprezzata!

L’Atto IV si apre con il solenne ingresso in scena di sacerdotesse, bramini, amazzoni (il corpo di guardia femminile di Sélika), saltimbanchi, guerrieri e infine di Sélika in persona, il che dà modo a Meyerbeer di propinarci quasi 10 minuti di musica retorica e pomposa (pur gradevole!) come era d’obbligo nel GrandOpéra.

Poi abbiamo la scena del giuramento della nuova Regina e dei suoi sudditi, in qualche modo offuscata da due eventi poco felici: la notizia della giustizia sommaria degli invasori portoghesi maschi (che fa sobbalzare Sélika a proposito di Vasco) e il canto delle portoghesi femmine (subito dopo Quel est ce bruit? con richiamo dell’Adieu mon beau rivage! del primo atto) mandate a morire sotto la mancinella, come ci avverte Nélusko. Peccato che questo canto venga tagliato da Fétis (quel lamento si ripeterà alla fine d’atto) insieme al successivo coro dei sacrificatori Soleil, qui sur nous te lèves brûlant.

A parte che quest’ultimo coro – per quanto enfatico – è musica notevole, il suo taglio crea una gratuita discontinuità drammaturgica: dopo che Nélusko ha spiegato dove vengono condotte le donne, ecco che arriva di punto in bianco la famosa Grand Air di Vasco (O Paradis!) Invece quel coro serviva proprio ad introdurla, oltretutto anticipando versi che i sacrificatori cantano anche dopo l’aria di Vasco. A proposito della quale si è già accennato nella precedente puntata al fatto che Fétis ne cambiò un po’ il testo, introducendovi proprio l’invocazione (O Paradis!) che le diede il titolo.

Vasco è portato davanti ai sacerdoti per l’esecuzione, e Sélika lo salva costringendo (in pratica con un ricatto… sentimentale) Nélusko a testimoniare il falso (il matrimonio da lei contratto con Vasco in Portogallo). E qui Nélusko canta la sua cavatina (L'avoir tant adorée! che in realtà per la prima parte è un concertato con Vasco, Sélika e il coro) in cui manifesta tutto il suo cruccio per la costrizione che subisce, amare la sua regina e dover mentire per consegnarla al rivale straniero!

Il Gran Sacerdote benedice l’unione fra Vasco e Sélika, che restano soli. Qui, prima che si odano di lontano le invocazioni dei sacerdoti a Brahma, Fétis taglia la parte centrale del duetto (il notturno Ô douce Provideance don’t je bénis les soins) che serviva ad introdurre il successivo dialogo fra i due, che porta alla dichiarazione di reciproco amore.

Del finale (Remparts de gaze cachez l’extase) dove vediamo Sélika attorniata dalle sue ancelle che le fanno la toilette da sposa, Fétis pubblica una delle varianti (la più breve) predisposte dall’Autore, che manca fra l’altro dell’inciso di Sélika. Dove risentiamo comunque i lamenti di Inès e delle donne portoghesi ormai morenti sotto la mancinella.

L’Atto V presenta subito un gran taglio, che ci fa perdere grande musica, come l’aria Fleurs nouvelles, arbres nouveaux e il successivo arioso di Inès Ô toi, que j'adore. Ed anche la musica della scena con Vasco. Fètis invece cestina tutto l’Entr’acte, Arioso et scène in cui vediamo Inès arrivare mezza morta per aver respirato il profumo della mancinella e incontrare un Vasco vivamente turbato, per essere poi sorpresa con lui da Sélika in atteggiamento sospetto. Così invece l’atto inizia direttamente con l’entrata di Sélika (con Inès, circondata da soldati) che sorprende Vasco. Qui francamente il taglio di Fétis e l’aggiustamento relativo creano parecche perplessità sulla consistenza della drammaturgia: vediamo perchè.

Alla fine del quarto atto Inès è con le donne portoghesi portate a morire. Ora la troviamo, circondata da soldati, insieme a Sélika. Dobbiamo perciò immaginare (ma ce ne vuole, di immaginazione!) che Inès sia scampata alla strage e in seguito sia stata bloccata dagli uomini di Sélika e consegnata alla regina. Però, che c’entra Vasco? Il poveraccio si trova in quei paraggi a buon diritto e a pieno titolo (ha appena sposato la regina, caspita!) Quindi, perchè Sélika accusa i due portoghesi (che ancora nemmeno si sono incontrati, se dobbiamo prestar fede alla didascalìa) di tresca? Insomma, un saltus difficilmente giustificabile. (Meritoria quindi la decisione presa a suo tempo a SanFrancisco dal duo Domingo-Verrett di riaprire il taglio!)

Poi segue il duetto fra le due donne, quello dove Sélika decide di sacrificarsi, di cui Fétis taglia l’ultima parte (Oui, les transports de cette haine ardente): che è magari pleonastica dal punto di vista drammaturgico, ma ancora una volta è musica che è un autentico crimine buttare.

Qui arriva Nélusko, Sélika gli ordina di accompagnare i due portoghesi alla loro nave e poi di raggiungerlo al promontorio. Nélusko la implora di star lontano dalla mancinella, ma lei è irremovibile.

Nella scena al promontorio, la cavatina (La haine m'abandonne) del perdono a Vasco è purtroppo mutilata della strofa Je t'ai donné mon coeur, di cui Fétis non lascia traccia nemmeno nella sua appendice, e che ritroviamo grazie a Schläder.

Poi abbiamo il recitativo di Sélika in preda all’estasi mortale prodotta dal profumo dei fiori della mancinella (Ô riante couleur! ô fleur vermeille et belle!) dove Sélika vede un cigno che trascina un carro su cui arriva Vasco, cui dovrebbe seguire un’aria della protagonista, di cui Meyerbeer scrisse nientemeno che tre versioni: 1) Ô douce extase, transports heureux; 2) Non, cette ecstase ne trompe pas (questa viene direttamente dalla stesura del 1843!); e infine 3) Vasco, te voilà donc?

Ebbene, Fétis ce le nega tutte e tre! Poi, non contento, taglia anche il meraviglioso coro etereo (Ô céleste séjour).

Così si arriva al finale (Ah! je veille encor! Je suis sur terre) ma anche qui Fétis lo rimaneggia  (magari non senza plausibili ragioni) e chiude con l’appello di Nélusko e la morte di Sélika accompagnata dal solo coro etereo, tagliando le ultime parole (e il sacrificio) di Nélusko e gli avvertimenti del popolo.
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In conclusione, credo sia giusto dare atto al musicologo belga di aver cercato e magari quasi trovato un onesto compromesso fra il rispetto del lavoro di Meyerbeer (che comunque possiamo star certi sarebbe stato parecchio emendato dallo stesso compositore, ne avesse avuto il tempo) e le esigenze almeno comprensibili, se non giustificabili, della messa-in-scena.

In generale mi sentirei di fare il tifo, per il futuro, per l’edizione Schläder che, almeno all’ascolto, mi sembra meglio rispettare l’equilibrio fra le due caratteristiche della partitura: quella legata agli stereotipi del grand-opéra (scenario storico e retorica magniloquenza) e quella più debitrice alla tragedie-lyrique (più intimista e di scavo dei sentimenti). Troppo lunga? Forse sì, ma almeno è merce più genuina (smile!)
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Comunque sia, per ora non ci resta che aspettare Venezia…  

2 commenti:

Amfortas ha detto...

Caro Daland, hai fatto un lavoro meraviglioso, dovresti chiedere di accedere al FUS, in qualche modo.
Linko a quest'ultimo contributo sul forum di OC.
Ciao!

daland ha detto...

@Amfortas
Beh, dopo tanto Wagner (e Verdi) mi sembrava giusto dare un po' di spazio anche ad un outsider!
Spero che la Fenice ci propini qualcosa di interessante.
Grazie e ciao!