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04 giugno, 2010

Stagione dell’OrchestraVerdi - 34

Ancora Xian Zhang per il terz'ultimo concerto de laVerdi.

In omaggio alle sue origini, Zhang ci propone in apertura – e in prima italiana - un pezzo della sua conterranea ed amica Chen Yi, intitolato Ge Xu (il richiamo onomatopeico alla nostra religione è del tutto casuale). Si tratta di melodie popolari del sud della Cina, luoghi dove Chen e famiglia furono spediti dalla Rivoluzione Culturale a sperimentare – loro cittadini e borghesi – un po' di dura vita contadina (oggi certe cose si scimmiottano in TV, nelle varie isole…) Canzoni e antifone cantate in occasione di riti pagani: e nell'orchestrazione si sente in effetti – e non a caso, credo - qualche lontana reminiscenza del Sacre stravinskiano. Un innesto di materia prima orientale su basi tonali occidentali, fatto con molta sapienza. E soprattutto con misura (neanche 10 minuti, smile!)

L'Orchestra (con viole in prima fila, anche per Beethoven) si misura quindi con Schubert e la sua Incompiuta (il cui numero d'ordine varia a seconda dei cataloghi, fra 7 e 8). Zhang tiene un approccio cameristico, intimistico, ben coadiuvata da oboi e flauti (primo tema) e violoncelli e poi violini (secondo). Salvo poi far esplodere suoni poderosi nel primo accordo fortissimo-sforzato e poi nel grande crescendo dello sviluppo e della ripresa.

Per l'Andante con moto la nostra cinesina – che dirige qui a memoria - abbandona la bacchetta sul leggìo della spalla e usa le sole mani, à la Gergiev, come a sottolineare la grande tranquillità e serenità di questo straordinario movimento di sinfonia, che per puro miracolo non rimase sconosciuto e perduto al mondo per colpa di umane stupidità. Altra musica purtroppo restò nella penna di Schubert, cui il destino impedì di vivere abbastanza per farcene dono:














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Infine l'Eroica beethoveniana, ultima sinfonia dell'intero ciclo ad essere presentata in questa stagione, che volge ormai al termine (la prima fu la Settima, nel concerto inaugurale alla Scala del 6 settembre scorso).

Nell'ambito di una meritoria iniziativa torinese, chi abbia interesse ad approfondire i contenuti della terza può farsi accompagnare da Giorgio Pestelli.

Zhang la attacca speditamente, evita – direi a ragione - il ritornello dell'esposizione e poi ci dà dentro con lo sviluppo, dove troviamo il famoso passo in cui Beethoven si diverte a ingannarci con una (voluta) dissonanza, fra il tremolo dei violini (dominante-sottodominante) e il tema principale (triade di tonica MIb) esposto dal primo corno:












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Zhang ottiene un grande effetto dal pianissimo di quelle due misure, cui segue il fragoroso scoppio sugli accordi di dominante, che portano alla ripresa, travolgente davvero, fino alla conclusione, secca e priva di enfasi.

Nella susseguente Marcia Funebre, efficacissima la resa del passaggio in DO maggiore (che Beethoven sigla scrivendo proprio Maggiore in testa ai righi, quasi a convincere un qualche esecutore distratto o incredulo!) da parte di oboe e flauto, spalleggiati da tutta l'orchestra, fino ai pesanti accordi MI-DO (anticipazione di quelli, sulla tonica di MIb, che caratterizzeranno la cadenza finale della sinfonia) da cui gli archi partono per la ricaduta negli abissi del DO minore del tema principale.

Lo Scherzo viene affrontato con grandissima leggerezza dagli archi, che creano il tappeto sonoro su cui oboe, poi flauto e successivamente clarinetto adagiano il tema principale, prima dello scoppio dell'intera orchestra. Eccellenti i tre cornisti nell'impegnativo Trio (dove i primi due debbono rispettivamente scalare il MIb acuto e scendere a quello grave) che riceveranno speciale menzione, con gli strumentini, alla fine.

Eccellente la resa del Finale, che Zhang attacca senza pausa alcuna allo Scherzo. Il prometeico tema (cardine dell'intera sinfonia) emerge quasi a fatica, negli strumentini, dall'introduzione, ma poi si fa largo in modo perentorio e a volte poderoso. Efficace in particolare la resa del tema in SOL minore, che porta all'emozionante esposizione del tema principale – dolce, in violini e flauto – in DO maggiore. Ma la tensione non cala mai, fino alla fine, con quel misterioso contrappunto fra archi e strumentini che introduce il travolgente Presto, dove ancora i corni sono impegnati allo spasimo, seguiti da tutta l'orchestra, fino al pesantissimo dialogo, in ff, fra violini e fiati, che si rimpallano tremendi accordi fra tonica e dominante, per poi chiudere con l'intera scala ascendente di MIb e i due definitivi schianti.

Un autentico trionfo per l'Orchestra e per Zhang, richiamata più volte da un pubblico in delirio.

Il penultimo concerto metterà vicini il violino di Beethoven e il titano di Mahler!

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