Davvero robustissimo il programma del
quinto concerto della stagione, diretto da
Helmuth Rilling (campione del
barocco passato per l’occasione al
romantico, che con
laVerdi ha ormai lunga consuetudine, e ne è uno dei Direttori ospiti principali). Tre opere che nulla hanno in comune se non le travagliate o complicate vicissitudini legate alla loro nascita.
Qualche vuoto più del solito in Auditorium: a causa dei primi rigori autunnali, o più probabilmente per la forte concorrenza del concomitante concerto in
Scala, col duo
Chung-Pogorelich impegnato in un programmone russo tardo-romantico.
Si comincia con
Schubert e con le musiche di scena per
Rosamunde (D797). Un’opera davvero disgraziata (nel senso di
caduta in disgrazia) che non superò le due rappresentazioni a dicembre 1823. Colpa, a dir di tutti, del soggetto scritto dalla presuntuosa Wilhelmina Christiane von Chézy, che già aveva buggerato il povero Weber con la farraginosa
Euryanthe. Avendo avuto sì e no un mese di tempo per comporre la musica, Schubert ricorse ai soliti mezzucci, tipo scopiazzature di altre sue musiche, fino all’uso, pari-pari, proprio
à la Rossini, di un’Ouverture scritta per un’opera precedente (
Alfonso&Estrella). Non contento, cambiò poi idea, facendo pubblicare col titolo “Ouverture a Rosamunde” nient’altro che la musica (D644) che apriva
Die Zauberharfe, in DO maggiore, che è poi divenuta famosa per la sua brillantezza e ricchezza di temi orecchiabilissimi. Oggi di Rosamunde restano 10 numeri (ouverture esclusa) che prevedono anche l’intervento di coro e contralto (una recente esecuzione è quella di Abbado con i
Berliner alla Philharmonie).
Per solito si eseguono però diverse spurie
suites: in pratica ciascun Direttore assembla qualche numero secondo la propria sensibilità, e secondo il ruolo che intende riservare a questo titolo nello specifico concerto, o all’interno di una registrazione.
Rilling ha proposto un estratto di circa 10’: il Balletti dell’
Atto II (
Allegro Moderato in SI minore, RE maggiore, SI maggiore e poi
Andante in SOL maggiore). La prima sezione è ad orchestra piena; la seconda, presa da Rilling quasi come un
allegro, ad organico ridotto (mancano trombe, tromboni e timpani, e gli strumentini la fanno da padroni). Rilling ha poi ripetuto parte dell’
Allegro moderato, chiudendo sul SI maggiore. Insomma, un gustoso
aperitivo, come nella più classica tradizione dei programmi concertistici; uno di quei pezzi che incontrano naturalmente il gusto e il favore del pubblico, che a dirigere siano (non me ne vogliano!) Rilling o Abbado o …Toscanini.
Poi è la volta del tanto bistrattato quanto famoso
Concerto doppio opus 102 di
Brahms, con la figliola del Direttore (e fan di Roberto Benigni, come si apprende dal suo profilo su
Facebook)
Rahel, al violino e
Dávid Adorján al violoncello. Bistrattato poiché – anche per colpa di Brahms – è da molti considerato con sospetto, un’opera mal riuscita, né carne né pesce, una
quinta sinfonia abortita, un vorrei-non-posso partorito quasi di malavoglia e più che altro per compiacere due solisti (Hausmann e Joachim). La più deludente critica al concerto arrivò da tale
Clara Schumann… figuriamoci! Sul tubo si può trovare una ormai storica esecuzione del trio russo Oistrakh-Rostropovich-Kondrashin (
Allegro-a,
Allegro-b,
Andante,
Finale) oltre ad una più recente (2004) dei simpatici
bolivariani diretti da un impettito
Gustavo con capelli corti, pizzetto ed occhiali (
Allegro-a,
Allegro-b,
Andante,
Finale).
I due solisti non sono chiamati a virtuosismi impossibili, ma debbono quasi amabilmente dialogare come fossero
due gentlemen al club, solo di tanto in tanto risvegliati e interrotti da qualche sussulto dell’orchestra: una specie di quadretto domestico, che musicalmente ben rappresenta lo
status di Brahms verso la fine degli anni ’80, al momento per lui di tirare i remi in barca e dedicarsi esclusivamente a composizioni cameristiche. E Rilling ha se possibile ulteriormente accentuato i tratti cameristici del pezzo, deludendo forse le aspettative di chi si aspetta da un concerto per solisti e orchestra una più accesa dialettica.
Fra le due parti, quella del violoncello è probabilmente la più impegnativa ed appariscente, e così e stato anche ieri sera, con Dávid Adorján in bella mostra. La Rilling direi senza infamia nè lode, ha fatto accuratamente il suo compitino. Applausi non proprio trionfali, da parte di un pubblico forse un pochino narcotizzato…
Infine, il clou della serata, la
Grande di
Schubert. A parte la singolarità di una sinfonia che ha tutti e quattro i movimenti privi di accidenti in chiave, DO maggiore e LA minore (il che fa pensare istintivamente ad una stomachevole mappazza del famoso
cacao-meravigliao) ogni sua esecuzione solleva immancabilmente la curiosità e la conseguente domanda: ma sono stati eseguiti tutti i
da-capo (le ripetizioni che motivarono la famosa definizione di Schumann di
divina lunghezza)? Normalmente (su Youtube si trova ad esempio una ripresa live di
Böhm del ‘73 con i
Wiener - qui le parti
1a,
1b,
2a,
2b,
3a,
3b,
4a,
4b) il Direttore omette 4 ritornelli: quello dell’esposizione dell’
Allegro non troppo iniziale, due dello
Scherzo (seconda sezione prima del
Trio e seconda sezione del Trio medesimo) e quello – interminabile – del
Finale. Tanto per dare un’idea, rispetto alla durata dell’esecuzione citata di Böhm, circa 50’30” (ho un vecchio vinile di Sawallisch con i Symphoniker, che dura un minuto in più…) si tratta di circa 11 minuti di musica che, se eseguiti in toto, porterebbero la durata oltre l’ora, in piena
zona-Mahler!
Per l’interpretazione di Rilling la locandina dell’Auditorium reca l’indicazione di circa 55’, che si potrebbe interpretare in vari modi: durata
al lordo delle pause fra i movimenti (quindi verosimilmente senza ritornelli) o durata
netta, che porterebbe a supporre che il Direttore esegua un paio dei
da-capo, o come minimo quello del finale. Poi sul programma di sala, sempre assai ben curato e firmato per questa sezione da
Gabriella Mazzola Nangeroni, leggiamo di una durata di 50’ circa, il che sembrerebbe non lasciar dubbi sui tagli divenuti ormai consueti. Invece Rilling sorprende tutti ed esegue per intero i ritornelli, raggiungendo un mirabile equilibrio di durate dei 4 movimenti: 16’-14’-14’-16’ per un totale di un’ora esatta! Certo questo dato matematico non basterebbe a promuovere col massimo dei voti un’esecuzione.
In realtà qualche imprecisione o manchevolezza si è notata (ad esempio i tromboni troppo invadenti nel
Finale, archi non sempre compatti, un
Andante preso con eccessiva velocità…) però il gran pregio dell’esecuzione è di non essere stata per nulla pesante, menchemeno stomachevole. Lunga, ma gradevole, se non proprio divina. Al termine applausi scroscianti, che ancora perduravano quando il
Konzertmeister Luca Santaniello ha dato il
rompete le righe ai colleghi, visto che erano quasi le 11 di sera!