ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

09 ottobre, 2014

laBarocca ritrova Scarlatti

 

L’esordio stagionale del complesso laBarocca di Ruben Jais ha portato in Auditorium un Oratorio che ebbe la sua prima a Roma (Arciconfraternita del SS. Crocifisso) durante la quaresima (secondo venerdì, 5 marzo) dell’anno di grazia 1700. È la prima volta per Milano, anche se non è proprio una primizia in assoluto, dato che proprio un mese fa la stessa opera è stata presentata, nel corso del MI-TO, nella chiesa di SanFilippo a Torino (sulla pagina web indicata si può trovare e scaricare il programma di sala che contiene il testo latino-italiano dell’Oratorio). Ma è comunque abbastanza raro, per non dire rarissimo, poter ascoltare questo prodotto della civiltà musicale italiana di più di tre secoli fa. Due sole – pare – le incisioni disponibili: quella di Columbro (anche MP3) e quella di De Marchi (CD).

Davidis pugna et victoria è l’unico sopravvissuto dei 5 (o 6?) oratori latini composti da Alessandro Scarlatti a Roma in circa 20 anni a cavallo fra ‘600 e ‘700. Il soggetto biblico è la celebre sfida tra Davide e Golia, decisa da un azzeccato colpo di fionda del pastorello ebreo che stende il gigante filisteo, per poi mozzargli il capo (pratica oggi resuscitata laggiù in quelle terre…) La struttura è in due Parti, entrambe introdotte da altrettante Sinfonie (la seconda assai breve, per la verità): nella prima viene rappresentato il pessimismo, il fatalismo di Re Saul convinto della sconfitta e preparato alla morte, cui si oppongono l’ottimismo e la fede del figlio Ionatha e del giovane David, che rincuorano i loro armati; nella seconda assistiamo ai preparativi della battaglia, alle minacce di Golia e infine al suo abbattimento da parte di David, fra cori di disperazione dei Filistei e di gioia degli Ebrei. I personaggi sono 5: David e Ionatha (soprani), Saul (contralto), Golia (basso) e Textus (Narratore, tenore); affiancati da un coro doppio, che rappresenta le due parti in guerra, Ebrei e Filistei. L’orchestra è composta  esclusivamente da archi, più cembalo (recitativi) ed organo. I numeri musicali sono essenzialmente: recitativi, arie, duetti e cori.       
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La Sinfonia che apre la Prima parte dell’Oratorio è – come quello - strutturata in due sezioni, ad immagine dei contenuti dell’opera: una prima in tempo Grave (il pericolo che incombe sugli Ebrei) che presenta un motivo che si muove dal SOL maggiore alla dominante RE per poi tornare al SOL; la seconda - un Allegro – sempre in SOL, con modulazioni a RE maggiore e SI minore, caratterizzato da vivace contrappunto (la battaglia e la vittoria).

Il Textus apre il racconto con un recitativo in SOL (Iochor sub aeria) in cui ci narra dello sconforto che prende Re Saul alla notizia che i Filistei stanno invadendo la terra d’Israele, spargendo ovunque sangue e terrore. Segue un’aria (Fata regum) nella quale il narratore riflette sul cupo destino che incombe sul Re: l’aria è bipartita in due strofe (la seconda inizia con Vix in ore) separate da un breve interludio orchestrale e si muove sempre fra SOL maggiore, RE maggiore e SI minore, per poi chiudere sul SOL. Un nuovo recitativo in SOL del narratore (Horruit audita Saul) non fa che confermare lo spavento e i timori di Saul al pensiero dell’arrivo del terribile gigante Golia.

Ora è proprio Saul ad esternare il suo pessimismo e il suo orrore per le razzìe di Golia: lo fa con un lamentevole arioso che si muove inizialmente (Heu perij) tra MI e LA minore, poi (Periere meae) tra FA e DO maggiore e minore. Segue un’aria (Quiquis alta) dove Saul medita sulle inevitabili sventure che attendono chi sale sul trono più alto: la struttura è A-B-A e il tempo è veloce, evocando l’ansia e le preoccupazioni che sconvolgono la psiche del Re; la tonalità di base (A) è FA maggiore, che vira a DO per la seconda coppia (B) di versi (Praecipitium immane) per poi tornare al FA per la ripetizione dei primi due.

Torna adesso Textus con un recitativo (Talia clamanti) che ci notifica dell’arrivo di Ionatha a cercar di rincuorare il padre. La tonalità si muove dal RE minore (relativa del precedente FA) alla sottodominante SOL minore.

Ed ecco appunto Ionatha, che si presenta con un arioso (Fugiat timor) in tempo ternario vivace: il figlio del Re Saul sprizza ottimismo e fiducia nella vittoria della stirpe di Giuda. L’arioso è in MIb, poi nella dominante SIb, quindi nella sua relativa SOL minore, da cui torna al MIb; viene ripetuto pari-pari. Sempre Ionatha prosegue ora con un’aria (Jam veni tu spes) che inneggia alla speranza che infonderà il coraggio nelle schiere ebree, portandole a combattere con l’ardore più pieno. L’aria – una giga con inflessioni di seconda minore di tipo squisitamente napoletano - presenta due strofe (la seconda principia con Tu corda si das) cantate sullo stesso tema, che si muove dal SIb maggiore alla relativa SOL minore, da qui a RE minore per tornare al SIb.

Sull’irruzione di un allegro vivace in SOL maggiore (che modula temporaneamente a RE e SI minore) ecco il breve duetto (di soli due versi) di Saul e Ionatha: il Re (sfiduciato) chiama i suoi alla ritirata (Tuba fugam concrepet), mentre il figlio li invita a battagliare (Tuba pugnam concrepet)!

Ma Saul non cambia atteggiamento e manifesta il suo pessimismo con una nuova aria, lenta e di tono mesto, anche qui con inflessioni napoletane: sono due quartine con ripetizione dei primi versi di ciascuna (Mea Fata, superbi videte e Purpurata si tempore parvo) in cui la melodia principia in DO minore, poi scende alla sottodominante FA minore e (sulla ripetizione dei primi due versi) torna a DO.

Si ripete qui il duetto Saul-Ionatha (Tuba fugam/pugnam) e pare essere il Re ad avere più ascendente sui suoi seguaci, che ora intonano un coro dove esprimono la loro decisione di abbandonare il campo di una battaglia nata sotto cattiva stella e che ora rischia di portare solo morte e lutti. Eamus, fugiamus è l’invito ripetuto insistentemente, che apre e poi chiude il coro (la cui forma è A-B-A), in DO maggiore con passaggi a RE minore e SOL maggiore. I cinque versi del corpo del coro (Mors a tergo) sono trattati a canone stretto, su tonalità continuamente modulanti (proprio a rappresentare lo stato d’animo in perenne agitazione degli Ebrei) da SOL minore a MIb maggiore, SIb, DO, SOL, RE maggiore, poi SI minore e quindi ancora RE maggiore, DO, SOL minore e ritorno al DO per la ripresa dell’Eamus.

Ma a questo punto ecco affacciarsi il protagonista, David, con un recitativo (Quo fugitis?) dove ordina agli uomini di fermarsi, in nome di Dio. La tonalità riprende il DO del coro, poi modula a FA e SIb maggiore, dove si apre l’aria (Verte tela); qui David esorta i suoi ad affrontare il nemico, fidando anche nella buona sorte: una diserzione significherebbe la fine per tutti. Come il precedente coro, anche quest’aria è strutturata in A-B-A: due versi introduttivi (in tempo ternario allegro) ripresi anche dopo l’esposizione dei 4 versi successivi in tempo lento (Fortuna non una). La sezione A è in RE minore, la B ancora una volta modula dal DO al MI e RE minore, ancora al DO e chiude sul LA minore, dominante del RE con cui viene riproposta la sezione A.

Ora si assiste ad una specie di bonario battibecco fra Saul e David. Il Re non dà molto credito al ragazzo, facendogli notare che quando il capo è pavido, i sottoposti non possono essere impavidi; David gli fa notare che essi sono fieri delle imprese del loro capo; Saul lo vuol congedare, ma è David che congeda lui, chiedendo agli Ebrei di ascoltare lui e non il Re! (Saul qui esce definitivamente di scena.) Il dialogo prende la forma di recitativo, che alla fine, sulle parole di David (David audiant agmina) sfocia in un arioso. Da notare la cura che Scarlatti pone nel differenziare il tono dei due: sempre mesto e rinunciatario il Re, spigliato, baldanzoso e… irriverente il giovane. Dal SOL della domanda di Saul (Quis Duce trepidante audet?) si modula al RE della prima risposta di David (Quis tuis triumphis gaudet); SOL che torna sul tentativo di Saul di liberarsi del ragazzo (Eia puer nunc abito) e ancora dopo una breve escursione a RE e LA sulla chiusa di David (Pauca siste).

A questo punto la scena viene monopolizzata da Ionatha e David. Dapprima con un nuovo duetto (O Ionathae spes una David - O regni lux una Ionatha) dove i giovani si esaltano a vicenda nella prospettiva di sconfiggere i nemici e così riportare fiducia e baldanza anche nei loro uomini. Poi con due arie (una a testa) di identico contenuto musicale. La prima parte del duetto (chiusa da Regnante Ionatha - Pugnante Davide) è in tempo lento, si muove da SOL maggiore a RE maggiore, quindi chiude in SI minore: i due si alternano nel canto, salvo cantare insieme il verso centrale (Quis mihi te dat?) La seconda parte (da Abi timor, et recede - Redi fervor, et succede) è in tempo più vivace, dove i due cantano 4 versi a testa in contrappunto; la tonalità si muove dal RE maggiore al SOL della chiusura. Ecco ora le due arie di 4 versi ciascuna (prima Ionatha, poi David) e contenuto assai simile (Age tuba militaris - Age tuba salutaris) che hanno uguale struttura A-B-A e tempo ternario: A copre il primo verso, che verrà ripetuto dopo B, che include i 3 versi successivi; la tonalità parte da DO maggiore (A) poi (B) modula a SOL maggiore per il secondo verso; quindi i due versi successivi sono in MI minore e LA minore, prima della ripresa di A in DO. Dato che le voci dei due sono entrambe di soprano, qui c’è un potenziale rischio di ripetitività stucchevole, che sta alle qualità degli interpreti di minimizzare.

I soldati ebrei sono davvero ringalluzziti! Cantano ora un coro (Vincemus Io vincemus) di soli due versi in tempo allegro, che ha come tonalità fondamentale DO maggiore, con fugaci modulazioni a SOL e RE.

Tornano Ionatha e David con una nuova coppia di arie di testo diverso (In flore labente - Cum sole cadente) e musica identica. Sono in tempo di giga e andamento mesto (con tanto di seconda napoletana) che contrasta con l’ottimismo delle parole, che inneggiano – rispettivamente – alla rugiada che ridà vigore ai fiori e alla luce che scaccia l’oscurità della notte. I versi sono quattro, i primi due (in FA minore) ripetuti dopo gli altri due (che sono nella dominante DO minore).

Sempre i due giovani intonano ora un nuovo duetto (Sic et mortis - Sic in hoste): sono tre versi per ciascuno, prima cantati separatamente (DO maggiore – RE minore) poi in contrappunto ad eco, chiudendo in DO maggiore. Dove troviamo la riesposizione del coro dei soldati Vincemus Io vincemus che conclude la Prima parte dell’Oratorio.

La Seconda parte si apre con una brevissima Sinfonia, poche battute di introduzione, in SOL Maggiore e tempo allegro, al protervo ingresso in scena del gigante Golia, che senza tanti preamboli promette fendenti e frecce per il malcapitato David: lo fa con un recitativo, aperto da un SOL grave del basso (Evaginabo gladium meum) che sull’ultimo verso sfocia in arioso. E sempre in arioso ha inizio un botta-e-risposta fra i due. Dapprima, in RE maggiore, David ribatte (Surgant, opitulentur tibi) alle minacce del nemico, con il cembalo che corona la sua frase con una specie di irridente sberleffo, quasi a volerci rappresentare un David che danza e saltella provocatoriamente attorno allo spaventevole filisteo. Il quale, in arioso sempre introdotto dal SOL grave del basso, ribadisce (Surgam, et lacerabo te) di voler fare un sol boccone di quel ragazzo temerario, quel topolino che osa sfidare draghi e leoni. Ma ancora il cembalo ripete, stavolta in SOL, gli sberleffi di David. Che poi rincara la dose (Non imbelli duello puelli) rispondendo in SI minore (RE maggiore): non sono qui per giocare, ma per combattere seriamente e senza timori.

Golia insiste (Saevo dente) proseguendo sul RE, con un’aria (col da-capo) accompagnata dal violoncello: chi osa sfidare il leone avrà il fatto suo… Sion cadrà a pezzi e andrà in fumo. Ma David è deciso e chiama i suoi a sostenerlo (Cives, Io, date plausum) col suono delle trombe e a preparare corone per i festeggiamenti. La sua è un’aria in 6/8 in SOL maggiore, caratterizzata da veloci e ondeggianti terzine, con modulazioni a RE maggiore, SI minore, ancora DO, prima della chiusa in SOL.

Risponde con un’aria (Philistei, reboate) in tempo ternario anche Golia, che invita i suoi alle armi e invoca al suo fianco gli abitanti degli Inferi. Il tempo è assai agitato, la tonalità di base è DO, ma la melodia è continuamente in movimento, toccando diverse altre tonalità, prima di tornare al DO su cui Golia chiude il suo l’appello con un agitatissimo Ad arma, ad arma, miles, che introduce direttamente (poggiando sul SOL) il successivo coro dei Filistei che rispondono agli incitamenti del loro capo, dialogando con lui. Il tempo è concitato e Golia e Filistei sembrano aizzarsi a vicenda, decisi a colpire, uccidere, disarmare David. Golia e il coro chiudono con la riproposizione del verso Ad arma, ad arma.

Ora Davids espone il suo accorato e fiducioso appello alla forza e alla protezione del Dio d’Israele, che lo aiuti ad abbattere il feroce nemico. Lo fa con un’aria stupefacente (Tu mihi superum) in DO minore, tempo lento, che contrasta fortemente con la protervia del precedente coro filisteo. Introdotta e poi accompagnata dal caldo suono del violoncello, si compone di due strofe di 4 versi, il secondo ripetuto dopo la strofa: la tonalità si muove da DO minore alla relativa MIb maggiore, con inflessioni napoletane.

Il Textus ora ricompare per descriverci direttamente l’esito del duello fra Davide e Golia. Lo fa con un verso in recitativo (Dixit, et excusso montano vertice funda) in SOL che sfocia in un arioso in tempo spedito (Saxo volatili, vulnere orribili) che chiude sul DO. La seconda strofa (Cadit ille) torna in tempo lento e LA minore per chiudere in RE. È curioso che per descrivere la morte di Golia l’anonimo estensore del testo abbia citato alla lettera il verso con cui Virgilio chiude l’Eneide (morte in battaglia di Turno ad opera di Enea):


Ora abbiamo i due cori (Filistei ed Ebrei) che alternativamente, per ben quattro volte, esternano i rispettivi stati d’animo: abbattuto quello di vinti (Heu sodales) in tono ovviamente minore (FA) ed esultante quello dei vincitori (Victoria, victoria) in modo maggiore (SOL). 

Seguono due arie cantate da membri del coro degli Ebrei. La prima (Age terra fortunata) che viene ripetuta due volte e introdotta dal violoncello, è in tempo allegro e si muove dal SOL minore alla relativa SIb maggiore, per poi salire a DO minore e tornare (per la ripetizione del primo verso) a SOL minore. Dopo e due esposizioni la sola orchestra la chiude con una breve cadenza in tempo lento. La seconda è introdotta da un verso in recitativo (Victori redimite) cui seguono due strofe di 4 versi ciascuna: la prima (Deque lauru) si muove dal RE maggiore alla dominante LA e ritorno. Dopo un breve interludio orchestrale, la seconda strofa (Scande regna liberata) dal RE maggiore modula a FA# minore, per chiudere poi in RE.

L’ultima parola è lasciata a David, che chiude l’Oratorio con un’aria costituita da due strofe di 4 versi (Quae gigante pugnante vidistis e Disce verba superba cavere) di cui i primi 2 vengono ripetuti alla fine della strofa. Entrambe sono precedute da una breve introduzione orchestrale. Il tempo è allegro in 6/8 (giga) e la tonalità è SOL maggiore con passaggio intermedio a SI minore. La chiusura è piuttosto sommessa, quasi un andarsene alla chetichella e senza trionfalismi, coerentemente con il testo, che invita ad evitarli e a praticare l’umiltà.
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Ecco, sono 80 minuti di musica di straordinaria fattura, ascoltando la quale si rimane stupefatti della genialità di un compositore che, avendo alle spalle sì e no un secolo di civiltà musicale (Giovanni Bardi è della seconda metà del ‘500) e con scarsissimi mezzi a disposizione, ha saputo anticipare di decenni le successive conquiste di quella stessa civiltà.

Onore al merito quindi per Ruben Jais che ci ha proposto quest’opera con la consueta cura e il massimo rigore, e un plauso a tutti i ragazzi della sua formazione, guidata da Gianfranco Ricci, con 5 primi violini, 4 secondi, 3 viole, 3 violoncelli (il primo in funzione solistica, Marcello Scandelli) 2 contrabbassi e il continuo (armonium e cembalo, Davide Pozzi). 

Insieme al coro doppio (8x2) dell’Ensemble di Gianluca Capuano hanno cantato: i soprani Raffaella Milanesi (David) e Roberta Mameli (Ionatha), il controtenore Filippo Mineccia (Saul), il tenore Mirko Guadagnini (Textus) e il basso Marco Granata (Golia). Mameli e Mineccia (Ionatha e Saul) che sarebbero disoccupati nella seconda parte (stando alla lettera dell’Oratorio) sono invece ricomparsi verso la fine ad interpretare le due arie assegnate dal libretto ad anonimi membri del gruppo degli Ebrei. Tutti hanno ben sostenuto le rispettive parti, con qualche appunto che personalmente muoverei a Mineccia, una vocina assai, troppo, esile, e Granata, poco udibile nelle note gravi (che a 415 Hz sono ancora più gravi!) Su tutti la protagonista Milanesi.

Jais ha voluto chiudere con un doveroso omaggio del coro al grande Christopher Hogwood, scomparso ( 24 settembre) a poche settimane di distanza ( 13 agosto) da un altro benemerito della renaissance del barocco, Frans Brüggen

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