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11 giugno, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 35

Sempre Xian Zhang a dirigere il penultimo (ultimo per lei) concerto de laVerdi per la stagione 2009-2010. La dedica è al grande Carlo Maria Giulini, benefattore della Fondazione e dell'Orchestra, scomparso di questi giorni in quel di Brescia, nel 2005. E il programma è proprio di quelli che il compianto maestro avrebbe di sicuro prediletto.

In un Auditorium pieno come un uovo e con l'orchestra disposta (come sembra prediligere Xian Zhang) con le viole in prima fila, si apre con il Beethoven del Concerto per violino. In ambientazione orientale, visto che la solista è Jennifer Koh, americana dell'Illinois, ma figlia di coreani, mentre la Kapellmeisterin cinese dà il là ai cinque rintocchi di timpano eseguiti dalla giapponese Chieko Umezu.

La Koh, in un lungo scollato color lampone, invece di aspettare il suo turno, che arriverebbe alla battuta 89, forse per scaldare i motori, si associa ben prima alla sezione degli archi, suonando anche parte dell'introduzione. Poi attacca la sua parte solistica con piglio nervoso e quasi espressionista. La potenza e limpidezza del suono del suo Stradivari 1727 sono pari alla sua abilità tecnica e virtuosistica. Che si manifesta nei lunghi passaggi del primo movimento, come nelle delicate melodie del Larghetto e poi nell'impertinente ritornello del Rondò.

Gran trionfo per la giovane artista che, richiamata a più riprese da insistenti applausi, ci concede un serioso bis bachiano.

Dopo la pausa si rientra con un'orchestra super-rinforzata per la Prima Sinfonia di Mahler: percussioni (gran cassa, tamtam, piatti e triangolo) seconda postazione di timpani per il finale (dove passa la Umezu, mentre sulla prima arriva la titolare Viviana Mologni); poi 8 corni, quattro trombe e altrettanti tromboni (una tromba e un trombone dislocati vicino ai corni, per il tumultuoso finale) la tuba e l'arpa. Insomma, il palcoscenico è affollato come la platea, per questo antipasto mahleriano, in vista della quasi-integrale in programma nella prossima stagione, nel 100° anniversario della morte del boemo (mancherà solo l'ottava, per la quale il palcoscenico andrebbe probabilmente raddoppiato!)

Per la verità le tre trombe principali sembrano assenti, ma presto si comprende che non sono affatto in ritardo: semplicemente suonano le loro iniziali fanfare stando dietro l'ultima quinta di sinistra, visto che Mahler prescrive siano poste in grande lontananza. L'effetto è davvero emozionante. Dopodichè fanno il loro ingresso alla chetichella, andando a sistemarsi al loro posto.

Zhang dà una lettura in grande chiaroscuro del primo movimento: quasi cameristica l'esposizione (con esecuzione canonica del ritornello, il cui motivo ripete il tema del secondo dei Lieder eines Fahrenden Gesellen, Ging heut' morgens übers Feld e nella stessa tonalità di RE maggiore) e dello sviluppo; poi forti contrasti ed esplosioni sonore nella ricapitolazione e nella coda, che mozza sempre il fiato, con quelle lunghe pause che inframmezzano le secche bordate – RE-LA, la quarta che è un po' il DNA della sinfonia - del timpano e le semicrome dei fiati.

Nello Scherzo non si bada a spese, in quanto a sonorità, soprattutto degli ottoni, in particolare nei vorwärts che chiudono esposizione e movimento. Intimistico il Trio, con le due sezioni di Ländler, dove gli ottoni, contrariamente ai classici dettami, hanno una parte marginale, mentre sono archi e strumentini a farla da padroni.

La marcia funebre – il nostro Frà Martino campanaro, in modo minore – è forse resa con meno contrasti del dovuto (ad esempio negli incisi dell'oboe); eccellente la resa della sezione intermedia, dove l'arpa introduce languidamente il secondo motivo del quarto dei Lieder eines Fahrenden Gesellen (Die zwei blauen Augen) principiante con le parole Auf der Straße stand ein Lindenbaum (sulla via c'era un tiglio). Qui in SOL maggiore, dove là (nei Lieder) era in FA.

Nel tempestoso finale Zhang scioglie tutte le briglie e l'orchestra si butta a capofitto in quest'orgia sonora. Interrotta dalla languida sezione in RE bemolle, con tanto di emozionante rubato. Nello sviluppo c'è poi quel passaggio tòpico, dove si modula da DO minore a DO maggiore e da qui, con una scala ascendente DO-RE-MI-FA si salta bruscamente sul… LA e sull'accordo di RE maggiore (un procedimento mutuato dal wagneriano Rheingold, chiusa del Wie liebliche Luft di Froh). Ecco, fra il FA e il LA, Mahler prescrive una Luftpause, una presa di respiro: invece Zhang ferma tutti per almeno una semibreve, il che crea un effetto tanto straordinario quanto forse eccessivo e gigionesco.

Poi la ricapitolazione e quindi il gran finale, con i corni ed annessi tromba e trombone che si alzano in piedi per dare ulteriore risalto a quel fiume in piena di suoni che chiude questa sinfonia ormai entrata di diritto nei repertori di tutte le grandi orchestre e di tutti i direttori. Tripudio assordante, battimani ritmati e urla selvagge a salutare una prestazione invero rimarchevole.

L'ultimo concerto della stagione sarà affidato al Direttore ospite Helmuth Rilling, con il monumentale Paulus mendelssohniano.

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