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03 febbraio, 2012

Orchestraverdi – concerto n 18


Ancora Helmuth Rilling sul podio per proporci un oratorio di quelli davvero enormi: Elias di Mendelssohn.

Un vero peccato che l'Auditorium fosse semideserto, probabilmente (anche) a causa del trasloco (speriamo temporaneo) della Siberia in Italia. Però mi pare che qualcuno abbia anche fatto il furbo, andandosene a casa nell'intervallo: fatto sta che la seconda parte dell'Oratorio ha visto più musicanti sul palco che spettatori in sala (!)

I solisti sono (soltanto) quattro, ma si fanno in quattro (smile!) per coprire le necessità. Così il doppio-quartetto diventa un quartetto-single; poi la brava Simone Easthope, oltre che la parte di soprano, si accolla anche quella del ragazzino che Elia manda a scrutare il mare, e addirittura sale in galleria, giusto per dare un tocco scenografico alla sua prestazione. In compenso, per ottenere con due soliste un terzetto (di Angeli, nella seconda parte) si cooptano al proscenio due signore del coro, e così il terzetto diventa addirittura un quartetto! Bravissimo il baritono Markus Eiche, nelle vesti del protagonista profetico: voce forse un filino troppo chiara per l'austero personaggio, ma benissimo impostata e con efficace modo di porgere. Discreti anche il tenore Dominik Wortig e il contralto Kismara Pessatti. Superba la prestazione del coro di Erina Gambarini.

Helmuth Rilling – come suo solito – quando fa una cosa la fa sul serio, così stavolta ha mandato a memoria tutte le 350 pagine di questa gigantesca partitura, che rivaleggia con quelle delle grandi passioni bachiane, di cui lui è (come lo fu Mendelssohn!) un super-esperto.

Successo assicurato, con applausi convinti da parte dei pochi – ma buoni – aficionados lapponi.

Prima di chiudere, qualche personale considerazione su quest'opera. Sulla cui grandezza formale non si discute, come sull'ispirazione melodica di molte frasi, a cominciare dalla bellissima aria del tenore:

 
O il delicato terzetto (quello che Rilling ha trasformato in quartetto!) degli Angeli:


Però è il complesso dell'opera che (a me) lascia, come dire, un retrogusto non propriamente entusiasmante, come di quei dolci che dopo qualche boccone finiscono per provocare un principio di nausea. Per carità, non voglio certo condividere qui l'analisi stroncante (su basi che sfiorano il razzismo) proposta da Wagner nel suo famigerato libello sul Giudaismo in musica. Ma alcune acute considerazioni che vi si leggono, in particolare sulla posizione dell'opera di Bach nella storia della nostra civiltà musicale e sul velleitarismo di riproporne gli stilemi (che metterebbe a nudo l'impotenza di Mendelssohn - a differenza di Beethoven - a comporre musica che tocchi le corde più sensibili del nostro cuore e della nostra anima) credo che non siano del tutto peregrine.


Prossimamente terzo appuntamento con Dvorak e Aldo Ceccato.
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3 commenti:

Moreno ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Moreno ha detto...

Ero presente in Auditorium venerdì scorso ed ho avuto anch’io l’impressione di trovarmi di fronte ad un’opera anacronistica. Oltre due ore di ottima musica ma espressione di una sensibilità musicale e religiosa non in linea con le esigenze del proprio tempo.
Forse anche Mendelssohn è uno di quei musicisti la cui statura intellettuale ed i meriti di organizzatore di eventi culturali superano le capacità creative. Credo che alla stessa categoria appartenga Berlioz e forse anche Liszt.
Saluti,
Moreno

daland ha detto...

@Moreno
Beh, in molti, al tempo di Mendelssohn, lo portarono in trionfo, specialmente i britannici. Poi cadde effettivamente nell'oblio e solo nel pieno '900 è stato rivalutato. Forse sulla scarsa profondità delle sue opere influì l'eccessiva ed eccessivamente calda "bambagia" in cui ebbe la fortuna di crescere.

Mi permetto di non condividere (del tutto) lo stesso giudizio su Berlioz, tanto meno su Liszt.

Grazie, ciao!