affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

25 novembre, 2008

Musica, harmonia... offici


Ancora un accostamento fra la musica, ed anzi il fare musica, e mondo del business. Un nuovo libro spiega come una moderna società commerciale possa aver successo sul mercato applicando un metodo che mutua regole e princìpi caratteristici del suono e dell’orchestra.

Non può non venire alla mente il felliniano Prova d’orchestra, dove per la verità si mostra come regole e princìpi - anche nobili e alti - a poco servono se non c’è poi qualcuno che li fa rispettare, magari con le cattive.

Visto che l’acronimo del metodo è BACH... siamo per caso all’Arte della Fuga?

24 novembre, 2008

Siegfried al Maggio (II)

Noi tagliamo, ci vogliono tagliare”. Non è un verso aggiunto all’ultimo momento sulla partitura wagneriana, ma l’appello - accompagnato da immagini proiettate sullo schermo a inizio spettacolo - degli artigiani (costumisti, carpentieri, acconciatori, ...) che contribuiscono a rendere possibile e godibile uno spettacolo. Ai quali va ovviamente la solidarietà di quella - ahinoi - minoranza abbastanza silenziosa di appassionati del teatro d’opera.

Il Siegfried di Padrissa e della Fura, diciamolo subito, non è un esempio - nè deteriore, nè brillante - di Regietheater. Tanto per incominciare, è perfettamente fedele alla concezione wagneriana di Zeitlosigkeit. Azione e personaggi vivono in un tempo non determinato, nè ieri, nè oggi, nè domani, poichè debbono rappresentare gli archétipi di ogni personaggio e di ogni manifestazione degli umani sentimenti. La componente tecnologica dell’allestimento è del tutto innocua, rispetto al condizionamento dello spettatore, e la frequente presenza in scena della troupe circense della Fura non è quasi mai invasiva e distraente, ma volta a rappresentare visivamente concetti o fatti che stanno comunque nella partitura. I costumi dei personaggi principali (Wotan, Siegfried e Brünnhilde) sono assolutamente tradizionali, proprio da museo di Bayreuth, con abbondanza di pelli e orpelli; le immagini proiettate sono di contenuto astratto, quando devono far da sottofondo all’espressione di sentimenti, oppure naturalistico, quando devono supportare le pagine - soprattutto orchestrali - in cui Wagner ci descrive appunto la Natura che fa da sfondo ai sentimenti. Insomma, rispetto a tante re-invenzioni gratuite e insensate del mito wagneriano, qui siamo ad un livello di assoluta dignità.

Qualche osservazione sulla regia dei personaggi: ho personalmente trovato poco appropriato l’atteggiamento esteriore fatto assumere a Siegfried e Wotan, troppo ruvido e a volte manesco il primo, troppo severo e altezzoso il secondo: vedremo poi nei dettagli il perchè. Mime è emerso come il personaggio teatralmente più centrato e riuscito, grazie alla regia e sicuramente alle doti di Ulrich Ress. Gli altri si vedono poco o cantano quasi immobili, o imbragati in complicate strutture, ma va bene così.

Sul piano musicale, rispetto a quanto avevo ascoltato per radio giovedi scorso, decisamente migliorato Zakhozhaev e brava, ma non eccezionale, qui come il 20, Jennifer Wilson (di cui avevo colpevolmente taciuto nel sommario precedente, forse freudianamente, non avendomi mandato in visibilio!) Bene gli altri, soprattutto Ress e Kapellmann. L’orchestra compatta e precisa, salvo - ma forse il mio orecchio è stato tradito dalla posizione di ascolto - nell’incipit del preludio al terzo atto. Strana la disposizione degli ottoni: tutti all’estrema destra, con timpani e percussioni, ma tranne i corni, posti all’estrema sinistra, dietro i legni: certo in una buca normale non si può copiare la disposizione di Bayreuth, dove tutti gli ottoni sono nell’ultima fila in basso, con le percussioni. Quanto a Mehta, magari non ha nel sangue quello si chiama il gene wagneriano, ma ha una sensibilità ed un’esperienza che suppliscono ampiamente.

Ora qualche dettaglio in più.

Atto I

Dopo che un filmato, zoomando dall’intero pianeta giù giù fino alla foresta vicino a Neidhöhle ci ha portato sul luogo dell’azione, Mime scende dall’alto, con tutto il suo laboratorio a metà fra l’alchimistico e il cibernetico. Lui stesso sembra un miscuglio di androide (con cavi che gli entrano-escono dalle spalle del suo camice bianco, e diversi elettrodi e chiodi impiantati in testa) e di dottor Coppelius, con occhialetti tondi, alle prese con le sue invenzioni. Sulla guancia destra reca una sigla: GV9 (data la tecnologia usata dalla Fura, potrebbe stare per Gate Valve 9, codice con cui si identificano componenti di circuiti di trasmissione di gas... o dobbiamo chiedere a Padrissa?) e picchia, come prescritto in partitura, il suo tintinnante martelletto, con la mano sinistra (questo non è precisato da Wagner, ma evidentemente Ress è mancino, come si avrà conferma nella terza scena, allorquando, sempre con la sinistra, impugnerà un coltello per affettare sedano e zucchine, destinati alla broda letale). A proposito, complimenti a lui ed anche a Zakhozhaev per saper interpretare perfettamente i rispettivi personaggi anche nella parte strumentistica (Siegfried martellerà personalmente la spada, e sempre ben a tempo). Ress mostra subito di essere un grande attore, oltre che un degnissimo tenore; si muove quasi danzando, con mimica straordinariamente appropriata al personaggio, una vera e propria macchietta. Tre comparse della troupe passano e ripassano con larghe scope, a mo’ di asciugatori di parquet di pallavolo, il che mi rimane incomprensibile, ma diciamo che non distrae più di tanto.

Entra Siegfried, insieme ad un ammasso di corpi umani (i circensi della Fura) che dovrebbe simulare l’orso, ma in realtà pare un equino, con lungo collo e vera coda di cavallo! (mah...) Come ho premesso, il suo atteggiamento verso Mime è forse più duro e carognesco di quanto basterebbe (spezza la spada sulle proprie ginocchia, come fosse un bastoncino, dà un calcione all’arrosto che Mime gli porge, non sorride mai, neanche con sarcasmo) senza per fortuna trascendere eccessivamente.

Toccante la scena del ricordo di Sieglinde, supportato da immagini fotografiche molto poetiche ed assai appropriate.

Arriva ora Wotan: senza benda! Finalmente una regia che non ci propina il solito copri-occhio alla pirata, o alla Moshe Dayan! (inutile precisare che in nessuno dei quattro poemi del Ring si accenna a bendaggi o cerotti, ma solo alla tesa del cappello tirata su un occhio). Fedele al testo anche l’approccio del viandante, un passo alla volta, solenne, supportato dagli arcani accordi dell’orchestra.

La tenzone di sapienza fra Wotan e Mime è chiaramente ispirata a Wagner dalla Vafþrúðnismál di Saemund, dove Odin invade la dimora del sapiente, lo sfida a tenzone e lo buggera carognescamente, facendogli una domanda impossibile a rispondersi. Persino alcune parole di Wotan sono quasi copiate dal poema eddico, come ad esempio: “molto viaggiai, molto feci esperienza”. Wagner però ci mostra un Wotan ormai determinato a fare da spettatore e non più da protagonista delle vicende cosmiche, e il suo atteggiamento nei confronti di Mime è un misto di compatimento, bonarietà e addirittura quasi di supporto. Wagner si inventa un sottile processo psicologico, laddove Wotan pone a Mime una domanda assolutamente pertinente e addirittura decisiva per il futuro del nano, una domanda che lo stesso Mime – fosse stato previdente, invece che stupido e presuntuoso - avrebbe dovuto porre lui per primo al Viandante. Tutto ciò per introdurre la critica al modo con cui il Wotan di Padrissa-Uusitalo si comporta nei confronti del nano, un approccio eccessivamente duro e sprezzante.

Interessante ed efficace, durante i racconti che originano dalla tenzone, la descrizione di Nibelheim, dove evidentemente le persone sono trattate come carne da macello: ed infatti si vedono esseri umani, impacchettati a mo’ di quarti di bue, appesi con ganci alla classica rotaia sospesa da sala di macellazione, etichettati ed avviati a spedizione. Quando si parla di Giganti, appaiono due dei semoventi della Fura, che recano Fasolt e... Wotan (anche questo un dettaglio abbastanza gratuito). Come un tantino gratuita è anche l’enfasi posta sul momento in cui Wotan batte la sua lancia a terra: si sente, secondo Wagner, un leggero brontolìo di tuono, sufficiente a spaventare Mime. Padrissa, con la complicità di Mehta, che accentua (da f a ff) le percussioni di timpani e piatti, ci fa tutti sobbalzare con un’esplosione proiettata sullo schermo: qui effettivamente c’è un po’ troppo circo.

Veniamo all’ultima scena, quella del ricondizionamento di Nothung. Prima abbiamo la descrizione della paura, che Mime fa al ragazzo, una fase piuttosto statica, che Padrissa colorisce facendo camminare Siegfried, munito di occhiali da realtà virtuale, su un rullo da palestra. Felice la trovata di far circondare la fornace da comparse che attizzano il fuoco, e poi si occupano della forma in cui verrà colata la spada: se si può far una critica, le dimensioni sono forse troppo ridotte, rispetto alla descrizione wagneriana, che ci parla di una fornace assai grande, in cui Siegfried fa bruciare un albero intero.

Efficaci i movimenti di Siegfried e Mime, il loro alternarsi in primo e secondo piano, con le rispettive opposte esternazioni, fino al momento topico in cui Siegfried brandisce la spada e la cala, invece che sull’incudine... sul tavolo da lavoro del nano, con uno sconquasso generale, ben supportato dal gran fracasso di tutta l’orchestra.


Atto II

Inizia con la scena impercettibilmente schermata da una zanzariera, che serve a proiettarci sopra, a mo’ di ologrammi, prima il cavallo con cui Wotan si avvicina, poi l’anello che ruota tridimensionalmente, infine il drago-serpente, che pare saltare in testa allo spettatore: molto efficace.

Alberich compare aggirandosi su mucchi di corpi che si rotolano a terra, presenze davvero inquietanti (come saranno quelle che appariranno davanti alla caverna di Fafner). Arriva Wotan e c’è lo splendido incontro-scontro fra i due vecchi pretendenti alla guida dell’universo (l’uno che sta ormai rinunciando, e agisce da osservatore, non da esecutore, l’altro che ha assaporato il potere per così poco tempo, da averne ancora una fame incommensurabile). Se posso fare un appunto al regista, qui Wotan assume un atteggiamento troppo cameratesco nei confronti di Alberich: si lascia toccare la lancia, mette una mano sulla spalla al nibelungo, insomma, mi pare dargli eccessiva confidenza, rispetto a quanto prescrive Wagner, che non va al di là di un gli si avvicina tranquillamente. (Se ben ricordo, qualcosa di simile ha fatto a suo tempo Chéreau...)

Kapellmann, con abito scuro, raffinato, mette in mostra tutta la sua esperienza e familiarità col personaggio, che deve avere una personalità di statura altrettanto forte, quanto è moralmente spregevole. Sentiamo qui per la prima volta (e verosimilmente da un megafono) il vocione di Stephen Milling, un Fafner che poi vedremo, da morente, appollaiato su uno dei semoventi della Fura.

Ecco la seconda scena, davvero la scena madre (scusate il gioco di parole) dell’opera. Il regista e lo scenografo hanno qui sempre un gran problema da risolvere: come rendere il poeticissimo contatto di Siegfried con la natura e il suo sognare della madre. Adolphe Appia aveva ragione a sostenere che ciò che è importante qui non è mostrare la foresta (magari scimiottandola con alberi di cartone e foglie di cartavelina) ma esprimere, supportando la musica, le sensazioni che Siegfried prova a contatto con la natura. Non so se la ragione sia questa (andrebbe chiesto a Padrissa) ma qui le luci rivolte verso il soffitto del teatro sono state alzate di intensità, portando l’ambiente quasi ad una mezza-luce, il che ha reso il pubblico stesso parte della scena: personalmente, l’ho trovato un effetto emozionante.

Spettacolare, anche se un poco pacchiano, il librarsi dell’uccellino(one) del bosco sopra la scena, con la brava Chen Reiss impavidamente sorridente. Dopo che Siegfried si è esibito con il suo stridulo zufolo e il suo splendido corno (qui però l’esecutore, disposto dietro le quinte, faceva arrivare il suono troppo flebile e da lontano, contrariamente alla ripresa radiofonica, evidentemente fatta con microfono vicino) arriva il drago meccanico della Fura (precisamente con meccanismi della Festo): certamente meno peggio di tanti mostri più o meno oleografici che fanno più ridere (Leo Tolstoj dixit) che tremare. Una volta ferito a morte, il mostro meccanico viene prima affiancato e poi rimpiazzato sulla scena da un semovente con a bordo Fafner-Milling: in effetti ciò ben rappresenta il ritorno del gigante dallo stato di bestia a quello umano, parallelamente alla scomparsa dal suo canto dei tritoni che ne caratterizzavano musicalmente lo spaventevole travestimento.

Dopo il miracolo procuratogli dal sangue del drago, Siegfried comprende finalmente il canto della Chen, sempre sospesa a mezz’aria, che agita lentamente (onde evitare pericolosi squilibri al cavalcone che la regge) le sue alone da tortorona. E si avvia a recuperare Tarnhelm e anello.

Impeccabile la prima parte della terza scena, con i due fratelli nibelunghi a battibeccare da par loro, in quella che i critici di Wagner più corrosivi definiscono come una parodia del modo di discutere degli ebrei. Torna Siegfried, con elmo magico e anellone, e Mime sfoggia i suoi hihihi-hihihi, che rivelano le sue reali intenzioni al ragazzo, sempre più disgustato. Questo colloquio avviene con i due messi a penzoloni sui bilanceri che fanno parte della foresta, e su cui stanno appollaiate anche altre presenze, dotate di una specie di pinna dorsale fatta di alti ed appuntiti pungiglioni. Alla fine Siegfried stende il nano, il cui fratello fa udire la proverbiale sghignazzata sull’inconfondibile ritmo nibelungico: ha-haha/hahaha/ha-haha/hahaha/ha!

Poi la stanchezza di Siegfried, il suo invocare l’uccellino, che gli dà l’ultimo, emozionante consiglio. E la corsa dei due, con Siegfried quasi aggrappato ad un elicottero, verso la bella addormentata.


Atto III

Il preludio è supportato da immagini - a mò di ripresa fatta da un aliante, o da un piccolo aereo che voli fra le gole, a pelo delle creste - di picchi montuosi, con abbondante neve e ghiacciai. Si ripeteranno, queste immagini, al momento per Siegfried di scalare la roccia di Brünnhilde, dove alla neve e a distese di gelide acque si aggiungerà il fuoco. In Wagner non v’è alcuna traccia di neve, mentre troviamo ovviamente il fuoco, che circonda la dormiente. Però, a ben pensarci, questo connubio fra freddo e caldo, fra ghiacciai e fiumi polari e il fuoco non è fuor di luogo, venendo direttamente dalla mitologia nordica; che ci racconta del gelido Hvergelmir, da cui si dipartivano i fiumi Élivágar, che incontrando le fiamme del Múspellheimr diedero la vita ad Ymir, il cosiddetto uomo-brina, progenitore di Odin(Wotan).

Erda, evocata da Wotan con gesti fin eccessivi (batte sul suolo la punta della lancia, mentre Wagner si limita a prevedere un Wotan solennemente appoggiato alla stessa) compare da una fessura fra le quinte di fondo, sospesa a mezz’aria a bordo di un trespolo, e con copricapo egizio. Drammatico il colloquio fra i due, qui davvero senza nulla a disturbare la nostra concentrazione: e così è davvero emozionante il nascere in orchestra del tema dell’eredità del mondo, questa musicale rivoluzione culturale, che letteralmente capovolge, rivoltandolo come un calzino, dal basso verso l’alto, il tema del Patto, ormai ridotto a legge inefficace.

Sparita Erda, arriva Siegfried, con l’uccellino, altissimo ormai, in procinto di allontanarsi definitivamente. E arrivano anche altri personaggi, sotto forma di saltimbanchi della Fura che recano altissimi pungiglioni grigi, quasi delle lance, che ora dispongono dritti, a mo’ di canneto, coprendo Wotan alla vista di Siegfried, ora incrociano come forche caudine, a significare forse la difficoltà del cammino per il giovane e l’imminente disfatta per il nonno...

Difficile spiegare perchè, contrariamente alle indicazioni, la lancia di Wotan infranta dal giovane non cada a terra, ma i due spezzoni rimangano nelle sue mani: forse che, secondo Padrissa, Wotan è meno disposto di quanto non voglia far credere a mollare il potere?

Ed ora veniamo al gran finale. Brünnhilde dormiente arriva sulla scena stesa su un grande pannello circolare, spinto dall’equipe della Fura, sul cui perimetro sono disposte delle torce accese: un effetto molto suggestivo, anche se gratuito, stando alla lettera della partitura. Ma si può perdonare, a differenza invece di un particolare piuttosto comico: sappiamo che Siegfried deve scoprire il sesso della persona dormiente dopo averle tagliato e sfilato l’armatura. Qui, invece dell’armatura, Siegfried rimuove lo scudo che copre Brünnhilde, esplodendo quindi nel grido di meraviglia mista a paura, supportato dalle scale velocissime dei violini (come si capisce che questa musica viene dopo Tristan!) L’aspetto comico sta nel fatto che lo scudo è di plexiglas trasparente, per cui tutti - meno che Siegfried, evidentemente - avevano potuto vedere fin da subito, al di sotto, stagliarsi le due gran poppone di Jennifer Wilson (in effetti la brava soprano è un po’ - diciamo - sovrappeso... come del resto si addice ad un personaggio che ha poltrito a letto per dieci anni e più).

Il risveglio avviene ovviamente in piena luce, però... una luce forse troppo uniforme, quasi livida, emanante dalle grandi quinte alle spalle della scena: insomma, forse più adatta agli abbruniti accordi di MIb minore e DOb maggiore del prologo di Götterdämmerung, che a quelli davvero solari di MI minore - Do maggiore che qui si fanno udire.

Giochi di luci anche ad accompagnare il passaggio della Valchiria dall’euforia del risveglio al buio della freudiana paura della perdita della verginità e della sapienza, e poi, dopo la parentesi “starnberghiana”, di nuovo all’esaltazione dell’amore lucente. E della ridente morte, che i due cantano disgiunti, piantati di fronte al pubblico, con il DO finale (qui si sono sentiti già degli applausi, more-italico, assai prima che Mehta guidasse lo schianto conclusivo dell’eredità) a suggellare l’opera.

All-in-all, ne valeva - e come! - la pena.

Il Quiz del lunedi - 11











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L’immagine qui riportata si riferisce a:

1. “Sigfrido” di Wagner.

2. “Wozzeck” di Berg.

3. “Falstaff” di Verdi.

4. “Mozart e Salieri” di Rimsky-Korsakov.

5. “Pagliacci” di Leoncavallo.

(la soluzione nella prossima puntata)
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Soluzione del Quiz n°10: Don Giovanni (Essen, Herheim)

21 novembre, 2008

Siegfried al Maggio (I)

Qualche battuta sulla prima di ieri sera, ascoltata su Radio3.

Impressione generale di un’onesta prestazione complessiva. Mehta non sempre convincente nei tempi, ma tutto sommato l’orchestra, inclusi i solisti (bravissimo il corno nel secondo atto) ha retto bene l’urto. (Nel primo intervallo Mehta, intervistato sul suono del Siegfried, ha testualmente risposto: “da suonare come Mendelssohn, non come Rossini”... ma per fortuna l’orchestra ha suonato abbastanza come Wagner!)

Zakhozhaev ha cominciato piuttosto maluccio, addirittura fuori tono a volte, poi mi pare essersi ben ripreso dal secondo atto in avanti... però ho idea che debba lavorare molto e sodo per essere un Siegfried veramente all’altezza.

Uusitalo anche lui un po’ diesel, nel riscaldarsi, poi ottimo nel secondo e terzo atto.

Ress è stato un Mime non stratosferico, ma decisamente convincente, soprattutto nel modo di porre la sua personalità meschinella e mielosa.

Kapellmann (per me) strepitoso: parte limitata, ma davvero scolpita in modo impeccabile: la volgare sghignazzata sul tema nibelungico, all’atto dell’accoppamento di Mime, è stata da incorniciare.

Wyn-Rogers senza infamia nè lode... il che è comunque assai, date le circostanze: certo non è - sul fronte femminino - a livello di un Kapellmann...

Milling ha fatto il suo dovere, con tutti quei diabolus, sempre ardui da imbroccare a dovere (ma cantava attraverso un megafono, come prescrive Richard? Non mi è parso).

Reiss una voce davvero squittente, proprio da usignolo, forse un po’ troppo forte (o erano i microfoni?) Non una sbavatura, comunque, pur con quella parte dai tempi a fisarmonica.

Vedremo meglio dal vivo... incluso il gran circo barnum della Fura.
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19 novembre, 2008

L’anti-Bondi olandese


Tranquilli, non è un tulipano cooptato nelle file del weltroniano Governo-ombra...

Accade che una stazione radio pubblica olandese, Concertzender, che trasmette musica (classica, ma non solo) rischia la chiusura, causa la decisione della NPO (la RAI orange) di dirottare i relativi fondi verso alcuni canali tematici digitali.

Bene, a seguito di un’interrogazione parlamentare, il Bondi di laggiù, Ronald Plasterk, ha deciso di prendere posizione per mantenere in vita l’emittente.

La faccenda è tutt’altro che conclusa, ma resta il segnale positivo, in chiara controtendenza rispetto all’approccio italico, dove il taglio (senza cucito) sembra essere diventato lo sport nazionale.

17 novembre, 2008

Bayreuth: ancora un lutto improvviso


A nemmeno un anno di distanza dalla morte improvvisa di Gudrun Wagner, moglie (e di fatto prestanome) di Wolfgang e madre di Katharina (nuova direttrice del Festival) un altro lutto ha colpito l’entourage di Bayreuth.

Stefan Müller, 32 anni, legale del Festival e della famiglia Wagner, è morto per un attacco cardiaco fulminante, mentre era al volante della sua auto, in viaggio da Berlino a Bayreuth. Al suo fianco sedeva proprio Kathi Wagner (erano amici d’infanzia) che nulla ha potuto fare, se non fermare in qualche modo il veicolo e chiamare inutili soccorsi.

Müller, che aveva rappresentato formalmente il vecchio Wolfgang nelle ultime sessioni dello Stiftungsrat (il Consiglio di Amministrazione del Festival) e si era quindi occupato della trafila legata alla successione di Kathi e della sorellastra Eva al padre, seguiva attivamente anche tutti gli aspetti legali relativi alle imprese mediatiche dei Wagner (che portano un bel po’ di quattrini nelle tasche della famiglia).

Insomma, nel giro di un anno il Festival ha perso i suoi due principali puntelli organizzativi-amministrativi: un grattacapo in più per le sorelle Wagner.

Il Quiz del lunedi - 10

















L’immagine qui riportata si riferisce a:

1. “Parsifal” di Wagner.

2. “Assassinio nella Cattedrale” di Pizzetti.

3. “Don Giovanni” di Mozart.

4. “Rienzi” di Wagner.

5. “Il Profeta” di Meyerbeer.

(la soluzione nella prossima puntata)
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Soluzione del Quiz n°9: La Valchiria (Weimar, Schulz)

13 novembre, 2008

Bardi vs Fiamminghi



Non è un proclama antirazzista dell’antica Roma, ma la proposizione dell’enigma di un canone rinascimentale, sul modello fiammingo. Da interpretarsi come: "Il conseguente deve cantare le note nere come se fossero bianche."





È per risollevare l’arte della musica da questa ed altre stranezze fiamminghe che Giovanni Bardi fondò, nella seconda metà del ‘500, la Camerata.



















Il dramma per musica prese forma da lì, filiando poi tutti i diversi generi di produzione operistica, dal belcanto al Gesamtkunstwerk.

12 novembre, 2008

A che fine la Musica si debba imparare.















MA perche di sopra si è detto, che l'Huomo bene istituito non debbe essere senza Musica; però douendola imparare, auanti che più oltra passiamo, uoglio che ueggiamo qual fine egli si debba proporre; poi che intorno à ciò sono stati diuersi pareri; il che ueduto, uederemo anco l'utile, che della Musica ne uiene; & in qual maniera la dobbiamo usare. Incominciando adunque dal primo dico, che sono stati alcuni, i quali hanno hauuto parere, che la Musica si douesse imparare per dar solazzo & dilettatione all'Vdito; non per altra ragione, se non per far diuenir perfetto questo Senso, nel modo che 'l Vedere diuenta perfetto, quando con diletto & piacere riguarda una cosa bella & proportionata, ma in uero non si debbe imparare à questo fine, imperoche è cosa da volgari & da mecanici; essendoche queste cose non hanno in se parte alcuna di uirtuoso; ancora che acchetando l'animo habbiano del diletteuole; & sono cose da Huomini grossi, i quali non cercano di satisfare al Senso, & à questo solo fine attendono. Altri poi uoleuano, ch'ella s'imparasse, non ad altro fine, se non per esser posta tra le Discipline liberali, nelle quali solamente i Nobili s'esercitauano; & perche dispone l'animo alla uirtù, & regola le sue passioni, con auezzarlo à rallegrarsi & à dolersi uirtuosamente, disponendolo à i buoni costumi, non altramente di quello, che fà la Ginnastica il corpo à qualche buona dispositione & habitudine; & anche à fine di poter con tal mezo peruenire alla speculatione de diuerse sorti d'Harmonia; poi che per essa l'Intelletto conosce la natura delle musicali Consonanze. Et quantunque questo fine habbia dell'honesto; non è però à bastanza; imperoche colui, ilquale impara la Musica, non solo l'impara per acquistar la perfettione dell'Intelletto; ma per potere, quando cessa dalle cure & negocij, si del Corpo, come dell'Animo; cioè, quando è in ocio & fuori delle cottidiane occupationi, passare il tempo & trattenersi virtuosamente; accioche rettamente & lodeuolmente viuendo lontano dalla pigritia, per tal mezo diuenti prudente, & trappassi poi à far cose migliori, & piu lodeuoli. Ilqual fine non solo è degno di laude, & è honesto; ma è il vero fine: percioche non fù ritrouata la Musica, ouer ordinata per altro, se non per quello, c'habbiamo mostrato di sopra; come nella sua Politica il Filosofo manifesta; adducendo & raccontando molte autorità di Homero. Onde meritamente gli Antichi la collocarono nell'ordine de quelli trattenimenti, che seruono à gli Huomini liberi, & tra le discipline lodeuoli, & non tra le necessarie, come è l'Arithmetica; ne anche tra le vtili, come sono alcune, lequali sono per l'acquisto solamente de beni esteriori, che sono i denari & l'utile della famiglia; ne tra alcune altre, lequali seruono alla sanità del corpo & alla fortezza, come la Ginnastica, ch'è un'Arte appartenente alle cose, che giouano à far sano & forte il corpo; come è fare alla lotta, lanciare il palo & altre cose, che appartengono all'essercitio della guerra. Si debbe adunque imparar la Musica, non come necessaria, ma come liberale & honesta; accioche col suo mezo possiamo peruenire ad un'habito buono & uirtuoso, che ne conduca nella uia de buoni costumi, facendone caminare ad altre Scienze più utili & più necessarie; & passare il tempo virtuosamente; & questo debbe esser la principale, ò ultima intentione, che dire la uogliamo. Ma in qual modo habbia possanza d'indur nuoui costumi & mouer l'animo à diuerse passioni, ne ragionaremo in altro luogo.

ISTITVTIONI HARMONICHE DEL REV. M. GIOSEFFO ZARLINO DA CHIOGGIA,
Maestro di Capella della Serenissima Signoria DI VENETIA. Prima Parte. Capitolo 3. (MDLVIII)
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11 novembre, 2008

Richard Wagner e il nazismo. 4

Le tesi della difesa.

Certo, bisogna riconoscere che Wagner ha contribuito di bel suo a creare le premesse per una non propriamente onorevole fama, con scritti e comportamenti violentemente antiebraici. Ma intanto bisogna pur sapere che nel pieno ‘800, specialmente nel mondo tedesco, l’antisemitismo era di casa, un pò come certo anti-islamismo nell’Occidente di oggi. Gli islamici non si integrano nella nostra società, non parlano bene la nostra lingua, non mangiano come noi, sembrano piuttosto sporchi, “rubano” posti di lavoro ai nostri figli, non capiscono la nostra arte, l’unica loro musica è l’insopportabile cantilena del muezzin, insomma, ci sono istintivamente repellenti… lo pensano in molti, anche qui da noi, vero? E qualcuno – gente assai importante - lo scrive sui giornali e sui libri, lo dice in TV. Bene, è su per giù ciò che Wagner scriveva degli ebrei, nel 1850.

Ma si potrebbe addirittura retrocedere nei secoli, e scoprire che un antisemita accanito fu Martin Luther (cui nessuno osa attribuire responsabilità dirette per l’Olocausto) e che altrettanto fu William Shakespeare, di cui nessuno, che si sappia, ha mai proposto di proibire in Israele la rappresentazione del “Mercante di Venezia”.

Tornando a Wagner, visto che la musica e l’opera erano il suo “pane quotidiano” e la sua suprema aspirazione esistenziale, non è fuori luogo immaginare che il maestro abbia, in qualche modo, ricavato dalle sue convinzioni antiebraiche – meglio sarebbe dire: dai suoi pregiudizi - più di uno spunto per la composizione delle sue opere e, in particolare, per la presentazione dell’aspetto “esteriore” di alcuni suoi personaggi. Ma già questo è un primo punto importante da sottolineare: l’antiebraismo di Wagner riguardava principalmente l’Arte e, in particolare, la Musica. Lui - magari solo perchè invidioso dell’onnipotente Meyerbeer, che dettava legge nella Parigi musicale, e si arricchiva assecondando le più abiette tendenze “artistiche” della locale borghesia - giudicava gli ebrei “non portati” per l’arte musicale, almeno come essa era concepita in Germania e in Occidente, ma è del tutto gratuito attribuirgli la spiegazione di ciò come conseguenza della rinuncia all’amore e dell’asservimento al potere dell’oro da parte della razza ebraica (e solo di essa, attenzione!)

Quando era il momento di chiedere quattrini, lo stesso Wagner applicava disinvoltamente il famoso adagio latino: “pecunia non olet”… e si può star certi che molti dei rossi mattoni del Festspielhaus abbiano sangue ebraico nel loro pedigree. E quando si trattava di scegliere i migliori collaboratori per la riuscita delle sue Opere, Wagner non esitava a chiamare amici ebrei, come accadde per la prima del Parsifal - invero una cosuccia da nulla! - che venne affidata, con grande successo e soddisfazione di tutti, a Hermann Levi (il fatto che Wagner gli abbia anche, contraddittoriamente, manifestato più volte il suo disprezzo non fa che confermare l’assunto: il suo antisemitismo era “relativo” e non “assoluto”).

Non solo: quando si trattava di trovare spunti interessanti per le sue opere, Wagner non esitava a saccheggiare quelle di compositori ebrei, vedi Mendelssohn, da lui offensivamente ridicolizzato nel Giudaismo, ma poi abbondantemente scopiazzato dalla Melusina, dalla Scozzese, dalla Riforma. E persino l’odiato Meyerbeer darà spunti - col Robert le diable - al Parsifal.

Rispetto al possibile uso politico delle opere di Wagner, basterà ricordare che, molto prima di Hitler, anche Ludwig II si era letteralmente “innamorato” del compositore e delle sue opere, ed aveva conosciuto molto bene il suo acceso antisemitismo. Ma ciò non aveva comportato che la Baviera invadesse la Polonia, nè che allestisse campi di concentramento e forni crematori. Anzi, il giovane re, che per il Wagner artista spendeva e si spendeva, fu sempre molto fermo con il Wagner antiebreo, non risparmiandogli aspri rimbrotti in merito e bocciandone ogni proposta operativa.

E persino l’ostracismo a Wagner in Israele è nato solo nel 1938 (precisamente il 12 novembre, all’indomani della tristemente famosa Kristallnacht, di cui stiamo proprio ricordando l’anniversario) quando il nazismo cominciò a mettere in atto la “soluzione finale” al problema ebraico. Prima di allora, l’Orchestra della Palestina (diventata poi Israel Philharmonic) suonava tranquillamente Wagner (con un tale Toscanini sul podio, ad esempio). E come non ricordare tutte le personalità, grandi e piccole, del mondo ebraico che furono e sono convinti ammiratori del Wagner artista, pur riconoscendo (e condannandole) le idee antisemite del Wagner uomo: Gustav Mahler e Daniel Barenboim, giusto per citare due nomi fra i tanti.

Anche se è cosa estremamente difficile - quanto camminare sulla lama affilatissima di un rasoio - sono convinto che vada fatto sempre ogni sforzo per tenere distinti gli aspetti deteriori del Wagner uomo, ideologo, capopopolo, da quell’unica qualità per la quale Wagner ha titolo per essere ricordato ed apprezzato: l’Artista!

Passiamo ora ad esaminare e confutare i vari capi di imputazione che vengono contestati a Wagner e che ho sommariamente elencato nella precedente puntata.


Vediamo I Maestri Cantori.

Intanto cominciamo col dire che Beckmesser non può essere ebreo: come tale mai avrebbe potuto far parte dell’accolita dei Cantori. E allora qualcuno dovrebbe spiegare che senso avrebbe far incarnare ad un non-semita tutte le qualità deteriori - massimamente quelle fisico-morfologiche - attribuite dal Wagner “politico” agli ebrei. Insomma, per assurdo: se Beckmesser, che certamente non è semita, cammina e parla e canta come un semita... significa che fra semiti e non-semiti non c’è differenza alcuna! E allora casca tutta l’impalcatura dell’accusa.

Ma andiamo oltre: alla fine del primo atto Beckmesser confida a Pogner il desiderio di avere in moglie sua figlia Eva. E Pogner, pur riaffermando che sarà Eva a dover acconsentire, si impegna a intercedere per lui presso la figlia. Ergo: Pogner, rappresentante a pieno titolo della società e della cultura tedesca, non ha alcuna preclusione verso il “merker”, che evidentemente considera del tutto degno - Eva consentendo - di diventare suo genero.

Il “puro ariano” Hans Sachs, viceversa, sarà anche “nobile” e saggio, rinunciando in partenza ad Eva, ma si mostra assai carogna (e geloso?) nei confronti di Beckmesser allorquando, nel secondo atto, fa di tutto per rovinargli la “serenata”. E persino il giovane David, tratto in inganno dallo scambio di persona Eva-Maddalena (non certo voluto dal povero Beckmesser) si rende responsabile di percosse e maltrattamenti nei confronti dello scrivano, e della gigantesca rissa che ne segue, da cui l’incolpevole Sixtus uscirà letteralmente con le ossa rotte! Ed è proprio in conseguenza delle botte subite la sera prima che Beckmesser, nel terzo atto, in casa di Sachs e poi sul terrapieno della tenzone canora, appare barcollante e malfermo sulle gambe, non certo perchè questo sia il modo di camminare congenito agli ebrei!

Beckmesser - è vero - ruba il foglio su cui Sachs ha trascritto il lied di Walther. Non è certo una bella azione, ma non si può non riconoscere che Sachs si è comportato con lui in modo davvero indegno; e adesso quella canzone gli sembra dimostrare che Sachs pretenda alla mano di Eva, e gli conferma il sospetto che il calzolaio, la sera prima, avesse architettato tutto ai suoi danni, per pura gelosia!

Insomma, ragionando a mente fredda, vien da concludere che Beckmesser sia una vittima, più che un pericolo pubblico. E che Sachs sarà anche un tedesco doc, ma è pure parecchio carogna. E allora: ammesso che Beckmesser impersonifichi il semita, non è che Wagner volesse per caso mostrarci la triste condizione degli ebrei, sottoposti ad ogni tipo di angheria? Altro che antisemitismo...

Ma veniamo alla sostanza: la musica!

Pochi passaggi musicali sono così magistralmente concepiti, e così belli, come l’assurda e patetica serenata (oltretutto una reminiscenza e insieme parodia della rossiniana canzone di Lindoro) che Beckmesser canta nel secondo atto, e che doveva servire al compositore – secondo i sostenitori del Wagner nazista - per prendere di mira la pretesa incultura musicale del mezzo-ebreo Eduard Hanslick (il critico che lo “criticava”, peraltro con grandissimo equilibrio). Al confronto, gli stollen-abgesang dello Junker Walther (ma come potrebbe mai impersonificare un “eroe ariano” uno il cui cognome - von Stolzing – è già di per sè una parodia?!) sembrano esercizi di un (mediocre) allievo di liceo musicale. Tutta la musica che sostiene la strepitosa, stupefacente scena finale della baruffa del secondo atto nasce e si sviluppa proprio da lì, altro che cantilena da Sinagoga! E si noti che persino David, all’inizio del terzo atto, intona inizialmente il mottetto “Am Jordan Sankt Johannes stand” proprio sulla melodia della serenata di Beckmesser! Inquinato anche lui dalla sub-cultura semitica? Bisognerebbe dimostrarlo, partitura alla mano!

Quanto al preislied, Wagner è a sua volta davvero carognesco nel formularne la “versione Beckmesser”: ma un simile stravolgimento del testo originale è spiegabile con mille motivazioni, e non solo con la difficoltà di un Ebreo nel comprendere la lingua tedesca (e chi ci dice che non sia stata tutta una manfrina di Sachs, quella di scrivere il testo appositamente in modo indecifrabile, per tendere un trappolone al povero “merker”?) Musicalmente è poi tutt’altro che da buttar via, e il fallimento, nella generale derisione, è legato all’insensatezza del testo, non certo alla musica.

Non dimentichiamo infine che Wagner intendeva creare, con i Meistersinger, un’opera comica, e in tutte le opere comiche c’è necessariamente qualche personaggio che si deve prestare alla bisogna (sarà solo il caso di ricordare un certo don Bartolo...) senza per questo dover scomodare pregiudizi razziali.


Passiamo adesso alla Tetralogia.

Secondo l’accusa, dato che l’ebreo ha una cultura che spregia l’amore e predilige l’oro, e dato che Alberich rinuncia all’amore per l’oro, ne deve conseguire necessariamente che Alberich sia un semita, e con lui tutta la sua razza. (Sarà appena il caso di fare un’elementare osservazione: i Nibelunghi sono pur sempre un prodotto del (sotto)suolo germanico, e non hanno alcuna ascendenza “levantina”. E parlano in Stabreim come tutti gli altri personaggi del Ring). In realtà questo è un ”postulato” bello e buono, in nessun modo dimostrabile: sono il poema e la musica del Rheingold, a informarci che Alberich sarà sì piccolo e brutto, ma non è cattivo, cioè non è congenitamente nemico dell’amore, anzi è soggiogato dalla sua potenza, e che la sua successiva maledizione dell’amore è una conseguenza del fatto che questo gli viene inconcepibilmente negato (dalle Figlie del Reno).

Addirittura - volendo dare per forza interpretazioni esclusivamente politiche al Ring - si potrebbe qui ribaltare la tesi e sostenerne a pieno titolo una diametralmente opposta: che Wagner, da occidentale-germanico-ariano faccia un’aperta autocritica e voglia invece presentarci, con Alberich, la triste condizione degli ebrei, disprezzati da ben due millenni dall’ipocrita società occidentale, sia cattolica che luterana, emarginati e relegati in ghetti materiali e spirituali, dai quali possono uscire solo rifugiandosi (anzi, essendo perfino a ciò costretti!) nell’oro.

Per di più , la capitale decisione che Alberich prende ne fa una figura grande, perchè anche per peccare, in modo cosciente, razionale ed assumendosi fino in fondo responsabilità e rischi, bisogna pur avere una statura al di sopra della mediocrità. Altro che meschino verme ebreo!

Veniamo ora a Wotan e al suo preteso “inquinamento” ad opera del semita Alberich. Attenzione! poiché, una volta fatta passare per vera tale ipotesi, si ha poi gioco facile a pervenire alla comodissima tesi secondo cui, nel Ring, Wagner vuole attribuire tutte le colpe della società e della cultura occidentale, in particolare germanica, quindi ariana – anche quelle più gravi ed inconfessabili - all’essere essa in via di inquinamento da parte della sub-cultura semitica (proprio ciò che sosterranno i nazisti!) E che Wagner, con il Ring, questo e non altro ha voluto rappresentarci; e peggio ancora: che nelle opere del protonazista Wagner, Hitler trovò bell’e pronti non solo tutta la sua “visione politica”, ma anche il suo dettagliato programma di eliminazione fisica degli ebrei.

Orbene, sfido chiunque a trovare in tutto il Ring una qualunque, sia pure lontana, giustificazione di questa tesi sciagurata, quanto pretesuosa. Attenzione: stiamo parlando qui del Ring, non di questo o di quell’articolo di giornale, di questa o di quell’altra lettera, o di una frase pronunciata dopo una cena con amici o riferita da Nietzsche, da vonWolzogen, da Cosima, da Gobineau...

Allora cominciamo col dire che l’anello, il simbolo di tutto il male universale, viene sì materialmente forgiato da Alberich, ma a lui preesiste, e sappiamo benissimo dove, avendo ascoltato il Rheingold! Precisamente nella conoscenza delle tre Ninfe, le figlie del Reno, e cioè dell’acqua, il principale dei quattro elementi fondamentali dell’universo. E sulla partitura musicale, il tema dell’anello compare per la prima volta addosso a Wellgunde, non certo ad Alberich! Quindi il nesso causa-effetto non è Alberich-Anello, ma esattamente l’opposto: Alberich è una vittima dell’anello (il male) esattamente come lo è (e lo vedremo subito) Wotan.

Non per nulla, nella seconda scena del Rheingold, Wagner ci ri-presenta il tema dell’anello, letteralmente appiccicandolo a Wotan, come una sanguisuga, fin dalle primissime battute; ed è chiaramente legato al “peccato” del dio, che ha promessa Freia (l’Amore!) ai Giganti, in cambio del Walhall (il Potere). Per di più, lo stesso tema del Walhall altro non è se non una variante del tema dell’anello, la sua “faccia nobile” (ma anche ipocrita?) potremmo dire. Da dove o da cosa, da chi o perché si possa dedurre che Wotan, già a quel punto, sia stato “inquinato” dalla sub-cultura semitica, questo è per me un mistero, anzi… un’invenzione, bella e buona.

La realtà (come ce la racconta Wagner, parole e musica, basta leggere ed ascoltare) è quella che ci hanno già chiaramente presentata gli “eddici” Saemund e Snorri: tutta la razza divina, da Ymir, a Bor, e giù giù fino a Odin(Wotan) è affetta da “peccati originali”, dei quali l’ultimo ci è stato da Wotan confessato già nella Walküre con queste inequivocabili parole: “Als junger Liebe Lust mir verblich, verlangte nach Macht mein Mut: von jäher Wünsche Wüten gejagt, gewann ich mir die Welt.” (Quando di giovine amore languì il desiderio, l'animo mio aspirò a potenza: di improvvise brame dal furore spinto, a me conquistai il mondo. La traduzione è del sommo Guido Manacorda).

Chiaro abbastanza, vero? Ma invece, come non bastasse, il Viandante-Wotan ci fornisce i dettagli del suo peccato nella seconda scena del Siegfried, ed è la mortale ferita da lui stesso inferta al mitico frassino Yggdrasil, per ricavarci l’asta di una lancia, su cui incidere i caratteri runici delle leggi con cui dominare il mondo: “Aus der Welt-Esche weihlichstem Aste schuf er sich einen Schaft: dorrt der Stamm, nie verdirbt doch der Speer; mit seiner Spitze sperrt Wotan die Welt.” (Del frassino del mondo dal ramo più sacro l'asta si costruì: inaridisce il fusto, non si logorerà mai la lancia; con la sua punta sbarra Wotan il mondo. Manacorda).

Poi c’è Erda, che nella prima scena del Terzo Atto di Siegfried così apostrofa Wotan: “Der den Trotz lehrte, straft den Trotz? Der die Tat entzündet, zürnt um die Tat? Der die Rechte wahrt, der die Eide hütet - wehret dem Recht, herrscht durch Meineid?“ (Chi la tracotanza insegnò, punisce la tracotanza? Chi all’azione infiammò, dell'azione s'adira? Chi il giusto protegge e guarda il giuramento - il giusto impedisce e regge con spergiuro? Manacorda).

Non basta ancora? Ecco cosa notificano - per i distratti e i ritardatari - le Norne nel notturno prologo del Götterdämmerung: “Von der Welt-Esche brach da Wotan einen Ast; eines Speeres Schaft entschnitt der Starke dem Stamm. In langer Zeiten Lauf zehrte die Wunde den Wald; falb fielen die Blätter, dürr darbte der Baum...“ (Dal frassino del mondo ecco Wotan un ramo recidere; l'asta d'una lancia tagliò quel forte dal tronco. Nel corso di lunghi tempi la ferita logorò la foresta; falbe caddero le foglie, intristì arido l'albero... Manacorda).

Se poi ricordiamo che Wotan ruba l’anello ad Alberich, ne abbiamo abbastanza, direi… perciò, se immondi e peccatori sono gli Untermenschen semiti, allora come minimo lo sono altrettanto i luminosi germanici-ariani (anzi, di più, poiché non hanno nemmeno l’attenuante della “provocazione” e dello “stato di necessità”: sappiamo che Alberich persegue la Potenza solo dopo aver subito il carognesco trattamento da parte delle Ninfe ed aver quindi constatato l’assoluta impossibilità per lui di accedere all’Amore; Wotan invece ha avuto l’Amore, e tanto abbondantemente da addirittura stancarsene - pur non arrivando a ripudiarlo - ed è quindi andato in cerca di Potenza come “variante esistenziale” all’Amore medesimo). Questo, e non altro, Wagner ci spiega, e senza bisogno di far ricorso ad etichette razziali, tutt’altro, ma semplicemente raccontando di: Schwarz-alben e Licht-alben. Quindi, tutti “elfi”, scuri e chiari, ma elfi. E la quarta scena del Rheingold è lì a testimoniarci, parole e musica, in modo esemplare, che il confronto Alberich-Wotan è quello fra un empio (Frevler) - Alberich - e un ladro (Schächer) - Wotan.

E quindi si deduce che per Wagner, nel Ring (lo ripeto fino alla nausea, non nel libello X o nel discorso Y o nella lettera Z, ma nel Ring) il mortale confronto fra Wotan ed Alberich non è affatto lo scontro fra bene e male, fra puro-ariano e impuro-semita, ma quello fra due peccatori, rappresentanti di due civiltà sì diversamente sviluppate, ma ugualmente fondate sui deteriori (dis)valori dell’anello. Per impossessarsi definitivamente del quale, non a caso entrambi ne combinano di cotte e di crude, fino a scatenare un vero e proprio “conflitto mondiale”, che porterà dritto-dritto al tracollo di entrambe le civiltà. Ed è proprio per questo, e per nessun’altra ragione – si ascolti Wagner, prego – che nessuno dei due personaggi (e nessuno dei due “opposti schieramenti” che a loro fanno capo, figli e figliastri e nipoti inclusi) l’avrà vinta sull’altro, perché nessuno dei due si merita di prevalere. Qualcuno ci vede qui sul serio la Kristallnacht, l’invasione della Polonia, o l’Anschluss? Caso mai, potremmo osservare che alla fine del Ring le cose vanno meno peggio ad Alberich, che non a Wotan! E questo cosa dimostrerebbe? Che Wagner, oltre che nazista, era pure masochista? E che si vide costretto a scrivere una successiva opera colossale, per tentare di porre rimedio alla “frittata” autolesionista del Ring?

Passiamo ora a Mime: che rappresenti la meschinità e l’arretratezza culturale è palese a tutti; che nel Siegfried, Wagner ci racconti di come il miserabile nano soccomba alla purezza, all’entusiasmo e all’inventiva del giovane figlioccio cui fa da tutore, altrettanto.

Ma il punto è che Mime, a differenza di Alberich, che minaccia Wotan di totale distruzione, ha mire assai più ridotte, che ci rivela alla fine del primo atto del Siegfried: a lui “basterebbe” diventare signore dei Nibelunghi, giù nelle tenebre delle viscere della terra. Di Wotan gli importa solo di sfatarne la scommessa persa con lui, e salvarsi il capoccione, null’altro… E del resto, quando mai Wotan mostra di preoccuparsi di lui, o peggio, di considerarlo una seria minaccia? A differenza di Alberich, suo nemico mortale, che gli ha fatto perdere il sonno, ma che lui rispetta almeno quanto teme, per Wotan Mime è solo un mezza-tacca, un poveraccio da prendere - e guardate: persino bonariamente - per i fondelli.

Per il resto ci si dimentica, al solito, di leggere e di ascoltare il Ring: nella terza scena del Rheingold, Mime descrive un mondo nibelungico addirittura idilliaco, prima della “provocata conversione” di suo fratello Alberich alla nefasta religione dell’oro, che ha poi costretto anche lui a tirar fuori il peggio di sé, per naturale reazione…

Quanto all’aspetto esteriore, non c’è dubbio che Wagner rivesta Mime (come in parte anche Alberich) delle qualità negative da lui attribuite agli ebrei (la parlata e la cantilena yiddish, in primo luogo): ma siamo appunto all’esteriorità, peraltro mirabilmente espressa sul pentagramma. (E Richard Strauss, nella Salome, non ha forse musicato per tenore le stridule parti di quattro personaggi ebrei?) Wagner, in fondo, forse doveva essere grato a quello stereotipo di ebreo, se gli consentiva di creare autentiche meraviglie in musica! E non solo qui nel Ring, come abbiamo visto a proposito dei Meistersinger e come vedremo poi nel Parsifal.

Siegmund e Sieglinde: è del tutto evidente che i due personaggi, la loro consanguineità e il conseguente incesto erano un’assoluta necessità artistica per Wagner. L’incesto, che ha come presupposto il legame di sangue dei due gemelli, è l’unica realistica motivazione per il comportamento di Fricka, per le sue richieste a Wotan e per tutto ciò che la loro soddisfazione comporta: il sacrificio di Siegmund, e da qui la “conversione” di Brünnhilde, la di lei punizione, e da qui... tutto il resto del Ring! La Walküre opera d’arte, con il suo meraviglioso impianto e il suo stupendo finale, non potrebbe esistere che così. Viceversa, se Siegmund rappresentasse il puro-ariano, in cui la società germanica ha riposto le sue speranze di riscatto, come si spiegherebbe allora il suo rifiuto di ascendere al Walhall, per difendere quella società? E ancora: visto che è Fricka a chiedere la punizione del Siegmund-eroe-ariano, dovremmo allora pensare che anche lei sia in qualche modo “inquinata” dal nibelungico-semita? E di grazia: in base a quali elementi, circostanze, osservazioni, parole e musica? Ciò che di lei sappiamo (dal Rheingold) è che non è diversa dalla donna media e ”benpensante”, con le sue bigotte convinzioni, ma anche con le sue vanità e le sue debolezze, oro compreso.

Siegfried: che Wagner abbia immaginato in lui uno stereotipo del “puro ariano”, è più che verosimile, così come si può arrivare a pensare che la raffinata ricerca wagneriana nel campo dell’introspezione psicologica (lo straordinario sogno della madre e la reazione di Siegfried di fronte all’Amore) avesse come obiettivo secondario anche di dimostrare al mondo “quanto può fare l’Arte germanica” se paragonata alle “insulsaggini ebraiche” di un Meyerbeer… Ma, ancora una volta, restiamo saldamente ancorati al piano artistico: tirare in ballo quello politico, e più ancora quello razziale, è davvero cosa gratuita. Peraltro basterà, come al solito, stare alla lettera e al pentagramma del racconto wagneriano, per chiederci come si possa spiegare che un Siegfried eroico e incontaminabile, che “resiste”, e come! all’inquinamento di Mime finchè si trova nella sua tenera età (proprio quando invece potrebbe essere facilmente plagiato) successivamente – divenuto maturo ed esperto – possa cadere come un’autentica pera cotta, letteralmente in pochi secondi, davanti ad un qualunque mezzo-semita (Hagen) e ad una insignificante Gutrune! E questo ingenuo bambinone naìf dovrebbe rappresentare, secondo Wagner, il simbolo del riscatto della razza ariana? Roba da ridere… per non vergognarsene. Basti ricordare che le più spietate e stroncanti caricature degli anni ’20 - in Germania, si badi bene - raffigurano Hitler bardato proprio da Siegfried…

Ecco poi Hagen, figlio di Alberich: una geniale invenzione di Wagner. Geniale, ma anche assolutamente necessaria dal punto di vista drammatico, perché l’identità dell’Högni che esce dalle saghe medievali avrebbe reso totalmente gratuito e banale (perché ingiustificabile e del tutto insostenibile, in quanto non realistico) il suo ruolo nella vicenda del Ring: di quel personaggio, il Wagner ideatore di drammi cosmici davvero non avrebbe saputo che farsene. Epperò il suo “Hagen-figlio-di-Alberich” doveva essere per forza di cose un pezzo grosso alla corte dei Ghibicunghi, e di conseguenza il realismo imponeva che lui fosse figlio di una ghibicunga, e non di una nibelunga! Pensare che Wagner volesse mostrarci, con Hagen, il malsano risultato dell’inquinamento semitico della società ariana è una chiara, quanto gratuita, forzatura… anche se non possiamo escludere che Wagner si sia compiaciuto del fatto che una scelta per lui artisticamente obbligata avesse, come by-product, anche un risvolto che magari non gli dispiaceva affatto; oppure che (scegliete voi) Wagner avesse tratto ispirazione dalle sue idee balzane sull’ebraismo per presentarci e descriverci in modo artisticamente sublime un passaggio topico del suo immenso dramma.

Wagner aveva cominciato il suo lungo cammino del Ring da Siegfried, ma è quella di Brünnhilde la figura che alla fine campeggia e torreggia nella Tetralogia: a partire dalla stupenda, emozionante “presa di coscienza” nella Walküre, poi al risveglio e alla “presa di conoscenza dell’Amore” nel Siegfried, e finalmente alla “presa di controllo” sulle estreme vicende cosmiche, nel Götterdämmerung. In ogni caso, la figura di Brünnhilde la dice lunga su quanto sia strampalata l’idea secondo cui Wagner, col Ring, si prefiggesse l’obiettivo di esporci le sue pretese soluzioni politiche riguardo al futuro della Germania. Diciamo la verità: Hitler&C si servirono, a loro uso e consumo, di un artista e di una delle più straordinarie opere d’arte che l’umanità abbia mai prodotto.


Concludiamo con Parsifal.

La semplice constatazione degli innumerevoli legami di questo dramma con il Buddismo e con Schopenhauer e Kierkegaard basterebbe a stroncare ogni accusa di razzismo e antisemitismo.

E poi, sulla presunta ebraicità di Kundry (indicata dagli esegeti che accusano Wagner come l’incarnazione di Ahasvero, l’ebreo errante) è lecito avanzare più di un dubbio: ad esempio, la Erodiade, che Klingsor ci ricorda essere una precedente incarnazione di Kundry, aveva pubblicamente abiurato la sua religione ebraica.

Klingsor, appunto: un semita? E in base a quale prova, di grazia? Solo perchè vive “al sud”, nella Spagna araba? O perchè si è evirato? Forse che castrazione è sinonimo di circoncisione? (che nell’800 molti ignoranti antisemiti lo pensassero non dimostra che anche Wagner ne fosse convinto, nè tantomeno che volesse far passare per vera questa idiozia).

Altra domanda: com’è che Kundry - la quintessenza dell’inquinante semitico - viene finalmente ammessa - unica e prima femmina - nel tempio del Gral? Dato e non concesso che sia di razza ebrea, ciò significherebbe, come minimo, che Wagner auspicava l’integrazione degli Ebrei - “culturalmente redenti” - nella società e nella cultura tedesca, e non certamente la loro violenta eliminazione fisica!

Ma è il lato musicale, ancora una volta, a far giustizia di ogni pretesa intenzione razzista e antisemita di Wagner. Sì perchè - guarda caso - è la strepitosa Kundry e non certo lo sciocco biondino preteso-ariano (“papero”, lo apostrofa il saggio vecchio Gurnemanz) a monopolizzare la scena, psicologicamente, fisicamente e musicalmente.

Chi vuol dipingere un Wagner tutto proteso a mostrarci nelle sue opere la natura repellente dell’ebreo, dovrebbe allora spiegarci come avviene che, al contrario, i personaggi a ciò da lui preposti (a partire da Holländer, altra supposta reincarnazione di Ahasvero, per arrivare a Kundry) siano fra i più musicalmente straordinari di tutta la sua produzione artistica. Vuoi vedere che Wagner ha finito per infondervi inconsapevolmente il suo supposto e temuto (quanto inconsistente) ascendente ebraico?

Il discorso fatto più sopra a proposito di Siegfried vale per il “puro folle”, che è, per l’appunto, folle. E che solo un folle (non certo Wagner) poteva pensare di prendere a modello. Immaginare che Wagner intendesse – seriamente - prefigurare nelle sue opere ai suoi compatrioti il futuro “redentore della specie” (e magari, perché no, addirittura il Führer in persona) vestendolo con i panni di due ragazzotti sprovveduti – possiamo ben dirlo - come Siegfried e poi Parsifal… significa davvero far torto, in un sol colpo, all’intelligenza del Wagner artista e a quella del Wagner antisemita.

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E così alla fine, se proprio proprio si vuol trovare un parallelo (in termini di scontro ariano-semitico di culture) fra le opere di Wagner e la “visione” di Hitler, Göbbels e Himmler, non resta che un unico riferimento: ed è la Berlino che brucia, esattamente come il Walhall…

Ma allora: vuoi vedere che Adolf Schicklgruber da Braunau am Inn, e i tedeschi plagiati da lui, essendosi macchiati di appropriazione indebita dell’Artista Richard Wagner – proprio come Wotan dell’anello di Alberich - per farci il “sommo profeta” delle loro nefandezze, ne hanno poi dovuto tragicamente subire – sì, esattamente come Wotan – i colpi di una tremenda maledizione, realizzandone fino in fondo, sulla pelle di sei milioni di ebrei, ma in fin dei conti anche sulla propria, la più apocalittica e nichilista delle “visioni”?
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