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da stellantis a stallantis

24 agosto, 2023

ROF-44 in piazza – Petite Messe Solennelle

Confesso che l’idea di recarmi una quarta volta in pochi giorni alla decentrata quanto cacofonica (applico all’architettura alle vongole una categoria della musica…) Vitrifrigo Arena (arrivandoci e ripartendoci in auto da Rimini) senza invece fare almeno una volta quattro passi per la bella Pesaro (arrivandoci comodamente in treno) è stata la molla principale che mi ha convinto a rinunciare alla presenza dal vivo per la PMS e a godermi, oltretutto a-gratis (limitazioni incluse, ovviamente…) lo spettacolo dalla Piazza del Popolo, dove da anni viene regolarmente diffuso in streaming il concerto che chiude il Festival. Almeno 5-600 le persone che hanno seguito così l’evento.

Un paio di osservazioni, diciamo così, tecniche, sull'esecuzione: la prima riguarda il famoso Prélude Religieux che, dopo due esecuzioni nella versione spuria (quella orchestrata dal compianto Alberto Zedda) è tornato – opportunamente, direi proprio - all’originale nel solo organo, magistralmente suonato da Nicola Lamon. (Qui un mio post del 2014 sull’argomento.) L’altra riguarda l’associazione dei solisti alle parti cantate dal coro: Rossini l’aveva prevista in alcuni numeri, forse perché il coro delle prime esecuzioni era davvero ridotto all’osso; qui al ROF, come sempre, anche ieri i solisti non si sono aggregati.

Ovviamente (va sempre ripetuto) l’ascolto tecnologico non permette di formulare giudizi compiuti sui suoni, ma qualcosa si può comunque osservare, ad esempio le agogiche tenute dal Direttore. E qui devo dire che il profeta-in-patria Michele Mariotti, che tornava al ROF dopo 4 anni (Semiramide 2019) e debuttava nella PMS non mi ha del tutto convinto: avendo tenuto tempi (per me) troppo sostenuti e slentati, come del resto testimoniano i 90’ netti di durata dell’esecuzione (se confrontati ad esempio con i 78’ di questo impeccabile Chailly).    

Sui suoi standard di eccellenza l’OSN-RAI, che invece suonava per la seconda volta (al ROF, s’intende) la Messa, avendola già eseguita nella precedente apparizione del 2018. 

Il Coro del Ventidio Basso diretto da Giovanni Farina era al primo approccio di quest’opera, dopo aver cantato di recente in due Stabat Mater (2017-21) e non ha tradito le attese. Invero trascinanti, in particolare, i monumentali passaggi fugati del Cum Sancto Spiritus e del Credo (l’Allegro cristiano!) dove finalmente Mariotti ha allentato un po’ le briglie…

Tutti da elogiare i solisti, a partire da Vasilisa Berzhanskaya, di ritorno al ROF dopo due anni: nel 2021 aveva trionfato come Sinaide nel Moise e a seguire aveva cantato lo Stabat Mater nell’edizione in forma scenica diretta da Bignamini. Davvero rimarchevole la sua prestazione, culminata nell’accorata implorazione dell’Agnus Dei.

Bene anche Rosa Feola, debuttante al ROF, che ha illustrato con calore il Crocifixus e l’O Salutaris. Le due si sono anche distinte insieme nel Qui Tollis.

Dmitry Korchak faceva parte del quartetto protagonista della penultima apparizione della PMS, nel 2014, sotto la direzione di Zedda. Efficace, stentoreo e cesellato il suo Domine deus.

Giorgi Manoshvili era al suo primo impegno importante al ROF. Più che buono il suo Quoniam, per profondità e portamento. Voce potente, ma magari qualche decibel in più non guasterebbe, proprio sulle note più… basse.

Grandi applausi per tutti e conclusione in… gloria. 
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Bene, archiviato anche il 44, ci si prepara al 45, che dovrà essere proprio speciale, essendo naturalmente la colonna portante dell’evento Pesaro: capitale italiana della cultura 2024… E l’annuncio divulgato già la sera dell’11 lo conferma, almeno sotto l’aspetto quantitativo: 4 titoli (e non 3 come uso ormai consolidato) e cioè Ermione (terza produzione, dopo 1987 e 2008); Bianca&Falliero (quarta apparizione, dopo 1986, 1989 e 2005); Barbiere di Siviglia (diventerà recordman di apparizioni, 7, dopo 1992, 1997, 2005, 2011©, 2014 e 2018); e infine L’Equivoco stravagante (quarta presenza dopo 2002, 2008 e 2019).

Uno sforzo davvero notevole, cui si aggiungerà la chiusura del Festival con Il Viaggio a Reims che celebrerà i 40 anni da quella produzione del 1984 entrata nella storia grazie alla stratosferica coppia Abbado-Ronconi.

Ora non resta da fare che un’implorazione… no, che dico, un’intimazione ai politici locali (e non):

riportate il Festival in città, cazzo!

21 agosto, 2023

ROF-44 live - Eduardo&Cristina

Il mio personale percorso a ritroso nella presenza alle tre opere del cartellone ha riservato l’ultimo posto (dulcis-in-fundo?, haha) al titolo principale di questa edizione del ROF: Eduardo&Cristina, già visto e udito – via etere/RAI - alla prima dell’11 e sul quale avevo anticipato qualche mia peregrina osservazione alla vigilia, e senza aver ancora potuto leggere il programma di sala. Il quale reca altre preziose e fondamentali considerazioni dei due curatori dell’edizione critica, Malnati e Tavilla.

Per affinità di… origini etniche (copyright Francesco Lollobrigida) segnalo subito il commento scritto a caldo dopo la prima dalla mia conterranea Roberta Pedrotti, della quale condivido ampiamente i giudizi del tutto positivi sul piano musicale; e, diciamo, ehm, politically correct, quelli meno entusiastici (o almeno dubitativi) sull’allestimento.  

Do quindi spazio in primo luogo alla messinscena, o meglio, all’idea di base di Stefano Poda, che pare farsi scudo dell’esempio rossiniano (dove una stessa musica può supportare indifferentemente il diavolo e l’acqua santa…) per proporci un approccio registico che si dovrebbe adattare – parole di Poda medesimo, riportate sul programma di sala - a questo Rossini così come a Tristan&Isolde, o a Romeo&Giulietta oppure anche ad Orfeo&Euridice(Osservo però che trattasi di drammi finiti in tragedia, a differenza del centone rossiniano, che chiude in gloria.)   

Tradotto in termini Pod-iani, in scena non va in onda il soggetto originale, ma una libera interpretazione delle mille materializzazioni del concetto amore-morte. Che artisticamente, secondo il regista, si traducono in immagini di corpi umani mostrati (staticamente/sculturalmente o dinamicamente/carnalmente) nelle più diverse posture associabili a pulsioni erotico-spirituali dell’insieme anima-corpo di ogni essere umano.

La componente freddamente materiale di ciò è il fondo-scena occupato da un gigantesco bassorilievo in cui appare un’accozzaglia di sezioni di corpi umani (teste, petti, cosce e glutei alla rinfusa, tipo deposito di macelleria) e dalle quinte laterali costituite da enormi scaffali occupati da manichini di gesso raffiguranti corpi ignudi. Quella dotata di anima e corpo è invece rappresentata da mimi (quasi sempre completamente nudi, salvo minuscoli cache-sexe) che si muovono ieraticamente sul palcoscenico ad esternare (per noi poveri pirla che non saremmo in grado di raffigurarcele) le segrete pulsioni che animano la psiche dei personaggi del dramma.

Naturalmente Poda ci notifica quando in scena arrivano personaggi del soggetto reale (i protagonisti e i componenti dei cori) che, per ragioni forse anche di… ehm… indisponibilità alla nudità in pubblico, sono ricoperti di costumi che ne identificano lo status e la fazione.

Insomma, un’idea come tante altre che serve al regista per scaricarsi della responsabilità di mostrarci qualcosa che abbia una sia pur minima attinenza con il soggetto dell’opera. Evabbè, uno potrebbe obiettare che per questo ci sono già le esecuzioni in forma di concerto, senza scomodare (con relativi costi) scenografi, coreografi, costumisti, addetti alle luci (tutti qui distillati, e retribuiti, nel solo… Poda!) e figuranti assortiti e per di più correndo il rischio che lo spettatore, tutto preso a decifrare quegli alati simboli, finisca o per annoiarsi o per perdersi anche quanto di buono c’è nella musica…

Ma, si sa, ai festival tutto è concesso, dalle più grandi trasgressioni alle più comode e ammiccanti paraculate, e qui abbiamo un esempio cumulato dei due approcci (!?)
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Confermata invece l’impressione a caldo lasciata(mi) dall’ascolto tecnologico. 

Daniela Barcellona è tornata qui con una prestazione di grande classe, che il pubblico (anche ieri parecchi vuoti in sala…) ha accolto trionfalmente. Forse la voce non ha più la penetrazione di un tempo, ma la nobiltà dell’emissione, il portamento e la sensibilità interpretativa sono sempre da incorniciare.

Anastasia Bartoli non è stata da meno, confermando l’ottima impressione suscitata alla prima. La voce è adamantina, senza sbavature o vetrosità, gli acuti sempre squillanti e gli abbellimenti virtuosistici e le colorature impeccabili. Le due hanno poi strappato applausi a scena aperta nei duetti e nei concertati.

Enea Scala dal vivo mi è parso meno efficace rispetto alla ripresa tecnologica: la voce non sempre passa adeguatamente, gli acuti a volte sono staccati con fatica e gli abbellimenti non proprio impeccabili. Comunque ha ricevuto un interminabile applauso dopo la sua grande aria del primo atto.

Matteo Roma si è pure ben comportato in tutti i suoi interventi, e in particolare nella sua aria (che nell’edizione critica viene escluso sia di Pavesi, ma sospettato possa essere proprio di Rossini…) meritandosi calorosi applausi. Così come Grigory Shkarupa, voce davvero imponente, come la presenza scenica. Applaudi a scena aperta anche per lui dopo l’aria di Pavesi del second’atto.

Applausi e ovazioni anche per il Coro del Teatro Ventidio Basso, diretto da Giovanni Farina, che ha una corposa presenza in quest’opera, nobilitata da una prestazione di alto livello, sia nel complesso, che nelle due sezioni chiamate a sostenere le scene più drammatiche.

Di Jader Bignamini non posso che ripetere tutto il bene possibile. Lui è arrivato più tardi di altri alla ribalta della Direzione, dopo lunga gavetta in orchestra (clarinetto in MIb a laVerdi) ma ormai è lanciatissimo sulla scena internazionale: da Detroit (dove è di casa) al resto del mondo. Anche per lui grande successo, insieme a qfello della prestigiosa OSN-RAI, inclusi i due continuisti Giulio Zappa e Jacopo Muratori (fortepiano e cello).

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Ecco, chiudo così i miei commenti sul cartellone principale di questo ROF. Che però deve ancora terminare: a parte le due ultime recite, ci sarà il gran finale della Petite Messe Solennelle, che ho deciso di seguire da… (non troppo) lontano. 

19 agosto, 2023

ROF-44 live - Aureliano

Il mio secondo passaggio al ROF-live ha avuto come oggetto Aureliano in Palmira, la produzione del 2014 firmata da Mario Martone, produzione che avevo abbastanza duramente criticato al suo apparire; critiche che la ripresa di Daniela Schiavone non ha per nulla fugato.

Come scrissi allora, in effetti si tratta di una messinscena di sconsolante banalità, priva di una qualunque cifra interpretativa: sembra il compitino in classe di un ragazzino cui si è fatta leggere la favola della regina Zenobia. Una cosa fra la scimmiottatura di Zeffirelli e la parodia di un filmaccio di Maciste. La scena dei pastori, in particolare, è di un deprimente… realismo: tre caprette che entrano sul palco a brucare stoppie! Velleitaria l’idea di mettere in scena il continuo (la brava Hana Lee al fortepiano): sarà pure più vicino ai cantanti, ma è 30 metri più lontano dal pubblico!

Ma davvero insopportabile è la trovata finale: per mostrare a tutti che la sua è una regìa impegnata, Martone che ti inventa? Mentre i protagonisti stanno cantando il concertato conclusivo, lui fa scendere un pannello su cui viene proiettata sopra la storia vera (!?) di Zenobia. Così il pubblico si impegna per leggere il pistolotto e si perde tutto il finale! Pistolotto che si conclude con un riferimento di tutta attualità: ciò che accade oggi in Medioriente, e in Siria-Iraq in particolare, altro non è se non uno strascico antimperialista di quelle vicende di 2000 anni fa; insomma, i criminali tagliagole dell’ISIS sono i nipotini di Zenobia! 
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Avanzo qui un’altra considerazione, seguita da una domanda: dato che il trasferimento dal Teatro Rossini all’Arena (palcoscenico assai più vasto con in più la passerella che circonda l’orchestra) ha costretto necessariamente ad apportare modifiche piccole o grandi alla messinscena, non sarebbe stato il caso di cogliere l’occasione – che non tornerà tanto presto - per proporre dell’opera, anzichè la versione completa e lunghissima, quella più breve, pur prefigurata come la prima dall’edizione critica di Will Crutchfield? Il che avrebbe anche avuto un senso dal punto di vista filologico, nel rispetto degli obiettivi del Festival che ormai, chiuso definitivamente - con Eduardo & Cristina - il ciclo delle prime, deve necessariamente percorrere vie nuove. 

In effetti l’ascolto integrale dell’opera lascia intuire le ragioni del suo scarso successo lungo gli anni, e degli innumerevoli tagli cui è stata regolarmente sottoposta: a dispetto del grande spessore della musica, incredibilmente innovativa se pensiamo al 1813, la sua lunghezza smisurata e la scarsa consistenza del soggetto (si pensi solo allo stucchevole succedersi di battaglie, tregue, trattative cui seguono altre battaglie…) la rendono difficilmente digeribile nella versione completa.

Opera altamente innovativa, appunto, e non a caso Rossini dedicò alla composizione di Aureliano tempo e fatica insoliti per lui, in quei primi e vorticosi anni della sua produzione. Un chiaro indizio di ciò è il trattamento riservato alla Sinfonia: a differenza dei suoi successivi imprestiti (ad Elisabetta e Barbiere, opere dove non ha alcun riferimento ai contenuti)  motivati quasi esclusivamente da fretta e mancanza di tempo, qui la Sinfonia è parte integrante dell’opera, anticipandone alcuni motivi peculiari: l’introduzione lenta in MI maggiore, che udremo (trasposta in MIb) nel second’atto, allorquando Arsace si inoltra nei boschi dopo essere fuggito dalla prigione di Aureliano; la sezione finale del primo tema (in MI minore); il cantabile in SOL maggiore (seconda sezione del secondo tema) e il successivo famoso crescendo e cadenza conclusiva che chiudono il primo atto.

Insomma, Rossini qui fece le cose con il massimo impegno e la massima cura, e i risultati si sentono! E se ne rese conto lo stesso Autore che, a dispetto dello scarso successo delle prime rappresentazioni alla Scala, pescò abbondantemente nell’Aureliano per successive opere; a parte la sinfonia, ne riutilizzò, rielaborandole ma senza renderle irriconoscibili, alcune melodie: il coro iniziale (Sposa del grande Osiride) fu impiegato nel Barbiere per la cavatina d’esordio di Lindoro (Ecco ridente); la cabaletta di Arsace (Non lasciarmi in tal momento) divenne parte dell’aria di Rosina (sempre nel Barbiere); e di lì a poco anche il Sigismondo mutuerà più di uno spunto dall’Aureliano.
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Ieri sera il pubblico (Arena non proprio esaurita) ha tributato un grande successo alle due voci femminili del cast: Sara Blanch, una Zenobia che non fa rimpiangere la sontuosa Pratt del 2014; la perla è stato il suo MIb sovracuto (Per donarvi libertà) che ha fatto impazzire gli spettatori; e poi l’Arsace di Raffaella Lupinacci, che nel 2014 impersonò la più modesta (come parte) Publia, quest’anno affidata alla promettente Marta Pluda: due perle le sue desolate esternazioni dopo le batoste subite in battaglia. Ma anche insieme, le due hanno scatenato l’entusiasmo del pubblico, culminato in un interminabile applauso dopo il duetto finale, chiuso sulla passerella, sopra il podio del Direttore.

Alexey Tatarintsev ha a sua volta riscosso consensi: più per gli stentorei acuti (DO e REb) sparati con grande sicurezza, che non per la prestazione complessiva, dove ha mostrato ancora qualche limite, che potrà superare continuando a impegnarsi con studio e dedizione.

Degli altri, detto del discreto ritorno di Marta Pluda, una menzione va ad Alessandro Abis, che ha dato risalto alla parte limitata quantitativamente del Gran Sacerdote. Bene anche il Licinio di Davide Giangregorio, mentre come Oraspe (nel 2014 era quel Dempsey Rivera poi prematuramente scomparso) Sunnyboy Dladla ha mostrato qualche carenza di penetrazione della voce, pur chiara e ben impostata. Elcin Adil si è dignitosamente comportato nella piccola parte del pastore.

Su buoni standard il coro del Teatro della Fortuna di Mirca Rosciani, che ha qui una parte assolutamente di rilievo.

Del Direttore ateniese George Petrou devo confermare la buona impressione fatta alla prima alla radio: gesto sobrio, attacchi puliti, agogiche sostenute e dinamiche settecentesche, come si addice a questo dramma serio; qualità messe in luce già dall’esecuzione della famosa Sinfonia. L’Orchestra Rossini si merita a sua volta un encomio per la brillantezza del suono e la compattezza mostrata in tutte le sezioni.

In definitiva, un meritato successo per tutti, ferme restando (ma qui parlo per me soltanto) le perplessità sull’allestimento. 

17 agosto, 2023

ROF-44 live – Nedda di Borgogna


Il mio tour per le visioni live (tipica frase nell’idioma italico…) delle tre opere in cartellone di questo ROF è organizzato a ritroso: quindi ho iniziato ieri (in un’Arena occupata per non più dell’80%) da Adelaide di Borgogna, che è una nuova produzione, la seconda nella storia del ROF dopo quella del 2011, allora affidata a Pier’Alli. La registrazione video (mutilata della Sinfonia) è disponibile su youtube e fu effettuata al Teatro Rossini proprio alla rappresentazione del 16 agosto, quando ero anch’io presente e alla quale si riferiscono alcune mie note di commento. 

Il titolo del post si spiega ovviamente in riferimento alla regìa di Arnaud Bernard. Che ha impiegato il trucco, vecchio quanto il… teatro, di mostrarci appunto un soggetto di teatro-nel-teatro, con totale commistione fra l’ambiente (falso e bugiardo per definizione) del teatro e quello, vero, prosaico e a volte miserevole, della vita di ogni santo giorno. Così lo spettacolo è infarcito di mille dettagli che nulla hanno a che vedere con il serioso soggetto originale, ma molto con l’avanspettacolo: screzi fra cantanti e fra interpreti e regista, intoppi di ogni tipo alle prove dell’opera e soprattutto privati amoreggiamenti e tradimenti. Insomma, per tornare al titolo del post, vediamo in scena un soggetto di cui è esempio preclaro il lavoro di Leoncavallo.

 

Peccato che per quest’ultimo il soggetto intendesse programmaticamente presentare la citata commistione fra teatro e vita. Nulla di più lontano quindi dalle intenzioni e dagli obiettivi di Rossini e del suo librettista Giovanni Schmidt. Ergo possiamo dire, senza tema di smentite e rimanendo perfettamente seri, che questa produzione è una (simpatica perchè incruenta?) pagliacciata!

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Venendo a cose serie, il povero Francesco Lanzillotta è stato vittima di un incidente stradale, in moto, che gli è costato qualche frattura. Perciò ha dovuto dare forfait per le tre restanti recite e sul podio è salito il promettente Enrico Lombardi che, come spesso accade a chi viene inopinatamente catapultato alla ribalta (e così anni fa fu proprio per Lanzillotta chiamato a sostituire Chung), ha sfruttato a meraviglia l’occasione per confermare le sue doti, con una direzione sicura e autorevole.


L’OSN-RAI lo ha assecondato (o forse… guidato?) nell’impresa. Così come il coro di Farina del Ventidio Basso, cui ci verrebbe da rimproverare qualche (ehm…) sfasatura, non fosse che fosse la volta bbuona anch’essa parte dei trucchi del regista!!!

 

Prima di dire delle voci soliste, va premesso che – come sempre - dal vivo le cose appaiono (o si sentono, nella fattispecie) sotto-dimensionate rispetto a quanto contrabbandato dalle riprese tecnologiche (microfoni-in-bocca). Ma i maschi (e insomma, diamogli ciò che è loro diritto naturale, una volta tanto) hanno tenuto gagliardamente botta: primo fra… due Riccardo Fassi, un Berengario che si sentiva anche da… Rimini; ma anche l’Adelberto di Renè Barbera, che ha sfoggiato tutto ciò che gli è concesso da madre natura.

 

Non proprio così le due femminucce (Peretyatko e Abrahamyan) protagoniste della relazione LGBTQ+, che hanno mostrato qualche problemino nella cosiddetta ottava bassa

 

Ma infine per tutti c’è stato un meritato trionfo (insomma, 7-8 minuti totali) che ripaga il cast (un po’ meno il regista…) dell’abnegazione dimostrata nell’affrontare disgrazie, sia quelle programmate che quelle materializzatesi on-the job.

14 agosto, 2023

ROF-44 via radio - Adelaide


Adelaide di Borgogna è una nuova produzione, la seconda nella storia del ROF dopo quella del 2011, allora affidata a Pier’Alli. La registrazione video di quell’esordio (mutilata della Sinfonia) è disponibile su youtube e fu effettuata al Teatro Rossini proprio alla rappresentazione del 16 agosto, quando ero personalmente presente e alla quale si riferirono alcune mie note di commento.

 

Come nelle due serate precedenti, anche quella di ieri va apprezzata sul piano musicale: il cast si è rivelato assai agguerrito e ben assortito in tutti i ruoli principali.

La protagonista è Olga Peretyatko, veterana del ROF (esordì in Desdemona nel 2007) e sempre di casa a Pesaro, a dispetto della travagliata relazione con il profeta-in-patria Michele Mariotti. Voce calda e omogenea in tutta la tessitura, solidi acuti e brillanti colorature. Il (la) deuteragonista Ottone è oggi quella Varduhi Abrahamyan che qui ha già interpretato Malcolm (2016, La Donna del lago) e Arsace (2019, Semiramide): ieri ha davvero superato il difficile esame, mostrando di padroneggiare questo ruolo fra i più importanti nella gamma rossiniana degli en-travesti

Gli altri due personaggi maggiori (e… maschili) sono il Berengario di Riccardo Fassi (Polibio nel 2019 e Stabat Mater nel 2021) e l’Adelberto di Renè Barbera, che esordì nel 2015 come Giannetto (Gazza ladra e Stabat) e l’anno successivo fu Narciso nel Turco. Entrambi hanno brillantemente superato la prova: il primo sciorinando la sua solida voce baritonale e l’autorevolezza del portamento; il secondo confermando le sue qualità di tenore dalla voce chiara, sempre ben impostata, e dagli acuti stentorei.

Completano il cast gli esordienti Paola Leoci (Eurice), applaudita anche alla sua breve arietta del second’atto; Valery Makarov (Iroldo) e Antonio Mandrillo (Ernesto).

Buone notizie anche da Francesco Lanzillotta, ritornato al ROF dopo il suo positivo debutto del 2017 (Torvaldo&Dorliska) che ha guidato la sempre impeccabile OSN-RAI; e dal Coro del Ventidio Basso di Giovanni Farina.

Quindi meritato successo per tutti.

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Prossimamente commenterò lo spettacolo, affidato alla regìa del neofita (al ROF) Arnaud Bernard. Bossini e il regista ci hanno a parole fatto capire che l’idea portante dello spettacolo è un teatro-nel-teatro presentato in modo iper-realistico. 

E che c’è una sorpresa finale di sapore LGBTQ+!¾?@#§£$...... 

13 agosto, 2023

ROF-44 via radio - Aureliano

Ieri a Pesaro è stata la volta di Aureliano in Palmira, una produzione del 2014 firmata da Mario Martone, oggi ripresa da Daniela Schiavone. Produzione che – ahimè – mi lasciò piuttosto perplesso (per non dir di peggio) come commentai severamente su queste pagine. (Chissà se il ri-allestimento ha portato… consiglio, staremo a vedere più avanti.)

Viceversa il lato musicale (almeno a giudicare dalla diffusione radio) ha suscitato impressioni più che positive.

Il Direttore George Petrou, specialista del barocco (con il suo ensemble è stato recentemente ospite alla Scala con Carlo il Calvo) mi è parso perfettamente a suo agio con questo Rossini che lui (intervistato da Oreste Bossini) ha definito romantico (beh, insomma…) Il suo approccio non mi è parso poi tanto distante da quello di Will Crutchfield, l’editore critico della partitura, che diresse appunto nel 2014: tempi piuttosto sostenuti e austeri, come si addice a questo lavoro del pesarese (che ci aveva dedicato gran cura, per il suo esordio in Scala); e grande attenzione alla gestione degli innumerevoli recitativi accompagnati che costellano la partitura, caratterizzandola proprio come opera seria.     

L’Orchestra Rossini l’aveva già preparata a dovere e poi suonata 9 anni fa con Crutchfield ed evidentemente ha fatto tesoro di quell’esperienza. Il coro invece allora era quello di Bologna (prima del divorzio dal ROF) ed oggi gli è subentrato meritoriamente quello del Teatro della Fortuna, diretto da Mirca Rosciani.

Molto positive le prestazioni delle voci, a partire dall’ispanica Sara Blanch (uscita dall’Accademia 10 anni orsono) che ha sfoggiato le sue grandi doti virtuosistiche e i suoi acuti per rivestire al meglio il personaggio della Principessa amante e guerriera. Ottima anche la prestazione di Alexey Tatarintsev (due anni fa efficace Éliézer nel Moïse) che ha sciorinato la sua voce squillante e penetrante e alcuni iper-acuti staccati quasi con facilità. E poi Raffaella Lupinacci, passata dal ruolo di Publia del 2014 a quello ben più impegnativo di Arsace: che lei ha sostenuto con pieno merito, in tutte le diverse sfaccettature di questo complesso personaggio. All’altezza dei loro compiti gli altri comprimari.

Franco successo quindi per l’intera compagnia.

12 agosto, 2023

Apertura del ROF-44 via radio(-TV)

Partito ieri il clou del 44° Rossini Opera Festival con la prima assoluta (a Pesaro) di Eduardo&Cristina nella nuova (ancora da pubblicare) edizione critica della Fondazione. Lo spettacolo inaugurale è stato trasmesso in diretta da Radio3 e in differita di 75 minuti da RAI5.

L’impressione a caldo lasciata(mi) dall’ascolto tecnologico (spero verrà confermata dal vivo…) è decisamente positiva, grazie alla direzione dell’ormai navigatissimo Jader Bignamini, coadiuvato al meglio dalla prestigiosa OSN-RAI e dal Coro del Teatro Ventidio Basso, diretto da Giovanni Farina, da anni compagini stabili del ROF.

Ottima nel suo complesso la compagnia di canto: Daniela Barcellona, davvero una veterana del ROF (vi debuttò nell’ormai lontano 1996!) ha messo tutta la sua esperienza, oltre che la voce sempre solida, al servizio di Eduardo.

Al suo livello Enea Scala (anche lui da quasi tre lustri ospite a Pesaro) che ha ben meritato come Re Carlo: voce sempre ben impostata e squillante e acuti sicuri.

Una piacevole sorpresa (per chi non la conosceva) è venuta da Anastasia Bartoli (figlia d’arte, di mamma Cecilia Gasdia, soprano di valore prima di assumere incarichi… gestionali all’ArenaVR) debuttante al ROF. Voce dal timbro caldo e corposo, in tutta l’estensione, è stata una Cristina quasi perfetta, anche sotto l'aspetto attoriale.

Bene Matteo Roma (dal 2019 ospite al Festival) come Atlei, per il quale l’edizione critica ha scovato un’aria (Da nume sì benefico i miseri mortali) per la scena 5 del primo atto.

Altrettanto dicasi per Grigory Shkarupa (34enne di SanPietroburgo, esordiente al ROF in un cartellone principale) che ha prestato a Giacomo una voce ben tornita e profonda.


Per tutti ampi consensi, a scena aperta e alle uscite finali. 
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Lo spettacolo di Stefano Poda? Aspetto di ragionarci sopra un po’… e poi di vederlo dal vivo prima di esprimere un giudizio più equilibrato. Così d’acchito dovrei coinvolgere uno psichiatra con specializzazione in ossessioni sessuali e disturbi dell’io profondo (!?!)  


09 agosto, 2023

La prima volta di Eduardo&Cristina al ROF

In attesa di ascoltarla per radio venerdi 11 (e poi dal vivo più avanti) è il caso di fare qualche considerazione su Eduardo&Cristina, cha ha l’onore di essere l’ultima delle 39 opere di Rossini a venir presentata al Festival (le prime furono, nell’ormai lontano 1980, La gazza ladra e L’inganno felice).

L’opera che quest’anno apre il 44° ROF è comunemente definita un centone, in quanto costruita per larga parte assemblando e rimaneggiando componenti presi di peso da opere precedenti a quel sabato 24 aprile del 1819 che ne vide la creazione a Venezia, Teatro di San Benedetto. Qui si può leggere una breve sinossi. E qui il libretto dell’opera

Curiosamente (ma non è affatto da escludere che si tratti di una scelta deliberata della Direzione artistica del Festival) una delle altre due opere in cartellone quest’anno è proprio quell’Adelaide di Borgogna che ha generosamente fornito più di una delle sue costole allo scheletro del centone (le altre provengono da Ermione, Ricciardo&Zoraide e Mosè in Egitto).

Ad oggi risultano soltanto due esecuzioni pubbliche dell’opera, entrambe fruibili da youtube, registrate in tempi diversi al Festival Rossini di Wildbad, rispettivamente nel luglio 1997 e nel luglio 2017. Le due esecuzioni si differenziano per i tagli ai recitativi (a volte sono gli stessi, altre volte sono diversi) e per un aspetto abbastanza importante, dal punto di vista musicale: la prima, diretta da Francesco Corti, include l’aria di Giacomo (Atto II, Scena IV) Questa man la toglie a morte, prelevata di peso da Odoardo&Cristina di Stefano Pavesi sul libretto originale di Giovanni Schmidt del 1810, mentre la seconda (diretta da Gianluigi Gelmetti) la esclude proprio in quanto aliena.

Per diritto di progenitura mi riferirò da qui in poi alla registrazione del 1997. In giallo sono evidenziati i riferimenti ai numerosi auto-imprestiti che costellano la partitura.

La Sinfonia che apre l’opera è un bell’esempio delle mirabili capacità di Rossini di creare con poca fatica nuovi oggetti musicali a partire da sue composizioni precedenti. La struttura (tonalità d’impianto RE maggiore) è formata da un’Introduzione drammatica costituita da tre pesanti accordi in ambito di RE minore e chiusa (1’22”) da un motivo nella relativa FA maggiore, cui segue l’esposizione bitematica: ecco il primo tema (2’22”) in RE maggiore, seguito dal rituale controsoggetto e dalla chiusa enfatica sulla dominante LA. Sulla quale (3’50”) compare il secondo tema [questo abilmente mutuato da Ricciardo&Zoraide (duetto dall’atto secondo, scena quarta, Ah! nati, è ver, noi siamo, là in DO maggiore)] cui segue (4’29”) il classico crescendo [preso da Ermione (dove compare dapprima nell’Introduzione, in DO e poi FA maggiore; quindi nell’Atto secondo, scena terza, coro Il tuo dolor ci affretta, là in DO e poi MI maggiore).] Eccoci infine (5’40”) alla riesposizione del primo tema in RE maggiore e poi (6’58”) a quella del secondo, pure allineatosi al RE come da sacri canoni, quindi (7’37”) al definitivo crescendo.

Il primo Atto (9’10”) è aperto dalla classica Introduzione, che è presa di peso da quella di Adelaide. Il coro (Giubila, o patria, omai) inneggia al ritorno del vittorioso Eduardo, che ha sconfitto gli eterni nemici russi. [Ecco l’analogo coro, nella stessa tonalità di FA maggiore (Misera patria oppressa) dell’Adelaide.]

Cristina, figlia del re Carlo, è tormentata dal segreto che custodisce (ha avuto un figlio da Eduardo) ed esterna la sua pena (11’17”, Misera, innanzi al padre, SIb maggiore); poi (13’54”, LAb maggiore) Ciel che vedi. Ora Eduardo è vicino (15’32”, Or la schiera, FA maggiore) e Cristina è sempre più in pena (16’25”, Coniugal, materno amore) con Carlo e Giacomo che ne scrutano i sentimenti. [Ecco invece Adelaide (Lasciami!, SIb); poi Dio che m’ami (LAb); infine Ah crudel (FA maggiore).]

Carlo intende andare a fondo sulle ragioni dei tormenti della figlia, mentre arriva finalmente Eduardo con le sue truppe, accolto dal coro (19’00”, Serti intrecciar le vergini) tonalità di DO maggiore. Eduardo esordisce (22’20”) con il cantabile Vinsi! Cui segue (24’33”) la cavatina in MIb maggiore Tu regni lieto omai, dove poi il giovane esterna (25’17”) la sua preoccupazione (Serena il ciglio, ancora in DO maggiore) per il futuro di moglie e figlioletto. [Tutta questa scena è pienamente mutuata dal finale di Adelaide, a partire da Serti intrecciar le vergini cui seguono il cantabile di Ottone (Vieni) in DO maggiore, poi la cavatina in MIb maggiore Al trono tuo primiero, cui segue D’imene il talamo (DO maggiore).]  

Re Carlo – ignaro della segreta relazione della figlia con Eduardo – la promette in sposa all’alleato scozzese Giacomo, gettando Cristina nella disperazione, mentre i grandi del regno – ignari quanto il Re – ne cantano la prossima felicità (29’30” O ritiro, che soggiorno, in SOL maggiore).

Cristina (31’28”, aria È svanita ogni speranza, RE, poi SOL maggiore, con il coro) ormai vede la liberazione dalle sue pene solo nella morte, così Eduardo (35’26” Deh, quel pianto raffrena, sempre SOL maggiore) cerca di consolarla come può, chiedendole di poter abbracciare il loro piccolo Gustavo.

Che Cristina manda a prendere, per poi attaccare con Eduardo (36’45”) un grande duetto (In que’ soavi sguardi) in MI maggiore, con modulazioni alla sottodominante LA, successivamente a DO e poi SOL, prima di tornare al MI maggiore. Eduardo fa di tutto per rassicurare la sposa (40’00” A dispetto d’empio fato, SI maggiore) e finalmente, guardando il figlioletto (41’30” Tu che i puri e dolci affetti, MI maggiore) i due si rincuorano a vicenda.   

[Come la precedente, anche questa sezione dell’opera è presa – quasi interamente, ma parecchio ridotta - da Adelaide, precisamente dall’atto primo, scena 13. Dove troviamo il coro O ritiro, che soggiorno (SOL); poi Occhi miei, piangeste assai (RE, SOL); quindi il gran duetto: Mi dai corona e vita (MI, LA, DO, SOL e MI maggiore); Vieni al tempio (SI maggiore) e infine Tu che i puri e casti affetti, MI maggiore.]

Eduardo propone di fuggire dal palazzo, con l’aiuto del fido Atlei, ma sopraggiungono il Re e i dignitari, per celebrare il matrimonio fra Cristina e Giacomo (45’01”, coro Vieni al tempio, principessa, in SIb maggiore). [Anche questo mutuato, tonalità compresa, da Adelaide, atto primo, scena 10, Viva Ottone.]

Cristina si schermisce, ma poi deve confessare tutto, compresa l’identità del bambinello lì presente e mai mostrato prima ad alcuno. Il padre Carlo rimane sconvolto e decide di punire la fedifraga con la morte. Lo fa cantando la sua grande aria, assai articolata e con interventi di coro e altri personaggi. Dapprima ecco (50’08”) D’esempio alle alme infide in SIb maggiore, poi modulante a FA maggiore. Poi (52’29”) A sì crudele affanno, in REb e poi ancora a FA maggiore; quindi (53’40”) All’eccesso della pena, ancora in REb; infine (55’41”) Ah, sgombrate da me bassi affetti, tornando a SIb maggiore.

[Questa grande aria è tratta in gran parte da Ermione, primo atto, quarta scena, Balena in man del figlio, cantata da Pirro. Vi ascoltiamo poi Per lei sfidai le stelle (3’06”) in REb e FA maggiore; quindi Deh serena i mesti rai (4’50”) in RE naturale (sostituita in E&C); infine Non pavento (8’30”) ancora in SIb maggiore.]

Siamo arrivati al Finale primo (59’25”) che si apre con un coro (A che, spietata sorte) in DO minore / MIb maggiore: sono i notabili e le guardie che imprecano contro il destino che ha voluto questo esito nefasto. [Questo coro è preso dal second’atto, scena 14, di Ricciardo&Zoraide (Qual giorno, aimè, d’orror) in DO minore e MIb maggiore.]

Inizia ora la scena madre: Carlo chiede alla figlia il nome del suo seduttore, poi lo stesso fa il coro (1h02’51”) con un perentorio DO maggiore: Svela il reo, ma Cristina è ferma nel suo silenzio e invoca la meritata pena. In quel momento (1h05’36”) Eduardo si fa avanti (Ah, mi lascia) e – con la tonalità che modula a LAb maggiore - confessa di essere lo sposo di Cristina. Su quel LAb ecco nascere un classico concertato (1h06’41”, Che fiero stato) protagonisti Cristina, Eduardo, Carlo, Giacomo e Atlei. [Questo concertato viene da Ermione, finale del primo atto, Sperar, temer poss’io, in LAb (da 1’06”).]

Con la tonalità che passa a FA maggiore ecco (1h08’14”) il confronto finale fra Carlo ed Eduardo (Vil vassallo!) e l’ordine del Re di giustiziare anche il piccolo Gustavo. È la madre ora ad implorare pietà (1h10’18”, DO maggiore, Signor, deh moviti) con un canto agitato che introduce la conclusione concertata dell’atto, con il trasferimento in carcere di Eduardo, Cristina e figlio. [Siamo ancora in Ermione, con il finale del primo atto, in DO maggiore (Pirro, deh serbami).]
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Eccoci quindi al secondo atto. Che si apre (1h14’09”) con il coro Giorno terribile, in RE minore, poi FA maggiore: è la Corte di Carlo che lamenta la tragica conclusione che sta per arrivare, con la pena capitale inflitta alla principessa e all’eroe nazionale. Anche il fido Atlei non si dà pace, mentre il coro (1h16’01”) commenta l’ineluttabilità di ciò che sta per accadere (Impera severa la legge possente, in RE maggiore).

Atlei non si dà per vinto e si ripromette di fare ogni tentativo per salvare l’amico Eduardo, mentre Re Carlo conferma la sua irrevocabile decisione a Guglielmo. Il quale si dice disposto ad accettare in sposa Cristina, prossima vedova, pur di evitare la totale catastrofe. Carlo lo ringrazia dell’offerta, e così Guglielmo si esibisce (1h18’48”) nella sua aria Questa man la toglie a morte, in FA e DO maggiore. [Come già anticipato, questa aria non è di Rossini, ma è presa direttamente dalla partitura di Stefano Pavesi, che aveva già composto un’opera – Odoardo - sul testo poi trasformato in quello dell’Eduardo.] 

Carlo fa chiamare Cristina e le comunica l’offerta di Guglielmo, al che la figlia reagisce (1h23’36”) con l’esternazione Ahi, quale orror! in LA maggiore, che dà inizio ad un grande duetto con il padre. Nel quale duetto – che prosegue con due sezioni nella dominante MI maggiore per poi chiudere in DO maggiore (Squarciami, o morte, 1h27’43”) - i due restano sulle loro posizioni: lui cerca invano di convincere la figlia, che rimane irremovibile nel rifiutare l’offerta e nel chiedere la morte.

A questo punto (1h29’07”) al duetto si aggiunge il Coro, che – tornando a MI maggiore – sollecita (Signor, di Scozia il Prence) la risposta per Guglielmo. Ma tutto è vano e – rimodulando al LA maggiore iniziale - la scena si chiude con la disperazione generale.

[Il duetto Cristina-Carlo è un altro auto-imprestito da Ermione, atto primo, scena seconda, duetto Ermione-Pirro a partire da Non proseguir! in LA e MI maggiore, poi con Ah, m’odia già, DO maggiore e quindi con l’intervento del coro (Sul lido) in MI e finalmente in LA maggiore.]

Arriva ora la notizia che i nemici hanno assaltato le mura della città: Carlo affida a Guglielmo la difesa, mentre Atlei pensa a come approfittarne per salvare Eduardo.

Il quale giace in carcere, come ci notifica (1h33’50”) il mesto coro dei suoi seguaci, Nel misero tuo stato, in MIb maggiore e DO minore. Il giovane si informa sullo stato di moglie e figlio e, sapendoli ancora in vita, chiede ai suoi di implorare la grazia per loro al Re, concludendo l’implorazione (1h39’32”) con la cavatina in SOL maggiore La pietà che in sen serbate.

Ma ecco sopraggiungere (1h43’03”, Viva Eduardo, in DO maggiore, è il crescendo già udito nella Sinfonia e qui ulteriormente sviluppato e sottoposto a modulazioni) il fido Atlei con altri soldati, che gli reca una spada e lo invita ad unirsi ai difensori della patria contro il nemico russo. Al che il giovane (1h44’33”) risponde con la cabaletta Come rinascere, in SOL maggiore, e si unisce agli amici, avviandosi alla battaglia. [Questa cabaletta viene da Ermione: è quella cantata da Oreste, in MIb, Ah, come nascondere, atto primo, scena 3 (da 42”).]

Ora si passa direttamente (1h48’00”) da un carcere all’altro, quello in cui è rinchiusa la povera Cristina: l’introduzione è affidata al mesto canto del corno inglese (DO minore – MIb maggiore) che accompagna una specie di incubo di cui è preda la giovane: l’esecuzione di Eduardo. Dal quale si risveglia (1h51’23”) con un… cantabile in LAb maggiore (Ah no, non fu riposo). [Questo cantabile è pure ripreso da Ermione, atto secondo, scena seconda, Dì che vedesti piangere, lì in LA maggiore.]

Ancora un recitativo accompagnato (1h53’11”, Ah, ch’io vaneggio) in MIb maggiore, poi sfocia in un cantabile in DO maggiore (1h54’08”, Vieni pur) in cui la poveretta invoca la morte; poi, su un colpo di cannone, modula a LA minore (1h55’35”, Ma che sento) e si dispera, paventando l’imminente fine. Altri colpi di cannone (1h56’24”) e ritorno a MIb maggiore (Raddoppia il fragore) finchè ecco il colpo di teatro: Eduardo le compare dinanzi (1h56’59”, Respira!): con Atlei e altri compagni è lì per trarla in salvo.

Un ritorno al DO maggiore sottolinea la concitazione del momento, che culmina con la notizia che anche il piccolo Guglielmo è in salvo. E così si arriva direttamente al duetto Cristina-Eduardo (1h57’41”, Ah, nati in ver noi siamo) e tutti si avviano per la battaglia che li attende. [Come già sottolineato nella descrizione della Sinfonia, il duetto è preso, proprio pari-pari, parole e tonalità incluse – da Ricciardo&Zoraide.]

Dopo che Giacomo ha a sua volta esortato i suoi ad andare in soccorso del Re minacciato, ecco esplodere (2h01’18”) la Battaglia, ancora in DO maggiore, poi chiudendo in minore. [Inconfondibile questo brano: è la traversata del Mar Rosso, nel finale del Mosè!]

Giacomo ritrova il Re, ormai disperato, e gli comunica la buona notizia: i nemici furono sconfitti da Eduardo, liberato da Atlei. E proprio in quel momento sopraggiunge Eduardo (2h04’35”) ed ha inizio, in MI maggiore, poi LA maggiore, il duetto (Stelle, che intendo?) fra… suocero e genero! Carlo perdona Eduardo, che altro non chiede se non la salvezza di Cristina e del piccolo Gustavo (Salvami sposa e figlio).

Ma ormai il lieto fine è vicino: Carlo perdona anche Cristina e la riconsegna ad Eduardo, mentre Giacomo mitiga la sua delusione per la rinuncia alla Principessa con la gioia per la di lei felicità. Un concertato con coro finale, in FA (e DO) maggiore (2h11’13”, Or più dolci intorno al core) chiude l’opera in gloria. [Questo finale è direttamente mutuato da quello di Ricciardo&Zoraide.]
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Che dire? Certo quest’opera fu frutto di un’operazione piuttosto azzardata e discutibile, tuttavia fu costruita con cura e razionalità: non è un semplice affastellamento di musiche riciclate così a caso, senza alcun criterio, ma gli auto-imprestiti sono sempre accuratamente motivati da ragioni drammatiche. Solo così si spiega come il pubblico veneziano del 1819 abbia potuto apprezzare l’opera: non conoscendo l’origine di buona parte della musica, le riconobbe però piena pertinenza rispetto al soggetto. E lo stesso Stendhal - che pure era al corrente dei retroscena – tutto sommato ne riconobbe il valore.

Cosa che possiamo fare tranquillamente anche noi, apprestandoci a seguirne la presentazione del ROF.