Per il 12mo Concerto de laVerdi sale in cattedra l'Opera italiana. In realtà, principalmente ciò che nelle opere oggi rappresentate in teatro quasi mai si suona, si sente e si vede: balli e balletti.
Rossini e Verdi dovettero – a malincuore? – pagare un certo pedaggio per poter accedere con loro opere nel tempio parigino. Dove vigeva una bizzarra quanto ferrea regolamentazione artistico-estetica (sic!) che escludeva tassativamente la rappresentazione di opere che non contenessero siparietti di balletto. Non solo, ma il siparietto, si badi bene (tale Wagner non ci badò, credendosi protetto nientemeno che dall'Imperatore, e fu impietosamente impallinato) doveva necessariamente essere collocato a metà, più o meno, della rappresentazione, per dar modo a certi simpaticoni (che casualmente erano anche pseudo-azionisti del teatro, in quanto detentori di abbonamento perpetuo a numerosi palchi) di arrivare con comodo, dopo cena, per ammirare le danzatrici e… portarsele poi a letto, a fine serata.
Quindi, si sospetterà: se quello era lo scopo, del tutto estraneo a canoni artistici ed estetici (un'anticipazione, per dire, degli odierni happening a base di bunga-bunga… smile!) chissà quale ciarpame musicale sarà stato scritto alla bisogna, dai pur grandi Verdi e Rossini. E questo sospetto sembrerebbe avvalorato dal fatto che, fuori dalle mura del teatro imperiale parigino, quei balletti e quelle musiche furono spesso e volentieri espunti dalle rispettive opere, e quasi sempre per iniziativa, o con l'esplicito consenso, degli stessi compositori.
Nulla di più falso e bugiardo. I tre brani eseguiti qui dimostrano come Verdi e Rossini ci misero tutta la loro ispirazione e la loro maestrìa, pur sapendo già in partenza che si trattava di corpi estranei rispetto al contenuto drammatico delle opere in cui dovevano essere inseriti.
A mo' di esempio vorrei citare Le Quattro Stagioni, la cui profondità di ispirazione e il cui solido contenuto sinfonico sono appassionatamente messi in rilievo da Riccardo Muti, in questa serie di prove d'orchestra (Inverno e Primavera) con la Cherubini, oggi disponibile in DVD, dopo essere uscita lo scorso anno per iniziativa di Repubblica-Espresso.
Con il cimbasso che spunta come un airone in mezzo ai fiati, si apre con La Pérégrina, questo siparietto del terzo atto del Don Carlos (in corrispondenza dell'incontro fra il principe ed Eboli, creduta Elisabetta) che è scenicamente una specie di bizzarro miscuglio di Bella addormentata e di Rheingold (prima scena) dove i legami con la trama e i personaggi del dramma bisogna scoprirli munendosi di microscopio elettronico. Invece la musica è a dir poco sopraffina, degna del miglior Ciajkovski! Con un assolo del violino - associato alla dormiente Perla bianca avvicinata dal pescatore (Alberich, per caso? smile!) – che, nell'incipit, sembra ricordare la celebre introduzione del violoncello al monologo di Filippo:
Qui ha modo di mettersi in mostra Gianfranco Ricci, avanzato per l'occasione al posto di spalla.
Ecco poi le citate Stagioni: quasi mezz'ora di musica, splendida da ascoltarsi da sola, mortale quando eseguita all'interno del terzo atto dell'Opera, di cui spezza inesorabilmente il pathos drammatico. Sull'esecuzione di ieri, credo proprio che anche il Muti perfezionista di cui sopra avrebbe poco da ridire.
Apre la seconda parte Rossini con il Pas de six dal primo atto e il Pas de soldats dal terzo atto del Tell: quest'ultimo brano, davvero trascinante, si merita un'ovazione.
Subito dopo Damian Iorio ci ha presentato la Boutique Fantasque, Suite dalle musiche del balletto di Diaghilev-Massine (della serie: bambole meccaniche e marionette semoventi e semi-umane, à la dottor Coppélius, o Spalanzani di turno, per capirci) che Ottorino Respighi trasse nel 1918 dal tardo Rossini (dai cosiddetti Riens, inclusi nei Péchés de vieillesse per pianoforte). Un pezzo frizzante e orecchiabile, nelle sue 7 sezioni (più l'ouverture).
Tanto per riderci un po' sopra: ecco, qui come ouverture non c'è male; la miglior tarantella? Eccola! Questi cosacchi sono un po' pesantucci; qui invece una cosacchina in erba, portata via proprio come una marionetta; e questo è precisamente un forsennato Galop! laVerdi è ovviamente meno spassosa, ma più precisa (smile!)
Si chiude in bellezza, a mo' di encore, con la sinfonia dal ??? (Barbiere? Aureliano? Elisabetta?) Iorio, che ha introdotto i vari brani con qualche pertinente riferimento (peccato che la sua voce, senza amplificazione, arrivi neanche a metà sala) informa che la sinfonia viene eseguita impiegando una edizione recente… Vero, non è certo quella ottocentesca di Ricordi (visto che i tromboni elisabettiani mancano) ma neanche quella del 2008 di Barenreiter (Gossett) come testimonia la presenza dei timpani, tanto per dirne una. Ma al pubblico, tutto sommato, ha fatto l'effetto di sempre: straordinario!