intime gioje

chiuder la prigione e buttar la chiave

30 maggio, 2020

Giugno: abbasso le corone


Il 2-3 giugno del lontano 1946 gli italiani si liberarono di una corona divenuta un tantino ingombrante. Ecco, il 3 giugno del 2020 tutti non vedono l’ora di liberarsi di un altro corona, altrettanto fastidioso di quello/a del secondo dopoguerra.

In attesa di constatare i risultati del nuovo referendum (dio non voglia che ci sia una... rivincita della monarchia) prepariamoci a celebrare (via etere, e senza assembramenti, mi raccomando!) la ricorrenza:

lunedi 1° giugno, ore 18:45, i giardini del Quirinale ospiteranno alcuni professori dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma - opportunamente distanziati e (per i fiati) muniti di speciali mascherine da applicare alle campane dei loro strumenti (questa me la sto inventando io...) - guidati dal loro condottiero Daniele Gatti, per un concerto che avrà come unico spettatore live il nostro Presidente. Ma oltre ai suoni irradiati da Radio3, si potranno anche godere le immagini da RAI1 e dal sito del Quirinale.

E quindi, che la musica ci aiuti a rivincere il referendum! 

26 maggio, 2020

Grido di dolore e chiamata allo sciopero


Da Il Fatto Quotidiano del 26 maggio:


Visto che ci date solo avanzi, è meglio smettere di cantare

di Sara Mingardo  

Sono una cantante lirica; come moltissimi altri artisti, ho cominciato a frequentare il Conservatorio all’età di 10 anni, da allora non faccio altro nella vita e la fortuna ha voluto regalarmi molto, ma molto più di quanto avrei osato sognare. Naturalmente anche la fortuna ha bisogno di aiuto e ci sono voluti anni di studio, sacrificio, rinunce, dedizione, fatica, ampiamente ripagati dall’affetto del pubblico. Anche se mai davvero sostenuti dalle Istituzioni italiane, che hanno sempre dedicato al teatro e alla musica in genere gli “avanzi della cena”, e in questo particolare e difficilissimo momento si è davvero superato qualsiasi limite: gli artisti semplicemente esistono per stimolare un patetico quanto passeggero senso di solidarietà, di vicinanza e di patriottismo, destinato a scomparire appena tutto questo sarà passato, sfruttando la nostra necessità di continuare a fare musica insieme utilizzando qualsiasi mezzo: balconi, terrazzi, strade e case. Sono trascorsi oltre quasi tre mesi, e ancora nessun aiuto concreto. Ma davvero siamo ridotti a questo? Davvero in questo paese dobbiamo scoprire che la musica classica è considerata un passatempo? 

Proprio il paese che per secoli è stato Maestro nella Musica e nelle Arti e al quale il resto del mondo si è rivolto e si rivolge tuttora per imparare? Complici colpevoli di questo sfacelo sono soprattutto i canali mediatici, in primis le reti generaliste della Rai. Possibile doversi rendere conto che in questo periodo di quarantena, non sia mai stato concesso al teatro lirico di salire a bordo della cosiddetta “nave ammiraglia“ in Tv? Dovremmo davvero accettare in silenzio che un seppur magnifico interprete della canzone, Andrea Bocelli, venga definito “rappresentante della lirica italiana nel mondo” attraverso un suo concerto messo in onda sulla prima rete della Tv nazionale? Dovremmo davvero accettare che l’arte nostra venga considerata un passatempo proprio nel paese che per secoli ha dato i natali, ha cresciuto e formato artisti di ogni genere, divulgando capolavori anche nella musica che tutto il mondo ci invidia? Mi chiedo: come privilegiata insegnante in uno dei più importanti Conservatori del mondo, S. Cecilia a Roma, cosa dovrei dire ai miei ragazzi che sognano di realizzare i loro sogni studiando duramente ogni giorno per anni, se poi in momento di bisogno, chi dovrebbe occuparsi di risolvere i problemi, non si accorge nemmeno della nostra esistenza? Se nulla sarà fatto per sostenere la musica e i suoi artisti in questo momento, il messaggio sarà terribile: dichiarare che gli artisti sono inutili. A differenza di altri Paesi, al momento da noi molti artisti, soprattutto i più giovani, non godono nemmeno degli “avanzi della cena”. Supplico quindi gli artisti tutti di smettere da questo momento di fare musica. Forse così potremo renderci conto di cosa sarebbe questo mondo senza suoni.


21 maggio, 2020

ROF contagiato, ma respira...


Forse non si chiamerà ROF-XLI come previsto, ma semplicemente ROF-2020 (o, perchè no? ROFID-19...) Sta di fatto che Pesaro anche in quest’anno disgraziato riuscirà ad onorare il suo Rossini e ad evitare un totale lockdown che avrebbe saputo quasi di funerale.

Programma necessariamente ridotto ad una sola delle tre produzioni originariamente in cartellone: la Cambiale (+ Giovanna d’Arco) che sarà ospitata - come previsto, ma con pubblico nei soli palchi - dal Teatro Rossini per 5 (anzichè 4) serate, a partire dall’8 agosto. E poi le due consuete recite del Reims e concerti di canto, tutti ospitati dalla Piazza del Popolo (dove verrà diffusa in streaming anche l’ultima Cambiale, il 20).

Che dire? Un piccolo (ma mica poi tanto, date le circostanze) contributo ad una ripresa che sappiamo, ahinoi, sarà davvero dura per (quasi) tutti.

E quindi, Viva il ROF! 

20 maggio, 2020

Ripartenze. Nulla sarà come prima (?)


Mah, di questi tempi lo si sente dire e scrivere in ogni dove. Però, a fronte di molti che si augurano che la lezione ci serva a diventare più virtuosi (ad esempio rispettando la Natura, che altrimenti si vendica...) e meno schiavi di stupide mode e modelli di vita, altri parrebbero invece seriamente intenzionati non solo a tornare come prima, ma assai peggio di prima (è quel 10% che non si accontenta di detenere il 90% della ricchezza, ma punta ancor più in alto; più parecchi epigoni di costoro, che ne diventano spesso vittime). Se poi sarà così o cosà lo vedremo solo a cose fatte (cioè a virus messo definitivamente in quarantena... ma ci vorrà tempo).

Di certo sappiamo invece che nulla fu più come prima per il povero Dmitri Shostakovich, dopo la simpatica recensione che una penna anonima imbeccata dallo zio dell’Onorevole Peppone (o addirittura imbracciata dallo zio Peppone in persona) fece comparire sulla Pravda di martedi 28 gennaio 1936, intitolata Сумбур вместо музыки, cioè più o meno: Casino invece di musica (effettivamente nella Ledi di casino ce n’è parecchio, ammettiamolo, seppur mirabilmente musicato dal nostro).

Così il previdente (e forse un filino preoccupato) Dmitri da quel giorno si tenne sempre a portata di mano una valigia piena di indumenti pesanti, in previsione di imminenti trasferte pagate verso località di villeggiatura siberiane... Tuttavia, per ingannare il tempo nell’attesa, ritornò a lavorare sulla sua Quarta, che era ormai a buon punto e che completò alla fine di aprile di quello stesso 1936. Poi la pubblica esecuzIone, già programmata per la fine dell’anno, fu annullata per ragioni di opportunità che Shostakovich, data la stagione piuttosto... ehm, rigida, non impiegò molto a condividere.

Scampata così la vacanza siberiana e tornato, dopo qualche mese, un clima più mite, anzi propriamente estivo, ecco che l’obbediente Dmitri tirò fuori a fine luglio la sua Quinta (poi presentata in autunno, e significativamente per il 20° anniversario della Rivoluzione) doveroso atto di contrizione per le passate malefatte: risposta a giuste critiche, ammise a denti stretti nella presentazione del lavoro. E da allora lo Shostakovich ufficiale fu quello nato con la Sinfonia in RE minore (una vera sinfonia, anacronisticamente ottocentesca, se possibile più beethoveniana che mahleriana, quindi genuina espressione dell’approccio borghese alla musica, altro che comunismo) che si chiude in uno strepitoso RE maggiore, a onore imperituro del (toh ?!? curioso questo scambio di attributi) realismo socialista. [Lenny Bernstein, al solito, andò oltre le intenzioni dell’Autore, forse per esaltarne la... insincerità?]

Ed effettivamente in tutte le sue composizioni successive (Sinfonie incluse) al buon Dmitri non resterà - per non sentirsi un verme e dar comunque retta alla sua ispirazione - che impiegare l’arma perfida e pericolosa dell’ironia e dei sottili doppi-sensi dietro i quali dissimulare la sua indipendenza dalle ipocrisie del regime. Non sarà comunque tutto rose-e-fiori (vedi gli stringiculo del 1948) ma alla fine (1961, 25 anni dopo la composizione e 8 dopo la dipartita del caro zio Peppone) verrà persino il momento di tornare a prima del virus, con la riesumazione della Quarta.   
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Magari in misura minore rispetto a quelle che precedono, anche questa è un’opera assai eterodossa, se pensiamo ai classici canoni ottocenteschi, ma anche a quelli novecenteschi, per dire, di un Mahler, cui pure sembra ispirarsi non poco. Al proposito, si potrebbe quasi definire questa Sinfonia come l’Undicesima di Mahler, lo sviluppo che avrebbe potuto avere l’estetica del compositore boemo se la morte non lo avesse portato via a soli 51 anni, chissà...

Ci troviamo l’ipertrofia dei mezzi (ma mai impiegata con volgarità o affettazione, anzi con approccio squisitamente cameristico) e delle forme (la proliferazione di temi e motivi difficilmente imbrigliabili negli schemi classici); e soprattutto il prevalere delle linee melodiche e del contrappunto, a tutto scapito dell’armonia (unica oasi, uno scorcio del terzo movimento, a parte la prima coda del finale): un ritorno a Bach e ancor più indietro, ai fiamminghi. Tutte caratteristiche che, insieme ad una marcata instabilità tonale (soprattutto nel movimento iniziale) - pur nel sostanziale rispetto del diatonismo - conferiscono all’opera una tinta (per dirla con Verdi) severa, aspra, a volte spettrale, altre ossessivamente meccanica (il che però non significa arida e priva di pathos, tutt’altro!)

Anche se non ci sono prove che l’annullamento dell’esecuzione della Sinfonia fosse stato imposto dal regime a fronte di qualche soffiata sulla natura eversiva dell’opera, resta il fatto che si era ormai consolidato un clima di diffidenza prima e di aperto ostracismo poi verso il compositore, diventato rapidamente - ancor così giovane - così famoso; ma reo di minare certezze e di spegnere entusiasmi. Insomma, un virus potenzialmente distruttivo, e quindi da distruggere o... convertire ad anticorpo. Al povero Shostakovich non restò che sottomettersi ed accettare (per non essere spietatamente eliminato) l’unico ruolo che il regime gli concedeva di sostenere: appunto quello di antivirus. Così forse si spiega anche l’altrimenti incomprensibile quanto antistorica svolta estetica materializzatasi nella Quinta. [Da qui però a sottoscrivere la descrizione della figura del compositore come presentata nel controverso Testimony di Solomon Volkov ce ne corre.]  
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Una recente ed assai accurata analisi della sinfonia, preceduta da un corposo quadro dello scenario sovietico (musicale, ma non solo) di un secolo fa, è questa della musicologa e docente britannica Pauline Fairclough, dalla quale ho tratto lo spunto per questa sommaria esplorazione dell’opera, nella citata interpretazione di Kirill Kondrashin, che nel 1961 fu artefice (autorizzato dall’Autore) della ricostruzione della partitura (usata - à-la-bohème - come... combustibile negli anni dell’assedio di Leningrado) a partire dalle singole parti strumentali miracolosamente risparmiate ai falò e ritrovate al Conservatorio che avrebbe dovuto ospitare la (poi cancellata) prima del 1936.

La strutturazione in tre movimenti (i due esterni di proporzioni considerevoli che ne incastonano un terzo più agile) è non-convenzionale, ma non nuova anche rispetto al sinfonismo classico, e il primo movimento - ulteriore novità rispetto alla precedente Terza - è in forma-sonata: da qui però a concludere che ci si trovi di fronte ad un ritorno a... Franck ce ne corre assai.

E proprio l’iniziale Allegretto poco moderato mette subito a dura prova le nostre (ma anche quelle dei musicologi, a giudicare dalle difformità delle loro analisi) capacità di cogliere le caratteristiche della sua narrativa, tanta e tale è la complessità della sua struttura: l’esposizione di due gruppi tematici corredati da sviluppi interni a ciascuno con fioritura di motivi secondari (!); lo sviluppo vero e proprio di proporzioni vastissime e generatore di innumerevoli altri motivi secondari; una ricapitolazione piuttosto sbrigativa, ma assai contorta nella presentazione dei temi; e infine la coda che inaspettatamente va a... morire, dopo tutto quel po’ po’ di vitalità. 

Mi limito quindi a segnalare all’ascoltatore i traguardi principali, in modo da non smarrirsi in questo (apparente) ginepraio e di cogliere almeno il bandolo di questa intricata matassa.       
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Esposizione

Primo gruppo tematico
          Introduzione
   16” Tema A1
1’28” transizione
1’59” Tema A2 
3’23” sviluppo gruppo tematico A (e preparazione al climax)
4’21” climax (A1+A2)
5’07” lunga pausa di riflessione
6’45” ripresa verso climax
7’07” climax e chiusura gruppo tematico A

Secondo gruppo tematico
7’15”  Tema B1 (fagotto)
7’56”  Tema B2
9’08”  Tema B1: variazione 1
9’39”   walzer
   10’02”  Tema B1: variazione 2 (cucù e preparazione al climax)
   11’13”   tromba: preparazione al climax
   11’32”   climax (nuovo motivo, della supplica dal Boris?)
   11’49”  Tema B1: variazione 3

Sviluppo 

        12’29”  A1+B1 in forma di polka
        14’22”  fugato archi a 4 voci (A1)
        15’33”  marcia e climax (A1+A2)
        16’42”  walzer1 (A1)
        17’16”  walzer2 (B1)
        18’31”  transizione (con ffff di 12 note - Mahler X - negli ottoni a 19’00”)

Ricapitolazione 

        19’30”  Introduzione
        19’51”  Tema B1 (tromba + trombone)
        20’41”  Tema B2 (corno inglese) e climax
        21’38”  Tema B1: variazione 2 (cucù)
        22’04”  Tema A2
        23’18”  Tema A1 (fagotto)
        24’41”  Coda

Come si vede (e si ascolta!) un primo tempo di quelli davvero tosti, di cui persino un orecchio allenato fatica a cogliere tutte le implicazioni, che solo un’analisi puntuale (come quella qui ricordata) può svelare nella loro piena portata estetica (poi ci sono commentatori, adepti di Volkov, che ci costruiscono sopra improbabili - basta ricordare qualche data - premonozioni di irruzioni di agenti segreti in casa del compositore per prelevarlo con destinazione Siberia... timori che Shostakovich maturerà più avanti, ma che non poteva in alcun modo nutrire quando compose i primi due movimenti, come minimo, della Sinfonia.)  

Invece è del tutto evidente come questa musica si esponesse terribilmente all’accusa di formalismo che a quell’epoca stava diventando sempre più un pretesto addotto dal regime per tacitare ogni voce men che succube alle direttive imperanti. Shostakovich, dopo la lezione della Ledi, lo aveva dovuto imparare a sue spese - lo ammetterà candidamente molto più tardi - e così, dopo un primo impulso a sfidare Stalin con la sua formalistica Quarta, pensò bene di abbassare la testa e lasciar perdere. Da qui il suo nulla sarà più come prima.
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Il (relativamente) breve Moderato con moto che segue è unanimemente ritenuto tributario di Mahler, in particolare dello Scherzo della Seconda (derivato a sua volta dal Lied di SantAntonio del Wunderhorn). Ha una struttura assai semplice: A-B-A-B-Coda, ma è in particolare caratterizzato dalla presenza (alla riapparizione di A) di una fuga davvero geniale. 

Tema A
        25’42”  soggetto, controsoggetto e sviluppo
        27’58”  climax e transizione

Tema B
        28’13”  soggetto e sviluppo
        29’24”  fermata (timpani) e transizione

Tema A
        29’37”  soggetto e sviluppo
        31’34”  fuga e stretto Canone a 4 voci distanziate di una settima maggiore discendente (una seconda minore ascendente: FA-SOLb-SOL-LAb) - climax
        
Tema B
        32’13”  soggetto (corni)
        33’23”  (fagotto)

Coda
        33’33”  (Tema A) 

Come si nota, la Coda - caratterizzata dal ritmo battuto da castagnette, legno e tamburino, dal RE grave dell’arpa, dal pizzicato dei contrabbassi, con i violini che ricordano il tema A in veloci biscrome e lo xilofono che la suggella con un unico tocco - conclude il movimento abbastanza mestamente: e questa è una caratteristica di tutte tre le parti della sinfonia, quasi un programma di... rassegnazione. 
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Il conclusivo Largo-Allegro ha una durata pressochè identica a quella dell’iniziale Allegretto, il che conferisce alla Sinfonia un mirabile equilibrio complessivo. La sua macro-struttura tematica parrebbe abbastanza semplice (A-B-C-A, corrispondenti ad altrettante sezioni: Marcia - Scherzo - Divertimento - Coda) ma nel dettaglio è invece - se possibile - ancor più complessa di quella del movimento iniziale.

Come anticipato, sappiamo che Shostakovich stava proprio lavorando a questo finale (di cui aveva evidentemente già sbozzato la forma mesi addietro, al momento di iniziare a pensare alla Sinfonia) quando arrivarono le due micidiali, quanto inaspettate, bordate staliniane che lo misero in uno stato d’animo non certo sereno. Quanto esse abbiano eventualmente fatto deviare o addirittura deragliare la composizione dai suoi binari originali è materia di discussione e gli stessi musicologi si dividono sui giudizi da dare in proposito. Il pomo della discordia è soprattutto la prima delle due Code (quella trionfalistica) che secondo alcuni sarebbe stata introdotta dal compositore per (fingere di) accontentare Stalin; altri invece sostengono che, pur preoccupato, Shostakovich abbia proseguito dritto per la sua strada, e che quindi la Sinfonia sia stata completata seguendo il piano originale, di cui evidentemente anche la coda enfatica era parte integrante.

Molte sono, anche in questo movimento, le reminiscenze o i riferimenti mahleriani, ma anche Stravinski (un traditore del sovietismo!) vi è più volte richiamato, così come Ciajkovski. I sottotitoli in cui è suddiviso questo finale non sono dell’Autore, ma sono stati plausibilmente proposti da autorevoli musicologi. 

(Marcia-)Largo
Normalmente descritta come reminiscenza mahleriana (terzo movimento della Prima Sinfonia e Lied Die zwei blauen Augen, dai Gesellen) e beethoveniana (Eroica):
  34’05”  Tema A
  34’57”  Tema A1 e sviluppo
  35’48”  Tema A
  36’16”  ponte
  36’48”  Tema A2 e climax
  37’30”  ponte
  38’16”  Tema A1
  39’02”  Tema A

(Scherzo-)Allegro
Struttura abbastanza eterodossa, che del tradizionale Scherzo ha quasi solo il piglio vivace e gli ostinati caratteristici di tante pagine analoghe di Shostakovich:    
  39’52”  Tema B
  40’45”  cadenza e sviluppo
  41’16”  Scherzo ostinato
  42’17”  preparazione al climax
  42’35”  climax
  42’52”  reminiscenze Lady Macbeth (atto I, scene II e III)
  43’15”  dissolvenza

(Divertimento-Allegro)
É un lungo pot-pourri di danze, melodie popolari e motivi da operetta, strutturato in almeno 5 (o 6) sezioni:
  Reminiscenze di Petrushka
    43’35” Introduzione
    43’53” Tema C1 (Walzer della ballerina)
    45’26” Tema B (Scherzo)
    45’50” Tema C1
  Polka (fagotto)
    46’19” Tema C2 (3 episodi)
    47’30” Tema C2 (trombone)
  Walzer (organetto)
    48’12” Tema C3 (clarinetto)
    48’40” Citazione Irving Berlin (Always)
    49’12” Temi C4 - B (variante Scherzo)
  Galop
    49’37” Tema C5
    50’18” Marcia
    50’40” Transizione (T)
  Canzone popolare
    51’07” Tema C6
    51’34” Walzer (Temi B - C7)
    51’58” Transizione (T)

(Coda)
L’enigmatica chiusura della sinfonia si articola in due code diverse, anzi proprio di opposta ambientazione:
  52’44” Coda I (parafrasi sul Gloria dall’Oedipus Rex)
  55’08” Coda II (marcia funebre)
  56’20” Transizione (T) e richiamo alla chiusa della Patetica (sincopato nei contrabbassi)
  58’08” morendo (celesta)

Che questa coda sia stata completata prima o dopo la duplice denuncia della Pravda, non v’è dubbio, ascoltando la musica, che si tratti di una (nemmeno troppo criptica) denuncia delle degenerazioni dello stalinismo: il Gloria stravinskiano è già di per se il peana ad un essere umano poco raccomandabile (la perfida Giocasta) e finisce proprio in nulla; la seconda coda che lo segue (con l’accompagnamento da Ciajkovski) ne contraddice seccamente quanto mestamente il trionfalismo. Il conclusivo morendo si apparenta poi, in tutta evidenza, all’Abschied mahleriano, un disincantato addio ai bei sogni passati...  
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Insomma, dopo gli anni di entusiasmo per la Rivoluzione, è verosimile che il compositore cominciasse ad aprire gli occhi sulla deriva dello stalinismo e personalmente questa Sinfonia mi appare come una profonda meditazione su una civiltà - quella occidentale, della quale peraltro la Rivoluzione sovietica non faceva che inseguire disperatamente le orme (da qui industrializzazione forzata e collettivizzazione delle campagne) e anche le ossessioni (crescita, produttività) pur nell’utopia di fare di quegli strumenti un uso più nobile rispetto al capitalismo - una civiltà dicevo, sempre più schiava del correre e del produrre, a scapito del contemplare e dell’amare. 

Meditazione quanto mai di attualità!

16 maggio, 2020

Fase2 - nuova tappa


Lunedi prossimo, altra stazione di viacrucis per i musicomani (ormai si riapre tutto, meno che i teatri); per qualcuno - come il sottoimmortalato - fu proprio l’ultima, precisamente 109 anni orsono:


Mi permetto di ricordarlo mit Parodie, attitudine che lui stesso teneva talvolta per affrontare in musica anche i temi più seri:


13 maggio, 2020

Emergenze: i due polli


Conosciamo tutti la storiella: ci sono due uomini e due polli, quindi la statistica ci dice che c’è un pollo a testa, giusto per sfamare a sufficienza entrambi. Invece la realtà ci dice che un individuo rischia l’indigestione, ingozzandosi di entrambi i polli, mentre l’altro muore di fame.

Storiella quanto mai di attualità, a giudicare dalle fake-news oggi di moda. L’esempio più lampante è l’allarme atomico relativo al calo del 10% del P.i.l. in Italia nel 2020, al cui confronto la crisi del ’29 sarebbe stata un periodo di vacche grasse.

Abbiate pazienza, ma immaginiamo di assimilare l’Italia ad una sola famiglia (da moltiplicarsi per 10 milioni) fatta da genitori, tre figli e un nonno a carico, con un reddito nella media. Orbene, se una tal famiglia nel 2020 vede ridursi - rispetto al 2019 -  i suoi introiti del 10% (pari alla diminuzione del P.i.l.) secondo voi che fine fa? Per mal che vada, dovrà rinunciare a qualche acquisto superfluo (che so... una crema dimagrante, una nuova racchetta da tennis, una seduta su tre al mese dal parrucchiere) e basta là.

Ma allora perchè ci dicono che una contrazione del 10% del P.i.l. è la fine del mondo?

Elementare, Watson! Basta ricordare la storiella dei due polli!


Come dice Fafner? Io mi prendo la metà più grande del bottino!  

03 maggio, 2020

Fase-2. Ei fu?


Mia mamma (in questi tempi di prigionia i ricordi più lontani rimontano alla mente...) faceva la maestra elementare (io le fui allievo sì, ma solo fra le domestiche mura, mai in aula). Non saprei dire se fosse una sua invenzione, oppure l’avesse a sua volta mutuata da qualche suo maieuta... fatto sta che lei aveva trovato modo di correggere nientemeno che quell’illetterato di Alessandro Manzoni (!) La sua matita blu si accaniva sulla posizione di una virgola nell’ode Il 5 Maggio. 

Così aveva scritto (dopo un paio di... numeri zero) il sommo:

Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale...

Tradotto in prosa volgare (parte in italico): così la terra resta colpita e sbalordita alla notizia, pensando in silenzio alle ultime ore dell’illustre defunto.

Eh no! sosteneva la mamma (e il bello brutto è che lo insegnava pure ai suoi scolaretti di quarta!): Manzoni ha sbagliato la virgola! (o forse la colpa era dell’illetterato linotipista?) Secondo lei il passaggio così si doveva scrivere e leggere:

così percossa, attonita
la terra al nunzio sta 
muta, pensando all'ultima
ora dell'uom fatale...

Insomma, la virgola - e conseguente pausa - dopo il muta, non dopo lo sta

Devo confessare di non aver mai dato troppo peso alla cosa nè - una volta resomi autonomo dalle opinioni di mamma e papà - di essere più tornato sull’argomento. [Quanti e quali danni abbia poi fatto alla cultura universale l’insegnamento fake della mamma, lo lascio volentieri immaginare a voi.] 
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Dato però che si parla di Napoleone e - necessariamente, qui - di musica, ecco un altro abbaglio preso dai saputelli di turno (no, non è una postuma offesa alla cara mamma...) riguardo all’Eroica beethoveniana, originariamente dedicata a Bonaparte. Il pomo della discordia è noto (almeno, ma forse non solo) agli addetti ai lavori; si tratta del passaggio che chiude lo sviluppo del primo movimento della Terza:
Beethoven (un po' come Manzoni, dopo parecchi ripensamenti, va detto, almeno stando ai suoi schizzi) decide di stupire (o scandalizzare, dipende...) l’ascoltatore: mentre primi e secondi violini suonano in tremolo uno spezzone (SIb-LAb) di accordo di settima di dominante (del MIb maggiore di impianto) il secondo corno ci sovrappone proditoriamente l’attacco del tema principale, ovviamente nella tonica MIb: roba da radiazione seduta stante da tutti i Conservatori dell'Impero!

Apriti cielo! Un allibito discepolo del compositore, tale Ferdinand Ries, evidentemente all’oscuro della partitura, incolpa subito il malcapitato cornista di non saper contare e di esser quindi entrato con anticipo di quattro battute, rovinando il capolavoro. Peggio fa il Direttore François Joseph Fétis che - bontà sua - accusa senza mezzi termini Beethoven di aver dimenticato la parte del corno in MIb, e la corregge diligentemente a SIb (col che la frase cade sulla dominante, come da sacri canoni).

Ma la reazione più sorprendente fu quella di Richard Wagner: anche lui prese evidentemente il suo idolo Beethoven per matto, abbassando quindi il LAb dei secondi violini a SOL, col che portò il sottofondo sulla tonica MIb, per rimetter tutto a posto.
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P.S.: che Conte ce la mandi buona... altrimenti gli toccherà un necrologio per nulla manzoniano.