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03 aprile, 2008

Aspettando Fidelio - Leonore III, sì o no?

A quanto si apprende, Abbado non si sarebbe piegato alla moda di infilare la Leonore III fra le ultime due scene dell’opera. L’idea venne a Gustav Mahler, ma non per questo non deve essere criticata (cosa che oggi succede anche alle raffinate, ma inquinanti riorchestrazioni schumanniane del grande direttore e compositore boemo).

Naturalmente, come in tutte le cose, anche Mahler aveva qualche motivazione per quella scelta. Intanto la durata complessiva dell’opera (versione 1814, sia chiaro): la sola pura musica è attorno alle due ore... poco per le abitudini di fine-ottocento, dove la gente pretendeva, in cambio del prezzo del biglietto, di ricevere in cambio anche (se non soprattutto) quantità. Non per nulla le opere brevi (Mascagni, Leoncavallo, tanto per fare qualche nome) magari in atto unico e di durata attorno ai 90 minuti, venivano sempre abbinate, per riempire la serata.

Naturalmente il Fidelio - di ciò ci si scorda troppo spesso - è un Singspiel, e come tale infarcito di recitati (intere scene!) che integrano i numeri musicati: se i dialoghi vengono eseguiti integralmente, già l’opera si rimpingua di almeno mezz’ora. Però la cosa, non da oggi, è pochissimo apprezzata, persino dai pubblici di madrelingua crucca: la trama è arcinota, e si vuole venire al sodo... la musica! Senza troppi chiacchiericci. Abbado ha scelto - come altri - una via di mezzo, “sforbiciando” parte del recitato.

Invece nell’800 - a Parigi soprattutto - ci furono dei Kapellmeister un po’ pazzoidi che, pur di rimpolpare il programma con della musica, infilarono qua e là nel Fidelio altri pezzi strumentali di Beethoven (tutta grande musica, s’intende!) Ad esempio l’allegretto della Settima Sinfonia.

L’idea di Mahler ha anche alcuni pregi, il meno importante dei quali è la copertura del passaggio di scena, dalla buia prigione alla piazza solare (che oggi le moderne tecnologie rendono possibile in tempi record) mentre più serio è il perfetto raccordo musicale (in DO maggiore) che la Leonore III viene a stabilire con il finale dell’Opera.

Tuttavia è innegabile che tale accorgimento introduce una eccessiva lungaggine nell’azione, contravvenendo agli stessi sforzi fatti da Beethoven per stringerla; per di più ci fa risentire, a pochi minuti di distanza, quel doppio squillo di trombetta in SIb, che così drammaticamente aveva rotto la tensione del confronto Pizarro-Leonore; ed è una ripetizione che finisce per banalizzarlo.

Come ha affermato Abbado, in fondo la Leonore III è già presente tutta, pure se diluita, o latente, all’interno del Fidelio.
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Tirate le somme: meglio così.

2 commenti:

mozart2006 ha detto...

Carissimo,
alle tue informazioni posso aggiungere che al Met,prima della guerra,il Fidelio si eseguiva con i recitativi strumentati,un po´come succede per la Medée di Cherubini,che é molto piú bella nella versione originale,o per la Carmen.
Comunque,a me l´uso della Leonore III come interludio non piace piú di tanto.L´unica volta che ho fatto un´eccezione fu per l´indimenticabile esecuzione di Bernstein alla Scala nel 1978,quando l´ouverture fece letteralmente esplodere il teatro.Una delle piú grandi emozioni della mia carriera di ascoltatore...

daland ha detto...

Quella di Muti del ’99 non fu altrettanto apprezzata, se ben ricordo.

A proposito di Carmen, mi piacerebbe sentire la versione dei recitativi che Giovanni Allevi ha scritto su commissione della Baltimore Opera House per la stagione 2004... ma fatico a trovarne traccia. Tu ne sai qualcosa?