intime gioje

chiuder la prigione e buttar la chiave

29 dicembre, 2008

Neujahrskonzert n°70, con sorprese?

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Daniel Barenboim dirige - per la sua prima volta, ed è il 14° direttore a farlo - il più famoso concerto del mondo, che giovedi prossimo verrà trasmesso in diretta da (quasi) tutte le TV del pianeta, esclusa la RAI, che da qualche anno si è scoperta sciovinista, e continua a fare il pediluvio in Laguna, differendo alle ore 14 (proprio quando la gente o è ancora al sorbetto, o sta preparandosi a fare la prima pennichella dell’anno). Radio3 per fortuna manderà come sempre il concerto in diretta e per intero, a partire dalle 11:15.

Il sito “istituzionale” dei Wiener ci dà questo programma che prevede, come al solito, ouverture, walzer e polke del celebre Johann Strauß, più un galopp dell’omonimo padre. In TV si rivedranno anche immagini di ballo, in qualche delizioso scenario di cui Vienna è abbondantemente fornita.

Agli J.Strauß figlio-padre, quest’anno si aggiungono, con due walzer, Hellmesberger e Josef Strauß. Ma la novità assoluta 2009 è il debutto al concerto di un ospite nuovo, tale Francesco-Giuseppe Haydn, con il 4° movimento della sua Abschiedssymphonie, la n°45, a chiudere la parte ufficiale del programma.

Il sito “commerciale” dei Wiener, che non perde tempo a pubblicizzare CD e DVD del concerto, ci fornisce anche il dettaglio dei bis: la polka op.413 di J.Strauß figlio e poi i due canonici, immancabili pezzi da novanta dell’apoteosi finale:

Danubio: ormai è tradizione che siano due gli attacchi in tremolo del walzer più fischiettato al mondo. Fra l’uno e l’altro il direttore pronuncia un discorsetto più o meno di circostanza (chissà se Daniel ne farà invece uno assai serio, con riferimento alla sua Palestina, che proprio in questi giorni è di nuovo in fiamme) e poi con l’orchestra augura Buon Anno, e infine...

Radetzky, ormai divenuto un pezzo marziale da concerto per pubblico e orchestra. Aspettiamoci - prima o poi - che qualcuno degli applauditori cominci a chiedere i diritti d’interpretazione.

Gli addii di Haydn sono qui per festeggiare i 200 anni dalla morte del sommo Josephus (1809): chissà se dietro l’esecuzione ci sarà una regìa particolare, che ad esempio ci riproponga - a mo’ di sceneggiata - ciò che accadde alla prima, nel 1772, c/o Estheráz, allorquando gli orchestrali, uno dopo l’altro, spensero il lume sul leggìo e se ne andarono alla chetichella, lasciando lo stesso Haydn e il primo violino a chiudere la sinfonia, per far capire al principe Nikolaus, padrone di casa, che era ora di chiudere anche bottega, e metter fine ad una vacanza più lunga e noiosa del previsto.

Qui le statistiche del concerto: dettaglio cronologico e totali per direttore.

Prosit Neujahr! (spedito dal grande Willi, ai tempi in cui il postino della RAI era tale Giulio Marchetti)
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Il Quiz del lunedi - 16
















L’immagine qui riportata si riferisce a:

1. “Tristano e Isotta” di Wagner.

2. “Gianni Schicchi” di Puccini.

3. “Fidelio” di Beethoven.

4. “L’Oro del Reno” di Wagner.

5. “Il Trovatore” di Verdi.

(la soluzione nella prossima puntata)
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Soluzione del Quiz n°15: Il Flauto Magico (Salisburgo, Vick)


28 dicembre, 2008

Wagner 2.0


Gli ingredienti ci sono (quasi) tutti:

- smisurata immodestia
- pensiero filosofico auto-referenziale
- establishment da combattere

Mancano ancora:

- una cosa tipo Tristan-und-Isolde
- un teatro sulla collina verde di Ascoli
- un suocero abate

...ma diamo tempo al tempo!

Scopiazzamenti o telepatie?

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Questa è la conclusione dell’esposizione del Rondò finale della Sonata K296, in DO maggiore, per violino e pianoforte, composta da Mozart nel 1778 a Mannheim:








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Due anni dopo, Luigi Boccherini componeva a Madrid il Quintetto G324, in DO maggiore, titolato La Musica Notturna per le Strade di Madrid, che si chiude con la famosa Ritirata di Madrid, utilizzata poi anche nel quintetto con piano G418 e come tema con 12 variazioni nel finale di quello - famosissimo - con chitarra G453 del 1799, sempre in DO maggiore. Sulle varie versioni del brano anche Luciano Berio ci ha ricamato parecchio e bene.

Guarda caso, la conclusione del tema della Ritirata è praticamente la fotocopia di quel Mozart. Una semplice coincidenza?


27 dicembre, 2008

Artisti o ciarlatani?


In questi ultimi giorni un paio di avvenimenti hanno riproposto al mondo (quello piccolo, sempre più piccolo, e più piccolo ancora) dei cultori dell’arte (musicale) l’eterno dilemma: come giudicare un personaggio che si mette in mostra?

a. sarà un grande artista, come i sofisticati strumenti di marketing vorrebbero darci a bere, oppure...

b. sarà un ciarlatano di quelli che, senza avere doni naturali, men che meno ispirazione e soprattutto senza versare nemmeno una goccia di sudore, assurge nondimeno agli onori degli altari (auditorium e aule parlamentari) ???

Il primo fatto, passato quasi inosservato qui da noi, riguarda Gilbert Kaplan: per i più un ciarlatano, che ha un’unica qualità, consistente in una montagna di quattrini, con i quali si può permettere di comprare persino la New York Philharmonic, dopo essersi comprato già i Wiener Philharmoniker e la London Symphony! Per altri, fra cui un critico british, di quelli che vanno per la maggiore, è invece un sincero interprete (di un’unica composizione, peraltro) che merita lo stesso rispetto dovuto a Pappano o Thielemann (e poi: 200.000 copie di CD con le sue registrazioni non se l’è mica comprate lui). Ma, a chiarire la statura del critico, che assolve Kaplan dall’accusa di marketing-ismo, si scopre che è lo stesso che ha scritto di Karajan come di un fenomeno da baraccone (ahinoi, da che parte ci dobbiamo girare?)

Il secondo fatto ci è molto più vicino, e riguarda Giovanni Allevi, che il programmatore del concerto natalizio in Senato ha chiamato ad esibirsi di fronte ai nostri politici, neanche fosse la reincarnazione di Rossini (forse data la provenienza geografica). Apriti cielo! Il più imbufalito - in pubblico - è Uto Ughi, che evidentemente non ha digerito che a deliziare quell’aula sia stato chiamato - 10 anni fa - il suo collega-rivale Salvatore Accardo, mentre a lui non lo degnano di uno sguardo. E così ne dice di tutti i colori, anzi le suona di santa ragione, al povero Giovanni, colpevole di vendere dischi a bizzeffe e di fare audience, laddove a lui (Uto) rimane solo l’orticello (quello piccolo, sempre più piccolo, e più piccolo ancora) di cui sopra. Bisognerebbe allora chiedere al veneziano (oggi) più incazzato d’Italia, come mai, anni fa, l’Opera di Baltimora (americani beoti, per Ughi, immagino) abbia commissionato all’ignorante capelluto Allevi, invece che al divino Uto, di musicare nientemeno che i recitativi della Carmen.

Ma ancor più di Ughi, che un minimo minimo di successo e notorietà, in questo mondo di merda, li ha comunque avuti, ad essere fuori dalla grazia di dio sono tutti quei bravi ragazzi, che magari hanno studiato e sudato per anni al conservatorio, ma che adesso si ritrovano a fare il cococo programmatore basic in qualche centro servizi meccanografici, oppure la segretaria d’azienda, annegata in mezzo a protocolli, timbri e fatture: basta un giro nei blog, cercando “Allevi” per averne conferma. Furbo lui - questo pare ormai accertato - o incapaci di stare al mondo, quegli altri?

Nel merito ci sarebbe da discutere all’infinito. Certo, se si tirano in ballo Mozart e Strauss (Richard) o anche Chopin, sarà difficile che Allevi possa cavarsela al confronto. Ma se il riferimento fosse Strauss (Johann-il-walzeroso) o un qualunque Suppè, o Spohr, o anche Hummel o persino Rachmaninov, forse la partita si potrebbe riaprire, chissà...

Del resto, ciò che Ughi ha detto oggi di Allevi, lo aveva scritto Wagner, nel 1850, di Mendelssohn!
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25 dicembre, 2008

Quando la TV era una cosa seria

Non è solo in Italia che ci dobbiamo lamentare del degrado dei programmi televisivi, che all’arte - e alla musica in particolare - lasciano sempre meno spazio, o al massimo ...lo fanno pagare salato.

In USA non stanno meglio e il Natale è stata l’occasione per molti - oggi ormai ultrasessantenni - per ricordare con nostalgia e rimpianto gli anni ’50-’60 del secolo scorso, quando la TV nazionale, la gloriosa NBC (famosa anche per l’orchestra sinfonica affidata a Toscanini) si poteva (voleva?) permettere di commissionare un’opera e rappresentarla, trasmettendola in diretta, con strutture proprie.

E ingaggiando per questo compositori già allora famosi. Uno di costoro era Gian Carlo Menotti, che compose un gioiello di operina natalizia, Amahl and the Night Visitors, trasmessa la sera del 24 dicembre 1951, con la regia dell’autore e con l’allora poco più che ventenne Thomas Schippers sul podio. E fu ritrasmessa ogni anno, ininterrottamente, fino al 1966.

24 dicembre, 2008

크리스마스 잘 보내세요!


Buon Natale ...coreano!

In doveroso ringraziamento al maestro Chung per i 90 minuti di musica che ci ha offerto ieri sera alla Scala, con i Trepper Symphoniker e l’inossidabile coro del maestro Casoni, oltre ai volonterosi solisti.

Intanto un commento al contenuto del programma, definito “natalizio”, come da circostanza: il Vesperae de Confessore ci stava, confessiamolo subito. Ma la quarta di Mahler, può essere definita “natalizia” solo da qualcuno (e mi rifiuto di pensare sia Chung, come insinua la locandina web) che ha scambiato il “Das himmlische Leben” per un mottetto serioso, oppure pensa che i sonagli del 1° e del 4° movimento rappresentino Santa Klaus che arriva con renne e sacchi di regali. Adorno ne ha scritto cinicamente, ma lucidamente, come di un campanello birbone, mettendo in bocca a Mahler un: “Nulla di ciò che state ascoltando è vero”. (Quindi: a natale ogni scherzo vale?)

Ciò detto, lasciamo perdere per ora le ricorrenze e raccontiamo qualcosa su una serata che ha un pochino risollevato il traballante prestigio di un’orchestra che spesso - negli ultimi tempi - ha lasciato non poco a desiderare.

Il K339 di Mozart meriterebbe più pubblicità ed esecuzioni. È il regalo d’addio di Wolfgang alla Salzburg del 1780, e a quell’insopportabile (per lui) e possessivo Hieronymus von Colloredo. Una serie di 6 cammei (meno di 5 minuti cadauno) dove si (più che) intravede ciò che sta per arrivare. Chung si affida al coro, che è una sicurezza, tenendo l’orchestra sempre al guinzaglio. I solisti, che del resto hanno parti relativamente modeste, salvo qualche contrappunto più o meno severo (Confitebor) danno semplicemente man forte a Casoni (che neanche ne avrebbe bisogno). Eccezione fa Kate Royal, che ha tutta la prima parte del n°5 sulle spalle, e qualche altro intervento fugace (Beatus Vir e Magnificat) per mettersi in mostra, in attesa di... Mahler. Esecuzione comunque da teatrone, robusta, molto diversa da altre - anche incise - più raccolte e baroccheggianti, con vocine sottili, ed emissioni di testa.

Poi, la quarta mahleriana. Altro che Natale, qui è tutta una Parodie: dall’incipit haydn-schubertiano, all’anticipando (la quinta) dei funebri squilli di trombetta, al violino da strada, dis-cordato un tono sopra, che Mahler stesso, in una nota poi espunta, chiamava “l’amico Hein” cioè la morte, nientemeno! E poi il terzo movimento, che contiene un’esplicita citazione di Verdi che poi comparirà nei Kindertotenlieder, altro che Natale! Per tacere dei cupi intermezzi in MI minore del finale. Certo, tutto poi finisce col plateale e scolastico MI maggiore - canonica tonalità di pace, tranquillità ed estasi - sotto la bacchetta autorevole di Santa Cecilia: solo che questo miele celeste, troppo dolciastro, se preso sul serio rischierebbe di essere stomachevole... Non per nulla, il tutto viene dal Wunderhorn, una raccolta di stornelli, poesiacce da strada, canti disperati di gente dall’esistenza subumana, inferni terreni e paradisi posticci (proprio alla lavazza) dove si divertono insieme, precursori dei nostri bonolis-laurenti, il pescatore volante San Pietro ed Erode, il macellaio. Il Sant’Uffizio aveva al tempo cose più importanti di cui occuparsi, altrimenti Arnim e Brentano se la sarebbero vista brutta, a pubblicare cose come “Der Himmel hängt voll Geigen“.

Chung, con Adorno, sembra capire tutta la sincera ipocrisia che ci sta sotto, e pare volercela spiegare, sia nell’impostazione generale dell’interpretazione, sempre contenuta e di profilo basso (tranne le - famose - irruzioni) ed anche nei particolari, battuta per battuta, semplicemente applicando nel modo più stretto le notazioni dell’autore (che di motivi per essere ottimista su natura, dio, paradiso, felicità... ne aveva invero pochini; e non parliamo poi di Gesù bambino!) Il terzo movimento ne è stato esempio lampante, con tutti quei tranquillo, cantabile, con espressione crescente, morendo, espressivo, poco crescendo, ritardando, dolente, cantando, scorrevole, appassionato, che compaiono nelle sole prime due sezioni (106 delle 353 battute) e che Chung ha sottolineato con quasi pedante fedeltà. Così come ha fatto poi sparare tutte le cartucce disponibili nel Vorwärts della coda (che anticipa il MI maggiore dell’epilogo) durante il quale la Royal ha potuto fare il suo slalom fra i leggìi, per prendere posizione, senza tema di disturbare il suono.

Così ne è uscita una quarta asciutta, quasi antipatica... vera, in sostanza. E quindi, caso mai - in Italia - più adatta al 2 Novembre.

L’orchestra si è ben portata, con i soliti alti e bassi dei corni (che poi qui è quasi sempre uno solo, anche se per i tutti ce n’erano 5, invece dei 4 previsti in partitura): passaggi puliti e davvero mahleriani, alternati a inciampi e sbavature evidenti. Accoglienza festosa e lunga alla fine, con applauditi speciali i legni e strumentini (oboe su tutti, davvero perfetto) e - meritatamente, data la parte di spicco - l’arpa. E poi i due primi violini, impeccabili soprattutto nell’ostico secondo tempo.

Una menzione la faccio personalmente all’addetto ai sonagli: per suonarli gli basta dare qualche pugnetto dall’alto in basso all’altro pugno che “impugna” il bizzarro strumento - una cosa a metà fra un ananas e un grappolone di datteri. Molta più fatica la deve fare a riporre lo strumento con somma cautela - un’arte davvero! - onde evitare che emetta suoni a sproposito.

La Royal ha una voce ben impostata, ma poco udibile nel registro basso. Nel lied ha sparato/gridato un pò troppo un paio di SOL, ma in complesso se l’è ben cavata. Questione di gusti: a qualcuno qui magari piace di più una vocina leggera, che si addica allo scenario da paradiso infantile (anni fa Bernstein fece cantare questa parte, proprio alla Scala, da un ragazzino, con esiti interessanti).

Insomma: nonostante tutto va bene così. Perchè - visto che siamo in tema di parodie - poteva andare anche così... oppure così (questo qui però non presentatelo al maestro Chung, mi raccomando!) per cui...
...buon Natale!
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22 dicembre, 2008

Effetti della crisi?

Crisi, futuro incerto, sacrifici, Brunetta e Bondi in gara a chi taglia meglio... c’è poco da stare allegri.

Non saprei dire se ci sia relazione causa-effetto, ma di questi tempi si moltiplicano iniziative benemerite da parte del mondo dell’opera e della musica, che cerca in tutti i modi di avvicinarsi alla cittadinanza.

L’ultima in ordine di cronaca è di ieri e viene da Genova, dove il Carlo Felice - cui si affianca il genovese purosangue, trapiantato a Dresda, Fabio Luisi - invita tutti ad un concerto gratuito il 28 dicembre, con programma a dir poco sontuoso.

Il Quiz del lunedi - 15













L’immagine qui riportata si riferisce a:

1. “Gli Ugonotti” di Meyerbeer.

2. “I Lombardi alla Prima Crociata” di Verdi.

3. “I Maestri Cantori di Norimberga” di Wagner.

4. “Il Flauto Magico” di Mozart.

5. “I Pescatori di Perle” di Bizet.

(la soluzione nella prossima puntata)
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Soluzione del Quiz n°14: Un Ballo in Maschera (Barcellona, Bieito)

21 dicembre, 2008

Giovanni Allevi: senatore a vita?

Via, non esageriamo. Nessun musicista ancora lo è stato: barbarie della politica, o marginalità della musica?

Certo, se oggi dovessimo fare un nome, pochi avrebbero dubbi su Claudio Abbado.

Il simpatico Allevi, intanto, ha messo un mattoncino, deliziando i nostri politici col concertino di Natale in Senato. Si potrà discutere all’infinito, ma nel panorama - davvero imbarbarito - della musica di oggi, c’è molto, ma molto, di peggio.

Don Carlo: buona la sesta?

Per me, direi di sì (essendosi che è l’unica rappresentazione cui ho assistito - live).

Opera perennemente incompresa e guardata con sospetto: dai verdiani ortodossi e conservatori, in quanto non abbastanza verdiana; da quelli progressisti in quanto non ancora abbastanza wagneriana. Fatta oggetto di diatribe e discussioni: fa i sostenitori del Grand’Opera, cinque atti, Fontainebleau, balletti e lingua gallica, e quelli che giudicano tutto ciò un ciarpame da bruciare. In mezzo, direttori che di volta in volta fingono di fare degli scoop, riesumando pagine di musica, pescandole quasi a caso da un cappello, o stabilendo come verità artistiche incontrovertibili i pettegolezzi raccolti da un amico o da una confidente del Maestro.

Si direbbe che questa diffidenza sia stata confermata ieri l'altro dai più di 170 posti (dico: quasi il 10% della capienza scaligera!) offerti in internet ancora a 3 ore dall’alzata del sipario; e comunque dal desolante spettacolo che presentavano, anche alle 19:30, i numerosi palchi semivuoti e i buchi ben visibili in platea. Sarà per via della crisi, e per le conseguenti difficoltà di agenzie e strutture turistiche (leggi: bagarinaggio autorizzato) a sbolognare ai giapponesini i contingenti di biglietti loro concessi, certo si è che il risultato - indipendentemente dal fatto che il Teatro abbia comunque incassato o meno quei 20 o 30 mila euri - è dei meno lusinghieri. Per la cronaca: per le ultime 4 recite, a gennaio, sono tuttora disponibili in web circa o più di cento posti a serata: brutto segno?

Regia, scene e costumi

Per la verità alla contraddittoria fama del Carlo sembra abbia voluto tener bordone anche la regia (in senso lato, includendovi scene e costumi) del pur intelligente Braunschweig (uno di quei simpatici francesi di nome e ascendente tedesco, tipo il ferrarista Jean Todt, per intenderci): che ha impostato la sua vision su basi essenzial-minimaliste delle scene, per poi concedere ampio spazio alla sfarzosità e sontuosità dei costumi (del solo establishment nobiliare, peraltro). Così si vedono gli ampi (fin troppo) spazi del palco scaligero spesso totalmente vuoti, oppure drasticamente limitati al solo proscenio; altre volte vi compaiono alberi finti o fondali riempiti da gigantografie, da far storcere il naso a marpioni tipo Appia; quando ci sono di mezzo le masse e i cori (frati, nobildonne, grandi di Spagna) lo sfarzo dei costumi si spreca, proprio come in un Grand’Opera che si rispetti. Insomma un nè carne, nè pesce che rischia di scontentare tutti.

La trovata dei due bimbi che compaiono a rappresentare Carlo ed Elisabetta ai tempi di Fontainebleau non sarebbe male - per surrogare sinteticamente la vicenda dell’Atto espunto - ma il loro riapparire qua e là finisce per essere stucchevole e spesso fuori dal contesto; un esempio per tutti: nella scena ad Atocha, è il Carlo-mignon a consegnare al Re, ricevutala da Posa, la spada del Carlo-maggiorenne (?!)

Nel Primo Atto, alla fine della prima parte, Braunschweig - per ricordare a tutti che se un regista c’è e lo si paga, deve pur guadagnarsi la pagnotta - si inventa letteralmente un’inversione di traffico sulla scena. La didascalìa non lascia dubbi: il Re e la Regina debbono transitare in corteo, diretti alla cappella, e Carlo deve guardarli passare, inchinarsi al Re sospettoso, lui e la Regina manifestando emozione. Invece noi vediamo i regali apparire quasi all’improvviso, soli, in primo piano, immobili quali statue di cera ed inginocchiati ad una specie di altare (un prisma marmoreo, che alla fine dell’opera assumerà il ruolo - assai più appropriato - di catafalco) mentre sono Carlo e Posa a muoversi ed uscire di scena, prima che cali il sipario.

Il Filippo che vediamo nell’ultima parte del Primo Atto (non direi sia colpa di Furlanetto) sembra muoversi più come un ottantenne possidente di campagna, scontroso e acido e con qualche gesto più degno di Rigoletto che di un Re, che sarà anche preoccupato, ma che ha - nella storia come nell’opera - un profilo ben più alto. Da qui in avanti però il sovrano tornerà ad assumere gesti ed atteggiamenti consoni al suo ruolo. Come nella scena di Atocha, su cui val la pena dir qualcosa. (Intanto sembra destino che a quasi mezzo millennio di distanza, questo nome sia tornato tristemente a rappresentare gli abissi in cui una civiltà possa precipitare, per mano della religione - cattolica o islamica, poco cambia - quando le gerarchie o i proseliti di detta religione pretendono di usarla a fini politici.)

Braunschweig qui ha intuizioni interessanti, come quella di presentarci i prelati, appollaiandoli su scranni esageratamente alti, ai lati della scena, e facendogli assumere atteggiamenti di noia, di sonnolenza e fastidio: cosa che immagino sarebbe molto piaciuta a Verdi. Poi si inventa, in contrapposizione ai costumi sfarzosi della nobiltà, una plebe vestita come oggi, con copricapi che vanno dal borsalino alla coppola, dalla bustina militare al basco; come a dire: la povera gente, 500 anni fa, non se la passava poi tanto diversamente da oggi (e vice-versa). Il Re compare in primo piano quasi subito, il che priva lo spettatore dell’effetto previsto in partitura (Filippo a comparire dopo l’apertura delle porte della chiesa, che Braunschweig sostituisce con l’alzata del sipario-zanzariera che schermava la scena all’inizio).

Veniamo al Terzo Atto, dove Braunschweig forse dà il meglio: la scena è vuota, solo uno scranno su cui siede Filippo, che canta la sua meditazione. (a proposito mi viene in mente che le precise note del passo “se il serto regal a me desse il poter” sono state usate - con tempo e ritmo ovviamente diversi - da un qualche bontempone dentro una zarzuela o qualcosa di simile.) Significativamente, nella scena successiva con l’Inquisitore, Filippo cede a quest’ultimo il posto a sedere sullo scranno, proprio a simbolizzare come stiano le cose, nei rapporti Stato-Chiesa. Salminen è un Inquisitore ideale (stiamo per ora parlando della presenza scenica): enorme, minaccioso, terrificante, con quella calma che gli deriva dalla consapevolezza del suo potere, oltre che dai novant’anni suonati che il personaggio porta sulle spalle, gli occhi e il passo quasi da cieco.

Un’altra idea interessante del regista è legata allo scrigno di Elisabetta, contenente il cammeo di Carlo: noi lo vediamo subito, al momento della meditazione. Filippo lo apre, ne prende il contenuto, stringendolo nervosamente fra le mani mentre canta “Ella giammai m’amò...”; poi riaprirà lo scrigno (invece di infrangerlo) al momento di mostrarlo ad Elisabetta; infine il cammeo, rimasto abbandonato sullo scranno, verrà raccolto da Eboli al momento di cantare il suo “O don fatal”. Qui devo aprire una parentesi di carattere personale, fra il vergognoso e il ridicolo: essendo che io - pregiudizialmente, lo ammetto - ho sempre guardato ai testi del melodramma italiano come a pure giustapposizioni di parole prive di significato compiuto e puri supporti al gorgheggio, e tratto in inganno dalla plausibilità dello scenario, avevo per non so quanto tempo dato per scontato che il don avesse l’accento forte - dòn - e si riferisse quindi all’infante protagonista del dramma. Non ricordo chi o come mi abbia portato a prendere atto che invece il sostantivo ha l’accento debole/stretto ed è una contrazione di dono (di natura). Imperdonabile, lo so; ma vero, ahimè.

Infine, devo proprio segnalare un particolare che testimonia della minuziosità della regia e dell’attenzione posta dagli interpreti ai dettagli più sottili. Dunque: colpito a morte dal colpo di spingarda esploso da un brigatista che ha dato l’impressione di uscir fuori dalla barcaccia, Posa rincula barcollando, fino ad accasciarsi sul seggiolone di Carlo, seguito dall’infante esterrefatto. Il realismo impone che scorra il sangue, ed infatti c’è un piccolo blob di color violaceo che compare per terra, ma dove? Disgraziatamente proprio dove Carlo si deve inginocchiare, accanto a Posa. Ed allora cosa non ti fa il meticoloso Neill? Con il suo piedino sinistro dà un paio di colpetti alla macchia di sangue plastico, spostandola in una zona da cui sia visibile a tutti, e non solo a chi, come il sottoscritto, guarda dal loggione, provvisto di binocolo da marina. Grandioso!

La conclusione del dramma è suggestivamente sottolineata dall’oscuramento totale della scena, incluse le lucine sui leggìi dell’orchestra, ad accompagnare il diminuendo dell’accordo conclusivo. Dopo il quale si sono ascoltati almeno due secondi di silenzio, speriamo dovuti a sensibilità del pubblico e non a ignoranza di come l’opera si chiude... comunque, appropriati.

Direttore e compagnia

Gatti. Lui conosce a memoria la partitura (e così il neon del suo vuoto leggìo resta evidentemente acceso solo per rendere il direttore meglio visibile a professori e cantanti). Io invece ammetto di non ricordare nemmeno il primo verso del 5 maggio, però un’ultima scorsa alla partitura della premiata Casa Ricordi l’ho data proprio prima di uscire per andare a teatro: posso quindi certificare - ad occhio/orecchio e croce - che il Daniele si sia attenuto a tempi ed agogica originali, inclusi gli ff che Verdi sparge in abbondanza sui righi; ergo: chi accusa questo Carlo di eccessivo bandismo in realtà non dovrebbe prendersela con il direttore, ma con l’autore in persona, assumendosi la responsabilità di voler dare lezioni a tale Giuseppe Verdi da Le Roncole di Busseto.

Ciò che è viceversa difficile non contestare al Kapellmeister (in combutta col regista) è l’inclusione proditoria del Lacrymosa: una lungaggine che spezza la drammaticità dell’azione, oltretutto fatta recitare da Braunschweig come se non ci fosse proprio, col Re che ignora totalmente il cadavere di Posa, senza degnarlo di uno sguardo, non dico di un gesto di compianto. Se qualcuno, per quei 5-6 minuti in più, avesse perso l’ultimo tram che va in periferia, avrebbe diritto di essere indennizzato. Insomma, che sia grande musica lo sappiamo, ma a me è francamente parso come il classico mazzolino di prezzemolo che gli ortolani del mercatino rionale ti buttano nel sacchetto, sopra pomodori e patate, come omaggio. Peccato che qui non eravamo al mercato per approvvigionarci di ingredienti, ma a tavola, con davanti il manicaretto - cucinato da Verdi, dico - da gustare... e quel mazzolino di prezzemolo ha rischiato di rovinare tutto.

Neill deve essere così riconoscente a Gatti per averlo preferito a Filianoti, che canta l’intera opera solo per il direttore. Dico: non distoglie mai lo sguardo dal podio, in nessun caso; il che magari a lui provoca qualche principio di strabismo, ma allo spettatore garantisce una performance musicale davvero rimarchevole!

Di Furlanetto ho detto sulla parte attoriale. Musicalmente sarà consunto quanto si vuole, fatto si è che, insieme a quella del sorprendente Neill, la sua è la voce che arriva meglio fin su ai loggioni! Che gli hanno tributato l’applauso a scena aperta e un’ovazione finale, meritati.

Mayer mi è parso un ottimo Rodrigo, ben calato nel personaggio anche come presenza scenica. Musicalmente l’ho trovato a posto, salvo il volume di voce, sufficiente magari in qualche teatrino di provincia (tipo Heidelberg, sia detto senza offesa) e non in un teatrone come il Piermarini.

Salminen sarà anche troppo wagneriano, non pronuncerà bene l’italico idioma, ma in quella parte ci sta bene assai, e non solo scenograficamente. Il buh che gli è stato riservato - non in scena, ma all’inchino finale - mi è parso gratuito.

Carosi mi è piaciuta, devo dire. Non avendo visto (ma solo ascoltato per radio) Cedolins, fatico a fare paragoni mirati fra le due primedonne. I primi piani che mi ha concesso il binocolo testimoniano anche di notevole portamento attoriale.

Smirnova veniva dopo i (mezzi) trionfi di Zajick e - per me - se l’è cavata dignitosamente. Il buh (l’unico a scena aperta) è stato suo, alla fine del terzo atto, ma direi che un usignolo (o una cornacchia, in questo caso) non faccia primavera.

Gli altri, Lindroos in testa, senza pecche, con menzione per i sei fiamminghi, un pacchetto perfettamente affiatato.

Il coro di Casoni - una cosa che funziona come un orologio in Scala c’è ancora, se dio vuole, e speriamo continui - è stato impeccabile, a dir poco.

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Finito il dramma, tutti i protagonisti in fila - da un estremo all’altro del proscenio, a sipario alzato - a raccogliere l’applauso, ciascuno facendo tre passi avanti, al suo (rigorosamente unico) turno. Qui l’incolpevole Matti si è beccato il suo buh, mentre Stuart ha fatto il classico gesto del centravanti che segna un gol (questo Carlo per lui deve essere davvero come vincere un mondiale) e - come gli altri/e - anche Anna è passata indenne (che il buatore del terzo atto avesse nel frattempo apprezzato qualche suo don?) Furlanetto in trionfo e poi, come di prammatica, la primadonna ha prelevato da dietro le quinte il concertatore, che ha avuto la sua dose di quelli che, asetticamente, si definiscono applausi di stima, o poco più. Gatti, come sua consuetudine, ha fatto 5-6 passi avanti, affacciandosi sulla buca per appludire giù di sotto. Il suo podio, i leggìi e le sedie hanno apprezzato. Ah sì, anche la grancassa. I professori? Quelli, erano già in tram... o tempora, o mores!

18 dicembre, 2008

Direttori veri e finti


Nel famoso Prova d’Orchestra di Fellini, i professori si illudevano di poter fare a meno del direttore... poi arrivava quella specie di mongolfiera di piombo a metter fine alle utopie, ristabilendo le proporzioni e i ruoli di ciascuno.

Oggi abbiamo una particolare integrazione della tesi felliniana, nel senso che non basta nemmeno un direttore sul podio per far funzionare tutto l’amba-aradam, ma il direttore deve essere proprio autentico, e non soltanto una marionetta o un dilettante - per quanto appassionato - allo sbaraglio.

Molti ricorderanno - per averlo sentito nientedopodomaniché alla Scala con la Filarmonica, nel ’90 per un concerto di beneficenza - tale Gilbert Kaplan, un bizzarro magnate americano, che può permettersi di comprare (altra spiegazione è difficile immaginare) teatri e orchestre sinfoniche, cori compresi, in cui e a cui far eseguire, sotto la sua bacchetta, un’unica composizione, la Seconda Sinfonia di Mahler, di cui questo signore va evidentemente matto. Per due volte l’ha perfino registrata, vendendo centinaia di migliaia di copie (!?!)

Il nostro ha potuto soddisfare il suo hobby almeno una cinquantina di volte: l’ultima, pochi giorni fa, con la New York Philharmonic, sul cui sito c’è un suo curriculum cui manca solo l’apparentamento con Karajan, per farlo scadere totalmente nel ridicolo.

Però oggi si registra, forse per la prima volta, una reazione della serie “non se ne può proprio più”. È di uno dei trombonisti della NYPO, tale David Finlayson, che sul suo blog sputa il rospo e ne dice di tutti i colori a Kaplan, chiamando a testimoni illustri direttori veri (incluso per la verità uno che con la Resurrezione e con Mahler non ha proprio nulla a che fare, Toscanini). Dei più di 40 commenti ricevuti, il 90% sono di comprensione ed apprezzamento; alcuni di aperta critica, soprattutto alla presunta ipocrisia di chi, come Finlayson, si lamenta dopo, invece che prima; un paio, forse, a difendere il povero Kaplan.

17 dicembre, 2008

Chi vuol provarla per primo?

Il Guardian ci informa della messa in rete della partitura della (tuttora ineseguita in pubblico) Quarta Sinfonia (“Los Angeles”, dato che è stata commissionata dall’orchestra di laggiù) di Arvo Pärt.

In privato, non dovrebbero esserci problemi ad eseguirla (dura una mezz'oretta). Basta avere buone file di archi e soprattutto due percussionisti assai versatili.

15 dicembre, 2008

Il Quiz del lunedi - 14
















L’immagine qui riportata si riferisce a:

1. “Un Ballo in Maschera” di Verdi.

2. “I Maestri Cantori di Norimberga” di Wagner.

3. “I Puritani” di Bellini.

4. “Il Crepuscolo degli Dei” di Wagner.

5. “Napoli Milionaria” di Rota.

(la soluzione nella prossima puntata)
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Soluzione del Quiz n°13: Idomeneo (Berlino, Neuenfels)

14 dicembre, 2008

Della Musica mondana.















RIPIGLIANDO adunque la Musica Animastica diremo, ch'ella è di due sorti, Mondana & Humana. La Mondana è quell'Harmonia, che non solo si conosce essere tra quelle cose, che si ueggono & conoscono nel cielo; ma nel legamento de gli Elementi & nella uarieta de i tempi ancora si comprende. Dico che si ueggono & conoscono nel cielo, dal Riuolgimento, dalle Distanze & dalle Parti delle sphere celesti; & da gli Aspetti, dalla Natura & dal sito de i sette Pianeti; che sono la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Gioue & Saturno; imperoche è stata opinione de molti Filosofi antichi, & massimamente di Pitagora, ch'un riuolgimento di si gran machina con si ueloce mouimento, non trappassi senza mandar fuori qualche suono; la quale opinione, quantunque da Aristotele sia riprobata, è nondimeno fauorita da Cicerone nel Lib. 6. della Rep. doue rispondendo il maggior Scipione Africano al minore, che gli hauea dimandato; che Suono è questo si grande & si dolze, che empie gli orecchi miei? dice; Questo è quello, che congiunto per inequali interualli, nondimeno distinti per compartita proportione, è fatto dal sospingere & dal muouere di essi circoli; ilquale temperando le cose acute con le graui, equalmente fà diuersi concenti: perche non si possono far si grandi mouimenti con silentio; & la Natura porta, che gli estremi dall'una parte grauemente & dall'altra acutamente sonino. Per laqual cosa quel sommo corso del cielo stellato, il cui riuolgimento è più veloce, si muoue con acuto & più forte suono; & questo lunare & infimo con grauissimo. Questo dice Tullio, seguendo il parer di Platone, ilquale per mostrare, che da tale riuolgimento nasca Harmonia, finge, ch'à ciascuna sphera soprasieda una Sirena: che uuol dire Cantatrice à Dio. Et medesimamente Hesiodo nella sua Theogonia accennando questo istesso, chiamò OÙran…a l'ottaua Musa, ch'è appropriata all'Ottaua sphera, da OÙranÕj, col qual nome da i Greci uien nominato il Cielo. Et per mostrare, che la Nona sphera fusse quella, che partorisce la grande & concordeuole unità de suoni, la nominò KalliÒph, che uiene à significare di ottima voce; uolendo mostrar per questo l'Harmonia, che risulta da tutte quell'altre sphere; come si uede accennato dal Poeta, quando disse: Vos o Calliope precor aspirate canenti; Inuocando particolarmente Calliope nel numero del più, come principale, & come quella, al cui uolere si muouono & si girano tutte l'altre.
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ISTITVTIONI HARMONICHE DEL REV. M. GIOSEFFO ZARLINO DA CHIOGGIA,
Maestro di Capella della Serenissima Signoria DI VENETIA. Prima Parte. Capitolo 6 (incipit). (MDLVIII)

12 dicembre, 2008

I 100 anni di Elliot


Elliot Carter ha compiuto ieri 100 anni.

La sua musica potrà piacere o non piacere, ma una cosa è certa: è musica “genuina”. A differenza di “cose” (vero John, vero Karl-Heinz?) che con la musica nulla hanno a che fare.

Vedere e sentire Elliot conversare amabilmente con Barenboim e Levine (da Charlie Rose) alla vigilia del suo secolo, celebrato con l’esecuzione della sua “Interventions” eseguita dai due maestri, fa davvero bene allo spirito.

11 dicembre, 2008

A proposito di critici, questa non è male

Ecco come Adam Gopnik del New Yorker, parafrasando Samuel Johnson, definisce il critico:

“I critici stanno agli autori non come i medici ai pazienti, ma come le donne barbute ai trapezisti... un altro atto, più triste, nello stesso grande spettacolo”

Leggere qui (pag.5)

10 dicembre, 2008

Viaggio in un glorioso passato

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Tamagno, Kurz, Patti, Caruso, Franz, Shaliapin, Tetrazzini... Voci di un tempo che fu, precisamente dei primi anni del secolo scorso (1907-1912). A Parigi sono stati riesumati - letteralmente - dischi di quell’epoca, che erano custoditi al Palais Garnier, dove erano stati scrupolosamente “sepolti”, a futura memoria. Ora alcune delle urne sono state aperte, e quelle voci resuscitate.
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08 dicembre, 2008

Il Quiz del lunedi - 13



















L’immagine qui riportata si riferisce a:

1. “La Clemenza di Tito” di Mozart.

2. “Salome” di Strauss.

3. “Elektra” di Strauss.

4. “Il Vampiro” di Marschner.

5. “Idomeneo” di Mozart.

(la soluzione nella prossima puntata)
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Soluzione del Quiz n°12: Il Ratto dal Serraglio (Berlino, Bieito)

Don Carlo: alcuni responsi a confronto

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clickare sulla tabella
per ingrandire

Un altro con idee chiarissime...


“...ognuno degl’interpreti, fatta salva la Zajick e in parte il basso Furlanetto, ...canta la sua parte come stesse leggendo l’elenco telefonico”

Un simpatico modo per dire che Neill, la Cedolins e Jenis (si, caro Paolo, Jenus sull’elenco telefonico non si trova, ...ma certo la colpa è del tipografo) hanno dato i numeri?

07 dicembre, 2008

Uno che ha le idee chiare...

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“...l’opera lirica italiana è stata inventata dal nostro Paese

(Ministro Sandro Bondi, intervistato da Oreste Bossini nel 1° intervallo del Don Carlo)
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06 dicembre, 2008

Derby Milano-Roma

Il TG1 di oggi, ore 13:30 - come altri prima e dopo - ha dedicato uno spazio doveroso all’apertura della Scala di domani 7 dicembre, dando un’anticipazione da brivido: sarà una prima “austera”. Evidentemente per sviare eventuali Capanna di turno, che volessero re-inaugurare a modo loro il DonCarlo, come 40 anni fa, giusti-giusti. L’austerità peraltro potrebbe riferirsi anche alle armi improprie di eventuali contestatori, che oggi farebbero fatica a finanziarsi l’acquisto di quintali di uova...

Intanto oggi, 6 dicembre, all’Opera di Roma c’è la prima di un Otello diretto da Muti (20:30 Radio3, per gli esterni). I maligni (alla Andreotti) giurano che sia stata programmata lì appositamente per disturbare il S.Ambrogio meneghino, a mo’ di ripicca per i cruenti moti popolari del 2005, che detronizzarono l’allora imperatore scaligero, per l’appunto l’ombroso Riccardo.

Poi, questa sera, quasi che il computer che stila i calendari calcistici sia stato a sua volta programmato all’uopo, abbiamo in contemporanea Lazio-Inter. Al simpatico Ibrah (l’unico islamico ben visto in Lombardia) i patrioti milanesi hanno chiesto di stendere la Lazio, per poter così sfogare i loro cori di: a Riccà... va' a Chi-cagà!
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Update 23:35.
Beh, possiamo dire, per questa sera, 1:1... Ibrah&C han fatto piazza pulita dei biancazzurri, ma in compenso Muti&C (quanto meno all’ascolto radiofonico) han dato gran prova di sè.

A Milano invece c’è non poca agitazione prima della prima, con sostituzioni dell’ultima ora (dopo Salminen, anche Filianoti è fuori).
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Update domenica mattina.

Mi hanno silurato! Gatti un bambino indeciso! La gestione cambierà.

Filianoti ha buttato una bomba a mano sulla prima.
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05 dicembre, 2008

Globalizzazione musicale 3.0

La tecnologia ormai può fare miracoli e ciò vale in tutti i campi delle umane discipline, musica inclusa.

Chiunque sappia suonare uno strumento può oggi candidarsi a cooperare (virtualmente prima, poi fisicamente) alla realizzazione di concerti (e opere, domani?)

È l’ultima (mah... forse ormai sarà già la terz’ultima) diavoleria inventata dai creativi di YouTube.

Provare, per credere.

04 dicembre, 2008

Benvenuto

Questo blog, nato un anno fa praticamente per scommessa, o per sport, e senza pretese di alcun tipo, si arricchisce oggi di una nuova voce (o penna, per meglio dire).

Che sicuramente lascerà un segno e un’impronta personalissima.
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Giuseppe Verdi - DON CARLO

Opera in quattro atti. Libretto di François-Joseph Méry e Camille Du Locle. Traduzione italiana di Achille de Lauzières e Angelo Zanardini

Nuova produzione Teatro alla Scala

Dicembre 2008: 07 (18:00), 10 (19:30), 12 (19:30), 14 (15:00), 16 (19:30), 19 (19:30), 21 (19:30)

Gennaio 2009:
04 (15:00 - riservato), 08 (19:30), 11 (19:30), 15 (19:30)

Durata spettacolo: 4 ore e 10 minuti

La Scala ritorna ancora una volta all'edizione italiana in 4 atti, mentre manca ancora una prima esecuzione della versione originale francese in 5 atti, modello grand-opéra, -incisa da Claudio Abbado con i complessi della Scala e Placido Domingo nel ruolo del titolo.
Anche l'edizione inaugurale del bicentenario scaligero, nel 1977, fu diretta da Abbado nella versione italiana in 5 atti "di Modena" del 1887, curata dallo stesso Verdi e integrata con alcuni dei brani tagliati già alla prima parigina, poi ritrovati negli archivi dell'Opéra di Parigi nel corso del Novecento. Anche là ci fu una questione di orari e si sostiene addirittura che il quarto d'ora di musica tagliato già alla prima assoluta fosse dovuto alla partenza dei trenini suburbani che dovevano riportare a casa il pubblico parigino. Verdi poi, in una lettera, lamentò che il taglio del primo atto, fatto per la Scala ma anche per Vienna, fosse stato imposto per non accorciare il tempo della cena ai pacifici viennesi, che andavano a teatro a pancia piena.
La mia opinione è che l'atto iniziale di Fontainebleau sia fondamentale nella struttura drammaturgica dell'opera, anche se molti ritengono che la riduzione a 4 atti l'abbia migliorata.
Mancano poi passaggi essenziali per la comprensione della vicenda, come il duetto Eboli-Elisabetta e lo scambio dei mantelli, per cui non si capisce cosa ci faccia Don Carlo nei giardini della Regina con in mano un biglietto (apocrifo) di Elisabetta e poi si trovi davanti invece la Eboli; è tagliato anche il compianto di Filippo per la morte di Posa, per cui non si sente il tema, che Verdi userà poi nel Lacrymosa della Messa da Requiem.
Nel complesso ritengo che al décalage intervenuto tra il dramma di Schiller e il libretto francese se ne aggiunga un altro nella traduzione italiana. Permane comunque l'inverosimiglianza storica della vicenda, che però nulla toglie all'efficacia del dramma e alla potente magnificenza della musica di Verdi, giunto ormai alla perfezione dello "stile vocale-strumentale" della sua seconda fase, come definita dal fondamentale saggio di Massimo Mila.
Condivido invece il taglio del balletto "La Pellegrina", dedicato a un'enorme perla che all'epoca di Filippo II apparteneva al tesoro della corona di Spagna. Non è un gran che e Abbado lo ha inciso a parte insieme ai brani omessi nella prima parigina e non ripresi da Verdi nella edizione di Modena in italiano: credo che i 5 atti con il balletto supererebbero in lunghezza la Goetterdaemmerung e mi pare giusto lasciare tale primato a Wagner.
A titolo di curiosità aggiungo che la Pellegrina fu portata a Parigi durante l'occupazione napoleonica e poi rivenduta più volte dopo la fine del secondo Impero. Ad un'asta la perla fu acquistata da Richard Burton, come dono a Elizabeth Taylor, che forse ne è ancora la proprietaria.

01 dicembre, 2008

Il Quiz del lunedi - 12


















L’immagine qui riportata si riferisce a:

1. “Don Giovanni” di Mozart.

2. “La Sposa Venduta” di Smetana.

3. “I Puritani” di Bellini.

4. “Il Ratto dal Serraglio” di Mozart.

5. “Tannhauser” di Wagner.

(la soluzione nella prossima puntata)
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Soluzione del Quiz n°11: Sigfrido (Weimar, Schulz)