Franza o Spagna, purchè… (Pereira prego, completi pure lei). Tradotto nella fattispecie: di Verdi o
di Rossini, sempre un Otello è, o no, che
‘vve frega? Quindi perché inalberarsi se, invece del primo annunciato, si dà il
secondo ripiegato? Dopotutto siamo
alla Scala oh, mica nel più importante teatro del mondo!
Ma certamente a qualcuno (il
sottoscritto non escluso) avrà fatto immenso piacere che la Scala – quasi senza
volerlo - abbia riproposto un Otello… retrocesso: sì, certo, retrocesso perché
sconfitto (per KO, nemmeno ai punti!) da quello del Giuseppe da Roncole
(favorito peraltro da uno sfacciato fattore-campo che si chiamava Arrigo Boito!) ma pur sempre un’opera di
livello assoluto, che meriterebbe di stare in A1 (o A2, vero, Scala?) a vita.
Si
suole indicare come lato debole dell’opera il libretto del Marchese Francesco Berio di Salsa (in origine
Salza). Si parlò ai tempi (Byron, Stendhal) e si parla ancor oggi di un Otello
illegittimo, un Otello napoletano, quindi un Otello… taroccato (Salvini, da quel buon illetterato che è, potrebbe imbastirci su una teoria secessionista).
Ma in realtà le cose non stanno proprio
così. Intanto perché il librettista, lungi dall’essere un ingenuo ignorante,
aveva nella sua biblioteca una messe di pubblicazioni in diverse lingue delle
opere di Shakespeare, che quindi doveva conoscere assai bene. Poi perché tra fine
‘700 e inizio ‘800 l’accoglienza di Otello (e del suo autore in generale) fuori
da Albione era stata tutt’altro che entusiastica, tanto da consigliare pesanti
adattamenti al testo. In Francia Jean-François
Ducis aveva presentato una sua versione (che influenzerà non poco il libretto
berio-rossiniano) dove Jago veniva retrocesso da personificazione del male a
semplice cattivone di passaggio; dove persino la pelle di Otello veniva
rischiarata (Michael Jackson ante-litteram) da nera a olivastra; dove il
fazzoletto di Desdemona era sostituito da un biglietto galante e dove l’uccisione della
donna avveniva con una sbrigativa pugnalata e non con un lungo e insopportabile
soffocamento. Non solo, il finale tragico (anche questo particolare verrà
accolto episodicamente da Berio-Rossini) venne addirittura reso trasformabile a piacere
(dell’occasionale pubblico) in un lieto-fine con soddisfazione di tutti.
Altra fonte di ispirazione per il librettista
fu l’Otello di Giovanni Carlo Cosenza, rappresentato a Napoli pochi anni prima
dell’opera rossiniana: in esso, oltre alle modifiche di Ducis, si trovano
tracce evidenti di ciò che apparirà nel libretto di Berio, come l’ambientazione
nella sola Venezia e - in particolare nel terz’atto - la tempesta, la canzone
del gondoliere, il nome della protagonista del salice (Isaura e non Barbara)
oltre al lieto-fine (presentato poi a Roma nel 1820).
Insomma, le apparenti
stranezze del libretto vanno doverosamente inquadrate nel contesto storico e
non liquidate sommariamente come frutto di incultura. Dopodichè spetterà
comunque alla mano (o alla penna, o alle note, fate voi) di quel Re-Mida che
rispondeva al nome di Rossini di costruire su un siffatto testo un eccelso
dramma musicale.
Da stasera le recite scaligere, con un cast in buona parte costituito (Kunde-Peretyatko-Florez)
da quello della produzione del ROF-2007.
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A chi non ci fosse già arrivato per proprio
conto, suggerisco di visitare il sito di una mia giovane e brillante
conterranea, per leggervi un
mirabile saggio sull’Otello rossiniano.
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