Dopo avervi
esordito alla grande a Venezia quasi 2 anni orsono e poi ripetutosi a Genova, Gregory Kunde è tornato a vestire i panni del moro in quel di Torino, in un nuovo allestimento che ha aperto (dopo il verdiano Requiem) la stagione 14-15 del Regio,
toccando ieri pomeriggio la penultima delle nove rappresentazioni, in un teatro
assai gremito.
Posto d’onore
quindi per il tenore americano, per il quale magari ogni mese che passa, dopo i
60 anni suonati lo scorso febbraio, si fa sentire sempre di più, ma devo dire
che la sua resa complessiva mi è parsa ancora di tutto rispetto e di gran
pregio estetico, proponendoci un Otello che compendia in sé i due lati del
carattere del personaggio, che troppo spesso vengono messi in aut-aut: l’autorevolezza-durezza e
l’ingenuità-dolcezza che albergano nel suo animo. Due antipodi che vanno dall’Esultate
dell’esordio al bacio
della chiusa, passando per tutte le stazioni intermedie della sua via-crucis.
Per lui un meritato trionfo.
Su Erika Grimaldi (Desdemona) mi sentirei
di dare un giudizio… bifronte: efficace e coinvolgente nelle mezze-voci
(bellissima la sua AveMaria) e invece un filino carente nel canto
spiegato, con acuti tendenti al vetroso e bassi poco udibili. Ma ha certamente
tempo (e speriamo volontà) per migliorare ancora: intanto ha avuto un gran
successo, e sfatare il detto nemo
propheta in patria non è di tutti i giorni!
Ambrogio Maestri si è cimentato nella
tremenda parte di Jago. Devo dire che non mi ha completamente convinto: sugli
acuti ha tendenza a vociferare e i proibitivi LA del beva son proprio stati una frana
(Verdi, conscio che quella è una nota quasi impossibile per un baritono, li
prescrive strisciando la voce, ma lui
li ha fatti semplicemente… calando).
Volgarotto il suo Credo, mentre assai
meglio è andato nell’esposizione del (falso) sogno di Cassio. Mi pare che lui dia il meglio di sé in ruoli tipo
Falstaff o Dulcamara, ecco. Fra l’altro, secondo Boito, Jago dovrebbe essere un
giovane di 28 anni di bella presenza (smile!)
I comprimari
erano Samantha Korbey, un’Emilia
piuttosto incolore; Salvatore Cordella (un Cassio più che dignitoso); Luca Casalin che ha ben vestito i panni di Roderigo; Seung Pil Choi (un onesto Lodovico); Emilio
Marcucci (Montano) e Lorenzo Battagion (un
araldo): insomma, tutti degni di plauso.
Efficace e preciso il coro di Claudio
Fenoglio e bravissimi i piccoli di Paolo
Grosa in quella sempre discutibile e discussa cantilena del second’atto.
Il neo-riconciliato col Regio Gianandrea
Noseda non ha tradito le aspettative, proponendoci un Otello vibrante:
giustamente fracassone nell’iniziale tempesta ma anche lirico e intimistico,
con Desdemona in particolare. Sempre buono l’equilibrio fra buca e palco e in
buona forma l’orchestra, in tutte le sezioni.
Beh, tutto sommato – sul piano musicale – un esito più che positivo.
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Non così devo
dire per quanto riguarda l’allestimento dell’albionico Walter Sutcliffe. Da buon britannico, per l’appunto, lui mostra di
conoscere meglio Shakespeare di Boito-Verdi! Dando forse per scontato che i
secondi abbiano semplicemente fatto un facile e pedestre bigino del primo: idea – ahilui e ahinoi – a dir poco deleteria.
Ecco che
allora Jago diventa un ceffo violento e manesco: lo intuiamo dall’enorme
sfregio che porta sotto l’occhio sinistro… e ne abbiamo subito conferma quando,
nella prima scena, compare tenendo al guinzaglio un paio di prigionieri
musulmani, ad uno dei quali poi rifila due coltellate a tradimento, così, tanto
per gradire (qui Boito-Verdi si devono essere parecchio agitati nelle
rispettive tombe…)
Passando
direttamente all’epilogo, quello è proprio di Shakespeare, e pure peggio: Jago
ammazza Emilia e poi – senza processo né tortura - viene fatto secco da Lodovico
e Montano. Ora, sul programma di sala ci ricorda acutamente Antonio Rostagno che lo Jago di Boito-Verdi
viene fatto fuggire proprio perché non può essere neutralizzato, rappresentando
lui il veleno che da sempre corrompe
e per il resto dell’eternità dovrà inevitabilmente corrompere
innumerevoli altri Otelli! Cioè: lui non è un disgraziato in carne ed ossa, ma un
istinto naturale; capito, mister
Sutcliffe?
Tralasciando
qualche trovata da avanspettacolo, devo dir male anche delle scene (di Saverio Santoliquido) gli ormai
onnipresenti pannelloni mobili di peduzziana memoria all’interno dei quali
compare via via qualche volgare piece-of-furniture:
un mini-patio con gerani di plastica per la scena del giardino, un’unica sedia,
il letto a baldacchino di Desdemona. Deprimente. Peggio ancora i costumi (di Elena Cicorella) roba da sfilata di
carnevale.
Insomma, come sempre,
è stato un tale Verdi a garantire la riuscita
dello spettacolo, con ciò che arriva alle orecchie, e a dispetto di ciò che arriva
agli occhi.
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