affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

20 aprile, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°26


Come da tradizione, la Settimana Santa ha portato in Auditorium (e in Duomo!) una delle Passioni di Bach, alternativamente la Matthäus e la Johannes. Quest’anno è toccato alla Matthäus, e a proporcela sono stati gli ensemble (vocale e strumentale) de laBarocca rinforzati dal Coro di Voci bianche de laVerdi. Sul podio, immancabilmente, Ruben Jais.

Ieri sera si è concluso il ciclo delle tre recite con un’esecuzione salutata trionfalmente dal foltissimo pubblico.

Ancora una volta lascio la parola a Monsignor Gianantonio Borgonovo, Arciprete del Duomo di Milano, che inquadra mirabilmente l’opera di Bach nel contesto storico-religioso dei suoi tempi.

Gianantonio Borgonovo

Johann Sebastian Bach: Tra storia e pietismo

Il contesto storico

Nella comunità cristiana, sin dai primi passi dopo la risurrezione di Gesù, il racconto evangelico della Passione, Croce e Risurrezione fu di grande rilievo e segnò la stessa nascita della Chiesa credente. Queste sezioni dei Vangeli hanno ricevuto da subito un’attenzione speciale nella celebrazione dell’Eucaristia nella liturgia cristiana lungo l’anno liturgico con un’enfasi di singolare solennità.

Risale probabilmente già al V secolo una drammatizzazione del testo, con una distribuzione su ruoli diversi (Evangelista, Gesù, Ponzio Pilato e altri). Heinrich Schütz assegnò a questi personaggi voci diverse e permise ai gruppi di persone di esibirsi come coro polifonico. Nel Sud della Germania, alla fine del XVI secolo c’era già la tradizione di interrompere il racconto della Passione con i corali cantati dall’assemblea. Pezzi poetici liberi come corali e arie sono stati inseriti dal XVII secolo. Nel tardo barocco, la Passione è stata musicata in tre modi diversi: la Passione-Cantata, l’Oratorio-Passione, come libero adattamento, e la Passione-oratoria. Bach decise per la Passione secondo Giovanni e secondo Matteo di adottare quest’ultimo genere.

Nel corso di un periodo di circa 100 anni (1669-1766), nella tradizione di Leipzig si recitarono i testi della Passione durante il servizio mattutino, in modo solenne, con recitazione dei testi della Passione nello stile del canto gregoriano. Solo nel 1717 il canto polifonico (figuraliter) è stato ammesso nella Chiesa Luterana, a St. Thomas nel 1721 e a San Nicola nel 1724, e poi alternativamente nelle due chiese principali. La Passionsmusik ha trovato posto nel servizio dei vespri a partire dalle ore 14 per 4 o 5 ore, mentre il posto originario era dopo il servizio iniziale del mattino che si protraeva dalle 7 alle 11. In ogni modo, le Passioni di J. S. Bach - diversamente da quanto avviene oggi - erano parte del servizio liturgico e non erano intese come musica da concerto.

L’influsso del Pietismo

Se lo spirito della Chiesa della Riforma ha portato Johann Sebastian Bach a valorizzare nel modo più puro la nuda parola dell’Evangelo, come un’incarnazione della Parola di Dio nella Sacra Scrittura stessa, la corrente spirituale del Pietismo ebbe un influsso di enorme portata nella rielaborazione dei testi delle Arie (Arioso, Recitativo accompagnato) e degli altri abbellimenti delle parti utilizzate (Corali) o inventate (Cori Madrigaleschi o rielaborati) dal grande Musicista.

Il pietismo era nato dalla percezione che mancasse il tocco della pietas, da una vita cristiana troppo mondanizzata e dall’urgenza di “dare corpo” alla fede personale. Potremmo dire che esso sia stato una risposta teologica allo stress e al trauma lasciato dalla Guerra dei Trent’anni, volendo così riorientare e riequilibrare le due dimensioni rappresentate, da una parte, dalla Parola scritta della Bibbia e, dall’altra, dalle tradizioni cristiane che la interpretano lungo i secoli di esegesi che stanno alle spalle.

Nel XVIII secolo, i rappresentanti del pietismo cercarono di opporsi all’emergente Illuminismo, come era avvenuto agli inizi della Riforma contro l’ortodossia protestante, formando così una corrente sempre più difensiva e chiusa nelle diverse comunità nazionali. Gli Illuministi avevano scosso la visione tradizionale del mondo con nuove scoperte di scienze naturali e sfidavano la teologia tradizionale. La teologia reagì con crescente “specializzazione scientifica”, divenendo però sempre più arida e incomprensibile ai membri non accademici delle comunità. Inoltre, lo Stato assolutista aveva richiesto un impegno per il dogma ufficiale della chiesa di campagna, ma aveva mantenuto una pietà personale molto inquietante, purché si rimanesse criticamente legati alla pietà tradizionale.

I pietisti criticarono entrambi gli sviluppi come un cammino puramente esteriore e contrario al loro ideale di pietà personale ed emotiva. Il pietismo si considerava, infatti,
un movimento biblico, laico e spirituale. Sottolineava il lato soggettivo della fede, ma sviluppava anche un forte tratto missionario e sociale. Nella pratica, i piccoli gruppi pietistici vivevano in quartieri di abitazioni con gruppi di case in cui si svolgevano gruppi di incontro per lo studio della Bibbia e la preghiera comune, spesso con un’importanza e dimensioni simili (o addirittura superiori) rispetto alle liturgie comuni.

A fondare il Pietismo Luterano è l’alsaziano Philipp Jacob Spener (1635-1705). Non c’è quasi un territorio luterano nel Reich tedesco con cui egli non avesse relazioni. Come manifesto di Pietismo Luterano, Spener si applica nel 1675 a pubblicare il volume Pii desideri (Utopia), in cui, passando da un lamento all’altro circa lo stato della Chiesa attuale e dei suoi membri, sviluppa un programma di riforma: introduzione di incontri per migliorare la conoscenza della Bibbia, i dipendenti di “laici” nel passaggio dalla conoscenza della fede all’atto di fede, la restrizione delle polemiche religiose, la riforma degli studi teologici accrescendo soprattutto la praxis pietatis, spostando il contenuto dalla conoscenza della fede verso l’edificazione dell’uomo interiore. Nel 1670 alcuni uomini giunsero a Spener con la richiesta di edificare gli scambi in riunioni speciali, che furono presto denominati Collegium pietatis o Exercitium pietatis. Spener lo organizzò nella sua canonica. Presso di loro, l’ora della costruzione o la lezione della Bibbia si sviluppò come la forma caratteristica degli eventi del pietismo fino ad oggi. Sono ancora chiamati in Germania e in altre aree le «ore». Nel Württemberg i loro visitatori si chiamano «Stundenbrüder», in tedesco «Stündeler»; in russo, nel diciannovesimo secolo il termine «Stundent» ha finito per significare «membro della setta». In queste conventicole, il pericolo di separazione dal resto della Riforma era virulento.

Per Johann Sebastian Bach il pietismo non ha ancora queste derive eterodosse, anzi bisogna riconoscere che, in particolare proprio nelle Passioni, in modo positivo ha contribuito alla lettura del testo biblico un afflato di sentimenti e di contemplatio spiritualis che difficilmente avrebbero potuto acquisire in altro modo. Basti, a modo di conclusione, rileggere il corale cantato dai due Cori come chiusura della Matthäus-Passion che il sublime organista di Leipzig non ha potuto non trascrivere - in diverso modo - anche nella Johannes-Passion immediatamente prima del corale conclusivo, con eguali note di spiritualità pietista (le parole sono del poeta e librettista Christian Friedrich Henrici, piu conosciuto con lo pseudonimo di Picandro o Picander):

Wir setzen uns mit Tränen nieder
und rufen dir im Grabe zu:
Ruhe sanfte, sanfte Ruh’!
Ruht, ihr ausgesognen Glieder!
Ruhet, sanfte, ruhet wohl!
Euer Grab und Leichenstein
soll dem ängstlichen Gewissen
ein bequemes Ruhekissen
und der Seelen Ruhstatt sein.
Ruhet sanfte, ruhet wohl!
Höchst vergnügt schlummern
da die Augen ein.
Ci inginocchiamo con lacrime
e gridiamo verso la tua tomba:
Riposa sereno, sereno riposa!
Riposate, o esauste membra!
Riposate serene, riposate!
La vostra tomba, la vostra lapide
dovrà essere un morbido cuscino
per la coscienza tormentata,
e il luogo di riposo per l’anima.
Riposate serene, riposate!
In somma beatitudine
gli occhi si chiudono al sonno.

16 aprile, 2019

Le peripezie dell’Arianna (in arrivo da Nasso alla Scala)


Quante opere ha composto Richard Strauss?

Mah, una quindicina, o giù di lì.

Beh, in realtà: una quindicina, o su di lì.

Sì perchè ce n’è una che ha vissuto un’avventura piuttosto complicata, essendo stata dapprima partorita assemblando parti eterogenee, e successivamente ancora smembrata e ricostruita in una specie di laboratorio per Frankenstein, a forza di trapianti ed espianti. Cosicchè da una ne sono nate altre due... più una Suite!



Ecco, dal 23 aprile la Scala ripropone - dopo quasi 13 anni - la seconda versione (1916) della sesta opera di Richard Strauss (terza della collaborazione con Hugo von Hofmannsthal): Ariadne auf Naxos.  

Come si deduce dallo schema sopra riportato, le due versioni dell’Ariadne hanno una struttura simile, ma componenti diverse. Quella del 1912 nacque per giustapposizione di due soggetti (della durata di circa 90’ ciascuno) legati da una transizione:

a) una rivisitazione (ad opera di Hofmannsthal, con riduzione da cinque a due atti) della commedia-balletto Le bourgeois gentilhomme di Molière, quindi una classica pièce di teatro di prosa, impreziosita dalle musiche di scena di Strauss, in parte e in qualche modo ispirate a quelle che Lully aveva composto per Molière; la chiusura, al posto della Cerimonia turca + Ballo delle Nazioni fu occupata da una invenzione del librettista (ma ispirata dal regista Max Reinhardt): una cena (Das Diner) che servì a Strauss per sbizzarrirsi - accompagnando musicalmente le varie portate - in parodie di opere famose (Meyerbeer-Prophète, Wagner-Rheingold, Strauss-Quixote-Rosenkavalier, Verdi-Rigoletto-Traviata...)

E poi, dopo una transizione puramente parlata (scambi di idee e discussioni fra gli interpreti e addetti ai lavori) che preparava il terreno per la seconda sezione dello spettacolo...

b) l’opera seria Ariadne, da rappresentarsi in casa del bourgeois Jourdain, un dramma musicale dal soggetto mitologico (Arianna, abbandonata da Teseo a Nasso, che aspetta la morte e viene invece riportata alla vita da Bacco, sfuggito agli incantesimi di Circe) deliberatamente inquinato (dalla fervida fantasia di Hofmannsthal) con l’intromissione di elementi e personaggi della Commedia dell’arte italiana (L’infedele Zerbinetta e i suoi quattro amanti).

Come si vede, un’idea allo stesso tempo geniale (teatro-nel-teatro - aspetto assente in Molière - e connubio innaturale, ma fecondo, fra dramma e commedia, plasticamente impersonato dalla coppia degli opposti caratteri di Ariadne e Zerbinetta) e azzardata, in quanto oggetto di natura bifronte (prosa + opera musicale) con le conseguenti e inevitabili difficoltà ad incontrare i gusti di due pubblici normalmente assai diversi.

E così purtroppo accadde che venerdi 25 ottobre 1912, a Stoccarda, la prima fu un mezzo insuccesso, anche a causa della macchinosa organizzazione: ricevimenti regali e lunghi intervalli che fecero durare lo spettacolo più di un Parsifal! Lasciando perplesso e infastidito - per opposte ragioni - sia il pubblico interessato alla commedia, che quello interessato al dramma musicale.



E le cose non andarono molto meglio (a Monaco, Dresda, Londra, Berlino, Vienna...) con le successive riprese, oltretutto assai costose a causa delle diverse risorse (attori - cantanti) richieste per la rappresentazione. Lo stesso Hofmannsthal fu il primo ad assumersi la responsabilità dei deludenti risultati, il che indusse i due autori ad operare una severa riflessione sul soggetto. Che a sua volta portò (in parallelo alla collaborazione sulla pretenziosa FrOSch) ad una radicale revisione dell’Ariadne (1916, versione 2): il parigino bourgeois di Molière divenne un facoltoso Bürger viennese e della prima parte dello spettacolo - accantonato Molière con le musiche di scena di Strauss - rimase quasi soltanto la transizione (di Hofmannsthal!) ora assai ampliata (40 minuti circa) e soprattutto magistralmente musicata, con la presentazione di temi che ricompariranno nell’opera.

Essa prese quindi la forma di colorita Introduzione (non per nulla denominata Vorspiel) esclusivamente focalizzata sulle vicissitudini della preparazione della recita dell’Ariadne, caratterizzate da un’incredibile serie di contrattempi e sorprese che mettono a dura prova la personalità di interpreti e addetti alla messinscena, svelandone qualità, debolezze, fisime e complessi (la realtà della vita che si mescola con la finzione del teatro!) In particolare è la figura di Zerbinetta a venirne esaltata - anche musicalmente - assai prima della sua comparsa nell’opera. Ma grande rilievo assume quella del Compositore, protagonista già nel breve Preludio orchestrale, che si apre presentandone i motivi caratteristici. E poi, i suoi molteplici cambiamenti d’umore e di stato d’animo (principalmente indotti proprio dal rapporto, conflittuale ma alla fine, chissà, benefico, con la disinvolta soubrette) portano alla luce problematiche non da poco, riguardo ad arte, estetica, psicologia e... filosofia!

Del Bourgeois viene quindi conservata la presenza di pochi personaggi e - quanto alla musica - è recuperata solo quella della mirabile arietta Du, Venus’ Sohn, ora cantata dal Compositore invece che dal soprano che doveva impersonare Echo nell’opera.

Quanto a questa (come i colori dello schema di cui sopra lasciano sospettare) essa fu una ripresa variata della versione precedente, dove le variazioni riguardano marginalmente il corpo dell’opera e abbastanza profondamente l’inquinante italiano. La prima ebbe luogo a Vienna, mercoledi 4 ottobre 1916 e da allora questa versione è entrata stabilmente in repertorio ovunque, relegando la prima nel dimenticatoio (solo abbastanza di recente la versione 1912 è stata riproposta, ma quasi sempre con pesanti manipolazioni ai testi del Bürger, i cui dialoghi sono stati di volta in volta o completamente rifatti o manomessi da registi e drammaturghi desiderosi di mettersi in mostra a buon mercato):



In seguito, con l'intenzione di non voler lasciare nell’oblio la musica scritta da Strauss per la prima parte dell’opera nel 1912, Hofmannsthal pensò di riprendere il suo Bourgeois e rimpolparlo in modo da creare un’opera separata sul soggetto di Molière. Chiese ovviamente a Strauss di rimpolpare pure la musica del 1912 (portata da 11 a 18 numeri) e così, ampliato a tre atti, con ripristino della cerimonia turca, Der Bürger als Edelmann (denominato - mutuando Molière - commedia con danze e nemmeno inserito nel catalogo operistico di Strauss) vide la luce a fine 1917 - inizio ‘18 e fu un nuovo... flop! E allora fu Strauss a decidere di non buttare tutto a mare: estrasse quindi dalle musiche del Bürger una Suite orchestrale di 9 numeri!

Ecco un quadro sinottico dell’evoluzione delle musiche del Bürger dal 1912 (prima versione di Ariadne) al ’18 (opera) e poi al ’19 (suite):

1912 (Ariadne 1)
1918 (opera)
1919 (suite)
Atto I
Atto I

1 Ouverture
1 Ouverture
1 Ouverture
2 Entrata di Jourdain
2 Entrata di Jourdain

3 Arietta (Du, Venus’ Sohn)
Portata nel Preludio all’Ariadne 1916 (Compositore)
4 Strofa di Jourdain
2a Strofa di Jourdain

5 Duetto (pastore-pastorella)
3 Dialogo musicale

6 Minuetto (maestro di danza)
4 Minuetto
2 Minuetto
7 Il maestro d'armi
5 Il maestro d'armi
3 Il maestro d'armi
8 Entrata e danza dei sarti
6 Entrata e danza dei sarti
4 Entrata e danza dei sarti
9 Finale
7 Finale

Atto II
Atto II


8 Preludio (minuetto di Lully)
5 Minuetto di Lully

9 Entrata di Cleonte
7 Entrata di Cleonte
10 Introduzione
10 Intermezzo
8 Intermezzo
11 La cena
11 La cena
9 La cena

12 Corrente (a canone)
6 Corrente

13 Finale


Atto III


14 Preludio (siciliana)


15 Melodramma


16 Cerimonia turca


17 Finale
(con Madrigale da Lully)


Insomma: da un’idea originale sono scaturiti addirittura quattro titoli di opere musicali, tutti - per ciò che riguarda Strauss - catalogati come Op. 60. Quindi non fidatevi di chi vi vuol propinare semplicemente l’Op. 60 di Strauss: potreste ricevere qualcosa di diverso da ciò che vi aspettavate...
___
Chi fosse interessato ad avvicinarsi a queste opere, senza per questo intaccare il portafoglio, può trovare ampie possibilità di ascolto in rete. Io propongo qui degli esempi delle quattro facce dell’Op.60, ma su youtube c’è molto di più.

Ariadne auf Naxos - versione del 1912 - Edizione diretta da Nagano, 1997
  Parte prima (Der Bürger als Edelmann) (parlati: solo monologhi - non originali! - di Jourdain)
  Parte seconda (Ariadne)

Ariadne auf Naxos - versione del 1916 - Edizione diretta da Böhm, 1976

Der Bürger als Edelmann - versione del 1918 (senza parlati) - Edizione diretta da Schwarz, 2017

Der Bürger als Edelmann - suite del 1919 - Edizione diretta da Szell, 1968
___
Un certo interesse destano le modifiche che Strauss (più che Hofmannsthal) introdusse nella seconda parte dell’Ariadne al momento di predisporne la seconda versione (quella ormai universalmente rappresentata).

Un primo provvedimento riguarda l'ovvia eliminazione di tutti gli interventi parlati di personaggi del Bourgeois (Jourdain, Dorantes, Dorimène) che nella prima versione di tanto in tanto commentavano l’esecuzione di Ariadne (Jourdain addirittura chiudeva l’opera con un ridicolo panegirico alla nobiltà della... nobiltà). Ma poi Strauss ha anche cassato alcune pagine, le quali (magari non tutte) avrebbero meritato di restare al loro posto. 

Le modifiche e i tagli (più di 10 minuti) riguardano principalmente, se non esclusivamente, Zerbinetta. Per il suo primo approccio ad Ariadne (Großmächtige Prinzessin) Strauss non cambia una virgola fino alla sezione che inizia con So war es mit Pagliazzo, dove introduce una prima modifica all’originale del 1912 (il soprano acuto che interpreta Zerbinetta ne è pesantemente interessato): la tonalità, invece di passare dal precedente REb al MI maggiore, modula al RE maggiore (passerà al MI solo alla fine del rondò). E stanti le acrobazie vertiginose contenute proprio nel successivo rondò, la cosa non è propriamente trascurabile (invece di uno stratosferico FA# si arriva soltanto - si fa per dire - al MI naturale!)

La tabellina che segue mette a confronto le due versioni (il riferimento dei minutaggi è alle due registrazioni citate più sopra, Nagano e Böhm):

1912 - Nagano

Böhm - 1916
31’24”
Großmächtige Prinzessin
1h11’33”
MI M   36’52”
So war es mit Pagliazzo
1h17’15”  RE M
38’39”
rondò - inizio
1h19’00”
44’37”
rondò - fine
1h22’33”

Balza agli occhi l’accorciamento del rondò, che fu abbastanza pesantemente rivisto e smagrito; ecco messe a confronto le due versioni (in giallo le parti tagliate):

rondò
1912 (MI M)
1916 (RE M)
Als ein Gott kam jeder gegangen
Und sein Schritt schon machte mich stumm,
Küßte er mir Stirn und Wangen,
War ich von dem Gott gefangen
Und gewandelt um und um.
14 battute
Als ein Gott kam jeder gegangen,
Jeder wandelte mich um,
Küßte er mir Mund und Wangen,
Hingegeben war ich stumm.
12 battute
Als ein Gott kam jeder gegangen,
Jeder wandelte mich um,
Küßte er mir Stirn und Wangen,
War ich von dem Gott gefangen,
Hingegeben war ich stumm!
20 battute
Kam der neue Gott gegangen,
Hingegeben war ich stumm.
14 battute

Ah!
26 battute
Hingegeben war ich stumm.
Kam der neue Gott gegangen,
Hingegeben war ich…
17 battute (7+10)
Hingegeben ah!
27 battute (7+20)
Ah!  (cadenza)
33 battute
Kam der neue Gott gegangen,
Hingegeben war ich stumm, stumm…
9 battute

145 battute
82 battute

Come si può notare, il taglio assomma a ben 63 battute su 145, corrispondenti a circa 2’30” su 6’ di durata, un gran bello sconto al soprano, non c’è che dire...

Trascurando altri piccoli interventi, arriviamo ad un nuovo corposo taglio alla parte di Zerbinetta. Bacchus, scampato alle magie di Circe, è giunto sull’isola e si è fatto udire (non ancora vedere) nei pressi della spelonca in cui Ariadne sopravvive malamente al dolore per l’abbandono di Theseus. All’udire la sua voce e convinta si tratti dell’attesa Morte, Ariadne esce dalla caverna e si dirige verso quella voce. Nella versione del 1916 (siamo a 1h39’35” della registrazione di Böhm) sentiamo Bacchus che ancora ricorda Circe, quindi Ariadne che invita la morte a prenderla con sè, ma poi (1h40’48”) si trova improvvisamente di fronte un individuo che inizialmente scambia per Theseus, poi crede di riconoscere in Hermes, messaggero di morte (infine farà la conoscenza di Bacchus).

Invece in origine (versione 1912) prima di Bacchus è Zerbinetta a farsi avanti per omaggiare Ariadne e poi annunciarle l’arrivo sull’isola di un personaggio dalle doti e qualità strabilianti: nella registrazione di Nagano a 1h00’54” sentiamo Bacchus, poi Ariadne e quindi (1h02’00”) l’intervento di Zerbinetta (con Echo). Dopo il quale Ariadne rimane sempre apatica e indifferente, e allora Zerbinetta e le ninfe la adornano sontuosamente per accogliere Bacchus (ma lei è convinta che l’abbiano così abbigliata in vista del suo... funerale). E solo a questo punto, dopo un interludio orchestrale che gli dà il tempo di arrivare sul posto, ecco apparire (1h07’31”) Bacchus, scambiato per Theseus.

Sono quindi più di 5 minuti di musica (un allegro walzerino) che Strauss decise di espungere nel predisporre la nuova versione dell’opera. A dirla tutta, questa non mi sembra poi una perdita irreparabile: poichè non si tratta certo di mirabili melodie straussiane. E anche l’interludio strumentale (66 battute) non è tale da destare grandi entusiasmi. 

E infine ecco la drastica modifica al finale dell’opera. Nella versione 1916 (Böhm) ascoltiamo (1h59’33”) l’ultima esternazione di Bacchus, dopo la quale abbiamo 14 mirabili battute di conclusione, mentre cala il sipario. Ben diversa, assai più articolata e francamente più debole la chiusura della versione originale (Nagano): a 1h26’46” ecco l’ultimo intervento di Bacchus, seguito (1h27’31) da 10 battute strumentali (verranno conservate nella versione 1916) e poi dal ritorno in primo piano (1h28’08”) di Zerbinetta che ci ripete ancora la sua disinvolta filosofia di vita, esibendosi in altri svolazzi, raggiunta (1h29’18”) dai suoi quattro compari. E non è finita, poichè una transizione strumentale ci porta (1h29’53”) davanti al padrone di casa (Jourdain) che - snobbato dai suoi invitati, andati via alla chetichella approfittando del suo appisolamento - ce la mena, in parlato, con la sua stupida e invidiosa esaltazione dei nobili veraci. Finalmente (1h30’46”) ecco le 8 spiritose battute sul sipario che cala  
___
Tornando alla Scala, in questa nuova produzione vedremo come appropriatissimo interprete della parte di Maggiordomo (quante volte, nei gialli, è lui l'assassino?!) tale Alexander Pereira. Anche se lui si limiterà a parlare, senza emettere alcun suono musicale, sarà una bella occasione per i suoi detrattori per tirargli in testa ortaggi e monetine saudite (giuro che non è un’istigazione a delinquere...) 

La nuova produzione (con repliche da aprile a... giugno!) è affidata alla regìa di Frederic Wake-Walker, che ha già firmato per la Scala un paio di simpatici Mozart (Nozze e Giardiniera): date le caratteristiche della pièce c’è da augurarsi che il giovane albionico azzecchi anche questa.

Sul podio Franz Welser-Möst, che qui diresse proprio le citate Nozze del regista. Il maestro viennese dovrebbe avere questa musica un po’ nel sangue, quindi speriamo per il meglio.

L’eccellente Krassimira Stoyanova sarà la protagonista... formale (dicasi title-role) mentre quella di fatto, date le acrobazie da circo che dovrà sciorinare, sarà la 33enne Sabine Devieilhe, che avendo dato il nome ad un asteroide (il 33346) dovrebbe ben destreggiarsi nell’iperspazio di Zerbinetta (speriamo solo che non caschi nel buco nero recentemente immortalato a gloria imperitura di Einstein...)

Alla travestita Daniela Sindram toccherà la parte (già da lei sostenuta in passato) del compositore, che in questa versione dell’opera ha - come già ricordato - un ruolo fondamentale (pur relegato al solo Vorspiel).

Michael Koenig sarà Bacchus e Markus Werba farà il Maestro di musica. L’altra parte di un certo rilievo è quella di Harlekin, impersonato da Thomas Tatzl.

Staremo a sentire e vedere...

13 aprile, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°25


Ieri sera (con replica domani pomeriggio) è andata in onda in Auditorium la prima delle due puntate dedicate all’integrale delle sinfonie di Brahms proposta da Robert Trevino, al suo ritorno qui dopo quasi un anno. Il 35enne rampante Direttore ispano-texano (oggi di stanza nei Paesi Baschi ma in procinto di migrare verso la Svezia...) segue quindi le orme del suo più maturo compaesano John Axelrod (acclamato qui la scorsa settimana) che qualche anno addietro ha diretto e inciso le 4B con laVerdi. Sala non affollatissima, causa forse il concomitante Requiem verdiano in SanMarco, officiato da un’altra star del podio, tale Teodor Currentzis...

Trevino (che dirige tutto a memoria) sceglie il percorso più lineare e immediato: presenta cioè le sinfonie in rigoroso ordine cronologico di composizione. Quindi questa settimana la coppia 1-2 (1876-77) e il 17-19 maggio concluderà con la coppia 3-4 (1883-85). Se guardiamo questo corpus come un tutt’uno, esso ci appare come un’unica sinfonia con i due movimenti esterni caratterizzati da grande severità e quelli interni da altrettanta serenità (anche se le due atmosfere non sono mai rigidamente separate fra loro, e spesso e volentieri si compenetrano). Quanto alla sequenza di tonalità (DO-RE-FA-MI) essa è nientemeno quella del gregoriano Magnificat!

Ovviamente queste sono solo considerazioni da cabala, e nulla fa pensare che Brahms vi abbia minimamente posto attenzione. Però...
___
Ecco quindi la Prima, sofferta per 20 anni e anche più, attesa con trepidazione da tutto il mondo musicale di area tedesca (e non); finalmente completata nel 1876, ma eseguita in prima nella periferica Karlsruhe (paura di un flop?) e poi arrivata a Vienna dopo un’altra tappa intermedia a Monaco; quindi definitivamente consacrata solo mesi dopo a Lipsia.

Insomma, un Brahms per nulla sicuro di sè e sollevato agli altari del successo anche (se non soprattutto) dal plateale endorsement ricevuto da parte di Hanslick e dell’establishment anti-wagneriano (cui si accodò - per motivazioni non esclusivamente artistiche! - un imbarazzato von Bülow). Certo, questa sinfonia è musica grande - tonalità e percorso (per aspera ad astra) assai impegnativi (la quinta del Ludovico!) - e da quasi 150 anni occupa meritoriamente le locandine di tutte le stagioni sinfoniche del pianeta. Personalmente, mi lascia sempre un po’ di retrogusto amarognolo, e fatico ad entrare in totale sintonia con la sua (per me) eccessiva cerebralità (in ciò sono in ottima compagnia: anche un tale Mahler considerava questo Brahms piuttosto freddo...)

Chi invece sembra viverla con totale partecipazione è Trevino, che propone con grande magniloquenza i due movimenti esterni (ritornello nel primo, e teatralità nell’Adagio introduttivo del finale) per poi quasi esagerare (neanche fosse la seconda) nell’intimismo e nella leziosità nei due interni: l’Andante sostenuto in particolare mi è parso essere stato attaccato con eccessivo... languore (ma è questione di gusti). Da incorniciare nell’ultimo movimento il forte sempre e passionato di corno e flauto, che hanno meritato ad Amatulli e Manachino (in uno con l’oboe di Stocco e il clarinetto della Ciapponi) una personale peregrinazione di Trevino fra i leggii, per complimentarsi con loro.
___
Rotto il ghiaccio, Brahms impiegò pochi mesi a sfornare la sua Seconda, ispirata (come peraltro anche una parte del Finale della Prima) da scenari naturali e per questo spesso accreditata dell’attributo di pastorale (per non parlare della ninna-nanna che fa da secondo tema all’Allegro non troppo iniziale).

Qui Trevino non sbaglia di certo nel pretendere dall’orchestra delicatezza e leggerezza nei tanti passaggi carichi di lirismo che percorrono la sinfonia: spesso riducendo le sonorità quasi al limite dell’udibile. Dà infine fuoco alle polveri nel finale, con gli ottoni che - uso un temine di carattere ottico - sembrano abbagliare i timpani!

Successo strepitoso, altra gita di Trevino per complimentarsi con Ceccarelli e il pacchetto dei corni, con Greci all’oboe e con tutti quanti gli altri. Dellingshausen, ieri sulla sedia del Konzertmeister, innesca col piede destro un meritato (e condiviso in pieno dal pubblico) applauso ritmato per manifestare l’evidente apprezzamento dell’Orchestra per le doti del Direttore. Ora non ci resta che attenderlo qui fra un mesetto per completare l’opera!

09 aprile, 2019

Un sito benemerito da sostenere


Nell’ormai lontano 1995 una studentessa canadese di informatica nonchè violinista dilettante aprì - con l’aiuto dell’Università che frequentava, poi con quello della REC Music Foundation - un sito internet che raccoglie testi musicati (lieder ma non solo) nella lingua originale e in diverse traduzioni.

Terminati gli studi, oltre a farsi una famiglia e mettere al mondo un paio di figlie, la nostra ex-studentessa ha continuato - senza alcuna retribuzione stabile - ad aggiornare il sito che nel 2003 ha assunto la forma attuale. Ogni anno sono milioni i visitatori che trovano nei più di 150.000 testi (e nelle relative 32.000 traduzioni) risposte alle loro necessità o semplicemente alle loro curiosità.

Dopo altri 15 anni le innovazioni tecnologiche hanno reso improrogabile una nuova e completa rivisitazione del sito (nel frattempo resosi indipendente dalla REC Music) che la nostra intraprendente ex-studentessa ha deciso di mettere in cantiere.

Come ogni altra impresa, anche questa necessita ovviamente di supporto, e non solo morale...

Non aggiungo altro, se non presentarvi questa benemerita mammina e il suo sito, che probabilmente molti avranno già avuto modo di conoscere e consultare. Chi invece lo incontra per la prima volta, credo non potrà non apprezzarlo appieno.