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10 marzo, 2018

laVerdi 17-18 – Concerto n°17



Il padrone di casa Claus Peter Flor risale sul podio dell’Auditorium per proporci una strana coppia: l’ultimo (o quasi) lavoro di un grande sconfitto e il pianto di chi sarà vincitore ma pagando un prezzo insopportabile per la vittoria (non sto parlando di musica, ovviamente, ma di guerre!)

Il ciclo dei Vier letzte Lieder (la penultima, se non ultima, fatica compositiva di Richard Strauss) fu composto nel corso del 1948 in Svizzera, tra Montreux e Pontresina, dove l’84enne bavarese (morirà di lì a un anno senza poterlo ascoltare) era esiliato dopo la caduta del nazismo, al quale lui mai si era opposto con fermezza, pur mantenendo con esso rapporti non certo di plateale connivenza. Un mondo fatto di notorietà, ricchezza e predominio culturale gli era letteralmente crollato addosso, con tutte le croci uncinate di cui quel mondo si era stoltamente fregiato per più di un decennio. Ebbene, in condizioni di autentica indigenza, quasi costretto a chiedere elemosine per strada, il grande Richard trovò modo di sfornare questo incredibile capolavoro. Poco più di 20 minuti di musica ottocentesca che esteticamente - per me - valgono più di tutta quanta la produzione di musica novecentesca messa insieme.

Il ciclo peraltro non fu concepito come tale (Strauss accettò quasi di malavoglia di comporlo solo per soddisfare una richiesta dei suoi famiiari) e l’Autore nemmeno indicò con precisione un titolo nè una sequenza esecutiva dei 4 brani. Titolo e sequenza che furono opera dell’editore Bosey (Ernest Roth) al momento di pubblicarli per la prima esecuzione, che avvenne nella sterminata Royal Albert Hall lunedi 22 maggio 1950, interpreti Flagstadt e Furtwängler). Da allora viene eseguito ed inciso in quella fatta.

La sequenza di esecuzione - pur non essendo verosimilmente farina del sacco di Strauss - segue un canovaccio che si potrebbe liberamente definire Le quattro stagioni dell’esistenza. Le prime tre sono su testi di Hesse e la quarta su testo di von Eichendorff. È probabilmente casuale che la durata dei quattro Lieder sia continuamente crescente, ma mi piace vedere in questo la percezione (di progressiva decelerazione, o di aumento di entropia) che del suo ciclo vitale ha chi si sente consapevolmente vicino alla meta.
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Qualche nota sui contenuti, seguendo questa apprezzabile interpretazione della grande Lucia Popp con il grande Klaus Tennstedt. 

- Frühling è una Primavera che l’anima vive nella sua aspettativa, nel buio invernale di grotte e sepolcri, prima di vederla esplodere davanti a sé in tutta la sua magnificenza. Tempo Allegretto, 6/8. Dopo la breve e concitata introduzione strumentale (tonalità appropriatamente di DO minore) nella prima delle tre strofe (8”, In dämmrigen Grüften) il poeta ricorda i sogni d’inverno, fatti in ambienti freddi e cupi. Sogni però che (20”, von deinen Bäumen, con la tonalità che modula arditamente a SI maggiore) sono popolati da alberi in fiore, azzurre brezze primaverili e (32”, von deinen Duft, mentre la tonalità ancora modula faticosamente a MIb maggiore, la Natura!) da profumi e uccellini cinguettanti.

Un breve interludio strumentale porta verso il DO maggiore (altra tonalità classicamente legata alla Natura) per l’attacco della seconda strofa (1’12”, Nun liegt du erschlossen) dove si canta l’arrivo della Primavera, come un prodigio.

Una nuova modulazione ci ha portati, passando dal MI, al LA maggiore e il tempo muta a 9/8, più tranquillo, per la terza strofa (2’02”, Du kennst mich wieder): è l’estasi da godimento della stagione che fa vibrare nuovamente tutte le membra del poeta, accompagnandone lo stupore di fronte allo spettacolo del creato. Sei battute strumentali in LA maggiore chiudono languidamente il Lied.  

- In September (3’51”) è l’Estate che giunge alla fine, ma che ancora sorride stupenda e languida, splendida nel suo crepuscolo. Tempo Andante, 4/4. Dopo quattro battute strumentali, la prima strofa (4’09”, Der Garten trauert) è in RE maggiore come l’introduzione, ma degrada subito (4’14”) a RE minore all’evocazione delle gocce di pioggia che cadono sui fiori. I versi 3-4 (4’33”, Der Sommer schauert) si spostano sulla sottodominante SOL maggiore per poi modulare a SIb: è l‘Estate che lentamente e tranquillamente si avvia a concludersi.

La seconda strofa (4’59”, Golden tropft Blatt um Blatt) degrada dolcemente a SOLb maggiore, evocando la caduta delle dorate foglie dell’acacia; chiude però il secondo verso ancora sul SOL naturale, che permane per i due restanti versi (5’30”, Sommer lächelt). Essi però chiudono modulando (6’06”, 4 battute strumentali) a MI maggiore.

Degradando di un semitono (MIb) si apre la terza strofa (6’22”, Lange noch bei der Rosen) dove poi (6‘54“) la tonalità si adagia ulteriormente al RE maggiore per chiudere (7‘50“) con 9 battute aperte da una cadenza del corno, a dir nulla stupefacente.

- In Beim Schlafengeh’n (9’09”) siamo davanti all’Autunno dei sensi che si assopiscono, mentre l’anima in liberi voli si librerà. Tempo Andante, 4/8. L’attacco strumentale è in LAb maggiore (FA minore) e così pure quello della voce (9’36”, Nun der Tag mich müd gemacht): il poeta è stanco e si prepara al riposo.

La prima strofa si chiude modulando a MI maggiore e sulla relativa DO# minore si apre la seconda (10’24”, Hände lasst von allem Tun). Dopo un fugace passaggio in RE maggiore, sulle parole che esprimono il desiderio dei sensi di sprofondare, ecco che la musica se ne fa interprete, degradando dal RE (attraverso relazione enarmonica della sua sensibile DO#) al REb maggiore!

Qui (11’08”) ecco uno sbudellante assolo del violino - una delle cose più sublimi mai uscite dalla penna di un compositore (a qualcuno di Darmstadt dovettero fischiare le orecchie!)  - che introduce la voce per la strofa finale del Lied (12’20”, Und die Seele unbewacht): è l’anima che si libra nel magico cerchio della notte per vivere... mille volte ancora. 10 battute strumentali di estatica contemplazione suggellano questo autentico gioiello.

Nell’epilogo di Im Abendrot (15’31”, questo Lied di von Eichendorff ha quattro invece di tre strofe) arriviamo (ciclicamente...) all’Inverno della vita, quello della vasta e silenziosa pace. Uno sguardo sereno (sì, ma con un magone così…) al tramonto dell’esistenza, ma insieme a quello del grande, glorioso, indimenticabile e irripetibile ‘800 romantico. Tempo Andante, 4/4 e 3/2, tonalità di attacco - della lunga introduzione strumentale - MIb maggiore (con sfumature di DO minore) e sulla stessa tonalità (16’41”, Wir sind durch Not und Freude) entra la voce: il poeta invita la sua musa a riposare con lui su una terra tranquilla, dopo che insieme sono passati - mano nella mano - attraverso i dolori e le gioie della vita.

La strofa si chiude sulla dominante SIb, che nella seconda strofa (17’42”, Rings sich die Täler neigen) porta al SOLb maggiore, anche qui con sfumature di minore: è l’oscurità della sera che comincia ad incombere e solo due allodole (evocate da trilli dei flauti) svolazzano nell’aria. La tonalità sfiora ora, innalzadosi, il LA maggiore (18’10”, zwei Lerchen).  

Nella terza strofa (18’34”, Tritt her und lass sie schwirren) si torna a MIb maggiore: il poeta invita la sua musa a dormire con lui. Si modula ancora alla dominante SIb, sempre alternando maggiore e minore.

La strofa conclusiva (19’31”, O weiter, stiller Friede!) ci riporta dal SIb al MIb maggiore (20’04”, So tief im Abendrot): il poeta manifesta la sua stanchezza per il lungo vagare e si domanda se è quello, per caso, l’annuncio della morte. Un SOLb (20’51”, ist dies) è diventato enarmonicamente la mediante di RE maggiore, sulla quale tonalità (20’56”) il corno presenta un motivo che viene dal remoto ‘800, motivo reiterato dopo l’ultima parola (21’29” Tod, appunto).

Si tratta di un frammento del tema dell’ideale, da Tod und Verklärung, scritto appena sessant’anni prima: là concludeva – la trasfigurazione! – in un affermativo DO maggiore… qui c’è ancora grande serenità, ma dal 1889 i tempi sono cambiati, ciò che là si era descritto dal di fuori adesso lo si vive dal di dentro, ma soprattutto tante illusioni e tanti ideali (appunto!) sono annegati in un diluvio di sangue, quindi bisogna... abbassare i toni; precisamente di un semitono, a DO bemolle. Per poi chiudere (23’07”) citando l’adagio della settima bruckneriana – già di per sé carico di simboli, essendo l’estremo omaggio al maestro Wagner, compromesso a sua insaputa nella catastrofe - anche qui abbassato di un semitono, a MIb, con i flauti a seguire ancora gli svolazzi delle allodole. Ecco: rimandi, significati, segnali, allusioni, ammiccamenti e ripensamenti che soltanto la musica consente di esprimere in modo così stupefacente!
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Ieri devo dire che sono rimasto un po’ deluso dalla prestazione complessiva: la cicciottella Gal James ha mostrato una voce ben tornita negli acuti, pur con vibrato poco gradevole; ma decisamente carente nei centri e nei gravi (il REb non è proprio uscito...); all’inizio ho avuto l’impressione anche di qualche problema di intonazione. Flor da parte sua mi è parso un po’ troppo uniforme, con una tavolozza di colori piuttosto sbiaditi; ha anche talvolta coperto la voce del soprano. Insomma, è pur sempre musica sublime, ma... si poteva sperare di meglio, ecco.
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Per fortuna il meglio è arrivato con l’Ottava di Shostakovich, che tornava a risuonare in Auditorium (Caetani) dopo più di quattro anni. Sinfonia assai difficile e complessa (non dirò contorta) che non è certo di facile digestione. Ma l’esecuzione dei ragazzi (autentici esperti di questo repertorio) è stata davvero encomiabile. Meritati i lunghissimi (e anche ritmati) applausi che il folto, pur non oceanico, pubblico ha riservato a tutti.

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