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04 febbraio, 2017

2017 con laVerdi – 6


Claus Peter Flor resta sul podio anche per il sesto concerto stagionale de laVerdi (lui ne ha diretti fino ad ora la metà, poi per rivederlo aspetteremo fino a novembre...) Un programma che spazia su tre secoli, avendo come baricentro l’ultra-borghese Brahms e come estremi l’imparruccato Haydn e il sovietico Shostakovich.

E per la verità un sia pur labile fil rouge fra le tre composizioni lo si può anche individuare, proprio nel Musikant degli Esterházy. Dunque: Brahms si rifà ad Haydn (anche se è un Haydn probabilmente apocrifo) e poi Shostakovich scrive di getto, a metà del secolo ventesimo (!) una sinfonia che quasi quasi si potrebbe attribuire al simpatico Josephus!

Su un motivo del quale (ma pare proprio... di no, essendo più plausibilmente attribuibile al suo allievo Ignatz Joseph Pleyel) Johannes Brahms compone, nel 1873, le Variazioni op. 56a, ultimo suo lavoro orchestrale prima del gran debutto in Sinfonia.

Tutto deriva, per le prime 8 Variazioni, dalla sapiente manipolazione del Tema (uno strano tema costituito da due gruppi di 5 battute!) e, nel Finale, da una serie di 16 micro-variazioni su un basso ostinato – sempre di 5 battute - di passacaglia, costruito con note della prima parte del tema:

L’intero lavoro è nella tonalità del tema principale: SIb. Le otto variazioni che seguono l’esposizione del tema (cinque in modo maggiore e tre – 2-4-8 - in minore) ne sviluppano tutte le potenzialità, o ne derivano altri motivi a mo’ di reminiscenza. La struttura interna ha una meticolosa regolarità: così come il tema originale è costituito da due sezioni di 10 e 19 battute ciascuna, anche tutte le 8 variazioni sono precisamente costruite in quel modo e con quelle stesse proporzioni!   
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Affidiamoci a Leonard Bernstein e ai viennesi per seguire le tappe di questo vero e proprio gioiello.

12” esposizione del Tema principale (Andante, 2/4) e sua ripetizione (33”);

53” esposizione del controsoggetto e sua ripetizione (1’36”);

2’21” Variazione I (Poco più animato) prima sezione e sua ripetizione (2’36”); seconda sezione (2’46”) e sua ripetizione (3’11”);

3’39” Variazione II (Più vivace) prima sezione e sua ripetizione (3’48”); seconda sezione (3’56”) e sua ripetizione (4’13”);

4’33” Variazione III (Con moto) prima sezione (fiati); 4’51” prima sezione (archi); 5’09” seconda sezione (fiati); 5’47” seconda sezione (archi);

6’32” Variazione IV (Andante con moto, 3/8) prima sezione (fiati); 6’54” prima sezione (archi); 7’15” seconda sezione (fiati); 7’59” seconda sezione (archi);
 
8’44” Variazione V (Vivace, 6/8) prima sezione (fiati); 8’53” prima sezione (archi); 9’01” seconda sezione (fiati); 9’17” seconda sezione (archi);

9’36” Variazione VI (Vivace, 2/4) prima sezione e sua ripetizione (9’50”); seconda sezione (10’04”) e sua ripetizione (10’28”);
 
10’58” Variazione VII (Grazioso, 6/8) prima sezione e sua ripetizione (11’30”); seconda sezione (12’02”) e sua ripetizione (13’05”);

14’19” Variazione VIII (Presto non troppo, 2/4) prima sezione; 14’39” seconda sezione e sua ripetizione (14’58”);
 
15’20” Finale (Andante, 4/4 alla breve). È in se stesso un tema con 16 variazioni, che poggiano tutte (tranne la XII) su un basso di passacaglia di 5 battute che è affidato inizialmente ai contrabbassi;
15’32” Variazione I (basso in contrabbassi e controfagotto);
15’44” Variazione II (basso in contrabbassi e controfagotto);
15’55” Variazione III (basso in contrabbassi e controfagotto);
16’05” Variazione IV (basso in contrabbassi e controfagotto);
16’14” Variazione V (basso in contrabbassi e controfagotto);
16’24” Variazione VI (basso in contrabbassi e controfagotto);
16’36” Variazione VII (basso in contrabbassi e controfagotto);
16’46” Variazione VIII (basso nei contrabbassi);
16’56” Variazione IX (basso nei violoncelli);
17’05” Variazione X (basso nelle viole);
17’15” Variazione XI (basso nel corno);
17’25” Variazione XII (senza basso ostinato);
17’34” Variazione XIII (basso negli oboi);
17’43” Variazione XIV (basso in oboi e flauti);
17’52” Variazione XV (basso nei corni);
18’01” Variazione XVI (basso in corni e violoncelli); da qui e fino alla fine entra in azione anche il triangolo;
18’10” Ripresa del tema principale, prima sezione; 18’33” seconda sezione (parte finale);
18’40” Coda, con molto ritardando...; ...in tempo (18’56”) Cadenza finale.
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Encomiabile la prestazione dei fiati che – in omaggio all’origine bandistica del tema -  sopportano il peso principale del brano. Ma in complesso è stata un’esecuzione rigorosa e tutta l’Orchestra (anche questa volta disposta con violini secondi al proscenio e bassi a sinistra) ha confermato la sua compattezza e la ormai proverbiale dimestichezza con questo tipo di repertorio.
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Ma ecco ora Haydn in prima persona! La Sinfonia numerata come 94 (non cominciamo ora a discettare sulle numerazioni, please, lasciamo fare a tale Hoboken e mettiamoci una pietra sopra) è universalmente (tradotto in cifre: poche migliaia di persone nell’intefo pianeta) nota come La sorpresa, oppure, più materialisticamente, come il botto del timpano (traduzione casereccia dal crucco Paukenschlag) che è causa, appunto, della sorpresa (anzi, del risveglio di soprassalto) nell’ascoltatore che, dopo esser stato tenuto ben sveglio dal Vivace assai di apertura, rischiava magari l’appisolamento alle prime 15 battute di tran-tran dell’Andante:


Ora, datosi che questa sinfonia non fu composta per quattro babbioni nobilastri della cerchia degli Esterházy, bensì per il ben più ampio, raffinato e pure schizzinoso pubblico della Londra già imperiale (dove l’orchestra messa a disposizione di Haydn era di organico addirittura triplo di quello a lui disponibile nella bucolica Esterháza) la cosa sta presumibilmente a significare che il buon Haydn non si fidasse poi troppo delle attitudini dei londinesi e/o delle mirabili qualità della sua stessa musica (!) Seguiamone un’interpretazione del grande Lenny con i mitici Wiener:
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Anche in Albione Haydn non rinuncia alle sue radicate abitudini, e quindi la Sinfonia – in SOL maggiore - principia con un’Introduzione in Adagio cantabile, 3/4, aperta dai legni che poi dialogano con gli archi per 17 battute (quindi, abbastanza contenuta, rispetto ad altre quasi interminabili). A 1’44” attacca sommessamente negli archi il Vivace assai, in 6/8, che si presenta in una forma-sonata piuttosto spuria, con una mezza battuta che espone l’incipit del primo tema; dopo altre tre battute piene, ecco (1’50”) uno scoppio dell’intera orchestra che sviluppa il tema, sempre in dinamica forte, con veloci semicrome di violini e poi viole contrappuntate dalle note più lunghe dei fiati e del resto degli archi. Un breve ponte, più delicato (basato sull’incipit del tema) e suonato piano dai violini subentra a 2’10”, e porta alla riproposizione (2’16”) del tema, questa volta con lo scoppio meno... scoppiettante.

La transizione verso il secondo tema è piuttosto elaborata e testimonia dell’inventiva di Haydn: si abbassa la tonalità di un tono intero, riesponendo (2’36”) l’incipit del primo tema in FA maggiore, da qui si vira (2’42”) alla relativa RE minore e finalmente si approda al canonico RE maggiore. Ma a differenza di ciò che verrà quasi codificato poi da Beethoven (e ignorato da Schubert) i due temi dell’esposizione non hanno caratteristiche marcatamente contrastanti (maschio-femmina o eroico-elegiaco) ma appaiono uno come il controsoggetto dell’altro, e ciò che li differenzia all’orecchio è poco più che il salto di tonalità. Così il secondo tema (2’51”) continua su ritmo e atmosfera invariati rispetto al primo, con le volate di semicrome dei violini e dei flauti, fino ad una cadenza più moderata (3’16”) caratterizzata da intervalli discendenti di settima (RE-MI) che conducono verso la chiusura dell’esposizione (3’30”) avviata da un lungo trillo dell’oboe che prepara il ritorno al SOL maggiore (3’51”) per il classico da-capo, che a quei tempi serviva a far entrar bene nel capo dell’ascoltatore i due temi che successivamente andavano ad incontrarsi, talvolta scontrarsi, nello sviluppo.    

Sviluppo che in questo caso non è canonicamente distinto dalla ricapitolazione, per cui si potrebbe parlare di sviluppo-ripresa dei due temi. Troviamo a 5’58” una riapparizione del primo in DO maggiore, poi (6’21”) un brusco contrasto (RE minore) e un lungo passaggio con reiterate figurazioni in metro trocaico. A 7’02” il primo tema riappare (come fosse l’inizio della ripresa) e poco dopo ecco l’ubbidiente adeguamento (7’43”) del secondo alla tonalità del primo, SOL maggiore. (Cessa quindi il dominio della dominante, e in ciò qualcuno ci vede nientemeno che il calar d’ali - e di braghe - della dominante nobiltà nei confronti della rampante borghesia!) Tuttavia il movimento ancora non si conclude, poichè (8’05”) si ripresentano spezzoni del primo e del secondo tema (quasi un secondo sviluppo) che portano finalmente (9’15”) alla cadenza di chiusura del movimento.   

L’Andante, in DO maggiore, 2/4, principia (9’38”) in modo a dir poco... pedante, forse in omaggio ai reali britannici (Pomp&Circumstance): triade in salita e successiva discesa per terze alla dominante SOL, un tema che definire scolastico è fargli un complimento. Ma qui (10’12”) alla 16ma battuta, dopo la riproposizione del soggetto, proprio per evitare inopinate cadute in letargo fra il pubblico, ecco la sorpresa di Haydn, il fortissimo orchestrale ulteriormente appesantito dal secco SOL del timpano (e nel seguito ne arriveranno altri!) Seguono altre 16 battute in cui viene esposto due volte il contro-soggetto, leggermente più mosso.

Ecco, l’intero movimento è costruito come una serie di variazioni su questi semplici (o sempliciotti...) motivi. Si comincia (10’47”) con un altro richiamo all’ordine (timpano incluso) e con il soggetto nei secondi violini e viole, abbellito da svolazzi dei primi e poi del flauto (il tutto ripetuto); quindi (11’20”) ecco il controsoggetto, sempre nei secondi violini con abbellimenti di violini primi e viole (ripetuto). Ancora (11’53”) con tanto di indicazione esplicita (Minore) il soggetto viene esposto in DO minore, con cadenza a LAb e chiusa sul MIb (ripetuto). Ora un’ampia sezione, sempre di DO minore (12’27”) dove il soggetto è esposto dai bassi e abbellito da archi e legni: dopo un tumultuoso animarsi dell’intera orchestra, sono i violini (12’55”) a riportare la tonalità a DO maggiore (anch’esso esplicitamente indicato sulla partitura, per gli esecutori distratti... -  ma anche Beethoven farà lo stesso nella Marcia funebre dell’Eroica) dove il tema viene umoristicamente esposto (13’04”) in veloci e staccate semicrome dall’oboe, sostenuto dal ritmo di altre semicrome degli archi. In seguito si aggiunge il flauto ad impreziosire il tema con il suo suono suadente.

Altro perentorio schianto generale (14’10”) per la ripresa stentorea ed enfatica del tema nell’intera orchestra. Poi (14’27”) ecco una variante comoda e riposante negli archi, prima di un nuovo fracasso (15’01”) sul controsoggetto, dopodichè ci si avvia alla conclusione, introdotta (15’24”) da una fermata sul MIb, del tipo normalmente impiegato nei concerti solistici per introdurre la cadenza virtuosistica. Qui invece ne abbiamo una, davvero stupefacente, dell’orchestra, che ripete il tema nei legni – sui rintocchi e sul rullo, sommessi stavolta, del timpano – abbrunandolo con dei SIb e poi REb negli archi, il che crea un’atmosfera notturna di grandissimo fascino (chapeau!)    

Ecco poi il Menuetto (Allegro molto, 3/4) che non potrebbe essere più classico nella forma (due sezioni, Trio pure in due sezioni e ripresa del Menuetto); viceversa il tema principale è anche qui di un’estrema prosopopea, scandito in battere da timpano e trombe, e in levare dai corni. La prima sezione (16’22”) è di 18 battute, suddivise in 8-10: dapprima le due parti del tema (4+4 che sboccano su sottodominante e tonica) e quindi (16’32”) la cadenza asimmetrica (4+6) che chiude sulla dominante RE. Il tutto ripetuto (16’44”).

La seconda sezione (17’07”) è assai più corposa ed articolata, prevedendo una teatrale fermata con impertinente svolazzo di strumentini (17’31”) e sussiegosa quanto goffa risposta di fagotto e cello nel silenzio generale e poi la ripresa del tema principale con una cadenza più ampia (17’47”, oboi e fagotti per terze) che porta alla chiusa. La sezione viene ripetuta (18’05”).

Il Trio (19’05”) è composto da una prima sezione di 8 battute (4+4) che chiude sulla dominante RE (sezione ripetuta a 19’16”) e poi da una seconda (19’27”) che inizia svariando plagalmente a DO ma torna subito al SOL per chiudersi (sezione ripetuta a 19’51”). Infine, ripresa delle due sezioni del Menuetto (20’16”) senza ripetizioni.    

È un Allegro di molto, SOL maggiore, 2/4, a chiudere la Sinfonia (21’48”). Il tema principale (che la farà da padrone... quasi come in un Rondo) esposto dagli archi occupa le classiche otto battute, e viene tosto (21’55”) ripreso anche dal flauto. Lo segue (22’01”) un controsoggetto che si muove lungo la dominante, per poi lasciare spazio (22’12”) ad un ritorno variato e abbreviato del tema. Ora i violini (22’19”) si imbarcano in lunghe volate di semicrome scandite dalle crome degli altri strumenti, che preparano la modulazione a RE maggiore. Una pausa abbastanza lunga (22’48”) prelude all’entrata del secondo tema, appunto sulla dominante. Ancora i violini a sbizzarrirsi con le semicrome, fino alla chiusa del secondo tema sulle triadi di RE maggiore (23’08”).

Si ritorna tosto al SOL maggiore e al primo tema, esposto dal fagotto. Altra travolgente galoppata dell’orchestra, che sfocia in un momento di rarefazione sonora (23’43”) dove i violini quasi stentatamente (sulla relativa SI minore) introducono una nuova comparsa (23’46”) del primo tema, che viene ripetuto (23’53”) in tonalità minore, seguito da altre scorribande in semicroma degli archi. Ancora una riproposta (24’16”) del primo tema in flauto e fagotto, che porta ad una nuova lunga pausa (24’40”). Qui il secondo tema ricompare nella tonalità di impianto (come si vede anche questo movimento ha caratteristiche di forma-sonata). Spezzoni dell’incipit del primo tema (24’53”) danno inizio ad una coda piuttosto energica che sfocia in fortissimo per la cadenza finale, interrotta da due battute impertinenti dei legni, prima dei due smaccati accordi conclusivi.   
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Pregevole la prestazione dei ragazzi, e convincente la lettura di Flor, a partire dallo stacco dei tempi. Un esempio per tutti: il Menuetto, che lui attacca con passo da bersagliere; chi ha ascoltato Bernstein troverà una differenza abissale con il suo tempo letargico. Ma l’agogica parla chiaro: Allegro molto, e ciò dà torto a Lenny, che fa un Menuetto per i flemmatici viennesi mentre Haydn, come sappiamo, lo scrive per l’esigente pubblico della City. E per accontentare quel tipo di pubblico, Flor esegue il ritornello della seconda sezione del Menuetto anche nella ripresa dopo il Trio!

Poco prima, nell’Andante, per accentuare ulteriormente il contrasto che porta alla sorpresa, aveva fatto suonare il tema praticamente al solo Santaniello. Insomma, una gran bella esecuzione, giustamente accolta da lunghi applausi.
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La Nona di Shostakovich ha risuonato qui in Auditorium nemmeno un anno fa sotto la bacchetta di Ceccherini (chiamato peraltro in tale circostanza a sostituire l’indisposto Axelrod) e quindi quei suoni devono ancora vibrare nelle corde e nelle canne degli strumenti, basta lasciarli suonare da soli (e’sticaz... direbbe uno qualunque dei ragazzi che per farli suonare come si deve ci mettono l’anima, oltre che il corpo!)

Shostakovich fa parte del midollo spinale dell’Orchestra (una delle poche, non dimentichiamolo, ad aver inciso l’intero ciclo delle 15 sinfonie del russo, con Caetani) che non si smentisce di certo nemmeno stavolta. Momenti di gloria per Andrea Magnani, che con il suo magico fagotto ha illustrato al meglio il Largo, sostenendo da par suo il confronto con i pesanti interventi degli ottoni gravi.

Ma tutti si sono meritati calorosi applausi, da un pubblico non oceanico ma evidentemente soddisfatto. 
     

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