L’esordio
stagionale del complesso laBarocca
di Ruben Jais ha portato in
Auditorium un Oratorio che ebbe la sua prima a Roma (Arciconfraternita del SS. Crocifisso) durante la quaresima (secondo venerdì, 5 marzo) dell’anno di grazia 1700.
È la prima volta per Milano, anche se non è proprio una primizia in assoluto,
dato che proprio un mese fa la stessa opera è stata presentata, nel corso del
MI-TO, nella chiesa di SanFilippo a Torino (sulla pagina web indicata si può trovare e
scaricare il programma di sala che contiene il testo latino-italiano
dell’Oratorio). Ma è comunque abbastanza raro, per non dire rarissimo, poter
ascoltare questo prodotto della civiltà musicale italiana di più di tre secoli
fa. Due sole – pare – le incisioni disponibili: quella di Columbro (anche MP3) e quella di De Marchi (CD).
Davidis pugna
et victoria è l’unico sopravvissuto dei 5 (o 6?) oratori latini
composti da Alessandro Scarlatti a
Roma in circa 20 anni a cavallo fra ‘600 e ‘700. Il soggetto biblico è la
celebre sfida tra Davide e Golia, decisa da un azzeccato colpo di fionda del pastorello
ebreo che stende il gigante filisteo, per poi mozzargli il capo (pratica oggi
resuscitata laggiù in quelle terre…) La struttura è in due Parti, entrambe introdotte da altrettante Sinfonie (la seconda assai breve, per la verità): nella prima viene
rappresentato il pessimismo, il fatalismo di Re Saul convinto della sconfitta e
preparato alla morte, cui si oppongono l’ottimismo e la fede del figlio Ionatha
e del giovane David, che rincuorano i loro armati; nella seconda assistiamo ai
preparativi della battaglia, alle minacce di Golia e infine al suo abbattimento
da parte di David, fra cori di disperazione dei Filistei e di gioia degli Ebrei.
I personaggi sono 5: David e Ionatha (soprani), Saul (contralto), Golia
(basso) e Textus (Narratore, tenore); affiancati da un
coro doppio, che rappresenta le due parti in guerra, Ebrei e Filistei.
L’orchestra è composta esclusivamente da
archi, più cembalo (recitativi) ed organo. I numeri musicali sono
essenzialmente: recitativi, arie, duetti e cori.
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La Sinfonia che apre la Prima
parte dell’Oratorio è – come quello - strutturata in due sezioni, ad
immagine dei contenuti dell’opera: una prima in tempo Grave (il pericolo che incombe sugli Ebrei) che presenta un motivo
che si muove dal SOL maggiore alla dominante RE per poi tornare al SOL; la
seconda - un Allegro – sempre in SOL,
con modulazioni a RE maggiore e SI minore, caratterizzato da vivace
contrappunto (la battaglia e la vittoria).
Il Textus apre il racconto con un recitativo in SOL (Iochor sub aeria) in cui ci narra
dello sconforto che prende Re Saul alla notizia che i Filistei stanno invadendo
la terra d’Israele, spargendo ovunque sangue e terrore. Segue un’aria (Fata regum) nella quale il
narratore riflette sul cupo destino che incombe sul Re: l’aria è bipartita in
due strofe (la seconda inizia con Vix in
ore) separate da un breve interludio orchestrale e si muove sempre fra SOL
maggiore, RE maggiore e SI minore, per poi chiudere sul SOL. Un nuovo recitativo in SOL del narratore (Horruit audita Saul)
non fa che confermare lo spavento e i timori di Saul al pensiero dell’arrivo
del terribile gigante Golia.
Ora è proprio Saul
ad esternare il suo pessimismo e il suo orrore per le razzìe di Golia: lo fa
con un lamentevole arioso che si
muove inizialmente (Heu perij) tra MI e LA minore, poi (Periere meae) tra FA e DO maggiore e minore. Segue un’aria (Quiquis alta) dove Saul medita sulle
inevitabili sventure che attendono chi sale sul trono più alto: la struttura è
A-B-A e il tempo è veloce, evocando l’ansia e le preoccupazioni che sconvolgono
la psiche del Re; la tonalità di base (A) è FA maggiore, che vira a DO per la
seconda coppia (B) di versi (Praecipitium immane) per poi tornare al FA
per la ripetizione dei primi due.
Torna adesso
Textus con un recitativo (Talia clamanti) che ci notifica dell’arrivo di Ionatha a cercar di rincuorare il padre. La tonalità si muove dal
RE minore (relativa del precedente FA) alla sottodominante SOL minore.
Ed ecco
appunto Ionatha, che si presenta con
un arioso (Fugiat timor) in tempo
ternario vivace: il figlio del Re Saul sprizza ottimismo e fiducia nella vittoria
della stirpe di Giuda. L’arioso è in MIb, poi nella dominante SIb, quindi nella
sua relativa SOL minore, da cui torna al MIb; viene ripetuto pari-pari. Sempre
Ionatha prosegue ora con un’aria (Jam veni tu spes) che inneggia alla speranza che infonderà il coraggio
nelle schiere ebree, portandole a combattere con l’ardore più pieno. L’aria –
una giga con inflessioni di seconda
minore di tipo squisitamente napoletano
- presenta due strofe (la seconda principia con Tu corda si das) cantate sullo
stesso tema, che si muove dal SIb maggiore alla relativa SOL minore, da qui a
RE minore per tornare al SIb.
Sull’irruzione
di un allegro vivace in SOL maggiore (che modula temporaneamente a RE e SI
minore) ecco il breve duetto (di soli
due versi) di Saul e Ionatha: il Re (sfiduciato) chiama i suoi alla ritirata (Tuba fugam concrepet),
mentre il figlio li invita a battagliare (Tuba pugnam concrepet)!
Ma Saul non cambia atteggiamento e manifesta il suo
pessimismo con una nuova aria, lenta
e di tono mesto, anche qui con inflessioni napoletane:
sono due quartine con ripetizione dei primi versi di ciascuna (Mea Fata, superbi videte e Purpurata si tempore parvo) in
cui la melodia principia in DO minore, poi scende alla sottodominante FA minore
e (sulla ripetizione dei primi due versi) torna a DO.
Si ripete qui il duetto Saul-Ionatha (Tuba
fugam/pugnam) e pare essere il Re ad avere più ascendente sui suoi seguaci,
che ora intonano un coro dove esprimono
la loro decisione di abbandonare il campo di una battaglia nata sotto cattiva
stella e che ora rischia di portare solo morte e lutti. Eamus, fugiamus è l’invito ripetuto
insistentemente, che apre e poi chiude il coro (la cui forma è A-B-A), in DO
maggiore con passaggi a RE minore e SOL maggiore. I cinque versi del corpo del
coro (Mors a tergo) sono
trattati a canone stretto, su tonalità continuamente modulanti (proprio a
rappresentare lo stato d’animo in perenne agitazione degli Ebrei) da SOL minore
a MIb maggiore, SIb, DO, SOL, RE maggiore, poi SI minore e quindi ancora RE
maggiore, DO, SOL minore e ritorno al DO per la ripresa dell’Eamus.
Ma a questo punto ecco affacciarsi il protagonista, David, con un recitativo (Quo fugitis?) dove ordina agli uomini di fermarsi, in nome di Dio.
La tonalità riprende il DO del coro, poi modula a FA e SIb maggiore, dove si
apre l’aria (Verte tela); qui David
esorta i suoi ad affrontare il nemico, fidando anche nella buona sorte: una diserzione
significherebbe la fine per tutti. Come il precedente coro, anche quest’aria è
strutturata in A-B-A: due versi introduttivi (in tempo ternario allegro) ripresi
anche dopo l’esposizione dei 4 versi successivi in tempo lento (Fortuna non una). La sezione
A è in RE minore, la B ancora una volta modula dal DO al MI e RE minore, ancora
al DO e chiude sul LA minore, dominante del RE con cui viene riproposta la
sezione A.
Ora si assiste ad una specie di bonario battibecco fra
Saul e David. Il Re non dà molto credito al ragazzo, facendogli notare che
quando il capo è pavido, i sottoposti non possono essere impavidi; David gli fa
notare che essi sono fieri delle imprese del loro capo; Saul lo vuol congedare,
ma è David che congeda lui, chiedendo agli Ebrei di ascoltare lui e non il Re!
(Saul qui esce definitivamente di scena.) Il dialogo prende la forma di recitativo, che alla fine, sulle parole
di David (David audiant agmina)
sfocia in un arioso. Da notare la
cura che Scarlatti pone nel differenziare il tono dei due: sempre mesto e
rinunciatario il Re, spigliato, baldanzoso e… irriverente il giovane. Dal SOL
della domanda di Saul (Quis Duce trepidante audet?) si modula al RE della prima risposta di David (Quis tuis triumphis gaudet); SOL
che torna sul tentativo di Saul di liberarsi del ragazzo (Eia puer nunc abito) e ancora dopo
una breve escursione a RE e LA sulla chiusa di David (Pauca siste).
A questo punto la scena viene monopolizzata da Ionatha
e David. Dapprima con un nuovo duetto
(O Ionathae spes una David - O regni lux una Ionatha) dove i giovani si esaltano a vicenda nella
prospettiva di sconfiggere i nemici e così riportare fiducia e baldanza anche
nei loro uomini. Poi con due arie (una a testa) di identico contenuto musicale.
La prima parte del duetto (chiusa da Regnante Ionatha - Pugnante Davide) è in tempo
lento, si muove da SOL maggiore a RE maggiore, quindi chiude in SI minore: i
due si alternano nel canto, salvo cantare insieme il verso centrale (Quis mihi te dat?) La seconda
parte (da Abi timor, et recede - Redi fervor, et succede) è in tempo più vivace, dove i due cantano 4 versi a
testa in contrappunto; la tonalità si muove dal RE maggiore al SOL della
chiusura. Ecco ora le due arie di 4
versi ciascuna (prima Ionatha, poi David) e contenuto assai simile (Age tuba militaris - Age tuba salutaris) che hanno uguale struttura A-B-A e tempo ternario: A
copre il primo verso, che verrà ripetuto dopo B, che include i 3 versi
successivi; la tonalità parte da DO maggiore (A) poi (B) modula a SOL maggiore
per il secondo verso; quindi i due versi successivi sono in MI minore e LA
minore, prima della ripresa di A in DO. Dato che le voci dei due sono entrambe
di soprano, qui c’è un potenziale rischio di ripetitività stucchevole, che sta alle
qualità degli interpreti di minimizzare.
I soldati ebrei sono davvero ringalluzziti! Cantano
ora un coro (Vincemus Io vincemus) di soli due versi in tempo allegro, che ha come
tonalità fondamentale DO maggiore, con fugaci modulazioni a SOL e RE.
Tornano Ionatha e David con una nuova coppia di arie di testo diverso (In flore labente - Cum sole cadente) e musica identica. Sono in tempo di giga e andamento mesto (con tanto di seconda napoletana) che contrasta con
l’ottimismo delle parole, che inneggiano – rispettivamente – alla rugiada che
ridà vigore ai fiori e alla luce che scaccia l’oscurità della notte. I versi
sono quattro, i primi due (in FA minore) ripetuti dopo gli altri due (che sono
nella dominante DO minore).
Sempre i due giovani intonano ora un nuovo duetto (Sic et mortis - Sic in hoste): sono tre versi per ciascuno, prima cantati
separatamente (DO maggiore – RE minore) poi in contrappunto ad eco, chiudendo
in DO maggiore. Dove troviamo la riesposizione del coro dei soldati Vincemus Io vincemus che conclude la Prima parte dell’Oratorio.
La Seconda parte si apre con
una brevissima Sinfonia, poche
battute di introduzione, in SOL Maggiore e tempo allegro, al protervo ingresso
in scena del gigante Golia, che senza
tanti preamboli promette fendenti e frecce per il malcapitato David: lo fa con
un recitativo, aperto da un SOL grave
del basso (Evaginabo gladium meum) che sull’ultimo verso sfocia in arioso. E sempre in arioso ha
inizio un botta-e-risposta fra i due. Dapprima, in RE maggiore, David ribatte (Surgant, opitulentur tibi) alle minacce del nemico, con il cembalo che corona la sua
frase con una specie di irridente sberleffo, quasi
a volerci rappresentare un David che danza e saltella provocatoriamente attorno
allo spaventevole filisteo. Il quale, in arioso sempre introdotto dal SOL grave
del basso, ribadisce (Surgam, et lacerabo te) di voler fare un sol
boccone di quel ragazzo temerario, quel topolino che osa sfidare draghi e
leoni. Ma ancora il cembalo ripete, stavolta in SOL, gli sberleffi di David.
Che poi rincara la dose (Non imbelli duello puelli) rispondendo in SI
minore (RE maggiore): non sono qui per giocare, ma per combattere seriamente e
senza timori.
Golia insiste (Saevo dente) proseguendo sul RE, con un’aria
(col da-capo) accompagnata dal violoncello: chi osa sfidare il leone avrà il
fatto suo… Sion cadrà a pezzi e andrà in fumo. Ma David è deciso e chiama i
suoi a sostenerlo (Cives, Io, date plausum) col suono delle trombe e a preparare corone per i
festeggiamenti. La sua è un’aria in
6/8 in SOL maggiore, caratterizzata da veloci e ondeggianti terzine, con
modulazioni a RE maggiore, SI minore, ancora DO, prima della chiusa in SOL.
Risponde con un’aria (Philistei, reboate) in tempo ternario anche Golia, che invita i suoi alle armi e
invoca al suo fianco gli abitanti degli Inferi. Il tempo è assai agitato, la
tonalità di base è DO, ma la melodia è continuamente in movimento, toccando
diverse altre tonalità, prima di tornare al DO su cui Golia chiude il suo
l’appello con un agitatissimo Ad arma, ad arma, miles, che introduce
direttamente (poggiando sul SOL) il successivo coro dei Filistei che rispondono agli incitamenti del loro capo,
dialogando con lui. Il tempo è concitato e Golia e Filistei sembrano aizzarsi a
vicenda, decisi a colpire, uccidere, disarmare David. Golia e il coro chiudono
con la riproposizione del verso Ad arma, ad arma.
Ora Davids espone il suo accorato e fiducioso appello
alla forza e alla protezione del Dio d’Israele, che lo aiuti ad abbattere il feroce
nemico. Lo fa con un’aria
stupefacente (Tu mihi superum) in DO minore, tempo lento, che contrasta fortemente
con la protervia del precedente coro filisteo. Introdotta e poi accompagnata dal
caldo suono del violoncello, si compone di due strofe di 4 versi, il secondo
ripetuto dopo la strofa: la tonalità si muove da DO minore alla relativa MIb
maggiore, con inflessioni napoletane.
Il Textus ora ricompare per descriverci direttamente
l’esito del duello fra Davide e Golia. Lo fa con un verso in recitativo (Dixit, et excusso montano
vertice funda) in SOL che sfocia in un arioso in tempo spedito (Saxo volatili, vulnere orribili) che chiude sul DO. La seconda strofa (Cadit ille) torna in
tempo lento e LA minore per chiudere in RE. È curioso che per descrivere la
morte di Golia l’anonimo estensore del testo abbia citato alla lettera il verso
con cui Virgilio chiude l’Eneide (morte in battaglia di Turno ad opera di
Enea):
Ora abbiamo i due cori (Filistei ed Ebrei) che
alternativamente, per ben quattro volte, esternano i rispettivi stati d’animo:
abbattuto quello di vinti (Heu sodales) in tono ovviamente minore (FA) ed esultante quello
dei vincitori (Victoria, victoria) in modo maggiore (SOL).
Seguono due arie
cantate da membri del coro degli Ebrei. La prima (Age terra fortunata) che viene ripetuta due volte e introdotta dal violoncello,
è in tempo allegro e si muove dal SOL minore alla relativa SIb maggiore, per
poi salire a DO minore e tornare (per la ripetizione del primo verso) a SOL
minore. Dopo e due esposizioni la sola orchestra la chiude con una breve
cadenza in tempo lento. La seconda è introdotta da un verso in recitativo (Victori redimite) cui seguono due strofe di 4 versi ciascuna: la prima
(Deque lauru) si muove dal
RE maggiore alla dominante LA e ritorno. Dopo un breve interludio orchestrale,
la seconda strofa (Scande regna liberata) dal RE maggiore modula a FA# minore, per chiudere
poi in RE.
L’ultima parola è lasciata a David, che chiude
l’Oratorio con un’aria costituita da
due strofe di 4 versi (Quae gigante pugnante
vidistis e Disce verba superba
cavere) di cui i primi 2 vengono ripetuti alla fine della
strofa. Entrambe sono precedute da una breve introduzione orchestrale. Il tempo
è allegro in 6/8 (giga) e la tonalità è SOL maggiore con passaggio intermedio a SI
minore. La chiusura è piuttosto sommessa, quasi un andarsene alla chetichella e
senza trionfalismi, coerentemente con il testo, che invita ad evitarli e a praticare
l’umiltà.
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Ecco, sono 80 minuti
di musica di straordinaria fattura, ascoltando la quale si rimane stupefatti della
genialità di un compositore che, avendo alle spalle sì e no un secolo di civiltà
musicale (Giovanni Bardi è della seconda
metà del ‘500) e con scarsissimi mezzi a disposizione, ha saputo anticipare di decenni
le successive conquiste di quella stessa civiltà.
Onore al merito
quindi per Ruben Jais che ci ha proposto
quest’opera con la consueta cura e il massimo rigore, e un plauso a tutti i ragazzi
della sua formazione, guidata da Gianfranco
Ricci, con 5 primi violini, 4 secondi, 3 viole, 3 violoncelli (il primo in
funzione solistica, Marcello Scandelli)
2 contrabbassi e il continuo (armonium e cembalo, Davide Pozzi).
Insieme al
coro doppio (8x2) dell’Ensemble di Gianluca Capuano hanno cantato: i
soprani Raffaella Milanesi (David) e Roberta Mameli (Ionatha), il
controtenore Filippo Mineccia (Saul),
il tenore Mirko Guadagnini (Textus) e
il basso Marco Granata (Golia).
Mameli e Mineccia (Ionatha e Saul) che sarebbero disoccupati nella seconda
parte (stando alla lettera dell’Oratorio) sono invece ricomparsi verso la fine
ad interpretare le due arie assegnate dal libretto ad anonimi membri del gruppo
degli Ebrei. Tutti hanno ben sostenuto le rispettive parti, con qualche appunto
che personalmente muoverei a Mineccia, una vocina assai, troppo, esile, e
Granata, poco udibile nelle note gravi (che a 415 Hz sono ancora più gravi!) Su
tutti la protagonista Milanesi.
Jais ha voluto
chiudere con un doveroso omaggio del coro al grande Christopher
Hogwood, scomparso († 24 settembre)
a poche settimane di distanza († 13 agosto) da
un altro benemerito della renaissance
del barocco, Frans Brüggen.
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