La seconda opera di questa stagione
autunnale scaligera è un’Aida
nuova di zecca. Beh, diciamo con qualcosa di nuovo, anzi... d’antico, ecco: l’inizio del terz’atto come originariamente
composto da Verdi, scoperto un anno fa a Parma e che Chailly (il Direttore ormai
passerà alla storia come il maniaco dei reperti archeologici...)
non ha perso l’occasione di presentare in prima
assoluta.
É un caso simile al famigerato Lacrymosa, composto per il Carlos e poi espunto e successivamente infilato nel Requiem: qui abbiamo la musica del coro dei Sacerdoti egizi, che Verdi considererà troppo cerebrale (à la Palestrina) per l’opera, e quindi più adatta al Te decet Hymnus dello stesso Requiem.
Lo scopritore Anselm Gerhard, descrivendo la sua scoperta, incorre però in un clamoroso autogol, sufficiente ad invalidare tutto il valore, non dell’oggetto della scoperta in sè, ma del suo reinserimento nell’opera, quando afferma testualmente:
“Quel fastidioso ritardo [il rinvio di un anno della prima, ndr] ebbe addirittura un effetto vantaggioso. Costretto ad aspettare, Verdi nell’agosto 1871 decise di rielaborare l’inizio del terzo atto: aggiunse la celeberrima romanza strofica per Aida («O cieli azzurri... o dolci aure native»), per nulla prevista nella partitura originale. Allo stesso tempo, tagliò un monologo di Aida in stile recitativo e sostituì il coro dei sacerdoti («O tu che sei d’Osiride») con una nuova musica dai profumi esotici.”
Quindi, a dar credito a Gerhard, ciò che
ci è stato propinato sarebbe qualcosa di svantaggioso...
(effetti del furore filologico?) Una cosa è certa: Verdi difficilmente prendeva
abbagli, nè del resto si è mai pentito delle variazioni/aggiunte introdotte
prima della prima. Nell’Introduzione cambiò l’atmosfera tonale, rimpiazzando
il FA maggiore dello strumentale e del coro palestriniano
(le note di quest’ultimo portate pari pari nel Requiem) con il SOL maggiore (MI
minore) delle sedici battute caratterizzate dall’arpeggio dei violini sul
motivo dei flauti seguite dal coro esotico.
L’intervento di Ramfis-Amneris, che seguiva la tonalità del coro, venne a sua
volta portato tutto in SOL. Ma la variazione più spettacolare fu l’introduzione
della Romanza di Aida (O patria mia) prima dell’arrivo di Amonasro.
E vi assicuro che passare repentinamente dal recitativo di Qui Radames verrà al Ciel! Mio
padre! è una cosa davvero difficile da digerire!
Trionfatrice della serata l’Anitona Rachvelishvili, il cui vocione ha trasformato Amneris in una... belva. Nel grande concertato del second’atto lei ha coperto tutte le altre voci e pure il coro e l’orchestra!
Meli e Hernandez su standard accettabili: lei ha confermato le sue qualità, voce robusta e sempre ben impostata, acuti penetranti e buon fraseggio; lui mi è parso un po’... fuori forma, esordio impacciato con Celeste Aida, poi meglio fino alla fine, con sfoggio delle sue ormai proverbiali mezze voci e di acuti sempre ben controllati.
Chi mi ha impressionato parecchio (lo ascoltavo per la prima volta) è il mongolo Amartuvshin Enkhbat, che ha disegnato un Amonasro assai efficace, voce piuttosto brunita e penetrante come si addice, secondo me, al personaggio.
Su standard accettabili i due bassi: il Re di Roberto Tagliavini e il Gran Sacerdote di Jongmin Park, ex-accademico scaligero che ha sostituito all’ultimo il titolare Dario Russo. Bene anche i due comprimari Francesco Pittari e Chiara Isotton.
Il Coro di Casoni, purtroppo penalizzato dalla forzata disposizione... periferica ha comunque risposto da par suo mostrando la proverbiale compattezza di suono.
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Ecco, fra poco più di un mese potremo rivedere un’opera in scena: speriamo bene!
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