percorsi

da stellantis a stallantis

20 maggio, 2020

Ripartenze. Nulla sarà come prima (?)


Mah, di questi tempi lo si sente dire e scrivere in ogni dove. Però, a fronte di molti che si augurano che la lezione ci serva a diventare più virtuosi (ad esempio rispettando la Natura, che altrimenti si vendica...) e meno schiavi di stupide mode e modelli di vita, altri parrebbero invece seriamente intenzionati non solo a tornare come prima, ma assai peggio di prima (è quel 10% che non si accontenta di detenere il 90% della ricchezza, ma punta ancor più in alto; più parecchi epigoni di costoro, che ne diventano spesso vittime). Se poi sarà così o cosà lo vedremo solo a cose fatte (cioè a virus messo definitivamente in quarantena... ma ci vorrà tempo).

Di certo sappiamo invece che nulla fu più come prima per il povero Dmitri Shostakovich, dopo la simpatica recensione che una penna anonima imbeccata dallo zio dell’Onorevole Peppone (o addirittura imbracciata dallo zio Peppone in persona) fece comparire sulla Pravda di martedi 28 gennaio 1936, intitolata Сумбур вместо музыки, cioè più o meno: Casino invece di musica (effettivamente nella Ledi di casino ce n’è parecchio, ammettiamolo, seppur mirabilmente musicato dal nostro).

Così il previdente (e forse un filino preoccupato) Dmitri da quel giorno si tenne sempre a portata di mano una valigia piena di indumenti pesanti, in previsione di imminenti trasferte pagate verso località di villeggiatura siberiane... Tuttavia, per ingannare il tempo nell’attesa, ritornò a lavorare sulla sua Quarta, che era ormai a buon punto e che completò alla fine di aprile di quello stesso 1936. Poi la pubblica esecuzIone, già programmata per la fine dell’anno, fu annullata per ragioni di opportunità che Shostakovich, data la stagione piuttosto... ehm, rigida, non impiegò molto a condividere.

Scampata così la vacanza siberiana e tornato, dopo qualche mese, un clima più mite, anzi propriamente estivo, ecco che l’obbediente Dmitri tirò fuori a fine luglio la sua Quinta (poi presentata in autunno, e significativamente per il 20° anniversario della Rivoluzione) doveroso atto di contrizione per le passate malefatte: risposta a giuste critiche, ammise a denti stretti nella presentazione del lavoro. E da allora lo Shostakovich ufficiale fu quello nato con la Sinfonia in RE minore (una vera sinfonia, anacronisticamente ottocentesca, se possibile più beethoveniana che mahleriana, quindi genuina espressione dell’approccio borghese alla musica, altro che comunismo) che si chiude in uno strepitoso RE maggiore, a onore imperituro del (toh ?!? curioso questo scambio di attributi) realismo socialista. [Lenny Bernstein, al solito, andò oltre le intenzioni dell’Autore, forse per esaltarne la... insincerità?]

Ed effettivamente in tutte le sue composizioni successive (Sinfonie incluse) al buon Dmitri non resterà - per non sentirsi un verme e dar comunque retta alla sua ispirazione - che impiegare l’arma perfida e pericolosa dell’ironia e dei sottili doppi-sensi dietro i quali dissimulare la sua indipendenza dalle ipocrisie del regime. Non sarà comunque tutto rose-e-fiori (vedi gli stringiculo del 1948) ma alla fine (1961, 25 anni dopo la composizione e 8 dopo la dipartita del caro zio Peppone) verrà persino il momento di tornare a prima del virus, con la riesumazione della Quarta.   
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Magari in misura minore rispetto a quelle che precedono, anche questa è un’opera assai eterodossa, se pensiamo ai classici canoni ottocenteschi, ma anche a quelli novecenteschi, per dire, di un Mahler, cui pure sembra ispirarsi non poco. Al proposito, si potrebbe quasi definire questa Sinfonia come l’Undicesima di Mahler, lo sviluppo che avrebbe potuto avere l’estetica del compositore boemo se la morte non lo avesse portato via a soli 51 anni, chissà...

Ci troviamo l’ipertrofia dei mezzi (ma mai impiegata con volgarità o affettazione, anzi con approccio squisitamente cameristico) e delle forme (la proliferazione di temi e motivi difficilmente imbrigliabili negli schemi classici); e soprattutto il prevalere delle linee melodiche e del contrappunto, a tutto scapito dell’armonia (unica oasi, uno scorcio del terzo movimento, a parte la prima coda del finale): un ritorno a Bach e ancor più indietro, ai fiamminghi. Tutte caratteristiche che, insieme ad una marcata instabilità tonale (soprattutto nel movimento iniziale) - pur nel sostanziale rispetto del diatonismo - conferiscono all’opera una tinta (per dirla con Verdi) severa, aspra, a volte spettrale, altre ossessivamente meccanica (il che però non significa arida e priva di pathos, tutt’altro!)

Anche se non ci sono prove che l’annullamento dell’esecuzione della Sinfonia fosse stato imposto dal regime a fronte di qualche soffiata sulla natura eversiva dell’opera, resta il fatto che si era ormai consolidato un clima di diffidenza prima e di aperto ostracismo poi verso il compositore, diventato rapidamente - ancor così giovane - così famoso; ma reo di minare certezze e di spegnere entusiasmi. Insomma, un virus potenzialmente distruttivo, e quindi da distruggere o... convertire ad anticorpo. Al povero Shostakovich non restò che sottomettersi ed accettare (per non essere spietatamente eliminato) l’unico ruolo che il regime gli concedeva di sostenere: appunto quello di antivirus. Così forse si spiega anche l’altrimenti incomprensibile quanto antistorica svolta estetica materializzatasi nella Quinta. [Da qui però a sottoscrivere la descrizione della figura del compositore come presentata nel controverso Testimony di Solomon Volkov ce ne corre.]  
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Una recente ed assai accurata analisi della sinfonia, preceduta da un corposo quadro dello scenario sovietico (musicale, ma non solo) di un secolo fa, è questa della musicologa e docente britannica Pauline Fairclough, dalla quale ho tratto lo spunto per questa sommaria esplorazione dell’opera, nella citata interpretazione di Kirill Kondrashin, che nel 1961 fu artefice (autorizzato dall’Autore) della ricostruzione della partitura (usata - à-la-bohème - come... combustibile negli anni dell’assedio di Leningrado) a partire dalle singole parti strumentali miracolosamente risparmiate ai falò e ritrovate al Conservatorio che avrebbe dovuto ospitare la (poi cancellata) prima del 1936.

La strutturazione in tre movimenti (i due esterni di proporzioni considerevoli che ne incastonano un terzo più agile) è non-convenzionale, ma non nuova anche rispetto al sinfonismo classico, e il primo movimento - ulteriore novità rispetto alla precedente Terza - è in forma-sonata: da qui però a concludere che ci si trovi di fronte ad un ritorno a... Franck ce ne corre assai.

E proprio l’iniziale Allegretto poco moderato mette subito a dura prova le nostre (ma anche quelle dei musicologi, a giudicare dalle difformità delle loro analisi) capacità di cogliere le caratteristiche della sua narrativa, tanta e tale è la complessità della sua struttura: l’esposizione di due gruppi tematici corredati da sviluppi interni a ciascuno con fioritura di motivi secondari (!); lo sviluppo vero e proprio di proporzioni vastissime e generatore di innumerevoli altri motivi secondari; una ricapitolazione piuttosto sbrigativa, ma assai contorta nella presentazione dei temi; e infine la coda che inaspettatamente va a... morire, dopo tutto quel po’ po’ di vitalità. 

Mi limito quindi a segnalare all’ascoltatore i traguardi principali, in modo da non smarrirsi in questo (apparente) ginepraio e di cogliere almeno il bandolo di questa intricata matassa.       
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Esposizione

Primo gruppo tematico
          Introduzione
   16” Tema A1
1’28” transizione
1’59” Tema A2 
3’23” sviluppo gruppo tematico A (e preparazione al climax)
4’21” climax (A1+A2)
5’07” lunga pausa di riflessione
6’45” ripresa verso climax
7’07” climax e chiusura gruppo tematico A

Secondo gruppo tematico
7’15”  Tema B1 (fagotto)
7’56”  Tema B2
9’08”  Tema B1: variazione 1
9’39”   walzer
   10’02”  Tema B1: variazione 2 (cucù e preparazione al climax)
   11’13”   tromba: preparazione al climax
   11’32”   climax (nuovo motivo, della supplica dal Boris?)
   11’49”  Tema B1: variazione 3

Sviluppo 

        12’29”  A1+B1 in forma di polka
        14’22”  fugato archi a 4 voci (A1)
        15’33”  marcia e climax (A1+A2)
        16’42”  walzer1 (A1)
        17’16”  walzer2 (B1)
        18’31”  transizione (con ffff di 12 note - Mahler X - negli ottoni a 19’00”)

Ricapitolazione 

        19’30”  Introduzione
        19’51”  Tema B1 (tromba + trombone)
        20’41”  Tema B2 (corno inglese) e climax
        21’38”  Tema B1: variazione 2 (cucù)
        22’04”  Tema A2
        23’18”  Tema A1 (fagotto)
        24’41”  Coda

Come si vede (e si ascolta!) un primo tempo di quelli davvero tosti, di cui persino un orecchio allenato fatica a cogliere tutte le implicazioni, che solo un’analisi puntuale (come quella qui ricordata) può svelare nella loro piena portata estetica (poi ci sono commentatori, adepti di Volkov, che ci costruiscono sopra improbabili - basta ricordare qualche data - premonozioni di irruzioni di agenti segreti in casa del compositore per prelevarlo con destinazione Siberia... timori che Shostakovich maturerà più avanti, ma che non poteva in alcun modo nutrire quando compose i primi due movimenti, come minimo, della Sinfonia.)  

Invece è del tutto evidente come questa musica si esponesse terribilmente all’accusa di formalismo che a quell’epoca stava diventando sempre più un pretesto addotto dal regime per tacitare ogni voce men che succube alle direttive imperanti. Shostakovich, dopo la lezione della Ledi, lo aveva dovuto imparare a sue spese - lo ammetterà candidamente molto più tardi - e così, dopo un primo impulso a sfidare Stalin con la sua formalistica Quarta, pensò bene di abbassare la testa e lasciar perdere. Da qui il suo nulla sarà più come prima.
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Il (relativamente) breve Moderato con moto che segue è unanimemente ritenuto tributario di Mahler, in particolare dello Scherzo della Seconda (derivato a sua volta dal Lied di SantAntonio del Wunderhorn). Ha una struttura assai semplice: A-B-A-B-Coda, ma è in particolare caratterizzato dalla presenza (alla riapparizione di A) di una fuga davvero geniale. 

Tema A
        25’42”  soggetto, controsoggetto e sviluppo
        27’58”  climax e transizione

Tema B
        28’13”  soggetto e sviluppo
        29’24”  fermata (timpani) e transizione

Tema A
        29’37”  soggetto e sviluppo
        31’34”  fuga e stretto Canone a 4 voci distanziate di una settima maggiore discendente (una seconda minore ascendente: FA-SOLb-SOL-LAb) - climax
        
Tema B
        32’13”  soggetto (corni)
        33’23”  (fagotto)

Coda
        33’33”  (Tema A) 

Come si nota, la Coda - caratterizzata dal ritmo battuto da castagnette, legno e tamburino, dal RE grave dell’arpa, dal pizzicato dei contrabbassi, con i violini che ricordano il tema A in veloci biscrome e lo xilofono che la suggella con un unico tocco - conclude il movimento abbastanza mestamente: e questa è una caratteristica di tutte tre le parti della sinfonia, quasi un programma di... rassegnazione. 
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Il conclusivo Largo-Allegro ha una durata pressochè identica a quella dell’iniziale Allegretto, il che conferisce alla Sinfonia un mirabile equilibrio complessivo. La sua macro-struttura tematica parrebbe abbastanza semplice (A-B-C-A, corrispondenti ad altrettante sezioni: Marcia - Scherzo - Divertimento - Coda) ma nel dettaglio è invece - se possibile - ancor più complessa di quella del movimento iniziale.

Come anticipato, sappiamo che Shostakovich stava proprio lavorando a questo finale (di cui aveva evidentemente già sbozzato la forma mesi addietro, al momento di iniziare a pensare alla Sinfonia) quando arrivarono le due micidiali, quanto inaspettate, bordate staliniane che lo misero in uno stato d’animo non certo sereno. Quanto esse abbiano eventualmente fatto deviare o addirittura deragliare la composizione dai suoi binari originali è materia di discussione e gli stessi musicologi si dividono sui giudizi da dare in proposito. Il pomo della discordia è soprattutto la prima delle due Code (quella trionfalistica) che secondo alcuni sarebbe stata introdotta dal compositore per (fingere di) accontentare Stalin; altri invece sostengono che, pur preoccupato, Shostakovich abbia proseguito dritto per la sua strada, e che quindi la Sinfonia sia stata completata seguendo il piano originale, di cui evidentemente anche la coda enfatica era parte integrante.

Molte sono, anche in questo movimento, le reminiscenze o i riferimenti mahleriani, ma anche Stravinski (un traditore del sovietismo!) vi è più volte richiamato, così come Ciajkovski. I sottotitoli in cui è suddiviso questo finale non sono dell’Autore, ma sono stati plausibilmente proposti da autorevoli musicologi. 

(Marcia-)Largo
Normalmente descritta come reminiscenza mahleriana (terzo movimento della Prima Sinfonia e Lied Die zwei blauen Augen, dai Gesellen) e beethoveniana (Eroica):
  34’05”  Tema A
  34’57”  Tema A1 e sviluppo
  35’48”  Tema A
  36’16”  ponte
  36’48”  Tema A2 e climax
  37’30”  ponte
  38’16”  Tema A1
  39’02”  Tema A

(Scherzo-)Allegro
Struttura abbastanza eterodossa, che del tradizionale Scherzo ha quasi solo il piglio vivace e gli ostinati caratteristici di tante pagine analoghe di Shostakovich:    
  39’52”  Tema B
  40’45”  cadenza e sviluppo
  41’16”  Scherzo ostinato
  42’17”  preparazione al climax
  42’35”  climax
  42’52”  reminiscenze Lady Macbeth (atto I, scene II e III)
  43’15”  dissolvenza

(Divertimento-Allegro)
É un lungo pot-pourri di danze, melodie popolari e motivi da operetta, strutturato in almeno 5 (o 6) sezioni:
  Reminiscenze di Petrushka
    43’35” Introduzione
    43’53” Tema C1 (Walzer della ballerina)
    45’26” Tema B (Scherzo)
    45’50” Tema C1
  Polka (fagotto)
    46’19” Tema C2 (3 episodi)
    47’30” Tema C2 (trombone)
  Walzer (organetto)
    48’12” Tema C3 (clarinetto)
    48’40” Citazione Irving Berlin (Always)
    49’12” Temi C4 - B (variante Scherzo)
  Galop
    49’37” Tema C5
    50’18” Marcia
    50’40” Transizione (T)
  Canzone popolare
    51’07” Tema C6
    51’34” Walzer (Temi B - C7)
    51’58” Transizione (T)

(Coda)
L’enigmatica chiusura della sinfonia si articola in due code diverse, anzi proprio di opposta ambientazione:
  52’44” Coda I (parafrasi sul Gloria dall’Oedipus Rex)
  55’08” Coda II (marcia funebre)
  56’20” Transizione (T) e richiamo alla chiusa della Patetica (sincopato nei contrabbassi)
  58’08” morendo (celesta)

Che questa coda sia stata completata prima o dopo la duplice denuncia della Pravda, non v’è dubbio, ascoltando la musica, che si tratti di una (nemmeno troppo criptica) denuncia delle degenerazioni dello stalinismo: il Gloria stravinskiano è già di per se il peana ad un essere umano poco raccomandabile (la perfida Giocasta) e finisce proprio in nulla; la seconda coda che lo segue (con l’accompagnamento da Ciajkovski) ne contraddice seccamente quanto mestamente il trionfalismo. Il conclusivo morendo si apparenta poi, in tutta evidenza, all’Abschied mahleriano, un disincantato addio ai bei sogni passati...  
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Insomma, dopo gli anni di entusiasmo per la Rivoluzione, è verosimile che il compositore cominciasse ad aprire gli occhi sulla deriva dello stalinismo e personalmente questa Sinfonia mi appare come una profonda meditazione su una civiltà - quella occidentale, della quale peraltro la Rivoluzione sovietica non faceva che inseguire disperatamente le orme (da qui industrializzazione forzata e collettivizzazione delle campagne) e anche le ossessioni (crescita, produttività) pur nell’utopia di fare di quegli strumenti un uso più nobile rispetto al capitalismo - una civiltà dicevo, sempre più schiava del correre e del produrre, a scapito del contemplare e dell’amare. 

Meditazione quanto mai di attualità!

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