affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

07 aprile, 2009

Rincorrendo Beethoven


Nel bel mezzo dell’Alaska, precisamente a Fairbanks, sede di un’importante Università, si tengono varie celebrazioni dell’inizio della primavera e dell’estate. Il 22 giugno si corrono i 10Km del Midnight Sun Run (la corsa del sole di mezzanotte) e vengono stilate classifiche per tutte le tipologie di concorrenti (sesso, età, handicap, etc.)

Un certo Steve Bainbridge, oggi sessantenne, è sempre fra i primi della sua fascia di età. Che c’entra con la musica? Ecco: Steve intanto è membro del Consiglio di Amministrazione della Società che gestisce l’Orchestra Sinfonica di laggiù. Ogni anno, per raccogliere fondi per l’Orchestra, viene organizzata (siamo alla 16ma edizione) una singolare gara podistica: la Beat-Beethoven-5K. Per 25$ ci si può iscrivere per cercare di battere Beethoven. Come? Correndo i 5Km del percorso (attorno al Campus della locale Università dell’Alaska) in un tempo inferiore alla durata (fra 30 e 31 minuti) dell’esecuzione della quinta del maestro di Bonn, suonata dall’Orchestra Sinfonica da sostenere e diffusa da altoparlanti posti lungo il percorso. Come premio si vince un biglietto per uno dei concerti della stagione.

Ma Steve Bainbridge sostiene qui un ruolo speciale: impersona proprio Beethoven che corre, coprendo i 5 Km nel tempo esatto della durata della quinta. Per vincere il premio, i concorrenti dovranno perciò fisicamente arrivare al traguardo davanti al sommo Ludwig.

Americanate?
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06 aprile, 2009

Il gran ritorno di Abbado


Grande fermento in giro per l’annunciato ritorno di Claudio Abbado alla Scala.

Verdi (non Giuseppe!) ed ecologisti in tripudio per i 90.000 alberelli che verranno piantati come pagamento del ri(s)catto abbadiano (Penati - ma sarà poi rieletto a giugno? - e la zia Letizia hanno già in mano zappe e badili). Del resto bisogna pur compensare i 90.000.000 di metri cubi di colate di cemento che caleranno su Milano e dintorni in vista dell’Expo...

Due concerti soltanto (più uno per i giovani) a giugno 2010, con l’ottava di Mahler: evidentemente per avere di più si sarebbe dovuto trasformare la Lombardia in Amazzonia2...

Il tutto da immortalare in DVD, una copia del quale verrà seppellita sul monte Olimpo a futura memoria della nostra civiltà (e se le vendite andranno bene, si pensa di spedirne una anche su Marte, con la prossima corsa del Voyager).

Non è chiaro ancora il luogo delle rappresentazioni: il teatro del Piermarini, nonostante la ristrutturazione gli abbia ampliato il fondo-sc(hi)ena, pare inadeguato ad ospitare più esecutori che spettatori (e non si potrebbe usare il palco reale per metterci gli strumentisti che Mahler vuole Isoliert postiert, poichè lì ci sarà una gran ressa di gente che si dichiara cultore della musica, e contemporaneamente taglia i fondi che servono a produrla).

Dato il contenuto dell’ottava (un miscuglio di vespro e di oratorio, con vaghi richiami alla madunina) si era pensato al Duomo, con fastosa cerimonia di ingresso del Maestro e dei musicisti, usciti dal Teatro, seguiti dal corteo di notabili, uscito da Palazzo Marino, dopo attraversamento della galleria Vittorio Emanuele in un tripudio di folla. Ma Tettamanzi ha negato l’agibilità, temendo di perdere il posto.

Così è possibile che ci si troverà in un Palasport, scelto fra i diversi disponibili in zona. Egoisticamente mi augurerei che la scelta cada sul Palasesto (fatto costruire anni fa - toh! - da Penati) a un tiro di schioppo da casa mia... ma temo che rimanga un pìo desiderio (anche perchè si vocifera che la struttura possa essere abbattuta nel frattempo, essendo incompatibile con la vision post-falck di Piano).

Infine, occhio alla cabala e ai menagrami! A proposito di agende riempite a distanza di più di un anno, c’è chi ricorda (si legga il commento di Andew Powell su OperaChic) che Leonard Bernstein aveva in programma la registrazione proprio dell’ottava, per chiudere il suo terzo ciclo mahleriano con la NYPO, a fine 1990. Ma il grande Lenny non arrivò mai a quell’appuntamento...
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04 aprile, 2009

Götterdämmerung al Maggio: primi indizi

In attesa di assistere dal vivo, e di giudicare soprattutto musicisti e cantanti (della Fura e di Padrissa sappiamo ormai abbastanza per non doverci aspettare nè scempiaggini, nè arditezze da Regietheater, il che con Wagner è già qualcosa...) si possono vedere in rete alcuni bozzetti dei costumi dei protagonisti, disegnati da Chu Uroz. La provenienza delle immagini non è segnalata sul sito che le linka, ma credo non si debba dubitare della loro autenticità, visto che una delle immagini (le Norne) è già presente sul sito del Maggio. Non c’è Siegfried, e nemmeno Alberich, c’è una Brünnhilde versione sado-maso (e quindi tralasciamo commenti, evitando anche di immaginare i relativi possibili scenari) mentre ci sono le Norne (che, invece di tessere il filo, vi si sono appese) più alcuni bozzetti sui personaggi Ghibicunghi: Hagen, Gunther e Gutrune.

Certo da pochi disegni non c’è molto da decifrare o da ipotizzare o da indurre sull’insieme dell’allestimento del dramma, ma una piccola obiezione si può avanzare (è chiaro che stiamo ragionando sulle sabbie mobili, poichè tutto potrebbe cambiare prima del 29). Come si può verificare, parrebbe che i due fratelli “ingenui” (G&G) vengano abbigliati, come il fratellastro “cattivo” Hagen, con abiti che recano i simboli del denaro. Ecco, questa sarebbe davvero una generalizzazione gratuita e francamente fuori luogo: Hagen è certamente assetato di oro, e dal padre spinto al recupero dell’anello a tutti i costi, ma Gunther e Gutrune, figli di sovrani, non sono certo mossi dalla fregola di arricchirsi di più. Il loro comune desiderio è di trovare, rispettivamente, una moglie ed un marito degni del loro (presunto) blasone. Al proposito la domanda che Gunther pone ad Hagen in apertura del primo atto è quanto mai esplicita: “Wen rätst du nun zu frein, dass unsrem Ruhm' es fromm'?“ “Chi consigli tu, dunque, di sposare,che porti a nostra fama giovamento?” (come traduce impeccabilmente il grande Guido Manacorda). Ed è infatti toccando questo tasto che il cattivone li trascinerà in un’avventura a pessimo fine.

Speriamo che magari Chu ci ripensi, e lasci i simboli di dollaro, yen, euro, sterlina etc. solo sulla giacca di Hagen (e magari su quella di Alberich) e li tolga invece dalle vesti dei due regali ghibicunghi, che almeno si meritano le attenuanti generiche per la loro complicità nell’omicidio di Siegfried...

Se Bardi l’avesse previsto...

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Il Corriere della Grisi riporta in primo piano l’ormai annoso problema delle regìe di opera, pubblicando un decalogo di regole di comportamento cui i registi - e i loro datori di lavoro, sovrintendenti e direttori di teatri - dovrebbero attenersi, allo scopo di limitare, da un lato, il fenomeno della sistematica distorsione della natura delle opere, e dall’altro di calmierare i costi di allestimenti che coniugano la scelleratezza artistica con un ormai insostenibile sperpero di risorse del contribuente.

Di certo v’è da chiedersi se Giovanni Bardi avrebbe deciso lo stesso di fondare la sua Camerata, se avesse previsto che fine avrebbe fatto l’opera lirica, anzi il dramma per musica da lui così fermamente voluto, a 500 anni di distanza.

Perchè - purtroppo - ciò che Bardi inventò è una cosa talmente speciale e unica al mondo che - unica, appunto, fra tutte le arti - si presta alle più stampalate (o anche serie a volte) manipolazioni, adulterazioni, ai più grotteschi o cervellotici stravolgimenti fra ciò che l’Artista autore aveva ideato e scritto sulla carta e ciò che un tizio, chiamato regista, si arroga il diritto di mettere in scena. Colui che dovrebbe essere il servo di quell’opera e quindi della volontà del suo Autore, è oggi assurto al ruolo di libero ricreatore dell’opera originale. E spesso e volentieri si tratta di ricreazioni che andrebbero gratificate mettendo il ricreatore a ricrearsi nell’ora d’aria di un carcere. Invece sono ricompensate con cachet milionari.

Tanto per fare un esempio, ve lo immaginate un regista che ambientasse l’Enrico IV ai giorni nostri, calando il Re d’Inghilterra, che so, nei panni del George W. Bush che si appresta a far guerra all’Iraq, dopo aver messo a ferro e fuoco l’Afghanistan? Sentite come esordirebbe il 43:

Scossi ancor come siamo
e spalliditi dai recenti affanni,
non concediamo tuttavia respiro
a questa nostra spaurita pace
e, con voce pur rotta dall’affanno,
ritorniamo a parlar dell’altra guerra
da portare su più lontani lidi.

Una gran farsa, diciamolo pure, nulla più. E infatti nessuno ha avuto - per ora almeno - il coraggio di proporre una simile stupidaggine.

Invece un Bieito qualunque può impunemente rappresentare il Ratto ambientandolo in un postribolo, con sesso orale esplicito... tanto c’è la musica di Mozart che lo salva, e il pubblico medio poco bada alla “trama”, addirittura alle parole e al fatto che il regista abbia stravolto la prima e manipolato le seconde. Perchè se la performance musicale è di livello, si passa sopra anche alle più bieche idiozie del regista, anzi quasi le si apprezza perchè allora sembrano dare un tocco di vita e di novità ad oggetti che altrimenti apparirebbero, appunto, come ammuffiti in un museo (oh, che barba, rivedere la Gioconda di Leonardo per la ventesima volta; godiamoci quella baffuta di Duchamp, che è più moderna!) Sembra poi un paradosso, ma quanto più le regìe sono strampalate ed arbitrarie, tanto più necessitano di un’esecuzione musicale (canto e orchestra) di primissimo ordine, poichè il pubblico in fin dei conti è andato lì principalmente per ascoltare la musica e apprezzare il canto, non perchè attirato dalla profondità dei testi o dalla plausibilità della trama (manco per Wagner... che è tutto dire).

Sul fronte più serio, i Carsen e gli Herheim, come i loro maestri-brechtiani-DDR-impastranati alla Götz Friedrich, mettono in scena spettacoli che sono - in se stessi - delle opere d’arte ma, appunto, sono il Parsifal di Herheim (non di Wagner) o l’Alcina di Carsen (non di Händel).

Oggi si arriva ormai (Carsen docet, proprio con Alcina) a far forza alla musica, con tagli anche sostanziali precisamente funzionali allo stravolgimento che il regista ha fatto del soggetto. Domani, per le stesse ragioni (modernità, appeal verso il pubblico, innovazione) si arriverà anche ad intervenire sui righi, sull’orchestrazione, e così via.

A ben pensarci, ne può uscire un business enorme: basta immaginare quante versioni diverse, una più interessante dell’altra, si potrebbero scrivere del Fidelio, del Lohengrin, dell’Otello!
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01 aprile, 2009

Bigini d’opera

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A.C.Douglas ci segnala - da youtube - questo simpatico riassunto di famose opere liriche e drammi musicali.

Cui una scolaresca ha già risposto, con questo altro bigino, francamente più banale; e con l’aggravante, per tale scolaresca, di essere parte della Tulsa School of Arts and Sciences.

Se non altro - a voler per forza essere ottimisti - constatiamo che l’opera resta ancor oggi un oggetto di curiosità e uno spunto per più o meno umoristiche composizioni.
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31 marzo, 2009

Sì, Mehta ce lo teniamo proprio volentieri

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Visto che in California (solo a qualcuno, peraltro) Mehta gli sta sullo stomaco, ce lo teniamo volentieri noi.

La sua seconda di Mahler di questa sera (col Maggio, orchestra e coro, Marjana Lipovšek e Barbara Frittoli) dovrebbe aver convinto anche gli scettici nostrani.

L’ascolto per radio ha i suoi limiti, rispetto a quello dal vivo, si sa, ma ha un enorme pregio: uno può starsene comodo, con la musica in cuffia, e la partitura davanti. E così può apprezzare ogni minimo particolare dell’interpretazione, con un check&balance in real-time, cosa quasi impossibile in auditorium, eccetto per le mosche bianche che conoscono ogni battuta a memoria.

Beh, posso certificare che l’esecuzione di questa sera è stata semplicemente esemplare: il Mahler autentico, non un Mahler liberamente arrangiato, come spesso si ascolta. Quando l’unico appunto che si può muovere al direttore è di aver fatto solo un minuto di pausa dopo il primo movimento (invece dei cinque prescritti dall’Autore) significa che più di così non si poteva chiedere. (e perdoneremo perciò benevolmente l’isolata stecca del trombone)

Adesso speriamo che il calore del Golfo ci restituisca Mehta, orchestra e coro nella stessa forma smagliante per Götterdämmerung.
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Sulla funzione terapeutica della musica

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Cari - futuri - strumentisti, sappiate che non siete qui per diventare degli intrattenitori, e non dovrete vendervi affatto. La verità è che non avrete alcunchè da vendere; essere musicisti non ha nulla a che fare col dispensare un prodotto, come vendere auto usate... Se fossimo una facoltà di medicina, e voi studenti di chirurgia, prendereste il vostro lavoro assai seriamente, poichè un bel giorno alle 2 del mattino qualcuno potrebbe arrivare al vostro Pronto Soccorso e voi gli dovreste salvare la vita... Miei cari amici, a voi un bel giorno, alle 8 di sera, capiterà invece che qualcuno entri nella sala da concerto e vi porti una mente confusa, un cuore distrutto, un’anima affaticata. Se ne uscirà ricostruito dipenderà, in parte, da quanto bene saprete operare la vostra arte.”

Così Karl Paulnack, pianista di discreta fama e direttore del Dipartimento di Musica del Conservatorio di Boston, in un’allocuzione di benvenuto ai nuovi allievi, corredata da testimonianze invero toccanti.

Indubbiamente una poetica - non certo nuova - risposta a chi reputa la musica colta (e l’arte in generale) essere mero intrattenimento e così giustifica, da un lato, la proposta di metterla in mano al mercato e, dall’altro, in tempi di vacche magre, decide tagli di risorse a ciò che è, secondo tale giudizio, superfluo.

Ma siamo sempre lì: se un malato non si vuol far curare, magari perchè neanche si rende conto di essere malato, a che scopo tenere aperti tutti questi costosi ospedali (leggi: teatri e sale da concerto) col relativo corredo di medici, infermieri e barellieri (leggi: direttori, strumentisti, cantanti e maestranze) solo per curare quattro gatti, che magari sono pure dei malati immaginari?

(forse, caro direttore, l’analogia musica-healthcare è da rivedere...)
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30 marzo, 2009

Mariella Devia in provincia: pochi (ma buoni?)

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Ieri sera Mariella Devia era a Gallarate, precisamente al Teatro Condominio “Vittorio Gassman”, dove si è esibita - accompagnata al pianoforte da Massimiliano Bullo - in un recital programmato in sostituzione di quello annullato del 27 marzo di Barbara Frittoli.

Poche settimane fa Mariella aveva cantato a Gorizia, accompagnata dall’Orchestra Sinfonica Regionale del Friuli, in una serata recensita da Amfortas, che aveva lamentato la scarsa presenza di pubblico ad un evento che avrebbe meritato il tutto esaurito.

Alla fine di un week-end uggioso e sotto una pioggerellina che indubbiamente suggeriva l’accoppiata caminetto-pantofola, anche la provinciale Gallarate (50 Km da Milano e 20 da Varese, zona Malpensa per intenderci) ha imitato - ahinoi - il capoluogo isontino, visto che nel simpatico teatro (circa 650 posti, più o meno come il “Verdi” di Gorizia) eravamo sì e no in 300 ad acclamare (facendoci in quattro, per la verità...) la nostra inossidabile ragazzina ultrasessantenne, presentatasi in un lungo color smeraldo, degno di una primavera meno avara di quella che ci si offre (sono in recessione anche le stagioni, per caso?)

In programma 7 arie da opere (di Rossini, Bellini, Donizetti e Verdi) e cinque lieder (per i germanofili) di Bellini e Verdi.

L’acustica della sala (ci entravo per la prima volta) tutta rivestita da pannelli in legno, mi è parsa eccellente e davvero adeguata a trasmettere le delizie sonore che emanavano dalla bocca della Devia e invadevano il teatro con effetto trascinante, tanto che il pubblico ad ogni pezzo ha espresso in maniera esuberante la sua ammirazione. Così Mariella ci ha gratificato alla fine di due fuori programma, calandosi dapprima nei panni di Violetta (come a Gorizia) indi in quelli di Liù.

Infine bisogna fare i complimenti a queste istituzioni di provincia, che sono fuori dal giro del FUS, ma riescono ugualmente, davvero non si sa come, a mettere in piedi cartelloni di tutto rispetto, con perle come questa. (che però i cittadini potrebbero apprezzare di più...)
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28 marzo, 2009

Per qual cagione la Musica sia detta subalternata all'Arithmetica, & mezana tra la Mathematica & la Naturale.



MA perche la Scienza della Musica piglia in prestanza dall'Arithmetica i Numeri & dalla Geometria le Quantità misurabili; cioè, i Corpi sonori; però si fà alle due nominate Scienze soggetta; & si chiama Scienza subalternata. Onde è da sapere, che di due sorti sono le Scienze; percioche sono alcune dette Principali, ò Subalternanti; & alcune Nonprincipali, o Subalternate. Le prime sono quelle, lequali dependono da i Principii conosciuti per lume naturale & cognitione sensitiua; come l'Arithmetica & la Geometria; le quali hanno alcuni Principij conosciuti per la cognitione d'alcuni termini acquistati per uia de i Sensi; come dire, che La Linea sia lunghezza senza larghezza; ch'è un principio proprio della Geometria; & che 'l Numero sia moltitudine composta de più vnità; che è proprio principio dell'Arithmetica; oltra i Principii communi, che sono quelli, che dicono; Il tutto esser maggior della sua Parte; La Parte esser minore del suo Tutto; & molti altri, de i quali l'Arithmetico & il Geometra cauano le loro conclusioni. Ma le seconde sono quelle, che oltra i proprij Principii, acquistati per il mezo de i Sensi, ne hanno alcuni altri, che procedono da i principii conosciuti nell'una delle Scienze superiori & principali; & sono dette Subalternate alle prime; come la Prospettiua alla Geometria: conciosiache, oltra i Proprii principii, ne hà alcuni altri, che sono noti & approuati nella Scienza à lei superiore, ch'è la Geometria. Et è di tal natura la Nonprincipale & subalternata, che piglia della principale l'istesso Soggetto; ma per sua differenza ui aggiunge l'Accidente; percioche se fusse altramente, non ui sarebbe tra l'una & l'altra alcuna differenza di Soggetto; come si uede della Prospettiua, che piglia per soggetto la Linea per sè; della quale si serue anche la Geometria; & ui aggiunge per l'accidente la Visualità; & cosi la Linea visuale uiene ad esser il suo soggetto. Il medesimo intrauiene ancora nella Musica, c'hauendo ella con l'Arithmetica per commune soggetto il Numero, aggiunge à questo per sua differenza la Sonorità, & si fà ad essa Arithmetica subalternata; tenendo il Numero sonoro per soggetto. Ne solamente hà la Musica i Proprij principii; ma ne piglia anco de gli altri dall'Arithmetica, per i mezi delle sue Demostrationi; accioche per essi habbiamo la vera cognitione della Scienza, E' ben vero, che tali Principii & mezi non sono tutte le conclusioni, che nell'Arithmetica si ritrouano; ma solamente una parte, della quale il Musico ne hà dibisogno; & sono di Relatione; cioè, delle Proportioni; & questo per mostrar le Passioni de i numeri sonori, secondo il proposito. Onde ancora noi pigliaremo quelle Conclusioni solamente, che ci faranno dibisogno; & le applicaremo al Suono, ouero alla Voce, che dal Naturale (come dimostra Aristotele) sono considerate; Il perche diremo, che la Musica secondo la dottrina di questo Filosofo: non solo alla Mathematica; ma etiandio alla Naturale è subalternata; non in quanto alla Parte de i Numeri; ma si bene in quanto alla parte del Suono, ch'è naturale; dalquale nasce ogni Modulatione, ogni Consonanza, ogni Harmonia, & ogni Melodia: la qual cosa è confermata anche da Auicenna, il qual dice; che La Musica hà i suoi Principij dalla Scienza naturale, & da quella de i Numeri. Et si come nelle cose naturali, niuna cosa è perfetta mentre ch'è in potenza; ma solamente quando è ridutta in atto; cosi la Musica non può esser perfetta, se non quando co 'l mezo de i naturali, ò arteficiali Istrumenti si fà udire; la qual cosa non si potrà fare co 'l Numero solo, ne con le Voci sole; ma accompagnando queste & quello insieme; massimamente essendo il Numero inseparabile dalla Consonanza. Per questo adunque sarà manifesto, che la Musica non si potrà dire ne semplicemente Mathematica, ne semplicemente Naturale; ma si bene parte Naturale & parte Mathematica; & conseguentemente mezana tra l'una & l'altra. Et perche dalla Scienza naturale il Musico hà la ragione della materia della Consonanza, che sono i Suoni & le Voci; & dalla Mathematica hà la ragione della sua forma; cioè, della sua Proportione; però douendosi denominar tutte le cose dalla cosa più nobile; piu ragioneuolmente diciamo la Musica esser Scienza mathematica, che naturale; conciosia che la Forma sia più nobile della Materia.

ISTITVTIONI HARMONICHE DEL REV. M. GIOSEFFO ZARLINO DA CHIOGGIA,

Maestro di Capella della Serenissima Signoria DI VENETIA. Prima Parte. Capitolo 20. (MDLVIII)

24 marzo, 2009

In viaggio col cacciatore...

Giorni fa, dovendo fare una trasferta giornaliera di 300Km (all’andata neh, + altrettanti per tornare a casa) ho scelto, come al solito, un CD da infilare nel player per aggiungere un po’ di dilettevole all’utile. La scelta, quel giorno, è caduta su Der Freischütz, due ore e poco più (con tale Birgit Nilsson, non so se mi spiego...)

Di passaggio: chi - non so chi, lo ammetto - ha tradotto in italiano il titolo con “Il franco cacciatore” doveva essere un raffinato davvero. Escluso che franco stia per “francese”, ma nemmeno per “francone” (chè la vicenda si svolge in Boemia) nè certo per “schietto”, o “sincero” (Max non pare proprio un tipo così irreprensibile) nè si può proprio concludere che significhi “bravo”, “preciso”. In realtà è franco nel senso di libero (non incarcerato!) E poi cacciatore non è certo la traduzione letterale di Schütz, che sta per “tiratore” (di doppietta).

Ma non è del titolo che voglio parlare, bensì della musica, natürlisch! Anzi, di un piccolo, quasi microscopico particolare della partitura weberiana.

Allora, ascolto purtroppo con una certa superficialità - bisogna prima di tutto guidare, anzi... frenare, per evitare i postumi rimbrotti del tutor - e così arrivo al terzo atto, e a quella celestiale aria di Agathe “Und ob die Wolke sie verhülle“, introdotta e poi accompagnata dalla calda melodia del violoncello. Ecco qui:

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Le note riquadrate in rosso coprono un intervallo di nona (da dominante a sesta) una cellula di una bellezza davvero sbudellante. E riappaiono più volte, nello strumento e nella voce, nel corso della cavatina.

Chissà perchè, mi ricordano qualcosa, ma al momento non riesco a far mente locale (devo anche badare al tutor, accipicchia!) Così alla sera, tornando a casa (i tutor sono già a nanna... almeno stando ai board, che si limitano a suggerire soste con sconto-caffè) ascolto più attentamente e cosa ti scopro? Che quelle cinque note costituiscono anche l’incipit del walzer, n°3 del primo atto! Come certificato di seguito:
















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Certo, mentre con Agathe eravamo in un sognante adagio, qui siamo in un comodo andante, ma la materia prima è proprio la stessa (tonalità a parte).

Ma non finisce qui, perchè adesso mi rendo conto che, con tempo ancora più lesto (“Molto vivace”) quella cellula era apparsa ancor prima, proprio alla fine del primo coro “Victoria, Victoria!”:


















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Sì, va bene, qui la terzina iniziale è sull’arpeggio di dominante e non di tonica... ma di fatto è la stessa cellula (che difatti appena dopo viene precisamente replicata) degli altri due riferimenti.

Insomma: non è certamente un leit-motiv, almeno in senso stretto wagneriano. Ma è pur sempre un segno, una traccia, quasi un’impronta che ricompare in momenti e contesti diversi e con diversi accenti: un piccolo “tema con variazioni” nascosto fra le pieghe di questo capolavoro.

(oh, ma i tutor erano davvero a nanna? ...dico: in caso, i punti vanno decurtati a Carl Maria, chiaro vero?!)
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