Apriamo e chiudiamo subito il conto con la regia: Kraus, al suo debutto in Opera, ha proceduto secondo un clichè ormai consolidato: quello secondo il quale il regista parte dalle sue proprie idee (non già da quelle dell’Autore, chè sarebbe approccio troppo facile e banale) e poi aggiusta l’ambientazione del dramma in funzione di quelle. Non per nulla aveva dichiarato: “Le idee di Beethoven non sono morte, la conquista della libertà e dei diritti restano problemi attuali. Però è cambiata la speranza in un mondo migliore. È una speranza che non può morire e tuttavia nel nostro tempo è diventata più fievole...” (Verrebbe da chiedergli con quale metro ha misurato la speranza che aleggiava nel mondo del 1805, per stabilire che fosse meno fievole di oggi...)
Quindi il suo Fidelio non è quello che Beethoven mise a punto tanto faticosamente con Sonnleithner e Treitschke, e nemmeno è la Leonore di Bouilly, che tutto sommato il Fidelio prende assai fedelmente a modello. No, Kraus ci presenta il suo Konzept andando a raccogliere elementi dalla storia del post-rivoluzione francese e dalla biografia di quel bizzarro visionario - mezzo rivoluzionario e mezzo reazionario - che fu appunto Bouilly.
Da tutto ciò ricava, e ci propina, un minestrone indecifrabile, dove non esistono sapori distinguibili da altri, e dove tutto è cinicamente uguale a tutto il resto. Che le figure di Rocco e Marzelline non siano quelle di eroi ed eroine, ma di persone che lavorano in un carcere per caso, o perchè non hanno altro modo per sbarcare il lunario, lo sappiamo bene; ma che Fidelio - che si trova lì per ben più nobili ragioni - sia anche lui esattamente come loro (insieme a Marzelline prepara con la più grande indifferenza la ghigliottina su cui sistema poi un condannato, con la testa sotto la lama) è cosa difficile da digerire, obiettivamente.
Pizarro, in compenso, ci viene presentato come un povero handicappato (arriva in carrozzella) che si regge con le grucce... quasi a giustificare con questa menomazione infertagli dalla natura la sua protervia e la sua sete di potere e far nascere in noi un senso di comprensione, se non proprio di simpatia (meno male che ci pensa Dohmen a chiarirci, a suon di musica, la vera personalità del gouverneur).
La ghigliottina. Può anche non essere fuori posto all’inizio, date le circostanze in cui l’opera fu composta (Fidelio entra in scena recandone la pesante lama, portata a far molare, invece delle meno raccapriccianti catene previste in partitura) ma la sua riproposizione finale (al posto, si badi bene, della statua del Re e pronta ad accogliere il collo di Pizarro) e la sua successiva moltiplicazione, accompagnata alla richiusura della prigione che nasconde la luce abbagliante del sole, proprio mentre il coro esplode il tripudio generale, sa di eccessivo cinismo e di realpolitik fuori posto.
Al pari del presentare Dom Fernando nei panni di un cardinale (poteva starci bene anche G.W.Bush, in visita a Guantanamo di ritorno dalla missione compiuta del ripristino della legalità in zone infestate da saddam-pizarri).
Insomma: secondo Kraus noi spettatori di oggi saremmo troppo scafati per emozionarci di fronte a messaggi ingenui e naif quali quelli che ci volle mandare un ingenuo-naif a nome Beethoven; siamo nel terzo millennio e ancora dovremmo dar retta a slogan come vogliamoci bene (IX sinfonia) o la giustizia trionferà (Fidelio) ???
Ma a parte questi dettagli migliorabili, farà fortuna, il Kraus, non c’è da dubitarne, date le lodevoli premesse.
____
Dato a Kraus ciò che è di Kraus (e glielo lasciamo volentieri) l’emozione è stata grande, grazie agli interpreti (tutti: strumentisti, cori e solisti) guidati da un Abbado in formissima - anche fisica, si direbbe proprio - che davvero ha tirato fuori tutto ciò che sul Fidelio deve aver distillato in almeno 30 anni di studio... Giusto venerdi scorso, RAI FD5 aveva riproposto il Fidelio di Karajan del ’71: in questi giorni di ricorrenza, e di immancabili (spesso insensati) confronti, l’accoppiata non poteva essere più felice.
Nel generale altissimo livello dell’esecuzione (perdoneremo la defaillance del corno proprio all’incipit dell’Ouverture ed altre piccole sbavature) val la pena ricordare alcune perle, che Beethoven ci regala, e che Abbado&C hanno saputo splendidamente valorizzare. Quei passaggi dove voci e strumenti davvero si sposano meravigliosamente, dialogando quasi in forma concertata (qualcuno critica Beethoven per aver usato le voci come strumenti, ma Fidelio è opera unica anche in questo): gli oboi con Marzelline (andante con moto, n.2); i corni e fagotti, con Leonore (adagio e poi allegro con brio, n.9); fagotti, clarinetti e flauti, col coro (allegro, ma non troppo, n.10, strepitoso qui l’incipit in pianissimo degli archi); gli oboi con Florestan (poco allegro, n.11) e ancora corni e oboi, con tutte le voci (nel sostenuto assai, del finale).
Quindi il suo Fidelio non è quello che Beethoven mise a punto tanto faticosamente con Sonnleithner e Treitschke, e nemmeno è la Leonore di Bouilly, che tutto sommato il Fidelio prende assai fedelmente a modello. No, Kraus ci presenta il suo Konzept andando a raccogliere elementi dalla storia del post-rivoluzione francese e dalla biografia di quel bizzarro visionario - mezzo rivoluzionario e mezzo reazionario - che fu appunto Bouilly.
Da tutto ciò ricava, e ci propina, un minestrone indecifrabile, dove non esistono sapori distinguibili da altri, e dove tutto è cinicamente uguale a tutto il resto. Che le figure di Rocco e Marzelline non siano quelle di eroi ed eroine, ma di persone che lavorano in un carcere per caso, o perchè non hanno altro modo per sbarcare il lunario, lo sappiamo bene; ma che Fidelio - che si trova lì per ben più nobili ragioni - sia anche lui esattamente come loro (insieme a Marzelline prepara con la più grande indifferenza la ghigliottina su cui sistema poi un condannato, con la testa sotto la lama) è cosa difficile da digerire, obiettivamente.
Pizarro, in compenso, ci viene presentato come un povero handicappato (arriva in carrozzella) che si regge con le grucce... quasi a giustificare con questa menomazione infertagli dalla natura la sua protervia e la sua sete di potere e far nascere in noi un senso di comprensione, se non proprio di simpatia (meno male che ci pensa Dohmen a chiarirci, a suon di musica, la vera personalità del gouverneur).
La ghigliottina. Può anche non essere fuori posto all’inizio, date le circostanze in cui l’opera fu composta (Fidelio entra in scena recandone la pesante lama, portata a far molare, invece delle meno raccapriccianti catene previste in partitura) ma la sua riproposizione finale (al posto, si badi bene, della statua del Re e pronta ad accogliere il collo di Pizarro) e la sua successiva moltiplicazione, accompagnata alla richiusura della prigione che nasconde la luce abbagliante del sole, proprio mentre il coro esplode il tripudio generale, sa di eccessivo cinismo e di realpolitik fuori posto.
Al pari del presentare Dom Fernando nei panni di un cardinale (poteva starci bene anche G.W.Bush, in visita a Guantanamo di ritorno dalla missione compiuta del ripristino della legalità in zone infestate da saddam-pizarri).
Insomma: secondo Kraus noi spettatori di oggi saremmo troppo scafati per emozionarci di fronte a messaggi ingenui e naif quali quelli che ci volle mandare un ingenuo-naif a nome Beethoven; siamo nel terzo millennio e ancora dovremmo dar retta a slogan come vogliamoci bene (IX sinfonia) o la giustizia trionferà (Fidelio) ???
Ma a parte questi dettagli migliorabili, farà fortuna, il Kraus, non c’è da dubitarne, date le lodevoli premesse.
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Dato a Kraus ciò che è di Kraus (e glielo lasciamo volentieri) l’emozione è stata grande, grazie agli interpreti (tutti: strumentisti, cori e solisti) guidati da un Abbado in formissima - anche fisica, si direbbe proprio - che davvero ha tirato fuori tutto ciò che sul Fidelio deve aver distillato in almeno 30 anni di studio... Giusto venerdi scorso, RAI FD5 aveva riproposto il Fidelio di Karajan del ’71: in questi giorni di ricorrenza, e di immancabili (spesso insensati) confronti, l’accoppiata non poteva essere più felice.
Nel generale altissimo livello dell’esecuzione (perdoneremo la defaillance del corno proprio all’incipit dell’Ouverture ed altre piccole sbavature) val la pena ricordare alcune perle, che Beethoven ci regala, e che Abbado&C hanno saputo splendidamente valorizzare. Quei passaggi dove voci e strumenti davvero si sposano meravigliosamente, dialogando quasi in forma concertata (qualcuno critica Beethoven per aver usato le voci come strumenti, ma Fidelio è opera unica anche in questo): gli oboi con Marzelline (andante con moto, n.2); i corni e fagotti, con Leonore (adagio e poi allegro con brio, n.9); fagotti, clarinetti e flauti, col coro (allegro, ma non troppo, n.10, strepitoso qui l’incipit in pianissimo degli archi); gli oboi con Florestan (poco allegro, n.11) e ancora corni e oboi, con tutte le voci (nel sostenuto assai, del finale).

Le ovazioni, interminabili e soprattutto meritate (con copiosa pioggia di fiori dai loggioni) hanno avuto il senso di un premio alla carriera per un artista, che oggi è bello ricordare così...