John
Neschling
torna dopo un paio d’anni in Auditorium portando (un po’ come l’altra volta) un
programma
inconsueto,
il che ogni tanto è un bene, per evitare di adagiarsi - chi suona e chi ascolta
- sui facili oltre che comodi cavalli di battaglia... Così il 71enne maestro
brasiliano (ma il cognome tradisce le origini austriache, cui si deve
aggiungere persino una parentela con Schönberg) accosta il classico Mozart al nostrano Respighi (uno dei suoi autori preferiti, va detto).
L’altro protagonista della serata è il trentenne rampante Federico
Colli, che esordisce qui con il K491 di Mozart. Che avevamo ascoltato precisamente or son 3 anni dalle dita
magiche di un altro giovane virgulto del nostro pianismo, Gabriele Carcano. Il brano rappresenta una pietra miliare nella produzione pianistica
mozartiana e la sua struttura è quanto di più innovativo
(non solo per i suoi tempi) sia stato composto per la tastiera.
Approccio assai sostenuto (nell’agogica) esteso a tutti i tre movimenti, evidentemente deciso dalla coppia direttore-solista: personalmente avrei gradito un filino di vivacità in più, ma nell’insieme il tutto ha mantenuto un’assoluta coerenza. La cadenza dell’Allegro è di Orazio Sciortino, le altre due sono dello stesso Colli. Il quale ha mostrato le ormai acclarate qualità di grande protagonista del pianismo contemporaneo, ribadite da un mirabile bis. Sarò un po’ campanilista ma, essendo in origine suo concittadino, penso di non esagerare nel definire Colli - ieri applaudito anche da uno dei suoi maestri, Boris Petrushansky, pure lui di casa in Auditorium - il degno erede di un altro sommo bresciano: Arturo Benedetti Michelangeli.
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La seconda parte del concerto è dedicata
ad un titolo del tutto desueto, la respighiana Sinfonia Drammatica (completata
nel 1914) che il Direttore ha di recente riproposto all’attenzione dei
musicomani, incidendola lassù in terra di Vallonia.
È fin troppo facile affibbiare a quest’opera
epiteti poco edificanti: velleitaria, anacronistica, fumo-senza-arrosto,
effetti-senza-cause e così via denigrando... Ed è innegabile che la sua fortuna
non abbia nemmeno lontanamente avvicinato quella di simili composizioni coeve,
che pur non si annoverano fra i capolavori assoluti: il Prométée di Scriabin (1910), la Decima
di Mahler (1911), la Quinta di Sibelius
(1915), la Alpensinfonie di Strauss
(1915) o la Classica di Prokofiev
(1917).
E dire che l’analisi approfondita (si
veda ad esempio questa, proveniente
dagli USA) della sua struttura (tematica, tonale e armonica) e del corposo materiale
(appunti e schizzi) che il compositore bolognese ha lasciato, danno l’evidenza
di un lavoro profondamente serio e meditato, non certo di una cosa buttata lì con
superficialità e supponenza. Forse è stata proprio la smania di
strafare dell'autore a nuocere a quest’opera, che continua ad apparire sovrabbondante,
contorta, inestricabile e criptica.
Neschling
ne ha esaltato i contrasti fra le pulsioni drammatiche (da cui il titolo) e le
sezioni più dimesse ed elegiache e l’Orchestra, che credo fosse alla prima
lettura del brano, si è meritata calorosi
applausi da un pubblico piuttosto scarseggiante (complice forse il clima da... autunno
inoltrato). Volendo ragionare in termini bassamente economici (e di spending review) si dovrebbe adesso
ammortizzare l’investimento programmando la sinfonia come minimo nelle prossime 3-4 stagioni (!) Del
resto, non vedo perchè non riservare a questo Respighi lo stesso trattamento
che si garantisce al sinfonista Rachmaninov, per dire...
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