Mah, di questi tempi lo si sente dire e scrivere in ogni dove. Però, a
fronte di molti che si augurano che la lezione ci serva a diventare più virtuosi
(ad esempio rispettando la Natura, che altrimenti si vendica...) e meno schiavi
di stupide mode e modelli di vita, altri parrebbero invece seriamente intenzionati
non solo a tornare come prima, ma assai peggio di prima (è quel 10% che non si accontenta di detenere il 90% della ricchezza, ma
punta ancor più in alto; più parecchi epigoni di costoro, che ne diventano
spesso vittime).
Se poi sarà così o cosà lo vedremo solo a cose fatte (cioè a virus messo
definitivamente in quarantena... ma ci vorrà tempo).
Di certo sappiamo invece che nulla
fu più come prima per il povero Dmitri Shostakovich, dopo la
simpatica recensione che una penna anonima imbeccata dallo zio dell’Onorevole Peppone (o addirittura imbracciata dallo zio Peppone in persona) fece comparire
sulla Pravda di martedi 28 gennaio
1936, intitolata Сумбур вместо музыки, cioè più o meno: Casino invece di musica (effettivamente nella Ledi di casino ce n’è parecchio, ammettiamolo, seppur mirabilmente
musicato dal nostro).
Così il previdente (e
forse un filino preoccupato) Dmitri da quel giorno si tenne sempre a portata di mano una
valigia piena di indumenti pesanti, in previsione di imminenti trasferte pagate verso località di villeggiatura siberiane... Tuttavia,
per ingannare il tempo nell’attesa, ritornò a lavorare sulla sua Quarta, che era ormai
a buon punto e che completò alla fine di aprile di quello stesso 1936. Poi la
pubblica esecuzIone, già programmata per la fine dell’anno, fu annullata per
ragioni di opportunità che Shostakovich, data la stagione piuttosto... ehm, rigida, non
impiegò molto a condividere.
Scampata così la vacanza
siberiana e tornato, dopo qualche mese, un clima più mite, anzi propriamente
estivo, ecco che l’obbediente Dmitri tirò fuori a fine luglio la sua Quinta (poi presentata in autunno, e
significativamente per il 20° anniversario della Rivoluzione) doveroso atto di contrizione
per le passate malefatte: risposta a
giuste critiche, ammise a denti stretti nella presentazione del lavoro. E
da allora lo Shostakovich ufficiale fu quello nato con la Sinfonia in RE minore (una vera
sinfonia, anacronisticamente ottocentesca, se possibile più beethoveniana
che mahleriana, quindi genuina espressione dell’approccio borghese alla musica,
altro che comunismo) che si chiude in uno strepitoso RE maggiore, a onore imperituro del (toh ?!? curioso questo scambio
di attributi) realismo socialista. [Lenny Bernstein,
al solito, andò oltre le intenzioni dell’Autore, forse per esaltarne la...
insincerità?]
Ed effettivamente in tutte le sue
composizioni successive (Sinfonie incluse) al buon Dmitri non resterà - per non
sentirsi un verme e dar comunque retta alla sua ispirazione - che impiegare l’arma
perfida e pericolosa dell’ironia e dei sottili doppi-sensi dietro i quali
dissimulare la sua indipendenza dalle ipocrisie del regime. Non sarà comunque
tutto rose-e-fiori (vedi gli stringiculo del 1948) ma alla fine (1961, 25 anni
dopo la composizione e 8 dopo la dipartita del caro zio Peppone) verrà persino il momento di tornare a prima del virus, con la riesumazione della Quarta.
___
Magari in misura minore
rispetto a quelle che precedono, anche questa è un’opera assai eterodossa, se
pensiamo ai classici canoni ottocenteschi, ma anche a quelli novecenteschi, per
dire, di un Mahler, cui pure sembra ispirarsi non poco. Al proposito, si
potrebbe quasi definire questa Sinfonia come l’Undicesima di Mahler, lo sviluppo che avrebbe potuto avere
l’estetica del compositore boemo se la morte non lo avesse portato via a soli
51 anni, chissà...
Ci troviamo l’ipertrofia
dei mezzi (ma mai impiegata con volgarità o affettazione, anzi con approccio
squisitamente cameristico) e delle forme (la proliferazione di temi e motivi
difficilmente imbrigliabili negli schemi classici); e soprattutto il prevalere
delle linee melodiche e del contrappunto, a tutto scapito dell’armonia (unica
oasi, uno scorcio del terzo movimento, a parte la prima coda del finale): un ritorno a Bach e ancor più indietro,
ai fiamminghi. Tutte caratteristiche che, insieme ad una marcata instabilità
tonale (soprattutto nel
movimento iniziale) - pur nel sostanziale rispetto del diatonismo - conferiscono all’opera una
tinta (per dirla con Verdi) severa,
aspra, a volte spettrale, altre ossessivamente meccanica (il che però non
significa arida e priva di pathos, tutt’altro!)
Anche se non ci sono
prove che l’annullamento dell’esecuzione della Sinfonia fosse stato imposto dal
regime a fronte di qualche soffiata sulla natura eversiva dell’opera, resta il fatto
che si era ormai consolidato un clima di diffidenza prima e di aperto
ostracismo poi verso il compositore, diventato rapidamente - ancor così giovane
- così famoso; ma reo di minare certezze e di spegnere entusiasmi. Insomma, un virus potenzialmente distruttivo, e quindi
da distruggere o... convertire ad anticorpo. Al povero Shostakovich non restò
che sottomettersi ed accettare (per non essere spietatamente eliminato) l’unico
ruolo che il regime gli concedeva di sostenere: appunto quello di antivirus. Così forse si spiega anche l’altrimenti
incomprensibile quanto antistorica svolta estetica materializzatasi nella Quinta. [Da qui però a sottoscrivere la
descrizione della figura del compositore come presentata nel controverso Testimony di Solomon Volkov ce ne corre.]
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Una recente ed assai accurata analisi della
sinfonia, preceduta da un corposo quadro dello scenario sovietico (musicale, ma
non solo) di un secolo fa, è questa della musicologa e docente britannica Pauline
Fairclough, dalla quale ho tratto lo spunto per questa
sommaria esplorazione dell’opera, nella citata interpretazione di Kirill Kondrashin, che nel 1961 fu
artefice (autorizzato dall’Autore) della ricostruzione della partitura (usata -
à-la-bohème - come... combustibile
negli anni dell’assedio di Leningrado) a partire dalle singole parti
strumentali miracolosamente risparmiate ai falò e ritrovate al Conservatorio che
avrebbe dovuto ospitare la (poi cancellata) prima
del 1936.
La strutturazione in tre movimenti (i due esterni di proporzioni considerevoli che ne incastonano un terzo
più agile) è non-convenzionale, ma non nuova anche rispetto al sinfonismo
classico, e il primo movimento - ulteriore novità rispetto alla precedente Terza - è in forma-sonata: da qui però a concludere che ci si trovi di fronte ad
un ritorno a... Franck ce ne corre
assai.
E
proprio l’iniziale Allegretto poco moderato
mette subito a dura prova le nostre (ma anche quelle dei musicologi, a
giudicare dalle difformità delle loro analisi) capacità di cogliere le
caratteristiche della sua narrativa, tanta e tale è la complessità della sua
struttura: l’esposizione di due
gruppi tematici corredati da sviluppi
interni a ciascuno con fioritura di motivi secondari (!); lo sviluppo vero e proprio di proporzioni
vastissime e generatore di innumerevoli altri motivi secondari; una ricapitolazione piuttosto sbrigativa, ma
assai contorta nella
presentazione dei temi; e infine la coda che
inaspettatamente va a... morire, dopo tutto quel po’ po’ di vitalità.
Mi limito quindi a segnalare all’ascoltatore i traguardi principali, in modo da non smarrirsi
in questo (apparente) ginepraio e di cogliere almeno il bandolo di questa intricata matassa.
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Esposizione
Primo gruppo tematico
Introduzione
16” Tema A1
1’28” transizione
1’59” Tema A2
3’23” sviluppo gruppo tematico A (e preparazione al climax)
4’21” climax (A1+A2)
5’07” lunga pausa di riflessione
6’45” ripresa verso climax
7’07” climax e
chiusura gruppo tematico A
Secondo gruppo tematico
7’15” Tema B1
(fagotto)
7’56” Tema B2
9’08” Tema B1:
variazione 1
9’39” walzer
10’02” Tema B1: variazione 2 (cucù e preparazione al climax)
11’13” tromba: preparazione al climax
11’32” climax (nuovo motivo, della supplica
dal Boris?)
11’49” Tema B1: variazione 3
Sviluppo
12’29” A1+B1 in forma di polka
14’22” fugato archi a 4 voci (A1)
15’33” marcia e climax
(A1+A2)
16’42” walzer1 (A1)
17’16” walzer2 (B1)
18’31” transizione (con ffff di 12 note - Mahler X
- negli ottoni a 19’00”)
Ricapitolazione
19’30”
Introduzione
19’51” Tema B1 (tromba + trombone)
20’41” Tema B2 (corno inglese) e climax
21’38” Tema B1:
variazione 2 (cucù)
22’04” Tema A2
23’18” Tema A1 (fagotto)
24’41” Coda
Come si vede (e si ascolta!) un primo tempo di quelli
davvero tosti, di cui persino un orecchio allenato
fatica a cogliere tutte le implicazioni, che solo un’analisi puntuale (come
quella qui ricordata) può svelare nella loro piena portata estetica (poi ci sono commentatori, adepti di Volkov, che ci
costruiscono sopra improbabili - basta ricordare qualche data - premonozioni di
irruzioni di agenti segreti in casa del compositore per prelevarlo con
destinazione Siberia... timori che Shostakovich maturerà più avanti, ma che non
poteva in alcun modo nutrire quando compose i primi due movimenti, come minimo,
della Sinfonia.)
Invece è del tutto evidente
come questa musica si esponesse terribilmente all’accusa di formalismo che a quell’epoca stava
diventando sempre più un pretesto addotto dal regime per tacitare ogni voce men
che succube alle direttive imperanti. Shostakovich, dopo la lezione della Ledi, lo aveva dovuto imparare a sue
spese - lo ammetterà candidamente molto più tardi - e così, dopo un primo
impulso a sfidare Stalin con la sua formalistica
Quarta, pensò bene di abbassare la testa e lasciar perdere. Da qui il suo nulla sarà più come prima.
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Il (relativamente) breve Moderato con moto che
segue è unanimemente ritenuto tributario di Mahler, in particolare dello Scherzo della Seconda (derivato a sua volta dal Lied di SantAntonio del Wunderhorn). Ha una struttura assai
semplice: A-B-A-B-Coda, ma è in particolare caratterizzato dalla presenza (alla
riapparizione di A) di una fuga
davvero geniale.
Tema A
25’42” soggetto, controsoggetto e sviluppo
27’58” climax
e transizione
Tema B
28’13” soggetto e sviluppo
29’24” fermata (timpani) e transizione
Tema A
29’37” soggetto e sviluppo
31’34” fuga e stretto Canone a 4 voci distanziate di
una settima maggiore discendente (una seconda minore ascendente:
FA-SOLb-SOL-LAb) - climax
Tema B
32’13” soggetto (corni)
33’23” (fagotto)
Coda
33’33” (Tema A)
Come si nota, la Coda - caratterizzata dal ritmo battuto da castagnette,
legno e tamburino, dal RE grave dell’arpa, dal pizzicato dei contrabbassi, con i violini che ricordano il tema A in
veloci biscrome e lo xilofono che la suggella con un unico tocco - conclude il
movimento abbastanza mestamente: e questa è una caratteristica di tutte tre le
parti della sinfonia, quasi un programma di... rassegnazione.
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Il conclusivo Largo-Allegro ha una durata
pressochè identica a quella dell’iniziale Allegretto,
il che conferisce alla Sinfonia un mirabile equilibrio complessivo. La sua
macro-struttura tematica parrebbe abbastanza semplice (A-B-C-A, corrispondenti ad altrettante sezioni: Marcia - Scherzo - Divertimento - Coda) ma
nel dettaglio è invece - se possibile - ancor più complessa di quella del
movimento iniziale.
Come
anticipato, sappiamo che Shostakovich stava proprio lavorando a questo finale (di cui aveva evidentemente già
sbozzato la forma mesi addietro, al momento di iniziare a pensare alla
Sinfonia) quando arrivarono le due micidiali, quanto inaspettate, bordate
staliniane che lo misero in uno stato d’animo non certo sereno. Quanto esse
abbiano eventualmente fatto deviare o addirittura deragliare la composizione
dai suoi binari originali è materia di discussione e gli stessi musicologi si
dividono sui giudizi da dare in proposito. Il pomo della discordia è
soprattutto la prima delle due Code
(quella trionfalistica) che secondo alcuni sarebbe stata introdotta dal
compositore per (fingere di) accontentare Stalin; altri invece sostengono che,
pur preoccupato, Shostakovich abbia proseguito dritto per la sua strada, e che
quindi la Sinfonia sia stata completata seguendo il piano originale, di cui
evidentemente anche la coda enfatica era parte integrante.
Molte
sono, anche in questo movimento, le reminiscenze o i riferimenti mahleriani, ma
anche Stravinski (un traditore del
sovietismo!) vi è più volte richiamato, così come Ciajkovski. I sottotitoli in cui è suddiviso questo
finale non sono dell’Autore, ma sono stati plausibilmente proposti da autorevoli
musicologi.
(Marcia-)Largo
Normalmente descritta come reminiscenza mahleriana
(terzo movimento della Prima Sinfonia
e Lied Die zwei blauen Augen, dai Gesellen) e beethoveniana (Eroica):
34’05” Tema A
34’57” Tema A1 e sviluppo
35’48” Tema A
36’16” ponte
36’48” Tema A2 e climax
37’30” ponte
38’16” Tema A1
39’02” Tema A
(Scherzo-)Allegro
Struttura abbastanza eterodossa, che
del tradizionale Scherzo ha quasi
solo il piglio vivace e gli ostinati caratteristici
di tante pagine analoghe di Shostakovich:
39’52” Tema B
40’45” cadenza
e sviluppo
41’16” Scherzo
ostinato
42’17” preparazione
al climax
42’35” climax
42’52” reminiscenze
Lady Macbeth (atto I, scene II e III)
43’15” dissolvenza
(Divertimento-Allegro)
É un lungo pot-pourri di danze, melodie popolari e motivi da operetta, strutturato
in almeno 5 (o 6) sezioni:
Reminiscenze
di Petrushka
43’35”
Introduzione
43’53”
Tema C1 (Walzer della ballerina)
45’26”
Tema B (Scherzo)
45’50”
Tema C1
Polka
(fagotto)
46’19”
Tema C2 (3 episodi)
47’30”
Tema C2 (trombone)
Walzer (organetto)
48’12”
Tema C3 (clarinetto)
48’40”
Citazione Irving Berlin (Always)
49’12” Temi C4 - B (variante Scherzo)
Galop
49’37” Tema C5
50’18” Marcia
50’40” Transizione
(T)
Canzone
popolare
51’07”
Tema C6
51’34” Walzer (Temi B - C7)
51’58” Transizione
(T)
(Coda)
L’enigmatica chiusura della
sinfonia si articola in due code
diverse, anzi proprio di opposta ambientazione:
52’44”
Coda I (parafrasi sul Gloria dall’Oedipus Rex)
55’08”
Coda II (marcia funebre)
56’20”
Transizione (T) e richiamo alla chiusa della Patetica (sincopato nei contrabbassi)
58’08”
morendo (celesta)
Che questa coda sia stata completata
prima o dopo la duplice denuncia della Pravda,
non v’è dubbio, ascoltando la musica,
che si tratti di una (nemmeno troppo criptica) denuncia delle degenerazioni
dello stalinismo: il Gloria
stravinskiano è già di per se il peana ad un essere umano poco raccomandabile
(la perfida Giocasta) e finisce proprio
in nulla; la seconda coda che lo
segue (con l’accompagnamento da Ciajkovski)
ne contraddice seccamente quanto mestamente il trionfalismo. Il conclusivo morendo si apparenta poi, in tutta
evidenza, all’Abschied mahleriano, un
disincantato addio ai bei sogni passati...
___
Insomma, dopo gli anni di entusiasmo per la
Rivoluzione, è verosimile che il compositore cominciasse ad aprire gli occhi
sulla deriva dello stalinismo e personalmente questa Sinfonia mi appare come
una profonda meditazione su una civiltà - quella occidentale, della quale
peraltro la Rivoluzione sovietica non faceva che inseguire disperatamente le
orme (da qui industrializzazione forzata e collettivizzazione delle campagne) e
anche le ossessioni (crescita, produttività) pur nell’utopia di fare di quegli
strumenti un uso più nobile rispetto al capitalismo - una civiltà dicevo,
sempre più schiava del correre e del produrre, a scapito del contemplare e dell’amare.
Meditazione quanto mai di attualità!