Dunque,
Tristan! Sempre spulciando il sito del Festival, si scopre una significativa pagina bianca al link intitolato Inszenierung, dove per gli altri titoli
si trovano invece note (più o meno interessanti) sui diversi allestimenti.
Domanda: perché? Segreto industriale della Kathi che non vuole sbilanciarsi
nemmeno di un millimetro, per sorprenderci (anzi no, sorprendere chi vorrà
anche vedere, oltre che ascoltare) sabato prossimo? Oppure il Konzept della pronipotina terribile è
così complicato che non lo si può presentare in 50 righe? Oppure il palco
resterà vuoto come la pagina web e anche i cantanti saranno giù a cuocere nella
fossa? Vedremo (anzi: vedranno).
Come
sua abitudine, Wagner prese lo spunto per il suo Tristan dai racconti medievali
(primo fra tutti quello di Gottfried
von Straßburg) per poi liberamente piegarli alle proprie concezioni
estetiche e filosofiche. Ecco quindi che quelle farraginose e improbabili
storie diventano, nella sua penna, autentici capolavori dove la componente
psicologica prende quasi sempre il sopravvento. Non per nulla si parla di
Wagner come del Freud
ante-litteram.
Tristan
si può benissimo interpretare come dramma che nasce dal conflitto quasi
insanabile fra due personalità tanto forti da preferire l’auto-annullamento
piuttosto che svelare per prime i propri sentimenti: nel nostro caso un maschilismo e un femminismo a dir poco autodistruttivi. E il primo atto della Handlung non fa che sviluppare questo
assunto; poi ci penserà il filtro magico
a garantire l’esistenza dei due atti successivi.
Il big-bang dal quale prende
inizio e sviluppo il dramma è un ben preciso e fatale momento: l’istante dello sguardo. Quello che i due si scambiano
quando lei, dopo averne curato la ferita, ha riconosciuto nel sedicente Tantris
il nemico Tristan, l’uccisore del suo promesso sposo (Morold). Così, invece di
ucciderlo, fulminata dallo sguardo di lui, lascia cadere la spada e lo
risparmia: ciò facendo gli rivela implicitamente il suo amore, ma la sua presunzione (di donna
intellettualmente emancipata) e insieme il suo subconscio (di donna tout-court) le
impediscono di abbassarsi ad esternargli il suo sentimento, e le impongono di
attendere che sia Tristan a fare
il primo passo.
Tristan non solo si rende conto di essersi, a sua volta e in quel preciso
momento, innamorato
(orrore, per un cavaliere della sua statura!) e sa perfettamente - o almeno
così crede il suo maschilista subconscio
- di aver fatto colpo, con quello sguardo, su Isolde; ma la sua presunzione (di
maschio superiore)
gli impedisce di abbassarsi ad esternarle il suo sentimento, e gli impone di
aspettare che sia lei a cadergli
ai piedi.
Ecco il cuore del dramma: entrambi aspettano
che sia l’altro(a) a cedere per primo(a). Una situazione di stallo, un autentico surplace;
e quindi un equilibrio
instabile, che non può diventare normalità, ma che dovrà essere
rotto, inevitabilmente e traumaticamente.
Infatti, siccome nessuno dei due è disposto a cedere, la nevrosi che si crea
all’interno delle rispettive psiche
e quindi fra le loro persone, sale fino al parossismo. Entrambi perdono letteralmente la testa (in
linguaggio scientifico: schizofrenia
acuta) e mettono in atto sconsiderati propositi di distruzione dell’altro(a),
in un’assurda e freudiana escalation,
che culmina con il gesto di suprema, speculare presunzione: l’assunzione del filtro di morte.
E per l’appunto il filtro libera finalmente entrambi dalla schiavitù delle convenzioni
(i vacui e presuntuosi vaneggiamenti, i rispettivi Träume, di Ehre e Schmach) e così può finalmente
entrare in campo e in scena una cosa, straordinaria ma indescrivibile
perchè oscura (misterioso,
altero...) che quelle stesse convenzioni (di cui anche noi
spettatori siamo schiavi) chiamano irrispettosamente: amore.
Nel primo atto, Wagner ci
fa di Tristan e Isolde due ritratti - per certi aspetti - simili, o speculari
(sono entrambi affetti da acuta schizofrenia)
ma per altri assai diversi; in particolare:
- Isolde racconta apertamente
e senza pudore i suoi sentimenti: a Brangäne e a tutti noi, ma non a Tristan; a
quest’ultimo racconta più che altro storie inverosimili, o come minimo
provocatorie;
- Tristan invece, i suoi
sentimenti non li racconta proprio a nessuno (nè a Kurwenal, nè a noi, nè tanto
meno ad Isolde).
Già in ciò possiamo forse
individuare un tratto che oggi si definirebbe maschilista nel carattere di Tristan, ma
in realtà di Wagner medesimo. (Ne avremo una chiara conferma al momento
dell’assunzione del filtro:
Isolde la programmerà come atto congiunto e unificante, mentre Tristan la compirà
smaccatamente da solo, come manifestazione di superiorità.)
Dunque, Tristan e Isolde, al primo sguardo,
si sono innamorati. O meglio: nelle rispettive psiche è scoccata una scintilla, il
big-bang appunto, si è prodotta la classica oscillazione brusca, tipica dei
sismografi allorquando rilevano un - vicino o lontano - terremoto.
Che Isolde sia innamorata ce lo dice - ma proprio esplicitamente - lei stessa,
all’inizio della Scena II: Mir
erkoren, mir verloren, hehr und heil, kühn und feig! Todgeweihtes Haupt!
Todgeweihtes Herz! Non c’è dubbio che si tratti di una
straordinaria dichiarazione
d’amore. Però si tratta di un amore impossibile, quello di una donna per un
uomo votato - ragione e sentimento - alla morte! Uno - crede lei - per il quale
l’amore è una categoria sconosciuta, che non trova posto nella sua Heldenleben (per
questo, oltre che kühn
- ardito - è anche feig
- vile!) Ma essendo lei prigioniera della sua stessa presunzione, oltre
che delle convenzioni, si guarda bene dal muovere
il primo passo verso l’amato.
Tantris, guarito da Isolde, torna come Tristan a casa di Re Marke, in Cornovaglia,
ma quella scintilla, scoccata nella sua psiche al momento dello sguardo, ha ormai fatto divampare un incendio
che lo sta consumando insopportabilmente. Come ammetterà nell’Atto II, in fondo
al cuore (...bis in des
Herzens tiefsten Schrein) la ama, ma contemporaneamente il suo
subconscio comincia ad odiarla, come responsabile di avergli creato questa
condizione, per lui innaturale: ma come! un puro eroe che si è fatto irretire
da una donna? Per di più così superbamente fiera (...so rühmlich schien und hehr...)
che gli pare irraggiungibile, a meno che lui non si abbassi ad abdicare
all’intero suo sistema
di valori. E questo è ancora nulla: la donna in realtà ha anche in
mano la sua vita, e non una, ma due volte addirittura: per avergli risparmiato
una sicura morte (la spada lasciata cadere) e poi per averlo curato e rimesso
in salute.
Questa doppiezza di
sentimenti (schizofrenia amore-odio) ingenera in Tristan l’idea di un folle
disegno: far sì che lei sia costretta
ad essergli vicina, così da minacciarla con un’alternativa secca: la
prospettiva di rodersi nell’ansia per il resto dei suoi giorni, o cedere e
dichiararsi a lui. Domanda: perché mai Tristan obbliga un riluttante Re Marke,
addirittura minacciando di abbandonarlo, ad accettare Isolde in moglie? Nella
sua lunga esternazione del second’atto, dopo la scoperta del flagrante
adulterio, il sovrano ricorda come si fosse fieramente opposto all’idea del
matrimonio ed avesse infine ceduto alle pressioni quasi ricattatorie del popolo
sobillato da Tristan, che aveva poi preteso
di essere lui stesso a recapitargli Isolde, andandola a prelevare in Irlanda. E
tutto ciò per trovarsi ora tradito proprio dal suo delfino e proprio con la
moglie! Il Re, oltre e più che addolorato, è incredulo e stupito (…warum mir diese Hölle?)
dal comportamento di Tristan.
Il quale comportamento non è certo determinato dal codice cavalleresco, bensì dalla
tremenda frustrazione
(e relativa dissociazione)
che lacera la sua psiche! E già dal viaggio di ritorno dall’Irlanda, sulla nave
ammiraglia che ci appare all’alzarsi del sipario, Tristan mette in atto il suo
piano: restare a portata
di sguardo di Isolde, e contemporaneamente ignorarla. Costringerla
ad uno psicologico e logorante
braccio di ferro, da cui lei esca comunque piegata: o rassegnandosi
a subire una perenne sofferenza, o cedendogli finalmente (nel qual caso a
Tristan basterebbe dare un semplice comando alla ciurma: virare a dritta di
90°, e volgere la prua a sud,
invece che ad est!)
Che Tristan in cuor suo aspetti quest’ultimo evento risulta inequivocabilmente
chiaro dal suo trasalire
(auffahrend)
e dalla sua emozionata esclamazione (Was
ist? Isolde?) all’annuncio fattogli da Kurwenal dell’arrivo del
messaggio recato da Brangäne. Ma subito si ricompone (Er fasst sich schnell...)
e per ora continua a
tirare la corda, rifiutandosi di far visita alla principessa, con
la scusa di dover reggere il timone.
Isolde, dal canto suo, è ormai convinta, dal comportamento tenuto da Tristan,
che egli per davvero la consideri nulla più che un articolo da regalo (per Marke). Lo ama,
ma contemporaneamente comincia ad odiarlo
- e non solo per la sua indifferenza, ma anche per la sua ingratitudine - e a
meditare sull’insostenibilità del suo proprio futuro: dover sopportare la
vicinanza dell’uomo amato senza poterlo avere (Ungeminnt den hehrsten Mann stets mir nah zu sehen,
wie könnt ich die Qual bestehen?)
Analizziamo un attimo lo stato in cui si trova la sua psiche: lei si è
innamorata dell’uomo che le ha appena ucciso il promesso sposo, quindi subisce
già per questo una gigantesca costrizione
psichica, con annesso senso di colpa; per di più, l’uomo di cui si
è innamorata la ignora bellamente (frustrazione...)
Insomma: lei ama perdutamente un tale che le ha distrutto la felicità passata e
contemporaneamente le prepara l’infelicità futura! Davvero una condizione
insostenibile. Come si vede, il disegno di Tristan parrebbe
concretizzarsi…
Ma lei, fra la scelta tra eterna infelicità con Marke e resa incondizionata a Tristan, decide per la terza
opzione: farla finita...
Da sola? Fosse così, le basterebbe tracannare il filtro di morte dall’ampolla
che lei stessa ha chiaramente contrassegnato. No, evidentemente anche Tristan deve morire, per
pagare la sua colpa, il suo peccato
di presunzione, di ingratitudine, di indifferenza e di superbia;
affinchè - almeno nella morte - i loro destini si possano finalmente
incontrare. Il problema di Isolde, a questo punto, è: come creare l’occasione
per il mortale brindisi
con lui?
Quando Kurwenal la sollecita a prepararsi per essere accompagnata da Tristan
verso Marke, è lei a trasalire
e rabbrividire: il viaggio sta per concludersi, e l’occasione
rischia di sfumare! E allora trova un pretesto
- la riconciliazione dovutale per una colpa non espiata - per incontrare
Tristan prima
dello sbarco. E fa preparare a Brangäne il filtro di morte, per Tristan e per
sè.
Tristan - anche per lui ormai il
tempo stringe - adesso dimentica il pretesto del timone e si
presenta ad Isolde, ma con atteggiamento formale, scruta le intenzioni della
donna (segretamente spera ancora e sempre nel miracolo?) risponde con frasi fatte alle
di lei rimostranze riguardo l’etichetta, domanda quale sia il motivo per cui
Isolde chiede riconciliazione.
Per tutta risposta, Isolde si
inventa una nuova, inverosimile spiegazione al comportamento da lei
tenuto con Tantris. A Brangäne aveva raccontato una prima verità: di non aver
ucciso Tantris perchè intenerita dalla sua misera condizione... A Tristan
racconta invece di averlo risparmiato e rimesso in sesto perchè lui potesse poi
essere vittima di un legittimo vendicatore di Morold (!?) Vendicatore che però
non può esistere in alcun luogo, essendo ora Tristan da tutti amato...
Al che Tristan, pallido
e cupo, offre ad Isolde la sua spada perchè lei stessa possa
compiere la vendetta. Ma attenzione: le si rivolge non più con il lei, ma con il tu (!?!) Perchè
questo stato d’animo? E perchè questo improvviso mutamento di etichetta? Comincia
per caso a sospettare che Isolde non
lo ami? Che il suo atteggiamento di allora fosse davvero motivato
dal solo, cinico disegno di vendetta? (o da pura carità cristiana, null’altro?) Insomma:
un sospetto che ingigantisce la sua frustrazione; sì, poichè se le cose
stessero così, allora sarebbe tutto il suo
castello di carte a cadere miseramente. E con esso perderebbe di significato
la sua propria esistenza: ed allora, tanto vale chiuderla, una volta per tutte! E per di
più offrendo a quella stessa donna altera e presuntuosa la spada con cui
finirlo, per manifestarle tutta la sua superiorità di maschio…
Isolde rifiuta però la spada adducendo due giustificazioni: (a). Come potrei
uccidere il servitore fedele del Re a cui vado sposa? (b). Ciò che non feci
tempo addietro (con Tantris) a maggior ragione non potrei fare ora. Ma allora,
sta forse per cedere? Per rivelare a Tristan che lei lo ama fin dal primo
momento? Al contrario, lei decide di alzare
ulteriormente la posta, aggiungendo un particolare di portata capitale: tu,
Tristan, mi guardasti fisso negli occhi per valutarmi
(come fa un mediatore di vacche che scruta un capo per deciderne il prezzo) e
per capire se ero degna di andare in sposa al tuo Re (!?!) Ma davvero Isolde è
convinta di una simile ipotesi? Insomma: sta qui confermandoci di aver ormai
perso tutte le speranze, oppure sta tentando l’estrema provocazione, per costringere
Tristan a cedere?
E infatti, dopo che Isolde rifiuta la spada, Tristan cade in cupa meditazione (...düsterem Brüten).
Come mai? Sta forse ancora cercando di capire quali carte stia giocando l’altra? Oppure è per
caso anche lui sul punto di cedere?
Perdinci, lui sa bene quali fossero (e siano) i suoi sentimenti verso Isolde e
che quando le rivolse quello sguardo
non era certo per misurarne le qualità esteriori... gli basterebbe una parola per
rompere finalmente quel muro di presuntuosa incomunicabilità che li separa!
E invece, finster
(cupo) sempre più schiavo della sua nevrosi,
decide pervicacemente di continuare nel braccio
di ferro, e pronuncia la famosa, criptica frase: ...fass' ich, was sie verschwieg,
verschweig ich, was sie nicht fasst.
Che significa? Non significa, per caso (nel suo maschilista subconscio!): io ho capito che tu mi ami, anche
se me lo nascondi... mentre tu non capisci che io ti amo, e perciò te lo
nascondo (perchè non mi meriti...) ?!?
Ormai il tempo stringe, si sta gettando l’àncora, e Isolde non può che giocare
il tutto per tutto: mit
leisem Hohne, quasi schernendolo, detta a Tristan il discorsetto di
circostanza da fare a Marke, di lì a poco, in occasione della consegna del regalo!
E Tristan, a questo punto - ormai ha la disperata conferma che il futuro
rischia di essere insopportabile per lui, quanto e più che per Isolde - beve per primo e da solo.
In modo da chiudere (guarire
del tutto) un’esistenza divenuta per lui invivibile e
contemporaneamente per dare alla donna che non lo ha capito - o che non si è
voluta piegare - l’estrema, inequivocabile e sprezzante lezione di superiorità.
E infatti Isolde si sente ancora e nuovamente tradita e disprezzata: per bere a
sua volta, deve letteralmente strappargli
di mano la coppa.
Insomma: nessuno dei
due ha voluto/saputo cedere all’altro(a). Una speculare
schizofrenia li ha costretti ad agire contro se stessi e - in definitiva -
contro l’Amore!
La tensione psicologica,
che si era creata entro ciascuno dei due e fra i due, ha ormai raggiunto il suo
apogeo: in
realtà siamo arrivati al limite
di rottura di quell’instabile equilibrio, al momento in cui il surplace risulta non
più prolungabile.
A questo punto il dramma avrebbe anche potuto chiudersi lì, con i due
protagonisti a morire, ai lati opposti della scena, ciascuno vittima della
propria presunzione,
oltre che delle vigenti convenzioni
(Ehre e Schmach). Insomma: un
tragico atto unico, una Cavalleria
Rusticana ante-litteram e sui-generis!
Wagner aveva però ancora da confezionare, per poi somministrarceli, due etti -
pardon, due atti
- di oppio (amore e morte); e, come farebbe ogni grande mago o stregone, si è servito di un filtro per garantirsi
la possibilità del taglio
e dello spaccio.