ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

20 novembre, 2013

Venezia ospita una indo-africana (2)


Abbiamo visto come già verso la fine del 1843 Meyerbeer avesse completato l’abbozzo de L’Africaine, ma avesse poi rinunciato a portare avanti il lavoro (strumentazione, balletti e prove in teatro) a causa di forti dubbi insorti sulla validità del soggetto.

Tuttavia negli ambienti musicali parigini l’attesa per quest’opera era rimasta assai viva e Meyerbeer si sentiva quasi in debito di essa verso il pubblico, così ancora per anni e anni ci tornò sopra, chiedendo a più riprese a Scribe (e dopo la morte di costui, nel 1861, a Charlotte Birch-Pfeiffer) di rivederne il libretto, che in effetti cambiò abbastanza drasticamente i suoi connotati, essendovi introdotti diversi elementi e componenti che erano del tutto assenti nella versione originaria. Di cosa si tratta?

Innanzitutto – hai detto proprio niente! - del macro-scenario in cui è ambientato il soggetto. Che diventò, da abbastanza vago e generico qual’era, molto precisamente caratterizzato sul piano storico, come esigeva la moda del tempo. Siamo retrocessi di circa un secolo (da fine ‘500 a fine ‘400, appena dopo la scoperta di Colombo); ci siamo spostati dalla Spagna in Portogallo e il deuteragonista è nientemeno che il grande Vasco da Gama. Lui diventerà il primo doppiatore del Capo delle Tempeste (poi di Buona Speranza) dopo il fallimento di Bernardo Diaz, e le sue missioni non sono verso le Americhe, ma hanno come obiettivo l’apertura della via marittima verso le Indie (prima della fine del secolo XV Vasco arriverà finalmente a Calicut, l’odierna Kozhikode, sulla costa occidentale dell’India).

In effetti si potrebbe dire che il leggendario navigatore portoghese assuma il ruolo di primo protagonista della nuova versione dell’opera, tanto da dare il suo nome - francesizzato (o… spagnolizzato) in Vasco de Gama - al nuovo titolo con cui Meyerbeer la completerà nel 1864. Attorno alla figura di Vasco si muovono adesso tutte le problematiche politiche legate al fenomeno della colonizzazione e della formazione delle grandi potenze marinare.   

Come è immaginabile, il cambiamento di scenario generale produsse una reazione a catena su quasi tutto il resto del soggetto. Ad esempio lo spostamento di focus dall’Africa all’India comportò anche un diverso inquadramento delle personalità dei due alieni (che cambiano poco o tanto il nome, da Sélica e Yoriko in Sélika e Nélusko) in particolare di Sélika: tanto per fare un esempio, il suo non essere più di pelle nera rese fuori luogo il relativo accenno che la Sélica africana vi faceva nell’atto IV, nel corso del duetto con Fernand; accenno che infatti si perde nel nuovo duetto fra la Sélika indiana e Vasco.

Ma soprattutto c’è un diverso trattamento della problematica relativa alla schiavitù: che era messa abbastanza in primo piano (con la scena - nel primo atto - dell’arrivo della nave di Pedrillo, carica di schiavi neri da avviare al mercato) e che ora resta più sfumata ed appare comunque in una luce assai diversa. Mentre il buon Fernand aveva acquistato dal mercante Pedrillo i due africani essenzialmente mosso da spirito umanitario (rendergli la cattività meno pesante) Vasco acquista in Africa i due schiavi indiani per ragioni profondamente diverse, tutte politiche e di potere: supportare il suo sconfinato orgoglio e le mire colonialiste della potenza marittima portoghese, che aveva come obiettivo la conquista di territori e relative risorse pregiate, più che di esseri umani da usare come bestie. Ecco quindi che Vasco porta in patria i due schiavi allo scopo di mostrarli ai massimi responsabili istituzionali come reperti di mondi degni di essere conquistati e prima ancora (e soprattutto grazie a lui!) esplorati. E così si spiega anche perché il nuovo titolo dell’opera, invece che L’Indienne, fosse diventato Vasco de Gama, ou le Cap des tempêtes.

Il nuovo scenario portò con sé anche l’introduzione di nuovi personaggi di contorno: l’anonimo conte Salvator (navigatore e rivale di Fernand nella prima versione) diventa Don Pédro, nientemeno che Presidente del Consiglio del Re di Portogallo; il padre di Inès non è più un personaggio (per quanto vicerè) puramente citato da altri, ma diventa l’ammiraglio Don Diégo, che partecipa attivamente (pur nel solo primo atto) alle discussioni politiche riguardo le operazioni di esplorazione e conquista delle colonie; Don Alvar è un altro personaggio nuovo, un giovane e progressista membro del Consiglio; sempre nel primo atto abbiamo l’ingombrante presenza, insieme a non meno di otto Vescovi, del Grande Inquisitore di Lisbona, che mette becco, e come!, in tutte le decisioni di natura politica.

Ci sono poi pochi dubbi che la nuova prospettiva generale si sia trascinata dietro anche conseguenze sul piano squisitamente musicale: intere scene mutarono radicalmente e con esse la musica che le doveva accompagnare, basti pensare al primo atto, totalmente ri-ambientato. Interessante notare come il nuovo scenario abbia ispirato (a Scribe e Meyerbeer) almeno un paio di nuovi, o assai modificati, numeri musicali della massima rilevanza. 

Il primo consiste nel mutamento, nel terzo atto, della canzone di Yoriko (dove si accennava a Lucifero e al Corsaro nero, buoni per ogni mare e a qualsiasi latitudine…) in quella di Nélusko, che diventa uno dei momenti più drammatici dell’opera: è il richiamo ad Adamastor, figura spaventevole evocante i pericoli e le maledizioni che si abbattono su chi cerca di doppiare il Capo (l’Olandese wagneriano ne sa qualcosa!)

La seconda è la nascita dell’aria più famosa di tutta l’opera, quella di Vasco del IV atto (O Paradis!) che presenta risvolti… colonialisti (!); risvolti che sarebbero stati del tutto fuori luogo nel contesto originale, dove Fernand non è un conquistatore, e comunque capita su quelle coste africane praticamente per sbaglio.

Quanto alla vicenda narrata nell’opera, dal terzo atto in avanti ha un canovaccio simile a quello della prima versione, salvo che i vascelli portoghesi (di Don Pédro e di Vasco) sono presso il Capo e perfettamente in rotta (contrariamente a quanto accadeva a Salvator, diretto in Mexico e finito in… Africa) e che gli assalitori non sono africani ma indiani e che il quarto e quinto atto hanno luogo in un territorio dove si esercita il culto di Brahma, quindi territorio indiano e non certo africano (resta l’incongruenza dell’albero della mancinella, che non cresce né in Africa, né in India, cui si aggiunge quella dell’isola, come vedremo nel second’atto).

Della versione originaria del 1837-43 resta in piedi tuttavia l’aspetto legato, per così dire, al relativismo culturale, in particolare la rilevanza della figura della protagonista femminile, sulla quale si concentra l’intera parte finale dell’opera, già a partire dall’atto IV: Sélika (indiana anziché africana) resta pur sempre una donna nobile (di censo ma soprattutto di animo) capace di sacrificare la vita per amore di un uomo che rappresenta un’altra civiltà, in qualche modo ostile, quanto meno percorsa da gravi pregiudizi. È ancora lei a chiudere l’opera in chiave, per così dire, mistica, proprio come faceva la sua alias africana. 
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Vediamo quindi come si presenta il Vasco de Gama che Meyerbeer completò nel 1864 e quali sono le principali differenze rispetto alla stesura del 1843. Prima però mi preme sottolineare come questa nuova stesura del 1864 non sia quella che, dalla prima del 1865 e fino ai giorni nostri, è stata e viene rappresentata in tutto il mondo, col titolo L’Africaine: la quale è opera del musicologo belga François-Joseph Fétis e sarà oggetto della prossima puntata di questo escursus.

Come si può allora conoscere il lavoro originale di Meyerbeer? Ad esempio procurandosi questa pubblicazione della Cambridge Scholar Publishing, dove il libretto completo è stato ricostruito a partire dalle diverse fonti disponibili (le edizioni di Brandus del 1865 e i manoscritti dei 5 atti, di cui 4 giacenti a Cracovia e l’ultimo a Berlino). Oppure facendo riferimento ad uno studio abbastanza recente del professor Jürgen Schläder dell’Università di Monaco: costui ha predisposto quella che si potrebbe impropriamente definire come una prima versione critica dell’opera, che verrà pubblicata da Ricordi (col titolo L’Africaine, tanto per confondere le idee!) Sulla base di essa è stata data una serie di recite da febbraio a giugno 2013 a Chemnitz e il CD relativo è già disponibile. Il libretto – della produzione di Chemnitz (non dell’edizione di Schläder-Ricordi!) - è pure scaricabile dalla rete a questo indirizzo.

Direi che la versione del Vasco presentata a Chemnitz – il cui ascolto è assolutamente affascinante, a prescindere dalla qualità, per chi ha presente le (poche) incisioni de L’Africaine - assume particolare importanza poiché ci consente, almeno a grandi linee (non è certo che essa rispetti al 100% l’edizione di Schläder) di farci un’idea concreta del contenuto originale dell’opera, contenuto che Fétis ritoccò in misura notevole, fino a sfigurare, secondo taluni, il lavoro originale di Meyerbeer.
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Nell’Atto I apprendiamo da Inès (che lo confida al nuovo personaggio di Anna, sua ancella) del suo amore per Vasco, che però è in mare da due anni; e vediamo il suo dolore all’infausta notizia che dà Vasco per morto nei paraggi del Capo delle Tempeste al seguito di Bernardo Diaz, mentre l'ammiraglio Don Diégo, suo padre, ha deciso di mandarla sposa a Don Pédro. Quindi veniamo portati nel bel mezzo di un Consiglio del Re, dove capi politici, militari e religiosi discutono piani di esplorazione e colonizzazione, mostrandosi assai scettici al riguardo, dopo il fallimento di Diaz al Capo.

Vasco, creduto morto laggiù insieme al suo comandante, arriva invece a sostenere la causa dell’opportunità e necessità delle esplorazioni, chiedendo per sé risorse (uomini e mezzi) per ritentare l’impresa di doppiare il Capo e dirigersi da lì verso le Indie. Per convincere politici e religiosi presenta loro due schiavi (Sélika e Nélusko) comprati in Africa ma provenienti da più remoti paesi, e di razza sconosciuta: la terra che li ha generati non può che essere un paradiso, meritevole quindi di conquista. Dalle parole di Nélusko abbiamo però la conferma che i due schiavi adorano Brahma (nell’originale invocavano il dio d’Ismaele!) quindi son proprio indiani.

Don Pédro strumentalizza la contrarietà del Grande Inquisitore alle esplorazioni di nuovi mondi (ovviamente il prelato non crede a nulla che non sia scritto sui libri canonici!) per far bocciare dal Consiglio i piani di Vasco, che viene pure accusato di insubordinazione e condannato seduta stante all’ergastolo! Vedremo presto come nel contempo Don Pédro si farà assegnare tutte le risorse necessarie per intraprendere una nuova spedizione verso il Capo, che sarà lui a guidare.   

Come si può notare, rispetto alla prima versione si passa da uno scenario storico tutto sommato abbastanza circoscritto (alla vendita di schiavi) ad un altro ad altissimo e planetario tasso d'importanza politica e strategica.

L’Atto II ha luogo nella prigione dell’Inquisizione dove Vasco è stato rinchiuso con i due schiavi: qui c’è qualche vago punto di contatto con la versione originaria, anche se con rimescolamento di tempi e sequenza. All’inizio vediamo Vasco che sogna viaggi e conquiste, poi invoca Inès; Sélika allora gli canta una specie di ninna-nanna e poi lo sveglia per salvarlo da Nélusko, arrivato per ucciderlo.

Invece abbiamo una fondamentale novità – sempre conseguente al mutato scenario generale – rappresentata dalla confidenza di Vasco a Sélika riguardo la sua idea di come doppiare il Capo, e il consiglio della donna, di portarsi più a destra (cioè ad est…) e risalire verso la grande isola, la sua isola. Ma di che isola si tratta?

Ecco, qui davvero bisogna prendere atto di una patente incongruenza (anzi, falsità geo-storica bella e buona) di questa parte del nuovo libretto: l’obiettivo di Vasco è l’India e Sélika è indiana (come si è appreso già nel primo atto). Però lei e Nélusko sono stati comprati da Vasco in Africa (dopo il naufragio di Diaz nei pressi del Capo, possiamo supporre). Com’è potuto accadere che in Africa fossero presenti schiavi indiani? Sèlika ha affermato di essere stata catturata dopo che la sua barchetta (mon canot fragile) era andata alla deriva, provenendo dalla sua isola. Ecco che allora Scribe deve far quadrare il classico cerchio: avvicinare l’India, o almeno territori occupati da indiani, al Capo, altrimenti dovrebbe farci credere che la barchetta di Sélika se ne fosse andata alla deriva dall’India all’Africa (?!) Non solo, ma altrettanto improponibile sarebbe stato poi lo spostamento del quarto e del quinto atto sul continente indiano, a migliaia di km di distanza dai luoghi dove si svolge il terz’atto.

Insomma, dobbiamo berci la storia di indiani che arrivano da una grande isola non lontana dall’Africa, a destra del Capo; ora, questa grande isola non può che essere il Madagascar. Peccato però che anche lì non ci sia mai stata, storicamente, la benché minima traccia di civiltà, né di religione indiana!

Vasco e Sélika esultano per la prospettiva di doppiare il Capo, poi però Vasco torna a disperarsi per il suo stato di prigioniero e Sélika cerca di consolarlo promettendogli che sarà sempre al suo fianco. Adesso Vasco ode uno scampanìo in lontananza e Nélusko (chissà come fa a saperlo) gli spiega che è per la celebrazione delle nozze di Don Pédro, Presidente del Consiglio e parente del Re, che comporterà una qualche amnistia di cui anche loro potranno godere. Non dice chi sia la sposa, e Vasco dice che non gliene importa un fico secco, ma insomma, se non è Inès, chi altri potrebbe essere?

Ed ecco che arriva proprio Inès, ma non per caso, come nella stesura originaria, bensì con il marito Don Pédro (più Anna e Don Alvar) per recare a Vasco l’ordine di scarcerazione. Anche qui scopriamo che la figlia dell’ammiraglio ha preso un granchio riguardo a Sélika, pensando che il suo innamorato l’abbia preferita a lei. Per questo dà l’addio per sempre a Vasco (lei appunto ha già sposato Don Pédro, per vendicarsi del presunto tradimento di Vasco con la schiava, confermato ai suoi occhi dall’atteggiamento in cui ha trovato i due al suo arrivo). Anche qui abbiamo poi il tardivo chiarimento del malinteso fra i due (lui le cede i due schiavi a conferma del suo amore per lei). Don Pédro paga gli schiavi e si prepara a partire per la missione verso il Capo, affidando a Nélusko la responsabilità delle rotte da seguire. Vasco lo accusa di averlo derubato dei suoi piani e a Inès, distrutta, non resta che invitare l’amato a nuove imprese e a tornare da lei, ma… sulla sua tomba.

Qui non c’è traccia di richieste di duelli (come in origine, fra Fernand e Salvator) ma l’atto si conclude con un concertato in cui i vari personaggi manifestano i loro diversi stati d’animo: esultanza per Don Pédro e Nélusko, disperazione per Vasco e le due donne innamorate di lui. Come si vede l’atto ha un andamento assai divergente da quello della versione originaria: là Fernand era in fuga e veniva arrestato, qui Vasco è prigioniero e viene liberato; e i fatti che vi accadono hanno una loro stringente logica, mentre nella stesura del 1843 quasi tutto era lasciato al caso e ai capricci del tempo.

Nell’Atto III siamo sul vascello di Don Pédro, ormai veleggiante attorno al Capo. Le donne al seguito di Inès (fra cui Sélika) cantano lietamente e i marinai attendono alle loro mansioni, inneggiando a SanDomenico, ma anche al… vino (il canto bacchico di questa scena viene dalla stesura del 1843, e vi sono rimasti erroneamente persino i versi che accennano alla meta messicana del viaggio!) Don Pédro ha però perso le sue due navi-appoggio e Don Alvar è certo che il responsabile di ciò sia Nélusko, cui Don Pédro ha voluto affidare la scelta delle rotte e al quale il comandante conferma la sua fiducia, anzi lo nomina (come nella stesura originale) ufficiale di bordo: in fin dei conti hanno già doppiato il Capo! Ma Don Alvar gli fa presente che prima di loro l’ha già doppiato un’altra nave (sapremo poi che è quella di Vasco…)

Adesso Nélusko ci spiega il suo piano: portare anche la nave di Don Pédro verso nord, a fracassarsi e ad essere preda dei suoi compatrioti indiani. Per spaventare l’equipaggio e costringerlo a seguire le sue intenzioni sabotatrici, egli canta la famosa canzone del mostruoso Adamastor.

Ora però sta arrivando Vasco su un’altra nave, quella che precedeva Don Pédro: sale a bordo ed afferma di essere lì per salvare i portoghesi (e in particolare Inès!) dalle trame di Nélusko, ma Don Pédro, invece di ascoltarlo, lo fa catturare e lo condanna a morte. Qui ritorna dall’originale la scena di Sélika che minaccia Inès con un coltello, per indurre il marito di lei a rinunciare alla fucilazione di Vasco. Ed anche il cedimento di Don Pédro, che fa imprigionare Vasco nella stiva e chiede a Nélusko di punire Sélika per il suo gesto. Nélusko rifiuta e i due schiavi si offrono entrambi come vittime. Mentre Inès e Don Alvaro chiedono a Don Pédro di risparmiarli, il vascello si schianta sugli scogli e Nélusko accoglie trionfalmente i compatrioti indiani (ovviamente, non più africani) che salgono a bordo, mostrando loro Sélika, la loro prossima regina.

In sostanza quest’atto reca moltissime tracce della stesura originaria (anche se vedremo che non poche ne perderà… grazie a Fétis). Peraltro introduce anche differenze non da poco, come ad esempio il ruolo di Nélusko: nella prima stesura Yoriko si era fatto amico l’ufficiale di bordo, non Salvator, mentre qui è DonPédro in persona che lo protegge, anche contro gli avvertimenti di Don Alvar. Inoltre qui Vasco arriva con buone intenzioni anche verso Don Pédro (lui tiene sopra ogni cosa alle sorti della patria e delle missioni coloniali!) mentre là Fernand arrivava con l’obiettivo principale e privatissimo di vendicarsi di Salvator.

Passiamo ora all’Atto IV, che presenta qualche differenza più o meno importante rispetto alla versione del 1843. L’atto si apre ancora con cortei e processioni per l’incoronazione  di Sélika. Il gran sacerdote annuncia che tutti i portoghesi sono stati giustiziati, ma Nélusko viene informato che uno di loro (Vasco) è ancora in vita, ed ordina di giustiziare anche lui, e al più presto. Si odono i lamenti delle donne portoghesi, fra cui Inès, che vengono deportate al promontorio, sotto l’albero venefico della mancinella, per morirvi. (Ricordiamo che nella stesura del 1843 Inès veniva invece risparmiata e aggregata al gruppo delle ancelle di Sélika).

I boia (o meglio, i… sacrificatori) di Vasco si apprestano a giustiziarlo, ma lui invece, pacifico e beato, canta la più bella e famosa aria di tutta l’opera (quella in SOLb maggiore, O Paradis!) ammirando lo straordinario spettacolo naturale che lo circonda e che lui, da buon conquistatore, fa subito… proprio (Sois donc à moi, ô beau pays!) Una curiosità interessante che emerge fra le righe della proposta di Schläder è una variante al testo (non alla musica, per fortuna, salvo pochissime battute iniziali): evidentemente il musicologo tedesco la deve aver scovata nei manoscritti di Meyerbeer: le differenze non sono poi così marcate, però, tanto per dire, nella variante riscoperta manca proprio il… paradiso! In entrambe le versioni comunque il testo lascia apertamente trasparire (magari per metterli in cattiva luce…) i risvolti colonialisti del soggetto (Je t'ai conquis, tu m'appartiens, canta l’intrepido navigatore, parlando evidentemente a nome dei mercanti suoi compatrioti e mandanti).
  
Poi Vasco chiede ai suoi carnefici, come ultimo favore prima dell’esecuzione, di riportarlo alla sua nave, per salutare i suoi amici in modo che possano almeno essere testimoni, al loro ritorno in patria, della sua impresa e delle sue scoperte, garantendogli così la gloria, sia pur da… morto. I sacrificatori non sentono ragioni e si preparano ad immolarlo come gli altri portoghesi. Ma anche qui Sélika riesce a salvarlo, obbligando Nélusko alla falsa testimonianza riguardo il presunto matrimonio fra lei e lo straniero, lassù in Portogallo. Il Gran Bramino benedice l’unione e fa bere ai due il filtro dell’eterno amore, che evidentemente fa il suo effetto, visto che subito dopo abbiamo per l’appunto la scena d’amore fra Sélika e Vasco, che nella stesura originaria chiudeva l’atto in grande esaltazione, mentre ora è seguita dalla cerimonia nuziale, durante la quale si odono improvvisamente le voci di Inès e delle altre portoghesi, che richiamano Vasco alla realtà (l’effetto del filtro evidentemente è durato poco!)

Nell’Atto V troviamo Inès che arriva trafelata nei giardini della regina, dopo aver visto le sue compagne morire asfissiate dal profumo dei fiori sotto l’albero della mancinella. Adesso incontra Vasco, che vedendola va in preda ad una profonda crisi (un po’ come nella stesura originaria) amando sempre Inès, ma non potendo tradire la promessa fatta a Sélika. La quale arriva a sorprenderli e poi ha lo scontro con Inès, più o meno come nella versione 1843. Sélika decide quindi di sacrificarsi e ordina a Nélusko di condurre Vasco e Inès alla loro nave perché possano tornare in patria.

E da qui fino alla fine abbiamo più o meno lo stesso canovaccio primitivo: Sélika va sotto l’albero della mancinella e ne respira il profumo, ha le visioni, crede di vedere Vasco che torna da lei. Torna invece Nélusko trionfante e la trova esanime: mentre il popolo lo avverte di star lontano da quell’albero e il coro etereo inneggia all’amore, lui resta con lei e si sacrifica per la sua regina. 
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Ma come detto, la versione dell’opera che si rappresenta da sempre si discosta non poco nei contenuti da quanto sopra descritto, essendo quella edita da Fétis. Nella prossima puntata esamineremo quindi più in dettaglio come, dalla versione predisposta in origine da Meyerbeer, si sia arrivati a quella che ha tenuto (e tiene tuttora) banco in tutte le rappresentazioni, comprese quelle dei prossimi giorni alla Fenice.

(2. continua)

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