Abbiamo
visto come già verso la fine del 1843 Meyerbeer avesse completato l’abbozzo de L’Africaine,
ma avesse poi rinunciato a portare avanti il lavoro (strumentazione, balletti e
prove in teatro) a causa di forti dubbi insorti sulla validità del soggetto.
Tuttavia
negli ambienti musicali parigini l’attesa per quest’opera era rimasta assai
viva e Meyerbeer si sentiva quasi in debito di essa verso il pubblico, così ancora
per anni e anni ci tornò sopra, chiedendo a più riprese a Scribe (e dopo la morte di costui, nel 1861, a Charlotte
Birch-Pfeiffer) di rivederne il libretto, che in effetti cambiò abbastanza
drasticamente i suoi connotati, essendovi introdotti diversi elementi e
componenti che erano del tutto assenti nella versione originaria. Di cosa si
tratta?
Innanzitutto
– hai detto proprio niente! - del macro-scenario in cui è ambientato il
soggetto. Che diventò, da abbastanza vago e generico qual’era, molto
precisamente caratterizzato sul piano storico, come esigeva la moda del tempo.
Siamo retrocessi di circa un secolo (da fine ‘500 a fine ‘400, appena dopo la
scoperta di Colombo); ci siamo spostati dalla Spagna in Portogallo e il
deuteragonista è nientemeno che il grande Vasco
da Gama. Lui diventerà il primo doppiatore
del Capo delle Tempeste (poi di Buona Speranza) dopo il fallimento di Bernardo
Diaz, e le sue missioni non sono verso le Americhe, ma hanno come obiettivo
l’apertura della via marittima verso
le Indie (prima della fine del secolo XV Vasco arriverà finalmente a Calicut,
l’odierna Kozhikode,
sulla costa occidentale dell’India).
In effetti
si potrebbe dire che il leggendario navigatore portoghese assuma il ruolo di
primo protagonista della nuova versione dell’opera, tanto da dare il suo nome -
francesizzato (o… spagnolizzato) in Vasco de
Gama - al nuovo titolo con cui Meyerbeer la completerà nel 1864. Attorno alla
figura di Vasco si muovono adesso tutte le problematiche politiche legate al
fenomeno della colonizzazione e della formazione delle grandi potenze
marinare.
Come è
immaginabile, il cambiamento di scenario generale produsse una reazione a
catena su quasi tutto il resto del soggetto. Ad esempio lo spostamento di focus dall’Africa all’India comportò
anche un diverso inquadramento delle personalità dei due alieni (che cambiano
poco o tanto il nome, da Sélica e Yoriko in Sélika e Nélusko) in particolare di
Sélika: tanto per fare un esempio, il suo non essere più di pelle nera rese
fuori luogo il relativo accenno che la Sélica africana vi faceva nell’atto IV,
nel corso del duetto con Fernand; accenno che infatti si perde nel nuovo duetto
fra la Sélika indiana e Vasco.
Ma
soprattutto c’è un diverso trattamento della problematica relativa alla
schiavitù: che era messa abbastanza in primo piano (con la scena - nel primo
atto - dell’arrivo della nave di Pedrillo, carica di schiavi neri da avviare al
mercato) e che ora resta più sfumata ed appare comunque in una luce assai
diversa. Mentre il buon Fernand aveva acquistato dal mercante Pedrillo i due
africani essenzialmente mosso da spirito umanitario (rendergli la cattività
meno pesante) Vasco acquista in Africa i due schiavi indiani per ragioni profondamente
diverse, tutte politiche e di potere: supportare il suo sconfinato orgoglio e le
mire colonialiste della potenza marittima portoghese, che aveva come obiettivo
la conquista di territori e relative risorse pregiate, più che di esseri umani
da usare come bestie. Ecco quindi che Vasco porta in patria i due schiavi allo
scopo di mostrarli ai massimi
responsabili istituzionali come reperti di mondi degni di essere conquistati e
prima ancora (e soprattutto grazie a lui!) esplorati. E così si spiega anche
perché il nuovo titolo dell’opera, invece che L’Indienne, fosse diventato Vasco de Gama, ou le Cap des tempêtes.
Il nuovo
scenario portò con sé anche l’introduzione di nuovi personaggi di contorno:
l’anonimo conte Salvator (navigatore e rivale di Fernand nella prima versione)
diventa Don Pédro, nientemeno che
Presidente del Consiglio del Re di Portogallo; il padre di Inès non è più un personaggio (per quanto vicerè) puramente citato
da altri, ma diventa l’ammiraglio Don Diégo,
che partecipa attivamente (pur nel solo primo atto) alle discussioni politiche
riguardo le operazioni di esplorazione e conquista delle colonie; Don Alvar è un altro personaggio nuovo,
un giovane e progressista membro del Consiglio; sempre nel primo atto abbiamo
l’ingombrante presenza, insieme a non meno di otto Vescovi, del Grande Inquisitore di Lisbona, che mette becco, e come!, in tutte le
decisioni di natura politica.
Ci sono poi
pochi dubbi che la nuova prospettiva generale si sia trascinata dietro anche
conseguenze sul piano squisitamente musicale: intere scene mutarono
radicalmente e con esse la musica che le doveva accompagnare, basti pensare al
primo atto, totalmente ri-ambientato. Interessante notare come il nuovo
scenario abbia ispirato (a Scribe e Meyerbeer) almeno un paio di nuovi, o assai
modificati, numeri musicali della massima rilevanza.
Il primo
consiste nel mutamento, nel terzo atto, della canzone di Yoriko (dove si
accennava a Lucifero e al Corsaro nero, buoni per ogni mare e a qualsiasi latitudine…)
in quella di Nélusko, che diventa uno dei momenti più drammatici dell’opera: è
il richiamo ad Adamastor, figura
spaventevole evocante i pericoli e le maledizioni che si abbattono su chi cerca
di doppiare il Capo (l’Olandese
wagneriano ne sa qualcosa!)
La seconda
è la nascita dell’aria più famosa di tutta l’opera, quella di Vasco del IV atto
(O Paradis!) che presenta risvolti…
colonialisti (!); risvolti che sarebbero
stati del tutto fuori luogo nel contesto originale, dove Fernand non è un
conquistatore, e comunque capita su quelle coste africane praticamente per
sbaglio.
Quanto alla
vicenda narrata nell’opera, dal terzo atto in avanti ha un canovaccio simile a
quello della prima versione, salvo che i vascelli portoghesi (di Don Pédro e di
Vasco) sono presso il Capo e perfettamente in rotta (contrariamente a quanto
accadeva a Salvator, diretto in Mexico e finito in… Africa) e che gli
assalitori non sono africani ma indiani e che il quarto e quinto atto hanno
luogo in un territorio dove si esercita il culto di Brahma, quindi territorio
indiano e non certo africano (resta l’incongruenza dell’albero della mancinella, che non cresce né in Africa,
né in India, cui si aggiunge quella dell’isola, come vedremo nel second’atto).
Della
versione originaria del 1837-43 resta in piedi tuttavia l’aspetto legato, per così
dire, al relativismo culturale, in particolare la rilevanza della figura della
protagonista femminile, sulla quale si concentra l’intera parte finale
dell’opera, già a partire dall’atto IV: Sélika (indiana anziché africana) resta
pur sempre una donna nobile (di censo ma soprattutto di animo) capace di
sacrificare la vita per amore di un uomo che rappresenta un’altra civiltà, in
qualche modo ostile, quanto meno percorsa da gravi pregiudizi. È ancora lei a
chiudere l’opera in chiave, per così dire, mistica, proprio come faceva la sua alias africana.
___
Vediamo
quindi come si presenta il Vasco de Gama che Meyerbeer completò nel 1864 e quali sono le principali differenze
rispetto alla stesura del 1843. Prima però mi preme sottolineare come questa
nuova stesura del 1864 non sia quella
che, dalla prima del 1865 e fino ai
giorni nostri, è stata e viene rappresentata in tutto il mondo, col titolo L’Africaine: la quale è opera del musicologo
belga François-Joseph Fétis e sarà
oggetto della prossima puntata di questo escursus.
Come si può
allora conoscere il lavoro originale di Meyerbeer? Ad esempio procurandosi
questa pubblicazione della Cambridge Scholar
Publishing, dove il libretto completo è stato ricostruito a partire dalle
diverse fonti disponibili (le edizioni di Brandus del 1865 e i manoscritti dei
5 atti, di cui 4 giacenti a Cracovia e l’ultimo a Berlino). Oppure facendo
riferimento ad uno studio abbastanza recente del professor Jürgen Schläder
dell’Università di Monaco: costui ha predisposto quella che si potrebbe
impropriamente definire come una prima versione
critica dell’opera, che verrà pubblicata da Ricordi (col titolo L’Africaine,
tanto per confondere le idee!) Sulla base di essa è stata data una serie di
recite da febbraio a giugno 2013 a Chemnitz e il CD relativo è già disponibile. Il libretto – della produzione di Chemnitz (non dell’edizione
di Schläder-Ricordi!) - è pure scaricabile dalla rete a questo
indirizzo.
Direi che la versione del Vasco presentata a Chemnitz – il cui ascolto
è assolutamente affascinante, a prescindere dalla qualità, per chi ha presente le
(poche) incisioni de L’Africaine - assume
particolare importanza poiché ci consente, almeno a grandi linee (non è certo
che essa rispetti al 100% l’edizione di Schläder) di farci un’idea concreta del
contenuto originale dell’opera, contenuto che Fétis ritoccò in misura notevole,
fino a sfigurare, secondo taluni, il lavoro originale di Meyerbeer.
___
Nell’Atto
I apprendiamo da Inès (che lo confida al nuovo personaggio di Anna, sua ancella) del suo amore per
Vasco, che però è in mare da due anni; e vediamo il suo dolore all’infausta
notizia che dà Vasco per morto nei paraggi del Capo delle Tempeste al seguito
di Bernardo Diaz, mentre l'ammiraglio Don Diégo, suo padre, ha deciso di mandarla sposa a
Don Pédro. Quindi veniamo portati nel bel mezzo di un Consiglio del Re, dove
capi politici, militari e religiosi discutono piani di esplorazione e
colonizzazione, mostrandosi assai scettici al riguardo, dopo il fallimento di
Diaz al Capo.
Vasco,
creduto morto laggiù insieme al suo comandante, arriva invece a sostenere la
causa dell’opportunità e necessità delle esplorazioni, chiedendo per sé risorse
(uomini e mezzi) per ritentare l’impresa di doppiare il Capo e dirigersi da lì
verso le Indie. Per convincere politici e religiosi presenta loro due schiavi (Sélika
e Nélusko) comprati in Africa ma provenienti da più remoti paesi, e di razza
sconosciuta: la terra che li ha generati non può che essere un paradiso, meritevole
quindi di conquista. Dalle parole di Nélusko abbiamo però la conferma che i due
schiavi adorano Brahma (nell’originale invocavano il dio d’Ismaele!) quindi son
proprio indiani.
Don Pédro
strumentalizza la contrarietà del Grande Inquisitore alle esplorazioni di nuovi
mondi (ovviamente il prelato non crede a nulla che non sia scritto sui libri canonici!) per far bocciare dal
Consiglio i piani di Vasco, che viene pure accusato di insubordinazione e
condannato seduta stante all’ergastolo! Vedremo presto come nel contempo Don
Pédro si farà assegnare tutte le risorse necessarie per intraprendere una
nuova spedizione verso il Capo, che sarà lui a guidare.
Come si può
notare, rispetto alla prima versione si passa da uno scenario storico tutto
sommato abbastanza circoscritto (alla vendita di schiavi) ad un altro ad
altissimo e planetario tasso d'importanza politica e strategica.
L’Atto
II ha luogo nella prigione dell’Inquisizione dove Vasco è stato
rinchiuso con i due schiavi: qui c’è qualche vago punto di contatto con la
versione originaria, anche se con rimescolamento di tempi e sequenza.
All’inizio vediamo Vasco che sogna viaggi e conquiste, poi invoca Inès; Sélika allora
gli canta una specie di ninna-nanna e poi lo sveglia per salvarlo da Nélusko,
arrivato per ucciderlo.
Invece
abbiamo una fondamentale novità – sempre conseguente al mutato scenario
generale – rappresentata dalla confidenza di Vasco a Sélika riguardo la sua
idea di come doppiare il Capo, e il consiglio della donna, di portarsi più a destra (cioè ad est…) e risalire
verso la grande isola, la sua isola.
Ma di che isola si tratta?
Ecco, qui
davvero bisogna prendere atto di una patente incongruenza (anzi, falsità geo-storica
bella e buona) di questa parte del nuovo libretto: l’obiettivo di Vasco è
l’India e Sélika è indiana (come si è appreso già nel primo atto). Però lei e
Nélusko sono stati comprati da Vasco in Africa (dopo il naufragio di Diaz nei
pressi del Capo, possiamo supporre). Com’è potuto accadere che in Africa
fossero presenti schiavi indiani? Sèlika ha affermato di essere stata catturata
dopo che la sua barchetta (mon canot
fragile) era andata alla deriva, provenendo dalla sua isola. Ecco che
allora Scribe deve far quadrare il classico cerchio: avvicinare l’India, o
almeno territori occupati da indiani, al Capo, altrimenti dovrebbe farci
credere che la barchetta di Sélika se ne fosse andata alla deriva dall’India
all’Africa (?!) Non solo, ma altrettanto improponibile sarebbe stato poi lo
spostamento del quarto e del quinto atto sul continente indiano, a migliaia di
km di distanza dai luoghi dove si svolge il terz’atto.
Insomma,
dobbiamo berci la storia di indiani che arrivano da una grande isola non
lontana dall’Africa, a destra del
Capo; ora, questa grande isola non può che essere il Madagascar. Peccato però che anche lì non ci sia mai stata,
storicamente, la benché minima traccia di civiltà, né di religione indiana!
Vasco e
Sélika esultano per la prospettiva di doppiare il Capo, poi però Vasco torna a
disperarsi per il suo stato di prigioniero e Sélika cerca di consolarlo
promettendogli che sarà sempre al suo fianco. Adesso Vasco ode uno scampanìo in
lontananza e Nélusko (chissà come fa a saperlo) gli spiega che è per la
celebrazione delle nozze di Don Pédro, Presidente del Consiglio e parente del
Re, che comporterà una qualche amnistia di cui anche loro potranno godere. Non
dice chi sia la sposa, e Vasco dice che non gliene importa un fico secco, ma
insomma, se non è Inès, chi altri potrebbe essere?
Ed ecco che
arriva proprio Inès, ma non per caso, come nella stesura originaria, bensì con il
marito Don Pédro (più Anna e Don Alvar) per recare a Vasco l’ordine di
scarcerazione. Anche qui scopriamo che la figlia dell’ammiraglio ha preso un granchio
riguardo a Sélika, pensando che il suo innamorato l’abbia preferita a lei. Per questo
dà l’addio per sempre a Vasco (lei appunto
ha già sposato Don Pédro, per vendicarsi del presunto tradimento di Vasco con la
schiava, confermato ai suoi occhi dall’atteggiamento in cui ha trovato i due al
suo arrivo). Anche qui abbiamo poi il tardivo chiarimento del malinteso fra i due
(lui le cede i due schiavi a conferma del suo amore per lei). Don Pédro paga
gli schiavi e si prepara a partire per la missione verso il Capo, affidando a
Nélusko la responsabilità delle rotte da seguire. Vasco lo accusa di averlo
derubato dei suoi piani e a Inès, distrutta, non resta che invitare l’amato a
nuove imprese e a tornare da lei, ma… sulla sua tomba.
Qui non c’è
traccia di richieste di duelli (come in origine, fra Fernand e Salvator) ma
l’atto si conclude con un concertato in cui i vari personaggi manifestano i
loro diversi stati d’animo: esultanza per Don Pédro e Nélusko, disperazione per
Vasco e le due donne innamorate di lui. Come si vede l’atto ha un andamento assai
divergente da quello della versione originaria: là Fernand era in fuga e veniva
arrestato, qui Vasco è prigioniero e viene liberato; e i fatti che vi accadono hanno
una loro stringente logica, mentre nella stesura del 1843 quasi tutto era lasciato
al caso e ai capricci del tempo.
Nell’Atto III
siamo sul vascello di Don Pédro, ormai veleggiante attorno al Capo. Le
donne al seguito di Inès (fra cui Sélika) cantano lietamente e i marinai
attendono alle loro mansioni, inneggiando a SanDomenico, ma anche al… vino (il canto bacchico di questa scena viene
dalla stesura del 1843, e vi sono rimasti erroneamente persino i versi che
accennano alla meta messicana del viaggio!) Don Pédro ha però perso le sue due
navi-appoggio e Don Alvar è certo che il responsabile di ciò sia Nélusko, cui
Don Pédro ha voluto affidare la scelta delle rotte e al quale il comandante
conferma la sua fiducia, anzi lo nomina (come nella stesura originale)
ufficiale di bordo: in fin dei conti hanno già doppiato il Capo! Ma Don Alvar
gli fa presente che prima di loro l’ha già doppiato un’altra nave (sapremo poi
che è quella di Vasco…)
Adesso
Nélusko ci spiega il suo piano: portare anche la nave di Don Pédro verso nord, a
fracassarsi e ad essere preda dei suoi compatrioti indiani. Per spaventare
l’equipaggio e costringerlo a seguire le sue intenzioni sabotatrici, egli canta
la famosa canzone del mostruoso Adamastor.
Ora però
sta arrivando Vasco su un’altra nave, quella che precedeva Don Pédro: sale a
bordo ed afferma di essere lì per salvare i portoghesi (e in particolare Inès!)
dalle trame di Nélusko, ma Don Pédro, invece di ascoltarlo, lo fa catturare e
lo condanna a morte. Qui ritorna dall’originale la scena di Sélika che minaccia
Inès con un coltello, per indurre il marito di lei a rinunciare alla
fucilazione di Vasco. Ed anche il cedimento di Don Pédro, che fa imprigionare
Vasco nella stiva e chiede a Nélusko di punire Sélika per il suo gesto. Nélusko
rifiuta e i due schiavi si offrono entrambi come vittime. Mentre Inès e Don
Alvaro chiedono a Don Pédro di risparmiarli, il vascello si schianta sugli
scogli e Nélusko accoglie trionfalmente i compatrioti indiani (ovviamente, non più
africani) che salgono a bordo, mostrando loro Sélika, la loro prossima regina.
In sostanza
quest’atto reca moltissime tracce della stesura originaria (anche se vedremo
che non poche ne perderà… grazie a Fétis). Peraltro introduce anche differenze
non da poco, come ad esempio il ruolo di Nélusko: nella prima stesura Yoriko si
era fatto amico l’ufficiale di bordo, non Salvator, mentre qui è DonPédro in
persona che lo protegge, anche contro gli avvertimenti di Don Alvar. Inoltre
qui Vasco arriva con buone intenzioni anche verso Don Pédro (lui tiene sopra
ogni cosa alle sorti della patria e delle missioni coloniali!) mentre là
Fernand arrivava con l’obiettivo principale e privatissimo di vendicarsi di
Salvator.
Passiamo
ora all’Atto IV, che presenta qualche differenza più o meno importante
rispetto alla versione del 1843. L’atto si apre ancora con cortei e processioni
per l’incoronazione di Sélika. Il gran
sacerdote annuncia che tutti i portoghesi sono stati giustiziati, ma Nélusko
viene informato che uno di loro (Vasco) è ancora in vita, ed ordina di
giustiziare anche lui, e al più presto. Si odono i lamenti delle donne
portoghesi, fra cui Inès, che vengono deportate al promontorio, sotto l’albero
venefico della mancinella, per morirvi. (Ricordiamo che nella stesura del 1843
Inès veniva invece risparmiata e aggregata al gruppo delle ancelle di Sélika).
I boia (o
meglio, i… sacrificatori) di Vasco si apprestano a giustiziarlo, ma lui invece,
pacifico e beato, canta la più bella e famosa aria di tutta l’opera (quella in SOLb maggiore, O Paradis!) ammirando lo straordinario spettacolo naturale che
lo circonda e che lui, da buon conquistatore, fa subito… proprio (Sois donc à moi, ô beau pays!) Una curiosità interessante che
emerge fra le righe della proposta di Schläder è una variante al testo (non alla musica, per fortuna, salvo
pochissime battute iniziali): evidentemente il musicologo tedesco la deve aver
scovata nei manoscritti di Meyerbeer: le differenze non sono poi così marcate,
però, tanto per dire, nella variante riscoperta manca proprio il… paradiso! In
entrambe le versioni comunque il testo lascia apertamente trasparire (magari
per metterli in cattiva luce…) i risvolti colonialisti del soggetto (Je t'ai conquis, tu m'appartiens, canta
l’intrepido navigatore, parlando evidentemente a nome dei mercanti suoi
compatrioti e mandanti).
Poi Vasco
chiede ai suoi carnefici, come ultimo favore prima dell’esecuzione, di riportarlo
alla sua nave, per salutare i suoi amici in modo che possano almeno essere testimoni,
al loro ritorno in patria, della sua impresa e delle sue scoperte,
garantendogli così la gloria, sia pur da… morto. I sacrificatori non sentono
ragioni e si preparano ad immolarlo come gli altri portoghesi. Ma anche qui Sélika
riesce a salvarlo, obbligando Nélusko alla falsa testimonianza riguardo il
presunto matrimonio fra lei e lo straniero, lassù in Portogallo. Il Gran
Bramino benedice l’unione e fa bere ai due il filtro dell’eterno amore, che
evidentemente fa il suo effetto, visto che subito dopo abbiamo per l’appunto la
scena d’amore fra Sélika e Vasco, che nella stesura originaria chiudeva l’atto
in grande esaltazione, mentre ora è seguita dalla cerimonia nuziale, durante la
quale si odono improvvisamente le voci di Inès e delle altre portoghesi, che
richiamano Vasco alla realtà (l’effetto del filtro evidentemente è durato
poco!)
Nell’Atto
V troviamo Inès che arriva trafelata nei giardini della regina, dopo aver
visto le sue compagne morire asfissiate dal profumo dei fiori sotto l’albero
della mancinella. Adesso incontra Vasco, che vedendola va in preda ad una profonda crisi
(un po’ come nella stesura originaria) amando sempre Inès, ma non potendo
tradire la promessa fatta a Sélika. La quale arriva a sorprenderli e poi ha lo
scontro con Inès, più o meno come nella versione 1843. Sélika decide quindi di
sacrificarsi e ordina a Nélusko di condurre Vasco e Inès alla loro nave perché
possano tornare in patria.
E da qui
fino alla fine abbiamo più o meno lo stesso canovaccio primitivo: Sélika va
sotto l’albero della mancinella e ne respira il profumo, ha le visioni, crede
di vedere Vasco che torna da lei. Torna invece Nélusko trionfante e la trova
esanime: mentre il popolo lo avverte di star lontano da quell’albero e il coro
etereo inneggia all’amore, lui resta con lei e si sacrifica per la sua regina.
___
Ma come
detto, la versione dell’opera che si rappresenta da sempre
si discosta non poco nei contenuti da quanto sopra descritto, essendo quella edita da Fétis. Nella prossima puntata esamineremo quindi più in dettaglio come,
dalla versione predisposta in origine da Meyerbeer, si sia arrivati a quella
che ha tenuto (e tiene tuttora) banco in tutte le rappresentazioni, comprese
quelle dei prossimi giorni alla Fenice.
(2. continua)
Nessun commento:
Posta un commento