trallalalera, trallalalà!

droni di qua, razzi di là, bombe di su, spari di giù...

05 agosto, 2018

ROF-XXXIX: Ricciardo&Zoraide, un capolavoro incompreso?


Fra pochi giorni, precisamente il prossimo 11 agosto, Ricciardo&Zoraide inaugurerà il 39° Rossini Opera Festival con un nuovo allestimento di Marshall Pynkoski, che subentra a quello ormai storico di Luca Ronconi, presentato nel 1990 e poi riproposto nel 1996. E proprio della prima comparsa dell’opera al ROF è disponibile in rete la registrazione video, che ci serve ottimamente da guida per avvicinarci ai tesori di un lavoro che, dopo il discreto successo iniziale del 1818 a Napoli (Teatro di SanCarlo, giovedi 3 dicembre) fu progressivamente relegato nel dimenticatoio per essere riportato alla luce proprio per merito della Fondazione Rossini e del Festival pesarese.

Opera che va controcorrente rispetto a stilemi che lo stesso Rossini aveva impiegato largamente (struttura ad arie, per mettere in risalto le qualità gorgheggiatorie dei cantanti, intercalate da - per noi noiosissimi - recitativi secchi atti a far procedere l’azione) per tornare al recitar-cantando di bardiana memoria: dove i virtuosismi, che certo non vengono aboliti, sono però integrati in grandi blocchi scenici costellati da cori, duetti, terzetti, quartetti, quintetti, sestetti e concertati, dove la musica (e che musica...) la fa davvero da padrona, senza un attimo di respiro o di caduta di tensione.   
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Già il Preludio orchestrale presenta alcuni aspetti abbastanza inconsueti: alla battuta 13 (su 129 totali) troviamo in partitura l’indicazione S’alza il sipario, cosa a prima vista sorprendente, dato che l’Introduzione (che peraltro si connette direttamente al Preludio) arriverà dopo circa 9 minuti. Ma una ragione c’è, poichè dopo il DO minore del Largo, 4/4 di apertura, a battuta 33 una Banda sul palco, molto lontana, anticipa precisamente il motivo (in DO maggiore, 2/4, Marziale) che si udirà nell’Introduzione, quando vedremo arrivare, sul far del giorno, l’armata di Agorante, reduce dalla vittoria sull’invasore Ircano.

Questa apparizione di una banda sulla scena (cosa abbastanza nuova a quei tempi) è per ora assai fugace, chè a partire da battuta 58 (Andante grazioso, 6/8) Rossini inserisce una serie di preziosi passaggi solistici che hanno come protagonisti il corno, poi (battuta 70) il clarinetto, ancora corno (82) e clarinetto (94) sempre in FA maggiore, per chiudere in bellezza con il flauto (106) che porta - in LA minore - alla conclusione del Preludio e all’attacco dell’Introduzione. Insomma, si tratta di una vera e propria genialata, a livello di teatro: dopo l’apparizione in lontananza dell’armata di Agorante deve necessariamente passare del tempo, prima che essa arrivi in primo piano, e così Rossini, anzichè reiterare con monotonia il motivo marziale, ci fa passare quel tempo in modo a dir poco mirabile!
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Il primo blocco scenico, oltre al Preludio a sipario alzato, comprende l’Introduzione, che ad esso si connette senza soluzione di continuità, caratterizzata dall’ingresso del coro che canta - sul tema della banda, 2/4 Marziale, in DO maggiore - l’elogio del condottiero vittorioso sugli asiatici di Ircano (Cinto di nuovi allori). Agorante fa la sua entrata con un recitativo accompagnato (Popoli della Nubia) seguito da una cavatina, ma che dico, una cavatona, addirittura strutturata su non meno di tre sezioni, con interventi e pertichini del coro!

Dapprima sul motivo Marziale della banda (Minacci pur) in FA maggiore, 4/4, con la sua sfida a Ircano, poi su un tempo Andantino, 6/8, in LAb maggiore (Sul trono) per prefigurare le gioie di avere Zoraide accanto a sè, e infine, dopo l’eccitato e compiacente intervento in Allegro, 4/4, del coro (Sì con quel serto istesso) con la spumeggiante sezione finale, nuovamente a ritmo marziale in FA (Or di regnar per voi) ancora con il coro, chiusa poi dalla banda sul palco accompagnata dall’intera orchestra.
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Ecco quindi un nuovo e corposo blocco (comprendente le Scene da II a V) dove facciamo la conoscenza di Zoraide (che Agorante ha fatto rapire al paladino Ricciardo - con il quale era fuggita - e rinchiudere nella sua reggia) e della sua ancella Fatima. Le due assistono sbigottite e preoccupate al giubilo delle donzelle nubiane che si preparano ad accogliere il loro Re, con un coro Allegro vivace, 3/8 in LA maggiore, Allegro giusto (che svaria sul circolo delle quinte, a MI e a RE). Le due prigioniere sono preoccupate per il ritorno del sovrano (Ah Fatima, io tremo, in FA# minore) ma anche per l’ira del padre di Zoraide (Ircano, che non ha digerito la fuga della figlia con Ricciardo) e per la gelosia della moglie di Agorante, Zomira. Le due chiudono con un duetto per terze (Amore mi strazia) ancora in LA maggiore, mentre il coro le contrappunta reiterando il suo giubilo.

Dopo un recitativo accompagnato in cui Fatima cerca di tranquillizzare la sua signora, ecco arrivare proprio Zomira, che si mette a stuzzicare pesantemente Zoraide, decisa com’è a liberarsi di lei. Alcune schermaglie in recitativo accompagnato (Maestoso, 3/4, MI minore) ed ecco il duetto fra le due rivali che comincia (Invan tu fingi, ingrata) con un Allegro giusto in MI maggiore, 4/4. Anche qui abbiamo una struttura assai articolata, con passaggi di botta-e-risposta fra le due alternati ad altri a due voci (di norma per terze). Così, dopo la prima frase agitata di Zomira, che accusa Zoraide di amare Agorante, chiusa da un accompagnamento ribattuto, la riposta (Che dura prova) della protagonista è sulla stessa linea melodica, con marcati virtuosismi, ma presto modula alla dominante SI maggiore (Come il mio core, oh Dio).

Segue una breve e languida transizione orchestrale che modula ulteriormente a SOL maggiore, su un tempo Andantino, in 3/4, introducendo un’altra esternazione di Zomira (Quale insultante orgoglio). Zoraide risponde (Ella mi guarda e freme) con la stessa melodia, ma trasposta in SOL minore. Le due voci cominciano a sovrapporsi, pur esprimendo opposti sentimenti, e finalmente un’accelerazione del ritmo con modulazione a MI maggiore introduce la stretta finale del duetto, Allegro, 4/4. Zomira (Io più non resisto); Zoraide (Da me che pretendi) si abbandonano ad un battibecco, chiuso ancora a due voci per terze e sullo stesso testo (Che smania è mai questa) con fiero cipiglio.

Ma adesso ecco sopraggiungere Agorante, tutto tronfio e con un‘idea ben precisa in testa: condividere con la moglie l’amistà più pura e con l’amante un dolce amore (apperò!) Così - in LA maggiore - annuncia pari-pari a Zomira (che con Zoraide teme il peggio, come testimonia il LA minore delle loro esclamazioni) di non provare più per lei alcuna attrazione, che adesso riserva alla sua nuova fiamma Zoraide, ma tuttavia la sua magnanimità è tale da fargli concedere alla moglie legittima di convivere come nulla fosse con la nuova amante (diciamo la verità, chi non ha mai sognato un simile ménage?)

Ha quindi inizio il terzetto in DO maggiore, 4/4, Maestoso, che manco a dirlo presenta una struttura assai complessa, con l’intervento anche del coro di damigelle nubiane. Dapprima (a partire da Cruda sorte di Zoraide) ecco una serie di esclamazioni smozzicate dei tre, che esternano i rispettivi stati d’animo; poi la tonalità modula a LAb maggiore, 12/8 (Scendi propizio) allorquando le damigelle si inseriscono nel terzetto (da lontano) mostrando di tener le parti di Agorante e Zoraide (mah, forse sperano che un domani tocchi ad una di loro entrare nelle grazie del Re); ancora i tre le contrappuntano con contrastanti esclamazioni, finchè Agorante sbotta, su un ritmo marziale (Allegro, 4/4): Dunque ingrata e i tre riprendono un animato scambio di slanci amorosi (Agorante), di acide accuse (Zomira) e di imprecazioni al destino (Zoraide).

Si giunge così (Vivace, marcato, 4/4) alla stretta finale (Sarà l’alma delusa/dolente) dove i tre cantano dapprima disgiunti (Agorante in DO maggiore, Zomira in SOL maggiore e Zoraide ancora in DO) poi accavallando le voci sugli interventi spiritati dell’ottavino; il tutto ripetuto canonicamente e seguito da una tumultuosa cadenza: una chiusa quanto mai travolgente dell’incontro-scontro fra i tre protagonisti dell’imbarazzante triangolo.
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Arriva finalmente il momento (Scene VI e VII) del protagonista Ricciardo, che non si rassegna alla perdita di Zoraide e medita di trafugarla dalla reggia di Agorante. Una pattuglia di ricognizione nubiana cazzeggia (Tutto è in calma) presso il fiume che bagna la capitale Duncala. Il tempo è Allegro giusto, 4/4 tonalità MIb maggiore. Il coro avvista una bagnarola che reca il prode paladino, travestito però da guida africana, che accompagna Ernesto, ambasciatore crociato venuto fin lì in missione diplomatica ad incontrare Agorante.

Attacca qui un’introduzione strumentale (tempo Moderato, tonalità DO maggiore, 4/4) di fattura a dir poco straordinaria, che in sole 37 battute evoca con assoluta appropriatezza lo stato d’animo del paladino, oppresso dal suo insopportabile magone... In un recitativo accompagnato, dove riemergono però atmosfere dell’introduzione, Ricciardo (Eccoci giunti) manifesta ad Ernesto la sua intenzione di seguirlo fino al cospetto del Re, mentre il condottiero crociato cerca faticosamente di dissuaderlo dal compiere atti che lo potrebbero compromettere.

Abbiamo ora (tempo Andantino, DO maggiore, 12/8) la cavatina di Ricciardo, articolata in tre sezioni: la prima (S’ella mi è ognor fedele) è ricca di virtuosismi; la seconda, dopo un’interlocuzione di Ernesto, virando bruscamente a MIb maggiore, 4/4 (Trionferemo insieme) è invero traboccante di slancio; la terza (Qual sarà mai la gioia) torna a DO maggiore e comporta salite vertiginose fino al RE sovracuto, poi viene ripetuta, con cadenza finale cantata da entrambi i tenori (Ricciardo chiude sul DO acuto). 
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La parte finale dell’atto (Scene da VIII a XIII) vede un recitativo di Zomira ed Elmira, sua confidente, la quale promette alla signora di far di tutto, insieme ad altre fidate ancelle, per impedire che Zoraide prenda il suo posto.

Ma adesso ci si prepara all’incontro di Agorante con l’ambasciatore crociato (Ernesto) accompagnato dalla sua guida africana (Ricciardo sotto mentite spoglie): qui avremo insieme tre tenori! L’orchestra introduce la scena con un motivo (Moderato, in MIb maggiore, 4/4) che poi la chiuderà, motivo del tutto appropriato, per seriosità e portamento, ad accompagnare un incontro diplomatico al massimo livello.   

Il contenzioso fra i due (punteggiato da interiezioni stizzite di Ricciardo, che si trattiene a stento) riguarda la scorribanda notturna dei militi di Agorante in campo crociato, ed Ernesto chiede il rilascio dei suoi fatti prigionieri, ma anche di Zoraide, rapita con loro. Cosa che Agorante nega nel modo più risoluto, sicuro com’è che la stessa Zoraide si dichiarerà decisa a rimanere con lui. Il dialogo fra i due (con gli interventi del terzo) è costellato da nervosi incisi orchestrali e da continue modulazioni, fino ad arrivare al DO maggiore con cui il motivo dell’introduzione chiude (per ora) l’incontro.

Un brusco scarto di tonalità, al MI maggiore, Maestoso, 4/4, porta all’ingresso del coro dei notabili di Agorante: su un motivo il cui incipit è un arpeggio sulla tonica MI (Bellini se ne ricorderà nel coro dei Druidi) i nubiani (Se al valore) esaltano le qualità di Zoraide, che viene chiamata al cospetto di Agorante, mentre il coro ne reitera le lodi.

Il recitativo accompagnato che segue ci presenta le nuove profferte del Re (Sgombra ogni tema dal tuo cor) che chiede alla donna di accettare il suo amore e, con esso, il trono (!) La tonalità scende sul circolo delle quinte, da MI a LA, a RE maggiore, poi da qui alla relativa SI minore. Zoraide (Signore, a te son grata) rimane fredda e indifferente (SOL minore) e Agorante taglia corto, con un brusco RE maggiore (Più pretesti non voglio) per poi virare a SOL, dominante del DO che supporta tutto il finale.

Finale che inizia con un mirabile quartetto (Agorante-Zoraide più i sopraggiunti Ernesto e Ricciardo - si noti che il paladino travestito da baluba ancora non è riconosciuto dall’amata, lo sarà all’inizio dell’atto successivo) in Andante maestoso, 4/4, il cui incipit (Cessi ormai quel tuo rigore) in bocca ad Agorante - con la classica salita da dominante a tonica - anticipa tanti altri momenti di grande musica (uno su tutti, il belliniano A te o cara...) I quattro ovviamente esternano i rispettivi crucci, speranze, magoni, etc. Così Agorante implora amore da Zoraide; Ricciardo (Senti, oh Ciel!) sussurra il suo incontenibile trasporto per la bella asiatica ad Ernesto, che lo invita (Frena, oh Ciel!) per l’ennesima volta alla moderazione, per non mandar tutto a meretrici; e alla povera Zoraide non resta (Tu che vedi il mio dolore) che raccomandarsi al cielo (non senza sfoggiare un RE sovracuto).

Un perentorio rullo di timpani (Allegro) anticipa la secca intimazione di Ernesto al Re nubiano: Risolvesti? Agorante risponde sprezzantemente: mi tengo Zoraide e faccio la guerra a chi mi contrasta! In DO minore i due innamorati (Al fier tumulto) esternano la loro disperazione, mentre anche il coro dei nubiani deplora l’accaduto, modulando a FA maggiore. E su questa tonalità Ernesto (Parto ed annunzio) promette la guerra ad Agorante, che modulando alla relativa RE minore (Dì che invncibile) si dice certo di uscirne vincitore. Arriva anche Zomira a cercar di frenare il marito, che però imperterrito (virando la tonalità a LAb maggiore, All’armi!) è ormai in preda a bellicoso furore e chiude minacciando... abbattervi tutti saprò: e sul quel saprò, in partitura Rossini si affida all’estro del tenore (a piacere del Sig. Nozzari...) che può quindi esibirsi, magari, in un REb sovracuto.      

Sul LAb maggiore Inizia ora (Confusa, smarrita) un celestiale sestetto (si aggiunge infatti anche Fatima) in tempo Andantino in 3/4, dove tutti manifestano grande apprensione e smarrimento.

Si passa infine ad un Allegro vivace, 2/4, in DO maggiore, e si ode in lontananza la banda suonare richiami marziali, al che tutti sbottano in un costernato Qual suono terribile e l’atto si chiude - aggiungendosi ai sei anche il coro - con un grande concertato che certifica la drammatica situazione venutasi a creare.
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Il secondo atto si apre (Scene I-II) con un’inaspettata visita di Ricciardo (trattenutosi nella reggia dopo la partenza di Ernesto) ad Agorante. Il paladino ha in mente un piano diabolico (e pure inverosimile, se per questo) per trafugare la sua Zoraide, e lo mette in atto in un recitativo accompagnato: accusa Ricciardo di avergli rapito la moglie (il che dimostrerebbe che non ama più Zoraide) e spiega la richiesta di costui di restituzione della donna con il desiderio del paladino di vendicarsi di lei, ritenuta infedele e felicemente traslocata fra le braccia del Re. Agorante dapprima ha qualche dubbio a credere a simili stravaganze, ma poi si convince ad allearsi con il finto africano: gli chiede addirittura di convincere Zoraide ad amare lui, svelandole il tradimento di Ricciardo!

Attacca così il duetto fra i due tenori, un Andantino in LA maggiore, 6/8, con la richiesta e la promessa di Agorante (Donala a questo core) e la risposta e la speranza (Furor, rispetto, amore) di Ricciardo che già pregusta la riconquista dell’amata. Ancora uno scambio di battute fra i due che poi, modulando a DO maggiore su tempo Maestoso, 12/8, cantano insieme, per terze (Qual dolce speme) la loro prossima felicità. Poi ribadiscono il concetto con virtuosismi (arpeggi sulla dominante e sulla tonica, rispettivamente) che vedono Ricciardo salire anche al DO acuto; infine (tempo Allegro vivace, 4/4, tonalità tornata a LA maggiore) ecco la stretta del duetto (canonicamente ripetuta) con due esternazioni separate (Come potrò reprimere) e un’ultima congiunta (Gioco d’amor). L’orchestra chiude con una cadenza non priva di sfumature tutt’altro che serene...
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Adesso (Scene III-IV) ci apprestiamo ad assistere all’incontro fra Ricciardo e Zoraide, aperto da un recitativo (Partì. Che mai farò?) in cui il paladino manifesta insieme timori (che qualcosa non vada per il verso giusto) e grande emozione per l’imminente felicità che lo aspetta. Arriva finalmente Zoraide, che subito si mostra sospettosa e timorosa di esser vittima di una specie di agguato. Ricciardo finalmente le si rivela e i due possono gioire della ritrovata unione, con un duetto in Allegro giusto, 4/4, DO maggiore. Spalleggiata da una languida scala ascendente del flauto, lo attacca Zoraide (In tanto contento) manifestando incontenibile gioia. Le risponde (per le rime...) Ricciardo (S’ei giunge) mettendola in guardia da una possibile irruzione del Re. Insieme cantano poi (Tra i teneri amplessi) il piacere che li attende.

Il libretto ci dice però che Elmira (la confidente di Zomira) li sta spiando per riferire della tresca alla padrona. E di un pericolo incombente ci avverte la musica, che muta tempo in Andante, 2/4 e tonalità a DO minore, mentre Zoraide manifesta i suoi timori per l’ira del Re (Temo del perfido) e poi chiede a Ricciardo come fece lui a introdursi fin lì. Su una modulazione alla relativa MIb maggiore (Fu amor propizio) il paladino risponde che l’amore supera ogni sfida ed entrambi si aprono alla speranza (Proteggi amore) per poi (ritorno a DO maggiore e a tempo Allegro, 4/4) promettersi eterna fedeltà (Sarem per sempre insieme). Ecco poi la stretta (Ah! nati, è ver, noi siamo) su un agitato ritmo puntato e immancabile crescendo, ovviamente ripetuta.
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Nelle scene V-VI si passa da un possibile anticipato lieto fine della vicenda (ovviamente non sarà così, poichè l’opera deve ancora riservarci i momenti più drammatici e... tre quarti d’ora di grande musica!) al precipitare della situazione verso il peggio. Dunque, in un lungo recitativo seguiamo Agorante che arriva per accertarsi dell’auspicato successo della missione di Ricciardo (convincere Zoraide ad accettare il suo amore). Così, abilmente spalleggiato dal paladino, che gli fa credere di averla convinta, chiede a Zoraide di manifestare i suoi sentimenti. Al silenzio di lei si imbufalisce e decide seduta stante di rispedirla all’uomo che le si è dimostrato infedele (come da invenzione di Ricciardo).

Ecco, qui tutto sembrerebbe finire (con gran rammarico/incazzatura del pubblico) ma arriva, improvviso quanto scontato, il colpo-di-teatro: il Re si pente subito della sua decisione e cambia idea: Zoraide venga spedita in carcere e la sua sorte sia decisa da un duello fra un difensore della donna e un partigiano del Re (avete presente la recente disfida Lohengrin-Telramund in quel di Bayreuth?) Del tutto implausibilmente si fa avanti un cavaliere nero (ovviamente con elmo integrale, solo il libretto ci dice trattarsi di Ircano, padre di Zoraide) deciso a difendere la donna e portarla con sè.

Attacca qui un grande quartetto (Zoraide-Ricciardo-Agorante-Ircano) in tempo Allegro giusto, 4/4, MI maggiore. Ircano (Contro cento e cento prodi) esterna la sua baldanza e il disinteresse che lo muove a difendere i deboli e gli oppressi; Ricciardo e Zoraide (Più allegro) seguiti subito da Agorante (Quanti dubbi) manifestano perplessità e timori di fronte alla figura di quell’ignoto cavaliere. Questa prima parte del quartetto viene ripetuta, poi Ircano domanda chi sarà il suo avversario nel duello. Agorante (ironia della sorte) nomina suo paladino il... paladino! Si viene quindi a creare la classica situazione iper-drammatica (mettendosi nei panni di Zoraide): uno scontro all’ultimo sangue fra il padre e l’innamorato! Però, dato che Ircano è irriconoscibile agli altri protagonisti, Zoraide inclusa, il dramma resta per il momento relegato alle sole nostre teste di spettatori informati dei fatti...  

La tonalità è scivolata a SOL maggiore, il tempo ad Andante, 2/4: in un’atmosfera carica di tensione i quattro esternano contemporaneamente i rispettivi sentimenti: Ricciardo-Zoraide (Quale inatteso fulmine) e Ircano (Più ratto ancor del fulmine) sono in preda al più cupo sconforto, mentre Agorante (I torti miei, qual fulmine) già pregusta la vendetta su tutto e tutti.

Una violenta strappata dell’orchestra a SI maggiore, Allegro, 4/4, rompe gli indugi, introducendo l’ordine perentorio di Agorante (Nel più profondo carcere): Zoraide sia incarcerata! Le reazioni scomposte degli altri tre caratterizzano questa stretta finale del quartetto, cui si aggiunge anche il coro (mentre la tonalità è scesa al MI maggiore) arrivato a imporre l’ordine del Re.
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Le successive scene, dalla VII alla XIII, che precedono il finale, vedono protagonisti Zomira, il coro dei nubiani e la sua confidente Elmira, poi Zoraide e la stessa Zomira, quindi Agorante e la moglie: dapprima costei viene informata dai nubiani (Incognito audace) dell’arrivo del cavaliere nero e dell’imminente duello con colui che ancora si crede essere la guida africana (Del Franco tra breve). Ma Elmira conferma che trattasi invece di Ricciardo, così Zomira comincia a meditare il suo piano per incastrarlo, insieme alla donna che le ha rubato il cuore del marito. Lo fa con una cavatina di struttura A-B-A, Andantino 12/8, la cui prima strofa (Più non sente quest’alma dolente) è in FA maggiore e la seconda (Ah quest’alma trovar non può calma) nella dominante DO, cui segue la ripresa della prima in FA.

Ora ci trasferiamo nella prigione in cui è rinchiusa Zoraide: l’atmosfera è cupa, LA minore la tonalità, e un’introduzione orchestrale anticipa il coro che rimprovera alla donna (Il tuo pianto, i tuoi sospiri) la sua colpa, non lasciandole alcuna speranza di salvezza. Lei invece non fa che reiterare l’angosciosa domanda: Ricciardo è vinto o vincitore?

L’atmosfera si agita al sopraggiungere di Zomira, che Zoraide accoglie freddamente, convinta che la rivale venga da lei per aggiungere al danno anche le beffe. Mentendo, Zomira le confida di esser lì per salvare lei e il suo Ricciardo, vincitore del duello, ma poi arrestato perchè si è scoperta la sua vera identità. Zoraide finge di cascar dalle nuvole, a proposito del paladino, ma infine si prepara a fuggire con l’amato, seguendo le indicazioni di Zomira, che invece ha predisposto tutto per il loro arresto, del quale si compiace!

Ora è Agorante a farsi vivo, in cerca di Zoraide. La moglie lo avverte della fuga della donna e del suo Ricciardo, che Agorante solo ora scopre essere la guida africana di Ernesto. E prepara la vendetta, così come Zomira, spalleggiata dal coro, che si prepara a godersi la brutta fine dei due amanti.
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Eccoci quindi arrvati al gran finale (Scene XIV-XVII). Lo introduce un coro in DO minore, Maestoso, 2/4, che piange il crudele destino di Zoraide: dapprima i soli uomini (Qual giorno, aimè! d’orror!) poi, in MIb maggiore, le sole donne (Vittima dell’amor) e infine tutti (Nè il pubblico dolor) ancora in DO minore. Zoraide incontra Ricciardo e insieme si preparano a morire, finalmente e per sempre, uniti. Riprende il coro come sopra, prima gli uomini, poi le donne, poi tutti insieme.

Sopraggiunge anche Ircano, ferito e prigioniero, ma ora da tutti riconoscibile, in particolare dalla figlia, che lui però scaccia come traditrice. Lei cerca di farsi perdonare, lui vorrebbe farlo, ma la presenza di Ricciardo peggiora ulteriormente la situazione, chè ora è chiaro a tutti che il paladino è il feritore in duello del padre della donna.

Giunge ora Agorante, che chiede di affrettare l’esecuzione di nemici e traditori. Attacca ora un’aria assai articolata, in MIb maggiore, Allegro, 4/4, con Zoraide che implora il Re di risparmiare almeno suo padre (Salvami il padre almeno) ma il sovrano è deciso: modulando a SIb maggiore risponde (Prima il rival si sveni): si sopprima subito Ricciardo e poi, se Zoraide ancora rifiuterà di cedergli, si passi anche Ircano per le armi. La donna, suo padre e l’amante restano sbigottiti e il coro certifica (Salvarli chi può) la funesta fine dei tre, mentre la tonalità è passata a DO maggiore. Su questa attacca ora un Andantino, 3/4: una mirabile melodia con la quale Zoraide (Per poco ti calma, ripetuta) cerca di frenare l’ira di Agorante, combattuta tra la volontà di non cedergli e l’amore per la vita di padre e amante, che le suggerisce il contrario. Il tempo muta a 4/4 e Agorante reitera la sua minaccia (O dammi la destra): cedi o Ricciardo perirà.

A questo punto Zoraide cede (La destra) accettando, in cambio della vita del padre, il ricatto di Agorante, ma ribadendo (tempo Vivace, tonalità MIb maggiore, No, ceda nel petto) che il Re non avrà il suo amore. Agorante, Ricciardo, Ircano e il coro esprimono i rispettivi e contrastanti stati d’animo di fronte al gesto di Zoraide, ma ora arriva il definitivo colpo-di-teatro: come nei più triti film di far-west degli anni ’50 del ‘900, ecco che Zomira annuncia l’imminente disfatta dei nubiani sotto l’incalzare dei crociati di Ernesto!

In tempo sempre Vivace, 3/8, DO minore, l’orchestra sottolinea drammaticamente l’irruzione dei paladini e il conseguente scontro con le guardie di Agorante. Che Ernesto si preparerebbe a far secco, se non ne venisse trattenuto proprio da Ricciardo (T’arresta) ora magnanimemente clemente verso il nemico-rivale. In tempo Maestoso, 4/4, MIb maggiore (qui il tenore può ancora sbizzarrirsi in RE sovracuti) il paladino e Zoraide, il Re e Zomira manifestano opposti stati d’animo, mentre Ircano (passando a DO maggiore) perdona figlia e... futuro genero.

In tempo Andantino, 2/4, FA maggiore, Ernesto (Or più dolci) dà il via al grandioso concertato finale a sei (più il coro) che celebra il lieto fine per tutti, Agorante compreso (?) tranne che per la povera Zomira.
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Beh, non sarà ai livelli del Tell o di Semiramide, ma a me pare che - musicalmente parlando - si tratti di un lavoro che merita assai più considerazione e attenzione di quanta non gliene viene riservata ancor oggi. 

01 agosto, 2018

Partito Bayreuth, si prepara Pesaro


La settimana dal 25 al 31 luglio ha visto l’avvio del Festival di Bayreuth, con le recite delle 6 opere in cartellone: Lohengrin (2), Parsifal, Tristan, Meistersinger, Holländer e Walküre. L’ascolto radiofonico (un po’ su Radio3, poi su RadioClasica e infine sulla casalinga BR) mi ha lasciato mediamente soddisfatto, una media risultante dai più di Lohengrin, Parsifal e Meister compensata dai meno di Tristan, Holländer e Walküre. Quelle di Thielemann (in Lohengrin) Bychkov (Parsifal) e Jordan (Meister) mi son parse le direzioni più equilibrate ed efficaci. Beczala-Harteros (Lohengrin), Pankratova-Mayer (Parsifal), Gould-Lang (Tristan), Volle (Meister), il coro (! Holländer) e Kampe-Lundgren-Foster (Walküre) le voci più in palla. Insomma, un scorpacciata di Wagner che ho personalmente metabolizzato senza troppi problemi. E mi spingo a dire che, con la recente stabilizzazione della direzione artistico-musicale, ora saldamente in pugno alla coppia Kathi-Christian, il Festival si stia risollevando dal marasma in cui era caduto negli ultimi anni della gestione di Wolfgang e poi di quella della coppia di sorellastre sue figlie (Eva-Kathi).
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Lasciato così Bayreuth, scendiamo ora sull’Adriatico, visto che il prossimo 11 agosto prenderà il via l’edizione XXXIX del Rossini Opera Festival (edizione commemorativa dei 150 anni dalla morte del grande Gioachino) che chiuderà il 23 agosto con l’ormai tradizionale concerto (la Petite Messe Solennelle) diffuso anche su maxi-schermo in Piazza del Popolo.   

Qualche curiosità statistica sui tre titoli di questa edizione, tutte nuove produzioni: Ricciardo&Zoraide torna dopo 22 anni, essendo alla sua terza presenza (la prima nel 1990 e la seconda nel ’96); Adina è pure al terzo giro (1999, 2003) e il Barbiere (noblesse-oblige) è al quinto ritorno dopo il 1992 (’97, 2005, ’11-concerto e ’14) uguagliando il record di presenze de La Scala di Seta. Qui la tabella completa della presenza delle opere al ROF. Una nutrita serie di eventi collaterali (con l’immancabile Reims accademico) completa come sempre il programma pesarese.   

Non so se sia stato un preciso e deliberato criterio di scelta di Palacio(&Mariotti) o se invece si tratti di puro caso, ma i soggetti delle tre opere hanno una comune caratteristica, che li può far catalogare nel genere di pièce-à-sauvetage... C’è sempre di mezzo una giovane donna (quindi: il soprano, massimo il mezzosoprano) che è alla mercè del prepotente di turno (può essere un pipistrello di mezza età, per non dir di peggio, ergo un basso, oppure un potente ruspante, quindi secondo tenore) al quale viene alla fine sottratta dal giovane innamorato corrisposto (il primo tenore, ça-va-sans-dire) che impiega il classico trucco del travestimento e i servizi di un sodale per insinuarsi nel luogo di detenzione dell’amata e infine farla sua, non senza aver prima corso i suoi bei rischi e pericoli. 

Ciò vale per il Barbiere, la cui trama è arcinota: la bella Rosina è tenuta sequestrata in casa dall’attempato tutore Bartolo, mirante alla sua dote, mentre il giovane spasimante Conte d’Almaviva non solo - per metterla alla prova - si fa passare con lei per uno squattrinato studente, ma poi, spalleggiato dall’intraprendente Figaro, impiega non uno ma due travestimenti per raggiungere l’amata e liberarla, dopo vicende più o meno emozionanti.

E vale per Adina, una farsa che Rossini compose nel 1818 ma rappresentò (a Lisbona) solo 8 anni più tardi. Il titolo più pertinente per questo atto unico sarebbe Adina, ossia l’incesto scongiurato. Poichè vi troviamo il Califfo di Bagdad che vorrebbe a tutti i costi ingropparsi la bella giovane, a spese del corrisposto Selimo, che a sua volta si fa passare per apprendista del giardiniere dell’harem, Mustafà, per cercar di trafugare l’amata allo sbifido libidinoso. Smascherati ed arrestati, i due amanti farebbero una gran brutta fine, senonchè il Califfo scopre giusto in tempo che Adina è - ma vallo tu a immaginare - sua figlia! E così tutto finisce in gloria. 

Ricciardo&Zoraide, composta quasi contemporaneamente ad Adina, è un’opera seria a lieto fine, che ha come trama un autentico ginepraio, tra scaramucce fra il re della Nubia e un intruso condottiero asiatico e interventi dei crociati (!) La povera Zoraide è concupita e rapita dal re Agorante (stufatosi della moglie Zomira) che sconfigge l’asiatico Ircano, padre della bella, mentre il paladino Ricciardo si traveste da baluba al servizio del crociato ambasciatore Ernesto per introdursi nella reggia e riprendersi l’amata. Rischierebbero entrambi di rimetterci le penne, se con cronometrica tempestività non arrivassero i nostri ad esportare la democrazia imporre il lieto fine.
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Titolo di spicco è proprio Ricciardo&Zoraide, stante la presenza di JDF, spalleggiato dalla negretta Yende e dal tornante (dopo il promettente esordio del 2017) Romanovsky. Sul podio Sagripanti (R&Z e PMS) Abel (Barbiere) e Matheuz (Adina). In buca le Orchestre della RAI e la Sinfonica Rossini (per Adina). Cori del Ventidio Basso e della Fortuna (per Adina).

Quanto alla radiodiffusione, nulla al momento si sa dall’agenda di Radio3... ergo non ci resta che confidare che venga confermata la fedeltà all’appuntamento con le tre prime (11-12-13, sempre ore 20).

26 luglio, 2018

Bayreuth ha aperto con il Lohengrin di Thielemann


Ieri pomeriggio(-sera) Radio3 ha irradiato da Bayreuth la prima della nuova produzione di Lohengrin, diretto dal padrone di casa (musicalmente parlando) Christian Thielemann e interpretato da Piotr Beczala, chiamato appena in tempo a rimpiazzare il forfait-tario Roberto Alagna.

Per ciò che si può giudicare dall’ascolto tecnologico, direi che sia stato un trionfo per Thielemann, che in questo repertorio ha pochi rivali, poichè oltre a conoscere come le proprie tasche ogni segreto delle partiture (ha ora diretto tutto il Wagner che si presenta a Bayreuth) conosce meglio di chiunque altro l’ambiente (materiale e... umano) della verde collina. Certo il suo è un approccio ultra-conservatore (Cosima ne sarebbe entusiasta) e un Boulez, per dire, gli è mille miglia lontano. Poi è da vedere se il suo sia anche l’approccio autentico del vecchio Richard o quello, appunto, della terribile figlia di Liszt.

Quanto ai contenuti, ormai è diventato uno standard anche a Bayreuth il taglio di 168 battute che separano la celebre esternazione di Lohengrin dall’arrivo del cigno (qualcuno potrebbe direttamente cassare quelle battute da una nuova edizione critica dell’opera...) Ai curiosi interessati offro la possibilità di ascoltare questi più di 4 minuti che si perdono, qui da 12” a 4’30”, da un’edizione proprio di Bayreuth del 1954 (prima dell’avvento del taglio) diretta da Jochum con Windgassen.

Passando alle voci, discreto Beczala e ottima (per me) la Harteros. Quanto alla venerabile Meier, la sua classe non tradisce mai, peccato che la sua sia (ormai...) una voce troppo acuta e poco appropriata (almeno per i miei gusti, sia chiaro) per la personalità della cattivona Ortrud, assomigliando troppo a quella di Elsa (il duetto del second’atto pareva cantato da una sola voce!) Voto abbastanza alto anche per Konieczny, un Friedrich assai autorevole; un filino sotto lo Heinrich del veterano Zeppenfeld; sufficienza risicata per l’araldo Silins.

Strepitosi coro e orchestra, componenti che lassù davvero non tradiscono mai.

La regìa ha collocato l’opera in una centrale elettrica. Quindi... spettacolo elettrizzante?!

PS: il sito di Radio3 presenta ora la programmazione addirittura fino al 31 luglio! Veniamo così a sapere che oggi potremo ascoltare Parsifal e domani Tristan. Disco rosso invece per i Meister di sabato (troppo Wagner nuoce evidentemente alla salute...)

18 luglio, 2018

Arriva Bayreuth 2018 (nel caso a qualcuno gliene fregasse...)


Mercoledi 25 luglio la verde collina ospiterà l’apertura del festival wagneriano n°107. (Quasi) niente Ring (come al solito fra una produzione e la successiva ci si prende uno o due anni sabbatici) e quindi la novità dell’anno è un nuovo Lohengrin (che pare sia ambientato in una colonia di gatti, per par condicio con i topi della precedente produzione di Neuenfels...) Gli tengono compagnia in cartellone riprese di recenti produzioni: Parsifal, Tristano, Maestri e Olandese. In più, come omaggio al Topone, tre recite di Valchiria (ultima produzione di Castorf) isolata dal resto dell’Anello.

Ecco qui un prospetto storico (aggiornato al 2018) delle attività del Festival: 

titolo
stagioni
rappresentazioni
allestimenti
Parsifal
93
536
10
Ring (ciclo)
86
    919
14
    Rheingold

229

    Walküre

230

    Siegfried

229

    Götterdämmerung
  
231

Walküre (isolata)
      1
    3

Meistersinger
49
319
12
Tristan
48
244
11
Holländer
40
238
10
Lohengrin
37
235
10
Tannhäuser
35
220
  8

Tanto per movimentare l’atmosfera, a meno di un mese dalla prima, Roberto Alagna, il nuovo Lohengrin, l’ha data buca (motivazione ufficiale: il superlavoro non gli ha dato il tempo di studiare bene la parte... ohoh, ma quale professionalità!) e così Thielemann ha chiamato Beczala, che con lui se non altro ha già cantato 3 anni fa la parte dell’argenteo cavaliere a Dresda.

Sul fronte dei Direttori quest’anno avremo due new-entry: il Bychkov per Parsifal e il citato Domingo, che calcò il palcoscenico di Bayreuth nei primi anni ’90 proprio come puro folle e poi nel 2000 come Siegmund nel ciclo del Ring di Sinopoli, e che adesso scenderà giù nella torrida buca a dirigere Valchiria. Il padrone di casa Christian Thielemann, oltre al nuovo Lohengrin, dirige anche il Tristan (giunto alla quarta stagione): con questi 11 podi sorpassa di slancio come recordman di direzioni Daniel Barenboim (del quale fu assistente proprio a Bayreuth nel secolo scorso).

L‘inaugurazione del Festival è sempre stata (fin dal 1876, e poi massimamente ai tempi del simpaticone Zio Wolf) una vetrina per politici e rappresentanti dell’establishment. Mentre il Wagner squattrinato e incompreso degli anni ’50 dell’800 vaneggiava di teatri di povero legno costruiti ad-hoc per tenervi festival musicali in cui rappresentare opere prime, per poi essere dati alle fiamme (in una con le partiture!) conclusa l’ultima rappresentazione, il Wagner arrivato e omaggiato da potenti e sovrani pensò bene di far costruire (a spese altrui) il suo teatro, e con robusti materiali capaci di resistere al tempo. Così ancor oggi il tempio è sano e vegeto, grazie alle generose cure della Stiftung (in massima parte finanziata dal contribuente) che lo sostiene.

La külona (! Angela) non si è quasi mai sottratta al fascino della passerella del 25 luglio sul piazzale antistante il vetusto teatro; quest’anno (se ci sarà) dovrebbe ricevere in omaggio al suo arrivo un bel mazzo di ortiche, come riconoscimento per la quasi-crisi del suo già traballante gabinetto e per la ignominiosa koreo-eliminazione della sua Mannschaft pedatoria ai mondiali di Russia (ah, che differenza dai trionfi brasiliani di 4 anni orsono) ...per lei una vera e propria Götterdämmerung! 

Quanto alla diffusione radio nostrana, non è dato sapere alcunchè, visto che l’agenda di Radio3 non va ancora al di là del 23 luglio (ah, il progresso...) Ci si può fidare come sempre degli aficionados wagneriti spagnoli, che invece hanno in programma (dal 25 al 28) le quattro opere principali (Olandese escluso).

16 luglio, 2018

Muti trasloca il Macbeth da Firenze a Ravenna


Il Ravenna Festival ha proposto ieri un’edizione in forma di concerto del verdiano Macbeth diretto dal consorte della padrona di casa, tale Riccardo Muti. Si è trattato in pratica di una terza esecuzione dopo le due date al Maggio Musicale nei giorni scorsi (anch’esse senza messinscena) per celebrare i 50 anni dall’esordio del Maeschtre a Firenze. E lui non ha perso l’occasione per auto-festeggiarsi anche nella sua città di... accasamento. 

L’immenso PalaDeAndrè non è certo l’ambiente ideale per questi tipi di spettacolo e l’acustica, nonostante le diffuse pannellature, non è paragonabile a quella non solo dell’OF, ma di un qualsiasi teatro. Ciononostante la recita non ha tradito le attese e le tribune dell’arena erano gremite di gente cosmopolita (inclusi francesi e croazzi, reduci da tutt’altro tipo di spettacolo...)

Versione parigina del 1865, completa di ballabili, che è stata eseguita (abbastanza inspiegabilmente, o per accordi con il... bar) con due intervalli (1-2 e 2-3) il che ha portato la fine dello spettacolo (iniziato alle 21:00) ben oltre le 00:30 (...ma tanto siam qui in vacanza). Orchestra disposta con le viole al proscenio e cantanti dislocati proprio sotto il podio di Muti, che poteva letteralmente... imboccarli come fa una mamma con i pargoletti. E imbeccare anche il pubblico, con palesi ammiccamenti ad attivare applausi a scena aperta dopo le arie più famose.

Un Muti in gran spolvero, che quando l’oggetto è Verdi lascia infallibilmente il segno, dall’alto della sua ormai semi-secolare esperienza. Stacco di tempi esemplare, attenzione ai dettagli e alla varietà di dinamiche, attacchi a voci e coro sobri ma efficaci, insomma una direzione di livello assoluto.

Direzione assecondata al meglio dagli strumentisti e dal coro (di Lorenzo Fratini) del Maggio, esemplari nel ricreare le atmosfere ora cupe, ora irridenti (le streghe) ora meste (Patria oppressa... un capolavoro) o esaltanti che costellano la partitura.  

Le voci dei protagonisti tutte all’altezza, a cominciare da Luca Salsi, un Macbeth autorevole, voce di gran spessore e accenti sempre adeguati alla circostanza drammatica. Alla Lady di Vittoria Yeo si può forse rimproverare una certa freddezza di esposizione, ma la voce è ben impostata e la tecnica (richiesta da Verdi in alcuni passaggi assai difficili) più che apprezzabile. Ottimo come sempre Francesco Meli (Macduff) in una parte peraltro non proibitiva (una perla però, la sua Ah, la paterna mano) ed autorevole il Banco di Riccardo Zanellato, per il quale Muti ha quasi... imposto l’applauso di commiato dopo la sua brutta fine nella quarta scena dell’Atto II. Bella voce da tenore leggero ha sciorinato Riccardo Rados (Malcolm) conducendo il finale Arrivano-i-nostri. La damigella di Lady e il medico, Antonella Carpenito e Vito Luciano Roberti hanno dignitosamente completato il cast. Domestico, sicario, araldo e prima apparizione erano impersonati da artisti del coro (Vito Roberti, Giovanni Mazzei, Egidio Naccarato e Nicolò Ayroldi) mentre le altre due apparizioni erano cantate da due voci bianche (Pietro Beccheroni e Arianna Fracasso).

Successo grandissimo, siglato da ovazioni per tutti: davvero una serata da incorniciare.

10 luglio, 2018

Il Pirata belliniano al suo ritorno in Scala - Pezza d’appoggio


Ho lasciato passare qualche giorno, per non correre rischi di denuncia (hahaha!) da parte dei solerti cerberi del Teatro, ma adesso provo a integrare il mio precedente commento mettendo a disposizione dei 4-5 milioni di miei lettori (ai quali chiedo di mantenere il più assoluto segreto, altrimenti Pereira mi fa condannare al 41-ter) l’audio della prima del Pirata che ho commentato nel precedente post. In ogni caso, se hanno dato i domiciliari a Dell’Utri, posso sperarci anch’io!

(Della qualità della registrazione non sono per nulla responsabile, sia chiaro.)