Domenica
31 andrà in scena alla Scala la prima recita di Manon
Lescaut, che Riccardo
Chailly intende proporci nella stesura originale della prima assoluta di Torino (mercoledi 1 febbraio 1893). Sappiamo che
l’opera fu da subito riveduta e corretta, ancora nel 1893, per una
rappresentazione a Novara (giovedi 21 dicembre) e così fu presentata nel 1894
a Napoli (domenica 21 gennaio) e alla Scala (mercoledi 7 febbraio).
Puccini continuò a ritoccare la
partitura anche in seguito (fin quasi alla morte!) ma resta il fatto che la modifica più sostanziale e
sostanziosa fu quella (giammai revocata, si noti bene) apportata dopo Torino -
anche a fronte degli acuti suggerimenti (condivisi dall'editore Ricordi) del tanto
bistrattato Illica - al finale del primo atto. E proprio questa sarebbe la più interessante
novità (rispetto alla Manon che da più di un secolo si canta in tutto il mondo)
che il Direttore Musicale è ansioso
di offrirci.
Ma sarà proprio un’offerta gradita? Personalmente
mi son preso la briga di fare una lettura comparata del libretto e un ascolto
comparato della musica. E offro a questo rispettabile pubblico il materiale di base impiegato
per l'interessante disamina.
Ecco
qui i due testi (a sinistra quello universalmente adottato, a destra la versione
originale).
Poi ho
predisposto i due finali per l’ascolto comparato: versione
standard e versione
originale (ometto di segnalare gli interpreti, essendo aspetto
secondario). Le due registrazioni partono dall’accorato appello di Des Grieux a
Manon, perchè si decida a fuggire con lui
(Ah! Manon, Manon, v’imploro!) e
divergono nel testo dopo circa 40” e nella musica dopo circa 1’10”. Da qui
la versione originale è occupata da una gran baraonda generale, della durata di
circa un minuto e mezzo, con arrivo di gente da ogni dove, chiusa (1’33”)
dal concertato accompagnato
stentoreamente dalle note di Donna non vidi mai. Quella
divenuta definitiva invece si protrae per tre minuti e mezzo, comprendendo il
richiamo alla calma di Lescaut accompagnato dall’allegra canzoncina degli studenti, mutuata
dalla canzonetta di Des Grieux.
Prima del mio giudizio, riporto testualmente quello di una
delle massime autorità pucciniane in circolazione, Michele Girardi: un commento apparso
sul programma di sala della Fenice in occasione della produzione del
2010. L’oggetto è la versione originale (quella che ci propinerà Chailly):
Puccini imbastisce un
concertato di vaste proporzioni, basato sull’aria di Des Grieux ripresa per
intero, senza rispettare fedelmente l’ordine dei versi del libretto.
L’orchestra al gran completo suona
a «tutta forza», e il volume in scena è molto notevole.
Il brano è di fattezze
‘scapigliate’ (in particolare per la perorazione su vasta scala di una
melodia che riveste un ruolo musicale importante), e si capisce bene perché
il compositore lo abbia sostituito in gran fretta.
Dal punto di vista drammatico
Geronte perde i tratti imbarazzanti di un raffinato libertino e viene
degradato a basso da opera buffa (come uno dei tanti vecchi facoltosi in
cerca di moglie); così per Lescaut, che smarrisce quel poco di capacità
diplomatiche di cui disponeva, ed è solo gabbato, non ruffiano; viene inoltre
a mancare qualsiasi trait d’union tra la fuga di Manon e la sua presenza nel palazzo di Geronte
nell’atto successivo, che appare così assai meno motivata.
Dal punto di vista musicale l’eccessivo
rilievo attribuito all’aria «Donna non vidi mai» (che qui viene riesposta per
la terza volta!) scompagina il raffinato equilibrio della rete tematica
complessiva; inoltre, il trattamento di questo finale in due parti (tema in
progressione e ripresa dell’aria come base del concertato) ingenera una
prevaricante monotonia, e lo stile esibito invecchia a dismisura un’opera che
per tutti gli altri aspetti ha da offrire soltanto novità importanti.
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A leggerlo oggi, pare proprio che Girardi (mettendo al passato la versione riveduta) stia commentando la decisione di Chailly! Ebbene: devo dire che concordo in toto con le sue osservazioni critiche a questo finale primo originale. E mi permetto di affermare che rispolverarlo nella stagione principale della Scala mi pare una scelta quanto meno bizzarra (e Chailly è pure recidivo in iniziative di questo tipo): si tratta di operazioni pseudo-filologiche (insisto a definirle pisciatine di cane) da lasciare ai festival o alle bonus-tracks dei CD.
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