affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

10 maggio, 2015

L’ultima favola a Torino


Oggi pomeriggio al Regio torinese è andata in scena l’ultima delle 5 consecutive repliche di Hänsel und Gretel, in un teatro piacevolmente affollato e con una simpatica componente di spettatori giovani e giovanissimi.

Che hanno accolto la recita con un entusiasmo da stadio, esploso già al momento dello sfornamento della Strega e culminato ben prima che si esaurissero gli ultimi accordi di FA maggiore. Accordi che hanno chiuso una convincente prestazione dell’Orchestra, che Pinchas Steinberg ha guidato con grandissima delicatezza, ottenendo sempre un suono dolce, proprio da favola, e accendendo appropriatamente i fuochi nei momenti più drammatici della storia. A parte qualche incertezza dei corni proprio in avvio del Preludio (la partenza a freddo non è mai agevole) mi pare che i suoni provenienti dalla buca abbiano centrato in pieno lo spirito di questa favola.  

Quanto alle voci, do la precedenza a quelle… bianche dei cori del Regio e del Conservatorio, guidate da Claudio Fenoglio, che hanno splendidamente illuminato il finale dell’Opera. Fra gli interpreti, benissimo l’unico… maschio (papà Peter) Tommy Hakala, voce solida, autorevole e ben intonata; più che bene la Strega Natasha Petrinsky  che ha ricevuto il suo applauso a scena aperta dopo la cavalcata nel terzo quadro; e benissimo anche la sdoppiata Bernadette Müller (efficacissima nei panni dei due maghetti che rispettivamente addormentano e risvegliano i fratellini persisi nel bosco). Discreta anche Atala Schöck, nei panni della mamma a buon motivo complessata, che ha ben esposto nel primo quadro la sua crisi esistenziale. 

I due protagonisti (al maschile nel senso di soprano e mezzosoprano) erano Annalisa Stroppa e Regula Mühlemann. Di entrambe mi sento di dire bene quanto a intonazione ed espressività, ma un po’ ad entrambe è mancata la… penetrazione: voci sottili, come si conviene a personaggi men che adolescenti, ma anche poco passanti, nonostante Steinberg tenesse il volume al minimo. 

Ma in complesso una prestazione, sul piano musicale, assolutamente convincente.
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La regìa di Vittorio Borrelli ha rispettato in modo quasi ossessivo le indicazioni del testo, prendendosi soltanto due piccolissime libertà: dividere i 14 angeli in 8 in carne-ed-ossa (le bravissime danzatrici istruite da Anna Maria Bruzzese) e 6 in… cartone (!); e poi incaricando anche Hänsel di toccare i piccoli ciecati per restituir loro la vista. Il suo è uno spettacolo davvero godibilissimo. Anche grazie alle scene, semplici e scarne di Emanuele Luzzati, che benissimo evocano il mondo magico di queste fiabe popolari germaniche che affondano le radici nei secoli XVII e XVIII. Così come i costumi di Santuzza Calì, appropriatissimi sia per i protagonisti umani che per quelli… fiabeschi; e le luci di Andrea Anfossi, che hanno efficacemente ricreato le diverse atmosfere di cui l’opera è ricca. 

In definitiva, una bella riscoperta (almeno per il pubblico italiano) di cui dare atto al Teatro torinese. 
 

09 maggio, 2015

La Turandot di Chailly-Berio alla Scala

 

L’EXPO2015 ha regalato alla Scala un secondo SantAmbrogio (il 1° maggio persino il meteo si era allineato a dicembre!) e così ecco questa Turandot tutta nuova (almeno per il Piermarini) di cui ieri sera è andata in scena la terza delle otto rappresentazioni. (Qui la registrazione della prima).   

La (stagionata) novità di questa proposta consiste nel presentare - al posto di quello composto da Franco Alfano sotto la tutela di Toscanini, sempre criticato ma sempre eseguito in Scala (salvo alla… prima del ‘26!) - il finale di Luciano Berio, ormai vecchio anch'esso di 14 anni.

La mia (e non solo mia, direi) personale avversione alla pretesa di chiudere a tutti i costi l’opera secondo il libretto (e magari pure forzandolo, visto che lo stesso Puccini non si decideva a condividerne il finale) quando vi manca circa l’ultimo 10% di musica (di cui il compositore lasciò solo degli spizzichi e bocconi senza capo né coda) ho già manifestato nel post-scriptum di questo resoconto della penultima apparizione dell’opera in Scala, diretta da Gergiev, quindi qui mi limiterò ad integrare il concetto con qualche dettaglio in più.

Dirò subito che delle quattro versioni esistenti del finale posticcio-abusivo (rintracciabili in rete: 1. quella originale di Alfano; 2. quella tradizionalmente eseguita, e ulteriormente tagliata, come qui, di Alfano con i tagli chiesti da Toscanini ma con la chiusa del coro col Gloria sulle note di Vincerò; 3. quella di Berio; e 4. quella recente del cinese Hao Weiya – alle quali va aggiunta quella dell’americana Janet Maguire, mai eseguita) questa di Berio mi sembra perlomeno la più dignitosa, o la meno gratuita, anche grazie a qualche opportuno intervento sul libretto, a partire dall’espunzione del coro finale.

Insomma, a me pare che Alfano (imitato da Weiya molti anni dopo) tenda ad interpretare la scena finale come fosse quella del Siegfried: dove Brünnhilde inizialmente si nega al ragazzo, per poi cedere ai suoi focosi assalti e unirsi anche carnalmente a lui. Però in Wagner le premesse stanno agli antipodi rispetto alla Turandot! Brünnhilde ha apprezzato l’amore di Siegmund e Sieglinde fino al punto da perderci la… divinità; ha poi amato Siegfried fin dal suo concepimento; ha implorato Wotan di farla risvegliare dal Wälso; e ha subito manifestato la sua gioia nel riaprire gli occhi proprio su Siegfried. La sua iniziale ritrosia ad accoppiarsi con lui è tutta e solo freudiana: la paura - o meglio la tristezza, squisitamente femminile - legata alla prospettiva della perdita della verginità; non certo un pregiudizio idiota legato ad un fatto di cronaca nera di cui fu vittima un’ava nemmeno conosciuta. E alla fine è lei, liberamente e coscientemente, a concedersi al Wälso. Turandot invece è da sempre un pezzo di ghiaccio venefico; e tale rimane anche dopo aver assistito alla morte della povera Liù; il suo cedimento a Calaf è tutt’altro che spontaneo e convinto, anzi appare come conseguenza di un atto di molestia sessuale, per non chiamarlo di violenza carnale bella e buona!

Scena finale che Berio cerca invece di Tristan-izzare, seguendo un vago accenno lasciato da Puccini sui suoi confusi appunti. L’idea sarebbe anche supportata da una testimonianza indiretta (perché riferita da Leonardo Pinzauti) di Salvatore Orlando, cui il Maestro avrebbe suonato – occhio alla data – nel 1923 un finale dell’opera dal sapore tristaniano. Però risulta che Puccini – a settembre 1924, due mesi prima di morire – avesse suonato alcune idee del finale anche a Toscanini, che poi avallò quello tutt’altro che tristaniano di Alfano! (Insomma, ce n’è per tutti i gusti…)

Il programma di sala ci offre un interessante documento che finora era di non immediata accessibilità: si tratta dell’Appendice I del saggio di Marco Uvietta È l’ora della prova: un finale Puccini/Berio per Turandot, originariamente pubblicato nel 2002 in Studi Musicali. Questa Appendice riporta in dettaglio tutti gli interventi di Berio, che si caratterizzano per: tagli al testo e alle didascalie (corposi); aggiunte o modifiche al testo (minime); impiego di molti (23 su 30) degli schizzi lasciati da Puccini; utilizzo di frammenti musicali prelevati da altre parti dell’opera; inserimento di frammenti musicali alieni (Wagner, Mahler, Schönberg, oltre a Berio medesimo).

Il saggio di Uvietta presenta ed analizza i razionali che sono stati posti da Berio alla base della sua proposta. Lo scopo principale degli sforzi del completatore è di riuscire là dove l’Autore non aveva avuto modo (e/o tempo?) di arrivare: aggirare in sostanza lo scoglio insormontabile legato alla prosaica modalità di scongelamento della Principessa. Il cuore di tale tentativo è rappresentato proprio dall’Interludio orchestrale (dove compaiono anche le citazioni aliene) che Berio ha predisposto come colonna sonora alla scena dell’abbraccio di Calaf al corpo di (così la nuova didascalia!) Turandot. Orbene, mentre in Alfano quella scena passa alla velocità della luce, in Berio abbiamo ben 2’30” di musica (scusate la battuta sconcia: il tempo per una sveltina?) che dovrebbero evocare la trasformazione della Principessa da sbifida carogna in angelica creatura (!?) E per rendere la cosa plausibile, evitandole il successivo clamoroso voltafaccia, dopo che Calaf ha rivelato il suo nome, i versi di Turandot (So il tuo nome! Arbitra sono ormai del tuo destino! e fino a …la mia fronte ricinta di corona!) sono stati abilmente ma bellamente cassati.

Ma alla fine i nodi vengono al pettine: come diceva il calvissimo Ispettore Rock nel carosello della brillantina Linetti, togliendosi il cappello? Anch’io ho commesso un errore! Eh sì, anche Berio (e prima di lui Puccini, se davvero pensava al Tristan) ha preso una bella cantonata: come spiegare tristanianamente l’esternazione di Calaf (che permane nella versione beriana) È l’alba! E amor nasce col sole! ??? 

Insomma, come la si voglia prendere, siamo sempre lì, accanto a Puccini sul lettino dell’ospedale belga dove morirà: la personalità della protagonista, come emersa e consolidatasi fino a quel momento dell’opera (parole e musica) rende irrimediabilmente vano ogni tentativo di giustificarne la repentina conversione, e così anche Berio – del quale va incondizionatamente apprezzato lo spirito, oltre che il livello assoluto del contenuto musicale del suo completamento - purtroppo pretende l’impossibile, finendo con il contrabbandarci per Verklärung una volgare Vergewaltigung!  
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In questo allestimento è il regista Nikolaus Lehnhoff che cerca di far quadrare il cerchio del finale, naturalmente contravvenendo lo stesso libretto di Berio, che prevederebbe per i 150” dell’Interludio un altrettanto lungo abbraccio di Calaf a Turandot: invece il regista ci mostra la principessa, in preda a dubbi e angosce, vagare per il palcoscenico ritrovando prima il suo copricapo da spaventapasseri, poi il suo mantello piumato, quasi a voler con essi processare tutta la sua precedente esistenza, fino poi a raccogliere dalle mani di Calaf il pugnale con cui si è ammazzata Liù e minacciare di usarlo (contro lui o contro di sé? mistero)  per poi farlo cadere e gettarsi (ma senza eccessiva convinzione…) fra le braccia del Principe. Dopodiché, in assenza del trionfalistico coro finale, i due si allontanano insieme, ma in un’atmosfera strindberghiana (e al buio, altro che alba luminosa!) forse puniti e contriti entrambi per le loro (pur diverse) malefatte.

In sostanza: il regista cerca lodevolmente di assecondare al meglio la grande musica di Berio per restituire un minimo di plausibilità ad un finale che proprio non ne ha, e così il risultato – dal punto di vista del dramma - è comunque deludente, pur per ragioni opposte a quelle che rendono indigesto il completamento di Alfano.

Per il resto la regìa di Lehnhoff non disturba nessuno, dato che racconta la storia per filo e per segno, senza pretendere di aggiungervi (né togliervi) alcunché. Dalle scene di Raimund Bauer non c’è da rimanere a bocca aperta, anzi bisognerebbe suggerire allo scenografo di recarsi almeno una volta in loggione, per verificare ciò che della sua opera d’arte si vede di lassù: così sistemerebbe le cose in modo che di Turandot (Atto I) e dell’Imperatore (Atto II) si veda qualcosa di più delle… ciabatte! Belli i costumi della Andrea Schmidt-Futterer, con un calo di stile per la verità nei confronti dei tre poveri P(i-a-o)ng, scaduti a livello di… battistrada. Efficaci le luci di Duane Schuler e i movimenti coreografici di Denni Sayers.
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Va riconosciuta invece al prossimo Direttore Musicale scaligero la coerenza di approccio interpretativo dell’opera, anche rispetto al finale prescelto: pur senza stravolgerne le originarie caratteristiche, Chailly ci propone una Turandot dai tratti decisamente asciutti e scevra da compiacimenti a buon mercato. Un Puccini – e la cosa non è poi tanto campata in aria - allievo della seconda scuola di Vienna? Certo qualche decibel di troppo in un paio di occasioni ha messo a repentaglio i cantanti, ma in generale la sua è stata una concertazione pregevole.

La protagonista Nina Stemme tende pericolosamente a sforzare gli acuti, sfociando nell’urlo: però in tal modo riesce a farsi sempre sentire, anche sopra i fracassi dell’orchestra. Certo, Turandot non è Brünnhilde… e poi Berio non è Alfano, così la svedesina riesce, con molto mestiere, a farsi apprezzare.

Aleksandrs  Antonenko mostra voce discreta, non potentissima, con qualche vibrato sgradevole, arriva bene agli acuti e insomma fa il suo compitino con diligenza, senza destare grandi entusiasmi.

Brava come sempre Maria Agresta, che disegna una convincente Liù: a lei va la palma di migliore in campo (ma con quei concorrenti non le è stato difficile conquistarla).

Poco più che sufficiente il contributo di Alexander Tsymbalyuk, un Timur poco penetrante nel canto e poco efficace nel portamento scenico.

Dai tre… porcellini Michelin (smile!) luci ed ombre, con una menzione per Paolo Veccia, che almeno si fa sentire con facilità e non demerita con la sua casetta nell’Honan; i due tenori (Roberto Covatta e Blagoj Nakoski) fanno molto avanspettacolo e poco… canto!

L’Imperatore ha una parte circoscritta, ma Carlo Bosi ci si mette d’impegno per rendercela al meglio. Poco convincente invece il Mandarino di Gianluca Breda, che mi è parso un po’ in difficoltà (entrare a freddo non è sempre facile).

Azer Rza-Zadà (basta giochi di parole sul suo nome…) deve cantare due semicrome sul MI e una minima, tenuta, sul LA acuto (Tu-ran-dot): ce l’ha fatta! Certo le migliori qualità le ha mostrate il suo fisico statuario, di cui il pubblico può ammirare il lato… C!

Oneste le prestazioni delle due ancelle: Barbara Rita Lavanan e Kjersti Ødegård.

Sempre bravamente all’altezza il coro di Bruno Casoni, tanto nei grandi come nei piccoli.

Alla fine, successo pieno per uno spettacolo di livello decisamente superiore alla media scaligera. 

08 maggio, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 33


L’ultima sinfonia dispari di Mahler (e anche ultima completata) è affidata alla bacchetta di Junichi Hirokami, il giapponesino-mignon che torna sul podio dell’Auditorium dopo quasi quattro anni. Allora vi aveva interpretato – con onore, direi – la Decima di Mahler-Cooke.

Ma siamo sotto EXPO e quindi laVERDI presenta composizioni di Nicola Campogrande dedicate ai diversi Paesi presenti nella tanto sofferta e contestata kermesse milanese: il primo appuntamento è con Israele. L’intera raccolta conterrà 24 brani di pochi minuti che dovrebbero avere un canovaccio comune sul quale innestare di volta in volta l’Inno nazionale del Paese festeggiato e poi evocare processi agro-alimentari (!?) in omaggio al tema della manifestazione.

Così per questo primo appuntamento abbiamo ascoltato musica orecchiabile e intravisto quella specie di Moldava che è lo Hatikvah israeliano. Se c’erano israeliani in sala (fra pochi intimi, purtroppo) potranno dire se sono soddisfatti o pretendono il… rimborso (smile!) In ogni caso applausi a tutti, Autore compreso, presente in sala.
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Segue Mahler in versione di trascrittore di Bach: due spezzoni di Suite (2 e 3) che il compositore boemo arrangiò da par suo per orchestra, clavicembalo e organo. Qui si può udire questo collage, diretto da Riccardo Chailly.

Ecco, diciamo che è un Bach che invece della parrucca ha in capo un… Borsalino (smile!) cioè qualcosa che è già passato di moda. Per me, meglio la parrucca, dico la verità.
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La Nona è – secondo taluni – l’ultima vera sinfonia mai composta (con buona pace di Prokofiev e Shostakovich). Per altri addirittura l’ultima vera sinfonia sarebbe l’Ottava (non la Nona) di Beethoven! Infatti tutto è relativo e anche Giovanni Allevi potrebbe mettersi a comporre sinfonie, se è per quello. Però l’ultima di Mahler, essendo appunto la sua ultima, viene considerata alla stregua di un lascito testamentario, di un auto-epitaffio a futura memoria. E di solito alla fine si osserva uno, o anche due minuti di silenzio come per commemorare un illustre defunto.

Hirokami invece non vuol battere alcun record e dopo meno di 10 secondi dal morendo della triade di REb maggiore degli archi, abbassa le braccine e… morta lì (stra-smile!) Certo lui non è Abbado e i ragazzi de laVERDI non saranno (ancora?) i Wiener, però devo dire che l’emozione che si prova (perlomeno che io provo) ascoltando la perorazione dei 4 corni a battute 126-127 e poi la frase del violoncello a 155-156 del Finale è sempre più che sufficiente per farmi tornare a casa in sintonia con il mondo, e questo è quanto.

07 maggio, 2015

Torino di marzapane

 

Ieri sera al Regio di Torino – con diffusione su Radio3, ore 20 - si è aperto il ciclo delle recite di Hänsel und Gretel.

Dico subito che l’ascolto radiofonico mi ha fatto un’impressione abbastanza favorevole, che mi auguro sarà confermata più avanti da quello (più visione) dal vivo.
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Ai tempi della composizione dell’Opera (la prima fu data a Weimar sotto la bacchetta di Richard Strauss, sabato 23 dicembre 1893) il teatro musicale tedesco era ancora monopolizzato da Wagner (scomparso da 10 anni) e sembrava incapace di trovare nuove strade e nuovi alfieri: lo stesso Strauss, cercando di scimmiottare il suo grande omonimo, farà fiasco nel 1894 con Guntram e solo 10 anni più tardi aprirà la sua personale galleria con Salome; Siegfried, rampollo di tanto papà, si affaccerà sulla scena a fine secolo, ma rimarrà perennemente oscurato dall’ombra del genitore. In Italia il verismo stava invece spopolando (1890 Cavalleria, 1892 Pagliacci); Puccini si faceva largo (1893) con Manon proprio mentre Verdi aveva appena trionfato con il suo Falstaff.

Paradossalmente l’opera tedesca più importante di quel periodo (Werther) fu prodotta da un… francese e rappresentata per la prima volta a Vienna (16 febbraio 1892). Così ad Engelbert Humperdinck, maturato a Bayreuth dal 1881 sotto le ali di Wagner e imbevuto di Parsifal fino al midollo, venne l’idea di cimentarsi in un genere di nicchia (la fiaba musicale) e ciò fece la sua fortuna: fu praticamente l'unica sua opera (cosa bizzarra, per un autore che aveva fatto incetta di premi di composizione...) ma fu un enorme successo, quanto meno in patria.

Trovò addirittura in famiglia (la sorellina Adelheid, maritata Wette) la librettista dell’opera che lo renderà famoso, inizialmente in Germania, ma poi anche fuori dai suoi confini. Opera nata come estensione di un ciclo di 4 canzoncine per piccoli (Ein Kinderstubenweihfestspiel, una sacra rappresentazione per la camera dei bambini… chiara allusione all’attributo del Parsifal) composte appunto da Humperdinck nel 1890 su richiesta della sorella, autrice dei testi (dai Grimm) che poi le faceva cantare ai figlioletti nella notte di Natale.

Il soggetto è derivato dalla famosa favola, ma rispetto ad essa è abbastanza smagrito (c’è una sola uscita notturna dei piccoli) ed edulcorato nel carattere della madre, che qui è severa e un po’ nevrotica, ma non proprio crudele e snaturata come quella originale, disposta a sacrificare i figli per risolvere i problemi economici della famiglia.

Tranne quella del padre Peter, tutte le voci sono femminili, quindi di mezzosoprano o soprano. Le tessiture sono comode, raggiungendo al massimo il SI per la madre Gertrud (ms) e il SIb per la Strega (ms). Fa eccezione Gretel (s) che arriva ad un RE sovracuto.  Hänsel (ms) e i due Maghi (s) toccano il LA. Peter (br) non sale oltre il MI.

La consuetudine con Wagner ovviamente ha lasciato il segno e traspare qua e là abbastanza chiaramente; c’è anche un rudimentale impiego di Leit-Motive, in realtà motivi ricorrenti più che conduttori, quindi etichette e non concetti. I principali temi sono tanto semplici quanto accattivanti e quindi adatti al pubblico dei piccoli, ma apprezzabili anche dagli adulti, il che ha fatto la fortuna di quest’opera.
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Il Preludio orchestrale è costruito su almeno 4 motivi che torneranno nell’Opera. Apre con un corale in DO:

L’atmosfera, almeno alle mie orecchie, a partire dall’intervento degli archi, richiama quella del Preludio dell’Atto terzo dei Meistersinger (che poi si arricchirà di voci nel Wacht auf!): in effetti sa molto di corale luterano. Ne udiremo la melodia fra poco, poi riapparirà maestoso nel finale del secondo quadro (con gli Angeli custodi) e al termine dell'opera.

Poi udiamo nella tromba un tema scabroso (in MI) che evoca indubbiamente la Strega e le sue arti magiche (lo sentiremo nel terzo quadro, quando la Strega ci canterà le sue parole magiche):

Quindi, in MI maggiore, ecco il bellissimo tema che udiremo per la prima volta, accompagnando il Mago rugiadino, al risveglio dei ragazzi (inizio del terzo quadro):

Anche qui ci pare di respirare l’aria primaverile di… Norimberga! Il quarto motivo del Preludio anticipa quello che apparirà al momento della liberazione dei piccoli. Inizialmente in MI, per la sua forma più ampia torna al DO maggiore:


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La prima scena del Quadro I è ambientata nella povera casa di Peter e Gertrud, dove i due ragazzi sono intenti – beh, vagamente, ecco – ai lavoretti loro assegnati dalla mamma, fuori casa come il papà per procurarsi qualche soldo per tirare a campare. Cantano una canzoncina il cui testo (Wiegenlied, ninnananna) è preso direttamente da una delle raccolte di Arnim&Brentano, allegata nel 1808 al Wunderhorn (Kinderlieder): di esso vengono impiegate la prima e la terza strofa, con piccolissime varianti (ad esempio il primo verso da Eio popeio diventa Suse, liebe Suse). La melodia (FA maggiore) è proprio fanciullesca:

Dalla triste storiella del Lied (le oche senza scarpe perché al ciabattino manca la forma…) si passa a quella drammatica della vita reale (non c’è nulla da mangiare!) Il corale udito nel Preludio viene ora cantato da Gretel (Wenn die Not aufs Höchste steigt) per… sollevare il morale suo e del fratello. Il quale non sembra convinto e continua a lamentarsi, al che Gretel lo rincorre con una scopa per zittirlo. Si passa repentinamente a MIb e i due iniziano una specie di baruffa a suon di… scopate, chiusa da Gretel (mentre in orchestra pare di ascoltare il... trionfo di Alberich!) che ha un segreto da comunicare al fratello: stamattina una vicina di casa ha portato del latte e panna, col quale la mamma cucinerà il riso! I due non si trattengono dall’assaggiarlo, ma subito la giudiziosa Gretel lo sottrae alle grinfie del fratello, invitandolo a tornare al lavoro.

Ma invece si torna a FA maggiore e si passa da 6/8 a 2/4, perché Hänsel trascina la sorellina, anziché al lavoro, alla… danza! È questo il famoso Tanzliedchen, che copre il resto della prima scena, suddiviso in due parti, di cui la prima si struttura come A-B-C-B-C-A, tutti cantati da Gretel, mentre Hänsel si limita a ripetere i due C. È infatti Gretel a guidare la danza, su un motivo (A) che ricorda quello del precedente Lied:



Gli fa seguito il controsoggetto B (in RE minore), seguito poi dal motivo C, dal carattere impertinente, che sa di operetta:
Dopo il ritorno dei motivi B, C e A, ecco la seconda parte della danza dei due fratelli, strutturata come un Rondo, il cui ritornello è un altro motivo infantile:

che intercala le piroette dei due ragazzi, che in un crescendo di eccitazione finiscono a gambe all’aria, proprio mentre arriva la mamma.
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La seconda scena, relativamente breve, caratterizzata da nervoso cromatismo, è appunto occupata interamente da Gertrud. Dopo aver sgridato i ragazzini (e aver involontariamente distrutto il bricco con il latte e panna!) la donna caccia i figli a male parole, intimando loro di andare subito nel bosco a raccoglier fragole. Poi dà sfogo a tutta la sua amarezza - mentre il motivo di Suse, liebe Suse serpeggia qua e là, desolato e in modo minore - per la condizione di indigenza in cui si trova e infine cade addormentata. Di sicuro qui non siamo più in una fiaba, ma in uno scenario di realismo crudo e disperato.       
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La terza scena si apre con il ritorno del capofamiglia Peter, preceduto dal suo Rallalala

L’esclamazione sembrerebbe qualcosa di allegro, ma la tonalità di MI minore ci fa subito sapere che c’è qualcosa sotto, un po’ come nel canto del povero Rigoletto! E infatti nelle strofe della canzone che canta c’è proprio tutta la sua philosophie de la misère: i ricchi godono e mangiano, noi poveracci facciamo la fame. Allo stesso tempo veniamo a sapere che Peter è uno che non si tira indietro di fronte all’alcool, il che spiega benissimo il tenore del suo canto, un mix di allegria (l’accompagnamento in maggiore degli archi) e di tristezza. Il ritornello tornerà altre volte nel seguito, e alla fine verrà condiviso anche dalla moglie!

La prima parte della scena è dedicata alla lieta sorpresa che Peter fa alla moglie, che già gli aveva preannunciato il… salto della cena. Invece no, lui ha portato una gerla colma di ogni ben di dio e spiega come se lo è procurato: vendendo tutti i suoi prodotti (scope, spazzole e affini) in un vicino castello dove si teneva una gran festa! Si era passati a MIb e il ritornello torna adesso – anche in bocca a Gertrud - in modo maggiore, per festeggiare la vendita miracolosa.

Ma il clima di euforia dura poco, perché Peter, pur in preda ai fumi dell’alcool, si ricorda – solo ora! – dei ragazzi: dove sono? Il motivo del loro Suse, liebe Suse fa immediatamente capolino nei legni, mentre Gertrud sembrerebbe voler… sviare le indagini, cominciando a raccontare delle birichinate dei piccoli (e si risente nei bassi il motivo del loro Trallalala); poi tirando fuori la notizia del bricco col latte finito in pezzi. Peter non ne è certo contento, ma sembra subito tornargli l’allegria e insieme si mettono a ridere: del bricco ormai non se ne curano… ma insomma, i piccoli che fine han fatto? 

Quando finalmente Gertrud si decide a raccontare la verità (aver mandato i bambini da soli nel bosco di Ilsenstein) il marito trasalisce e le spiega in quale grave pericolo i figli si trovino: le streghe che popolano quel bosco, e una in particolare, la Knusperhexe (letteralmente la strega del morso, rosicchiante)! Sono il corno prima e i timpani poi ad anticipare ritmo e motivo delle streghe e della loro cavalcata, che sentiremo presto (qualcosa che ci ricorda… Fasolt&Fafner!):
Mentre la tonalità sale di un semitono, al MI, Peter afferra una scopa e descrive come le streghe cavalcano su essa volando di notte sul mondo. Qui ci pare di avvertire la cupa atmosfera del terzo movimento della Prima di Mahler, composta pochi anni addietro: chissà se si tratta di una deliberata reminiscenza... Poi prosegue, raccontando come una di esse, vecchia quanto la montagna, a mezzanotte se ne vada in giro a scegliere le sue vittime, bambini da attirare nella sua scricchiolante e rosicchiata casetta. Per poi cucinarli al forno e infine mangiarseli!

Questa descrizione è fatta con una specie di ballata in due strofe, che ha il ritmo della cavalcata, mentre la melodia esplora l’ottava di MI minore:

Nella seconda strofa (Ja, bei Tag) dove Peter descrive il trattamento che la strega riserva ai piccoli, è ancora il motivo (in minore) della loro Suse, liebe Suse a contrappuntare il racconto del padre!

Alla fine, moglie e marito si slanciano verso il bosco, in soccorso ai figli.
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Fra il primo e il secondo quadro Humperdinck ha inserito un Interludio (Hexenritt, la cavalcata delle streghe). Ha poco di cavalcata, per la verità (salvo le poche battute introduttive, che richiamano le Valchirie) e più di marcia, pesante, inizialmente in DO minore (dove torna l'ambientazione mahleriana) ma poi modulante a LAb maggiore, quindi FA maggiore e infine REb maggiore, dove i clarinetti, dopo una serie di folate ascendenti, innestano un motivo degradante che tornerà nel terzo quadro, proprio ad accompagnare l’arrivo della strega a cavalcioni sulla sua scopa:
Un grande e continuo crescendo, anche del volume del suono (vi si ode fra l’altro il crepitio delle castagnette) porta alla tonalità di FA maggiore, dove gli ottoni, con la tromba in evidenza, espongono un motivo calmo e solenne, quasi un corale (che ci ricorda la straussiana Tod und Verklärung, pure di pochi anni addietro) che conduce alla conclusione dell’Interludio, con un dolce recitativo del violoncello, seguito dalla viola.

Siamo nel bosco, all’imbrunire, e la prima scena del secondo quadro si apre sui due fratelli, ancora ignari del pericolo che stanno correndo. Gretel, che si è intrecciata una ghirlanda di rose, canta un tradizionale Kinderlied (su testo originale di August Heinrich Hoffmann von Fallersleben, 1843) Ein Männlein steht im Walde:

Humperdinck le fa cantare le due strofe musicate, ma non l’ultima, parlata, che contiene la soluzione dell’indovinello posto nelle prime due (l’omino che sta nel bosco è la rosa canina). Dopo che il flauto ha mirabilmente accompagnato l’ultima strofa, sono corni, oboe e clarinetto a suggellare la chiusa del Lied.

Hänsel ha invece riempito il canestro di fragole e ne va giustamente fiero, mettendolo in mano alla sorella - una vera regina del bosco! - ma contemporaneamente diffidandola dal… servirsene. L’atmosfera della foresta è evocata dall’orchestra (una specie di Waldweben di wagneriana memoria!): un cuculo si fa udire, modulando dal FA al SIb maggiore. E sulla similitudine del cuculo che mangia le uova, i due si mettono a piluccare le fragole. In men che non si dica, il cesto è svuotato! Gretel si dispera e il contrasto con l'innocente gaiezza di poco prima non potrebbe essere più stridente: là il diatonismo più naif, qui un cromatismo esasperato, che sfocia addirittura su un inciso che ci ricorda le sofferenze di Amfortas (Wir durften hier nichts so lange säumen) mentre la situazione precipita: l’oscurità incombe, il bosco sembra animarsi di mille sinistre presenze, non c’è più tempo per cercare altre fragole, ma soprattutto… Hänsel non ricorda la strada del ritorno a casa! La povera Gretel ha visioni spaventevoli (Mime dopo la partenza del Viandante!) si odono rumori sospetti, Hänsel prova a chiamare qualcuno, ma gli risponde solo un eco minaccioso. Si alza anche la nebbia, in cui Gretel crede di vedere minacciose fate che si avvicinano, dalle quali cerca di difendersi fra le braccia del fratello. Tutta questa parte della prima scena è accompagnata da una mirabile musica di carattere squisitamente romantico, ossianico, sul tipo della weberiana gola del lupo e con qualche tocco di Mendelssohn: tonalità minori continuamente cangianti che evocano la spaventevole potenza, ma anche la solenne bellezza della natura.

Ma ora la nebbia si dirada improvvisamente e compare un simpatico ometto con un sacco in spalla: Gretel impiega le parole del Lied cantato all’inizio della scena per chiedere al fratello: ma chi sarà quell’omino?
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Siamo alla seconda scena, e l’ometto si presenta: sono il Mago sabbiolino, e questa mia sabbia dorata, sparsa sui vostri occhi, vi farà addormentare sognando gli angioletti e cantando con loro.

Il bellissimo motivo, in RE maggiore, che accompagna questa esternazione (dann wachen auf die Sterne…) - e che diventerà addirittura grandioso nella Pantomima del sogno della terza scena – sembra prendere lo spunto da Beethoven, precisamente dal finale del Fidelio, laddove Don Fernando lascia a Leonore il privilegio di togliere le catene a Florestan (euch, edle Frau, allein…):


Adesso, sempre in RE maggiore, i fratellini cantano insieme il corale della sera (l’Abendsegen, che si era udito proprio all’inizio dell’opera) sul testo del Lied Abendgebet di Arnim&Brentano, invocando i 14 angeli custodi; chissà se Strauss, profondo conoscitore dell’opera, partì da qui per il terzetto finale del suo Rosenkavalier… Il corale è chiuso da una sequenza ascendente dei violini divisi, che ricorda assai, persino nella tonalità, Lohengrin
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Dal quale, oltre che ritornare a SIb maggiore, si passa al… Parsifal (!) di cui pare proprio di udire (magari un filino appesantito) l’incipit agapesco, mentre siamo entrati nella terza scena del secondo quadro, occupata interamente dalla Pantomima che evoca, modulando a MIb maggiore, il sogno dei due bambini, protetti dai loro 14 angeli! Classica musica da balletto d’opera, come da tradizione ottocentesca, essa è monopolizzata dal tema beethoveniano del Mago sabbiolino, qui davvero apertosi a grande solennità e ulteriormente modulante a MI maggiore e da qui, in un continuo crescendo, a FA maggiore, poi ancora a SIb, a DO, per assestarsi finalmente sul FA. Qui ricompare il corale della sera, che va a chiudere, con grandissima nobiltà nella quale spicca l’arpeggio della tromba, il secondo quadro.
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Il terzo quadro si apre con un segnale di corni e oboi che tradisce la sua origine da un Kinderlieder:


Si tratta di Backe, backe Kuchen (cuoci, cuoci torta) che introduce l’ambientazione della casa della Strega, con tanto di forno per cuocere i… bambini! La tonalità è SIb maggiore, con sfumature minori. Poco dopo una brusca modulazione ci porta a RE maggiore, dove udiamo il terzo tema esposto nel Preludio all’Opera, quello che tornerà fra poco all’arrivo del Mago rugiadino. Il quale – prima scena - si presenta appunto come il portatore del risveglio agli esseri viventi: è precisamente il contraltare del Mago sabbiolino, facilitatore del sonno; anche il suo incipit è simile a quello del collega, ma il suo canto poi si apre al motivo citato e lo percorre in tutta la sua ampiezza.   

Gretel è la prima a svegliarsi, mentre la tonalità torna a SIb e MIb; la bimba si domanda se ancora stia sognando. Qui il clarinetto espone un breve frammento che ci ricorda irresistibilmente qualcosa: l‘arrivo di Siegfried sulla roccia di Brünnhilde! Anche là era un mattino presto, Siegfried si domandava dove fosse capitato e il clarinetto gli (anzi, ci) dava la risposta: a casa di Brünnhilde. Gretel riprende il tema del Mago rugiadino e ammira la natura attorno a sé, poi – mentre si modula ancora a RE maggiore - sveglia il fratello con il suo Ti-re-li-re-li; lui risponde con Ki-ke-ri-ki e insieme, modulando più volte fino a LAb e con il ritorno del tema del Mago sabbiolino e poi della preghiera serale, si raccontano il sogno notturno, con gli angioletti protettori.
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Si apre qui senza soluzione di continuità la seconda scena, con i due bimbi che scoprono una meraviglia: la casetta di marzapane (o la casetta da rosicchiare)! E poco dopo appare in orchestra, in MI maggiore, il bellissimo tema che la caratterizza:


Tema di walzer sul quale i due fratellini cantano la loro meraviglia di fronte a tanto ben di dio, augurandosi che la Principessa del bosco, che sicuramente possiede quella casa, possa invitare anche loro ad un sontuoso banchetto! Per intanto, apparendo la casa deserta, i due si immaginano che ce l’abbiano messa gli angeli (qui la tonalità degrada da MI a MIb) e che sia tutta per loro. Così si fanno animo e cominciano a… sgranocchiarla.
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La terza scena – la più lunga, poiché contiene tutto il nucleo della fiaba, fino alla brutta fine della Strega - si apre immediatamente con la voce della Strega, in MIb, che si fa sentire dall’interno della casetta, lamentandone la… devastazione da parte degli intrusi. I due ragazzi (MI maggiore) si immaginano che si tratti del vento e riprendono a sgranocchiare pezzi di casetta, cantandone (in FA maggiore adesso) il motivo.

Torna il MIb su una nuova esternazione della Strega, che i fanciulli continuano a snobbare (si passa a MI) senza accorgersi che lei sta uscendo dalla casetta e si avvicina furtivamente! Sempre sul tema della casetta la Strega accalappia Hänsel, che invano cerca di divincolarsi. Gli hi-hi-hi-hi della Strega sembrano quelli di Mime quando sta per attentare alla vita di Siegfried… Ora lei si presenta, in SOL maggiore, su una variante del walzer della casetta: mi chiamo Rosina Leckermaul (letteralmente… bocca squisita) e i bambini mi piacciono tanto che… me li mangio!

Hänsel prova ancora a liberarsi, ma invano. Si torna a MI maggiore, sul quale la Strega fa pesanti apprezzamenti sulla buona cera di Gretel (!) e poi, modulando a LAb maggiore, fa ai ragazzi una proposta tanto ipocrita quanto apparentemente allettante:

Entrate in casa e potrete gustare tutte le leccornie che volete! Gretel è dubbiosa, le chiede che intenzioni abbia verso il fratello, e la Strega le spiega che lo vuole nutrire per bene, in modo che diventi anche lui paffutello… poi sussurra all’orecchio di Hänsel di avere in serbo una sorpresa per lui (!) Alla richiesta di spiegazioni, lei risponde con una frase criptica (sulla perdita di vista e udito) e così i due fratelli si convincono di essere in pericolo e cercano la fuga, ma invano: la Strega, ordinando Halt! in SIb, sta mettendo in atto un incantesimo, che li immobilizzerà. Sono parole magiche, come Hokuspokus, che la Strega pronuncia su una base di SOL minore (tema udito nel Preludio) che culminano in una sequenza rallentata di RE gravi, con i quali la Strega ficca Hänsel in una gabbia chiudendone la porta.

Il ritorno a SIb maggiore sottolinea una nuova, mielosa proposta della Strega a Gretel: aiutami a saziare tuo fratello di leccornie, in modo che diventi bello grassottello! La bimba è sempre più diffidente, ma il fratello le consiglia di assecondare la Strega: evidentemente sta meditando sul come liberarsene. Da parte sua la Strega ha un piano preciso: cominciare a… cibarsi di Gretel, che non ha bisogno di essere ingrassata. Così, dopo aver gettato del cibo al fratello (sul tema della casetta) si occupa della sorella, togliendole l’incantesimo che la bloccava (sul tema inverso di quello originario!) e ordinandole – modulando a MIb - di apparecchiare la tavola, mentre lei, passando accanto ad Hänsel, che crede addormentato, si occupa del forno, esternando il suo progetto… alimentare riguardo a Gretel, esternazione prontamente raccolta da Hänsel.

L’apertura del forno è sottolineata dall’orchestra in maniera davvero… infernale, con rintocchi dei timpani sulle folate di violini e viole e il crepitare del pizzicato degli archi bassi. La Strega ormai pregusta il pranzetto a base di… Gretel e già ha pianificato (ma Hänsel lo sa!) come infornarla: continuando la sua ballata, ora in SI maggiore, medita di chiederle di dare un’occhiata al marzapane che sta cuocendo nel forno, e così lei la spingerà all’interno!

Tale è la sua euforia, che monta su una scopa e sia fa un giretto attorno alla casa! Tutta l’orchestra, in SIb maggiore, esplode nel tema della cavalcata, che avevamo udito nell’interludio fra primo e secondo quadro, sul quale esprime tutta la sua ebbrezza:

Concluso il suo volo radente, torna ad occuparsi dei ragazzi: mentre la tromba ripete il segnale udito all’inizio dell’atto (Backe, backe, Kuchen) la Strega dà altro cibo a Hänsel e altro ancora ordina a Gretel di portargli. Poi, mentre si ripete quel motivo, pensa alla ragazzina e a come farla finire in forno. Ma non si accorge che Gretel ha imparato la sua magia e con questa ha liberato il fratello, che ora può nuovamente muoversi. 

La Strega apre il forno invitando Gretel a metterci la testa per verificare la cottura del marzapane. Gretel finge di non capire, finchè la Strega, spazientita, le mostra il gesto, infilando la testa nel forno. Gretel e il fratello, nel frattempo appostatosi con lei, la mandano direttamente all’inferno! Un’esplosione di gioia fa seguito all’impresa, mentre tutta l’orchestra, in SIb, accompagna le grida (Juch-hei) dei due fratelli con lo Knusperwalzer!

Che si placa trasfigurandosi nel tema della casetta di marzapane, esposto dalle viole, sempre in SIb. Ma dopo che l’entusiasmo è salito alle stelle, un improvviso boato, accompagnato dal tema della Strega, sottolinea, modulando repentinamente a LA maggiore, l’esplosione del forno, dal quale emergono bambini (antiche vittime) coperti di marzapane. L’atmosfera si dissolve, e i due fratelli si domandano da dove siano spuntati tutti quei bambini.
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Siamo ora alla quarta scena. La tonalità è virata a RE maggiore. I piccoli cantano la loro libertà ritrovata per sempre, su una specie di corale luterano:


Gretel si accorge che hanno gli occhi chiusi, loro chiedono di essere toccati per poterli riaprire, e Gretel li accontenta. Ma ancora non possono muoversi, ed è Hänsel a restituirgli la completa libertà pronunciando la frase magica.

Ora i bimbi intonano, in LA maggiore, il coro che si era udito al termine del preludio, poi torna in RE maggiore il motivo del Mago rugiadino, che certifica come un sogno sia divenuto realtà.
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La conclusione (ultima scena) vede l’arrivo dei genitori dei ragazzini: è il Ralla-la-la di Peter che si ode da lontano a preannunciarne il sopraggiungere. I figlioletti li accolgono con gioia, il tema dell’esultanza per la fine della Strega torna in DO maggiore, la Strega medesima viene estratta dal forno sotto forma di marzapane, e accolta dal tema della danza che i due fratelli avevano intonato nel primo quadro. 

Peter ancora deve tirare la morale della favola: le malefatte non pagano! Poi, nel FA maggiore che è la tonalità fondamentale dell’opera, è il corale della preghiera che chiude – con grande significato etico – questa favola… per adulti!