Claus
Peter Flor
resta sul podio anche per il sesto concerto stagionale de laVerdi (lui ne ha diretti fino ad ora la
metà, poi per rivederlo aspetteremo fino a novembre...) Un programma che
spazia su tre secoli,
avendo come baricentro l’ultra-borghese Brahms
e come estremi l’imparruccato Haydn e
il sovietico Shostakovich.
E per la verità un sia pur labile fil rouge fra le tre composizioni lo si
può anche individuare, proprio nel Musikant
degli Esterházy. Dunque: Brahms
si rifà ad Haydn (anche se è un Haydn probabilmente apocrifo) e poi
Shostakovich scrive di getto, a metà del secolo ventesimo (!) una sinfonia che
quasi quasi si potrebbe attribuire al simpatico Josephus!
Su un motivo del quale (ma pare
proprio... di no, essendo più plausibilmente attribuibile al suo allievo Ignatz Joseph
Pleyel) Johannes Brahms
compone, nel 1873, le Variazioni op. 56a, ultimo suo
lavoro orchestrale prima del gran debutto in Sinfonia.
Tutto deriva, per le prime 8 Variazioni, dalla sapiente manipolazione
del Tema (uno strano tema costituito
da due gruppi di 5 battute!) e, nel Finale,
da una serie di 16 micro-variazioni su un basso ostinato – sempre di 5 battute
- di passacaglia, costruito con note
della prima parte del tema:
L’intero lavoro è nella
tonalità del tema principale: SIb. Le otto variazioni che seguono
l’esposizione del tema (cinque in modo maggiore
e tre – 2-4-8 - in minore) ne
sviluppano tutte le potenzialità, o ne derivano altri motivi a mo’ di
reminiscenza. La struttura interna ha una meticolosa regolarità: così come il
tema originale è costituito da due sezioni di 10 e 19 battute ciascuna, anche
tutte le 8 variazioni sono precisamente costruite in quel modo e con quelle
stesse proporzioni!
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Affidiamoci a Leonard Bernstein e ai
viennesi per seguire le tappe di questo vero e proprio gioiello.
12”
esposizione del Tema principale (Andante,
2/4) e sua ripetizione (33”);
53”
esposizione del controsoggetto e sua
ripetizione (1’36”);
2’21” Variazione
I (Poco più animato) prima
sezione e sua ripetizione (2’36”); seconda sezione (2’46”)
e sua ripetizione (3’11”);
3’39” Variazione
II (Più vivace) prima sezione
e sua ripetizione (3’48”); seconda sezione (3’56”) e sua ripetizione (4’13”);
4’33” Variazione
III (Con moto) prima sezione
(fiati); 4’51” prima sezione (archi); 5’09” seconda sezione
(fiati); 5’47” seconda sezione (archi);
6’32” Variazione
IV (Andante con moto, 3/8)
prima sezione (fiati); 6’54” prima sezione (archi); 7’15”
seconda sezione (fiati); 7’59” seconda sezione (archi);
8’44” Variazione
V (Vivace, 6/8) prima sezione
(fiati); 8’53” prima sezione (archi); 9’01” seconda sezione
(fiati); 9’17” seconda sezione (archi);
9’36” Variazione
VI (Vivace, 2/4) prima
sezione e sua ripetizione (9’50”); seconda sezione (10’04”)
e sua ripetizione (10’28”);
10’58” Variazione
VII (Grazioso, 6/8) prima
sezione e sua ripetizione (11’30”); seconda sezione (12’02”)
e sua ripetizione (13’05”);
14’19” Variazione
VIII (Presto non troppo, 2/4)
prima sezione; 14’39” seconda sezione e sua ripetizione (14’58”);
15’20” Finale
(Andante, 4/4 alla breve). È in se stesso un tema con
16 variazioni, che poggiano tutte (tranne la XII) su un basso di passacaglia di 5 battute che è affidato inizialmente
ai contrabbassi;
15’32”
Variazione I (basso in contrabbassi e controfagotto);
15’44”
Variazione II (basso in contrabbassi e controfagotto);
15’55”
Variazione III (basso in contrabbassi e controfagotto);
16’05”
Variazione IV (basso in contrabbassi e controfagotto);
16’14”
Variazione V (basso in contrabbassi e controfagotto);
16’24”
Variazione VI (basso in contrabbassi e controfagotto);
16’36”
Variazione VII (basso in contrabbassi e controfagotto);
16’46”
Variazione VIII (basso nei contrabbassi);
16’56”
Variazione IX (basso nei violoncelli);
17’05”
Variazione X (basso nelle viole);
17’15”
Variazione XI (basso nel corno);
17’25”
Variazione XII (senza basso ostinato);
17’34”
Variazione XIII (basso negli oboi);
17’43”
Variazione XIV (basso in oboi e flauti);
17’52”
Variazione XV (basso nei corni);
18’01”
Variazione XVI (basso in corni e violoncelli); da qui e fino alla fine entra in
azione anche il triangolo;
18’10” Ripresa
del tema principale, prima sezione; 18’33” seconda sezione (parte
finale);
18’40” Coda,
con molto ritardando...; ...in tempo (18’56”) Cadenza finale.
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Encomiabile
la prestazione dei fiati che – in omaggio all’origine bandistica del tema - sopportano il peso principale del brano. Ma in
complesso è stata un’esecuzione rigorosa e tutta l’Orchestra
(anche questa volta disposta con violini secondi al proscenio e bassi a
sinistra) ha confermato la sua compattezza e la ormai proverbiale dimestichezza
con questo tipo di repertorio.
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Ma ecco ora Haydn in prima persona! La Sinfonia
numerata come 94 (non cominciamo ora a discettare sulle numerazioni, please,
lasciamo fare a tale Hoboken e
mettiamoci una pietra sopra) è universalmente (tradotto in cifre: poche
migliaia di persone nell’intefo pianeta) nota come La sorpresa, oppure, più materialisticamente, come il botto del timpano (traduzione casereccia
dal crucco Paukenschlag) che è causa,
appunto, della sorpresa (anzi, del risveglio di soprassalto) nell’ascoltatore che,
dopo esser stato tenuto ben sveglio dal Vivace
assai di apertura, rischiava magari l’appisolamento alle prime 15 battute
di tran-tran dell’Andante:
Ora, datosi che questa sinfonia non fu
composta per quattro babbioni nobilastri della cerchia degli Esterházy, bensì per il ben
più ampio, raffinato e pure schizzinoso pubblico della Londra già imperiale
(dove l’orchestra messa a disposizione di Haydn era di organico addirittura
triplo di quello a lui disponibile nella bucolica Esterháza) la cosa sta presumibilmente a significare che il buon
Haydn non si fidasse poi troppo delle attitudini dei londinesi e/o delle
mirabili qualità della sua stessa musica (!) Seguiamone un’interpretazione del grande Lenny con i mitici Wiener:
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Anche in Albione Haydn non
rinuncia alle sue radicate abitudini, e quindi la Sinfonia – in SOL maggiore - principia
con un’Introduzione in Adagio cantabile, 3/4, aperta dai legni
che poi dialogano con gli archi per 17 battute (quindi, abbastanza contenuta,
rispetto ad altre quasi interminabili). A 1’44” attacca sommessamente negli
archi il Vivace assai, in 6/8, che si
presenta in una forma-sonata
piuttosto spuria, con una mezza battuta che espone l’incipit del primo tema;
dopo altre tre battute piene, ecco (1’50”) uno scoppio dell’intera
orchestra che sviluppa il tema, sempre in dinamica forte, con veloci semicrome di violini e poi viole contrappuntate
dalle note più lunghe dei fiati e del resto degli archi. Un breve ponte, più
delicato (basato sull’incipit del tema) e suonato piano dai violini subentra a 2’10”, e porta alla riproposizione (2’16”)
del tema, questa volta con lo scoppio meno... scoppiettante.
La transizione verso il secondo
tema è piuttosto elaborata e testimonia dell’inventiva di Haydn: si abbassa la
tonalità di un tono intero, riesponendo (2’36”) l’incipit del primo tema in
FA maggiore, da qui si vira (2’42”) alla relativa RE minore e
finalmente si approda al canonico RE maggiore. Ma a differenza di ciò che verrà
quasi codificato poi da Beethoven (e ignorato da Schubert) i due temi dell’esposizione non hanno caratteristiche
marcatamente contrastanti (maschio-femmina o eroico-elegiaco) ma appaiono uno
come il controsoggetto dell’altro, e ciò che li differenzia all’orecchio è poco
più che il salto di tonalità. Così il secondo tema (2’51”) continua su ritmo
e atmosfera invariati rispetto al primo, con le volate di semicrome dei violini
e dei flauti, fino ad una cadenza più moderata (3’16”) caratterizzata da
intervalli discendenti di settima (RE-MI) che conducono verso la chiusura dell’esposizione (3’30”) avviata da un
lungo trillo dell’oboe che prepara il ritorno al SOL maggiore (3’51”)
per il classico da-capo, che a quei
tempi serviva a far entrar bene nel capo
dell’ascoltatore i due temi che successivamente andavano ad incontrarsi,
talvolta scontrarsi, nello sviluppo.
Sviluppo che in questo caso non è
canonicamente distinto dalla ricapitolazione,
per cui si potrebbe parlare di sviluppo-ripresa dei due temi. Troviamo a 5’58”
una riapparizione del primo in DO maggiore, poi (6’21”) un brusco
contrasto (RE minore) e un lungo passaggio con reiterate figurazioni in metro
trocaico. A 7’02” il primo tema riappare (come fosse l’inizio della
ripresa) e poco dopo ecco l’ubbidiente adeguamento (7’43”) del secondo alla
tonalità del primo, SOL maggiore. (Cessa quindi il dominio della dominante, e in ciò qualcuno ci vede nientemeno che
il calar d’ali - e di braghe - della dominante nobiltà nei confronti della
rampante borghesia!) Tuttavia il movimento ancora non si conclude, poichè (8’05”)
si ripresentano spezzoni del primo e del secondo tema (quasi un secondo
sviluppo) che portano finalmente (9’15”) alla cadenza di chiusura del
movimento.
L’Andante, in DO maggiore, 2/4, principia (9’38”) in modo a dir poco...
pedante, forse in omaggio ai reali britannici (Pomp&Circumstance): triade in salita e successiva discesa per
terze alla dominante SOL, un tema che definire scolastico è fargli un
complimento. Ma qui (10’12”) alla 16ma battuta, dopo la
riproposizione del soggetto, proprio per evitare inopinate cadute in letargo
fra il pubblico, ecco la sorpresa di
Haydn, il fortissimo orchestrale
ulteriormente appesantito dal secco SOL del timpano (e nel seguito ne
arriveranno altri!) Seguono altre 16 battute in cui viene esposto due volte il
contro-soggetto, leggermente più mosso.
Ecco, l’intero movimento è
costruito come una serie di variazioni
su questi semplici (o sempliciotti...) motivi. Si comincia (10’47”)
con un altro richiamo all’ordine (timpano incluso) e con il soggetto nei
secondi violini e viole, abbellito da svolazzi dei primi e poi del flauto (il
tutto ripetuto); quindi (11’20”) ecco il controsoggetto,
sempre nei secondi violini con abbellimenti di violini primi e viole (ripetuto).
Ancora (11’53”) con tanto di indicazione esplicita (Minore) il soggetto viene esposto in DO
minore, con cadenza a LAb e chiusa sul MIb (ripetuto). Ora un’ampia sezione,
sempre di DO minore (12’27”) dove il soggetto è esposto
dai bassi e abbellito da archi e legni: dopo un tumultuoso animarsi dell’intera
orchestra, sono i violini (12’55”) a riportare la tonalità a DO
maggiore (anch’esso esplicitamente indicato sulla partitura, per gli esecutori
distratti... - ma anche Beethoven farà
lo stesso nella Marcia funebre dell’Eroica) dove il tema viene umoristicamente
esposto (13’04”) in veloci e staccate
semicrome dall’oboe, sostenuto dal ritmo di altre semicrome degli archi. In
seguito si aggiunge il flauto ad impreziosire il tema con il suo suono
suadente.
Altro perentorio schianto
generale (14’10”) per la ripresa stentorea ed enfatica del tema
nell’intera orchestra. Poi (14’27”) ecco una variante comoda e
riposante negli archi, prima di un nuovo fracasso (15’01”) sul
controsoggetto, dopodichè ci si avvia alla conclusione, introdotta (15’24”)
da una fermata sul MIb, del tipo normalmente impiegato nei concerti solistici
per introdurre la cadenza virtuosistica. Qui invece ne abbiamo una, davvero stupefacente,
dell’orchestra, che ripete il tema nei legni – sui rintocchi e sul rullo,
sommessi stavolta, del timpano – abbrunandolo con dei SIb e poi REb negli
archi, il che crea un’atmosfera notturna di grandissimo fascino (chapeau!)
Ecco poi il Menuetto (Allegro molto,
3/4) che non potrebbe essere più classico nella forma (due sezioni, Trio pure in due sezioni e ripresa del
Menuetto); viceversa il tema principale è anche qui di un’estrema prosopopea,
scandito in battere da timpano e trombe, e in levare dai corni. La prima
sezione (16’22”) è di 18 battute, suddivise in 8-10: dapprima le due
parti del tema (4+4 che sboccano su sottodominante e tonica) e quindi (16’32”)
la cadenza asimmetrica (4+6) che chiude sulla dominante RE. Il tutto ripetuto (16’44”).
La seconda sezione (17’07”)
è assai più corposa ed articolata, prevedendo una teatrale fermata con impertinente
svolazzo di strumentini (17’31”) e sussiegosa quanto goffa risposta
di fagotto e cello nel silenzio generale e poi la ripresa del tema principale
con una cadenza più ampia (17’47”, oboi e fagotti per terze) che porta alla chiusa. La sezione
viene ripetuta (18’05”).
Il Trio (19’05”) è composto da una prima sezione di 8 battute (4+4) che
chiude sulla dominante RE (sezione ripetuta a 19’16”) e poi da una
seconda (19’27”) che inizia svariando plagalmente a DO ma torna subito
al SOL per chiudersi (sezione ripetuta a 19’51”). Infine, ripresa delle due
sezioni del Menuetto (20’16”) senza ripetizioni.
È un Allegro di molto, SOL maggiore, 2/4, a chiudere la Sinfonia (21’48”).
Il tema principale (che la farà da padrone... quasi come in un Rondo) esposto dagli archi occupa le
classiche otto battute, e viene tosto (21’55”) ripreso anche dal flauto. Lo
segue (22’01”) un controsoggetto che si muove lungo la dominante, per
poi lasciare spazio (22’12”) ad un ritorno variato e
abbreviato del tema. Ora i violini (22’19”) si imbarcano in lunghe
volate di semicrome scandite dalle crome degli altri strumenti, che preparano
la modulazione a RE maggiore. Una pausa abbastanza lunga (22’48”) prelude
all’entrata del secondo tema, appunto sulla dominante. Ancora i violini a sbizzarrirsi
con le semicrome, fino alla chiusa del secondo tema sulle triadi di RE maggiore
(23’08”).
Si ritorna tosto al SOL maggiore e
al primo tema, esposto dal fagotto. Altra travolgente galoppata dell’orchestra,
che sfocia in un momento di rarefazione sonora (23’43”) dove i violini
quasi stentatamente (sulla relativa SI minore) introducono una nuova comparsa (23’46”)
del primo tema, che viene ripetuto (23’53”) in tonalità minore, seguito
da altre scorribande in semicroma degli archi. Ancora una riproposta (24’16”)
del primo tema in flauto e fagotto, che porta ad una nuova lunga pausa (24’40”).
Qui il secondo tema ricompare nella tonalità di impianto (come si vede anche
questo movimento ha caratteristiche di forma-sonata). Spezzoni dell’incipit del
primo tema (24’53”) danno inizio ad una coda
piuttosto energica che sfocia in fortissimo
per la cadenza finale, interrotta da due battute impertinenti dei legni, prima
dei due smaccati accordi conclusivi.
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Pregevole la prestazione dei ragazzi, e
convincente la lettura di Flor, a partire dallo stacco dei tempi. Un esempio
per tutti: il Menuetto, che lui
attacca con passo da bersagliere; chi ha ascoltato Bernstein troverà una
differenza abissale con il suo tempo letargico. Ma l’agogica parla chiaro: Allegro molto, e ciò dà torto a Lenny, che
fa un Menuetto per i flemmatici viennesi
mentre Haydn, come sappiamo, lo scrive per l’esigente pubblico della City. E per accontentare quel tipo di
pubblico, Flor esegue il ritornello della seconda sezione del Menuetto anche
nella ripresa dopo il Trio!
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La Nona di Shostakovich ha risuonato qui in Auditorium nemmeno un anno
fa
sotto la bacchetta di Ceccherini (chiamato peraltro in tale circostanza a
sostituire l’indisposto Axelrod) e quindi quei suoni devono ancora vibrare nelle
corde e nelle canne degli strumenti, basta lasciarli suonare da soli (e’sticaz... direbbe uno qualunque dei
ragazzi che per farli suonare come si deve ci mettono l’anima, oltre che il
corpo!)
Shostakovich fa parte del midollo
spinale dell’Orchestra (una delle poche, non dimentichiamolo, ad aver inciso l’intero
ciclo delle 15 sinfonie del russo, con Caetani) che non si smentisce di certo
nemmeno stavolta. Momenti di gloria per Andrea
Magnani, che con il suo magico fagotto ha illustrato al meglio il Largo, sostenendo da par suo il
confronto con i pesanti interventi degli ottoni gravi.
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